Rassegna stampa 4 luglio

 

Giustizia: "Morire di carcere"… in sei mesi morti 51 detenuti

 

Adnkronos, 4 luglio 2008

 

I dati, usciti sul dossier "Morire di carcere" a cura di "Ristretti Orizzonti", il quotidiano del carcere di Padova, non sono confortanti. In sei mesi sono morti almeno 51 detenuti, di cui 21 per suicidio. I curatori precisano però che questi dati non rispecchiano a pieno la realtà. Sono infatti ricostruiti in base alle notizie di stampa e alle lettere inviate dai volontari o dai parenti dei detenuti. Il dossier fa riferimento ad un altro numero, ancor meno confortante: negli ultimi otto anni sono morti nelle carceri 1.200 reclusi, di cui un terzo per suicidio. Nel frattempo, nel carcere minorile di Torino "Ferrante Aporti", i detenuti hanno bruciato alcuni materassi in un bagno per protestare contro le condizioni di sovraffollamento del carcere. Sette persone sono state indagate, le accuse sarebbero di tentata strage, incendio doloso e danneggiamento.

Giustizia: retromarcia del governo sul decreto intercettazioni

 

La Repubblica, 4 luglio 2008

 

Non ci sarà un decreto legge sulle intercettazioni. In compenso il Guardasigilli Angelino Alfano comincia a lavorare intorno all’immunità parlamentare, riproponendo l’idea di un ritorno allo spirito della Costituzione come fu scritta nel 1948, salvo modificarla nel ‘93 cancellando il privilegio per deputati e senatori.

Dice Alfano in Commissione Giustizia: "Si parla sempre dei padri costituenti, dell’ottimo lavoro che hanno fatto, della Costituzione intoccabile. È mai possibile che l’unica macchia fosse proprio l’immunità? È lì, invece, che bisogna tornare". Battaglia possibile che, nelle intenzioni del ministro della Giustizia, potrebbe ottenere il consenso di ampi settori dell’opposizione. E il plauso di chi, nella maggioranza, sarebbe favorevole a votare una legge per tutti e non solo per salvare il premier dai guai giudiziari.

L’immunità è tema dell’autunno. Per ora tengono banco le intercettazioni. Il decreto non ci sarà. Né per aumentare le pene per chi le pubblica, né per rendere impossibile la stessa pubblicazione. Com’era chiaro sin da mercoledì. Da ieri sera l’ufficialità è arrivata con l’odg del Consiglio dei ministri in cui non compare la parola "intercettazioni".

Berlusconi, rispetto agli annunci di martedì a Napoli, ha dovuto rinunciare di fronte agli insistenti consigli di Gianni Letta, di Alfano, del suo avvocato Niccolò Ghedini che, calendario parlamentare alla mano, gli hanno dimostrato la concreta impossibilità di convertire un dl approvato il 4 luglio, firmato qualche giorno dopo da Napolitano (ammesso che lo avrebbe fatto, il che è tutto da vedere), in scadenza la prima settimana di settembre "perdendo" tutte le ferie delle Camere per convertirlo. Per dirla con la battuta di Ignazio La Russa "ad agosto è più facile convertire un mujaheddin al cattolicesimo che un dl in legge...".

Alla marcia indietro hanno contribuito altri tre elementi: quello che succederà oggi, a Napoli, nell’udienza per l’inchiesta Saccà; il dato oggettivo che qualsiasi legge, anche la più severa, potrebbe non impedire la pubblicazione. "Il fatto che ci siano gravi sanzioni contro rapine e furti non impedisce certo che ci siano gli uni e gli altri" gli hanno spiegato i suoi.

Se un giornale dovesse avere le imbarazzanti conversazioni da giorni oggetto di gossip, potrebbe pubblicarle sfidando sanzioni, multe e galera. E se la copia in possesso della procura di Napoli fosse distrutta, ma ne esistesse un’altra in giro, anche quella, pur incorrendo in una pena, potrebbe essere resa pubblica.

Terza considerazione: dopo le battaglie in corso per far passare la norma sulla sospensione dei processi (il leader Pd Veltroni la definisce "un mini indulto", Casini ne chiede l’abolizione, ma il governo va avanti senza modifiche) e il lodo Alfano, un terzo scontro sul decreto intercettazioni sarebbe improponibile soprattutto dopo la freddezza dimostrata da An (col presidente Fini) e dalla Lega. Che ieri, in un incontro riservato tra il coordinatore Calderoli, Rosy Mauro, i capigruppo Cota e Bricolo, ha ribadito l’assoluta mancanza di spazio per un decreto sugli ascolti.

Per non parlare dell’opposizione. Antonio Di Pietro pronto a ironizzare sul fatto che, siccome "i giornali non pubblicano, non c’è più l’urgenza di fare il dl". Anna Finocchiaro (Pd) convinta che "non esistono le condizioni di necessità e urgenza per giustificarlo". Il leader Udc Casini insofferente verso un governo che "parla" di intercettazioni mentre "le famiglie non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese e vengono decurtati gli organici delle forze di polizia". Meglio chiudere la pagina, evitare altri conflitti col Quirinale, puntare su sospendi-processi e lodo Alfano.

Giustizia: Veltroni; "blocca-processi" è specie di mini indulto

 

Ansa, 4 luglio 2008

 

"Se il governo vuole fare un decreto lo faccia sui salari, sugli stipendi, sulle pensioni e sui prezzi perché queste sono le urgenze del Paese. Se governo e maggioranza manterranno invece l’atteggiamento che hanno da 20 giorni a questa parte, se non toglieranno di mezzo un emendamento sul dl sicurezza che non ha nulla a che vedere con la sicurezza e se sarà presentato un decreto sulle intercettazioni che sarebbe un atto incostituzionale mettano nel conto un ulteriore inasprimento del clima in Parlamento".

Veltroni, dopo la riunione con il governo-ombra, attacca. "L’emendamento blocca-processi è una specie di mini indulto e i cittadini lo devono sapere" dice il leader del Pd. L’ex sindaco di Roma incassa la battuta di Enrico Mentana, dopo il no di Berlusconi alla partecipazione a Matrix: "È stato un regalo di compleanno". Dice Veltroni: "È una scelta che non discuto, per quanto mi riguarda sarò onorato di accettare l’invito che mi è stato rivolto, se confermato. A Matrix parlerò dei temi che rappresentano la vera emergenza del Paese. Vedo che il presidente del Consiglio motiva la sua decisione con la volontà di non cedere il passo al gossip".

"Servono interventi urgenti per fare subito una terapia d’urto, altrimenti l’economia prenderà un giro recessivo". Lo dice Pierluigi Bersani, ministro dell’Economia nel governo ombra del Pd, proponendo alla maggioranza di "lavorare assieme". Bersani suggerisce di inserire nella manovra una misura che preveda "250 euro di detrazioni fiscali a incapienti, pensioni sotto i 20 mila euro e redditi sotto i 25 mila euro. È una misura che costa 3,5-4 miliardi di euro - spiega - ed è sostenibile. Si può fare immediatamente e non, come ha detto ieri Tremonti, in autunno".

Giustizia: il Procuratore Tinti; lodo Alfano è incostituzionale

di Valerio Venturi

 

Secolo XIX, 4 luglio 2008

 

A Bruno Tinti, Procuratore aggiunto di Torino, le nuove iniziative in tema giustizia del governo Berlusconi piacciono poco. Ex professore universitario, autore del libro "Toghe rotte" (Chiarelettere) sulla situazione della giustizia in Italia, è stato consulente ministeriale.

 

Dottor Tinti, che pensa dei decreti sulla giustizia?

"Si tratta di cose molto diverse tra di loro: la non perseguibilità delle alte cariche è stata già firmata dal Presidente Napolitano, mentre per la questione delle intercettazioni e della sospensione dei processi non c’è nulla di deciso. Ma questi stanno facendo le cose talmente in fretta".

 

Intanto Napolitano ha messo la firma su un ddl che è stato molto contestato e la Camera ha bocciato le pregiudiziali di costituzionalità…

"A mio avviso, la norma che rende immuni le alte cariche dello Stato è incostituzionale".

 

La norma non si può più bloccare?

"L’unica possibilità è che la Corte Costituzionale giudichi questo e altri decreti possibili prossimi venturi come incostituzionali. Se un giudice, durante un processo, li considera tali, la cosa è possibile. Il problema è che gli unici processi di questo tipo vedono imputato Silvio Berlusconi...".

 

Come quello in cui il premier è imputato per corruzione in atti giudiziari con l’avvocato inglese David Mills...

"È un procedimento che potrebbe essere sospeso anche perché i fatti risalgono a prima del 30 giugno 2002. Non ci sarebbero quindi altre udienze per far dichiarare l’incostituzionalità della norma. L’unica via, di fatto, è che i giudici di Milano si pronuncino compatti in tal senso, dichiarando l’incostituzionalità del ddl sull’immunità e di quella sui processi con fatti antecedenti il giugno 2002. Dovrebbero fare entrambe le cose".

 

Il denominatore comune dell’equazione resta il Cavaliere…

"Di certo sono fatti che riguardano solo lui, non ci sono alte cariche dello Stato che hanno problemi con la giustizia".

Giustizia: Uil; l’avvicendamento al Dap? è una scelta infelice

 

Agi, 4 luglio 2008

 

Una "scelta infelice". Così la Uil penitenziari giudica l’avvicendamento al vertice del Dap che "ormai parrebbe non appartenere più alle voci di corridoio ma alla realtà". Per Eugenio Sarno, segretario del sindacato, la decisione del ministro Alfano di avvicendare l’attuale Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Ettore Ferrara (il suo successore, secondo indiscrezioni sarà l’attuale procuratore aggiunto di Roma Franco Ionta) è una "scelta contraria agli interessi del sistema penitenziario".

Per gestire il sistema carcere, ricorda Sarno, "bisogna innanzitutto conoscerlo, cosa che ha bisogno di molto tempo. Nel momento in cui il Presidente Ferrara aveva cominciato ad entrare nei complicati meccanismi viene sostituito. Saranno pure le ragioni della politica ma questa volta a rimetterci sarà tutto il sistema".

Di certo, sottolinea il sindacalista in una nota, "l’avvicendamento dei vertici dipartimentali non può essere ascritto nelle priorità e nei bisogni reali. Il crescente sovrappopolamento, la fatiscenza delle strutture, la grave e insostenibile carenza degli organici , la penuria di fondi e di mezzi sono condizioni che prescindono dalle gestioni amministrative. Sono condizioni - conclude Sarno - determinate dall’insensibilità e dalla disattenzione della politica verso il pianeta carcere, che restano, in ogni caso, insolute e rispetto alle quali chiediamo al ministro Alfano impegni precisi e concreti".

Giustizia: Sappe; no blocca-processi, amnistia reati indultati

 

Comunicato stampa, 4 luglio 2008

 

Il Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria - al fine di evitare scontri che poi fanno perdere di vista le vere emergenze del paese intende portare all’attenzione un pacchetto di misure che potrebbero dare un po’ sollievo sia ai problemi della Giustizia, che alla gravissima ed esplosiva situazione penitenziaria dovuta al sovraffollamento delle carceri (ormai dimenticato), con 55.000 detenuti a cui si contrappone una carenza cronica di personale di Polizia Penitenziaria, e con una recrudescenza della violenza che i continui fatti di aggressione al personale stanno a dimostrare.

Per quanto riguarda la giustizia il Sappe ritiene che invece di sospendere i processi (per i tanti problemi che crea, anche di carattere costituzionale) e per rendere più veloce la celebrazione di altri processi, sarebbe necessario promulgare un’amnistia per tutti quei reati rientranti nel recente indulto.

Il Sappe ritiene che non debba rappresentare uno scandalo nominare la parola "amnistia", poiché ritiene che nelle condizioni attuali, sia l’unico vero ed efficace rimedio che permetterebbe alla macchina della giustizia di ripartire, liberando tutti quei magistrati che stanno lavorando su processi che alla fine si risolveranno con il nulla, poiché i responsabili di tali reati, già liberi proprio a seguito proprio dell’indulto, non pagheranno.

Ormai nella carceri italiane ci sono 55.000 detenuti, di cui circa 21.000 stranieri e, tra questi, si contano circa 14.000 tra rumeni, albanesi, jugoslavi, algerini, tunisini, marocchini, egiziani.

Una soluzione immediata che riteniamo percorribile è quella di far scontare la pena agli stranieri nei propri paesi d’origine, garantendo però una piccola parte delle 220 euro (tanto costa un detenuto giornalmente all’Italia) allo Stato Estero che si impegna a detenere nelle sue carceri, fino a fine pena, chi ha compiuto dei reati sul nostro territorio.

Ciò porterebbe alcuni benefici tra cui: l’interesse dello Stato Estero affinché venga scontata tutta la pena nelle sue carceri poiché assicurerebbe una buona contropartita economica; certezza che la persona che ha commesso un reato ed espulsa non ritorni dopo breve tempo in Italia per continuare a delinquere; centinaia di milioni di euro risparmiati ogni anno; inutilità di costruire altre carceri, nonché carceri più gestibili per la rimanente popolazione detenuta, che non dovrebbe mai superare le 40-45 mila unità.

È bene che si sappia che l’espulsione di un cittadino, quando avviene, può essere efficace per le brave persone, ma non certo per i delinquenti che, avendo soldi e complicità, dopo pochissimo tempo sono di nuovo in Italia a delinquere.

Infine utilizzare su larga scala il braccialetto elettronico, nonché allargare l’esecuzione penale esterna per tutti quei reati che non comportano allarme sociale.

Per quanto riguarda le intercettazioni telefoniche il Sappe rappresenta che la maggior parte dei reati che creano più allarme sociale: furti, rapina, estorsione,violenze, delitti contro la pubblica amministrazione, violenza privata etc., hanno pene inferiori ai 10 anni, perciò non consentire le intercettazioni telefoniche per questo tipo di reati potrebbe costare molto caro in termini di sicurezza di cittadini.

Il Sappe è cosciente del grave problema delle intercettazioni telefoniche, ma ritiene che sarebbe un grave errore vietare una attività di investigazione così determinante. Sono necessarie invece, sanzioni vere, verso chi (lavoratori della giustizia, dal magistrato al commesso di tribunale) divulga notizie che non hanno nulla a che fare con i processi. Vietare di intercettare proprio i reati che creano più allarme sociale e su cui si è basata la campagna elettorale sarebbe grave, e non capito dalla gente.

Il Sappe si augura che quanto prospettato possa essere motivo quantomeno di riflessione, per chi deve decidere sulla vita dello Stato e dei suoi cittadini.

 

Bari, il Segretario Regionale

Federico Pilagatti

Giustizia: continuità assistenziale nelle strutture penitenziarie

di Francesco Ceraudo (Presidente Amapi)

 

Comunicato stampa, 4 luglio 2008

 

La Medicina Penitenziaria non è materia di studio universitario. Il carcere è un luogo di frontiera che si tende ad ignorare o a parlarne il meno possibile poiché raffigura il male morale della società. Tuttavia, è anche il luogo di lavoro di molta gente onesta. Bisogna sottolineare l’aggettivo onesta poiché a volte sembra che lavorare nel carcere sia un demerito quasi che la punizione del detenuto debba ricadere anche su chi lo deve gestire. Proprio a noi Operatori della Medicina Penitenziaria in molte occasioni ci è sembrato che questo lavoro non venisse riconosciuto come dovrebbe, ma anzi quasi censurato.

Nel passaggio di gestione dal Ministero della Giustizia a quello della Salute, la Medicina Penitenziaria dovrebbe fare un salto di qualità. L’assicurazione di una buona continuità assistenziale ai detenuti dovrebbe essere maggiormente garantita. Eppure qualche oscura nube all’orizzonte pare si stia addensando soprattutto per le iniziative infelici di qualche solerte dirigente periferico di Asl. Minacciano incompatibilità. Si mormora che vi siano delle incompatibilità con altri lavori esterni. Non abbiamo ben chiaro questo concetto.

Siamo transitati al Ssn con la tutela della legge 740/70 che fissa regole di assoluta compatibilità. Allora cosa vuol dire parlare di incompatibilità? Dovremmo forse lavorare esclusivamente per il carcere? E quale medico, infermiere o specialista accetterebbe di svolgere la propria professione in un ambiente così stressante e logorante senza altri stimoli? Bisogna aver paura di un Medico che lavora solo in carcere. Appena poi trova una collocazione lavorativa all’esterno, lascia immediatamente il lavoro penitenziario.

Subentrerà un preoccupante turnover. Verrà a lavorare in carcere chi fuori non trova di meglio. E poi nessuno di noi ha fatto domanda di assunzione nella polizia penitenziaria. Perché un rapporto così esclusivo comporterebbe diventare quasi delle guardie. Altra voce vorrebbe affidare di notte alla guardia medica territoriale la cura dei detenuti. Una scelta pazzesca e stravagante per diverse ragioni.

Innanzitutto la continuità assistenziale sul territorio è oramai affidata ai neolaureati e pensiamo che una maggiore esperienza nel carcere sia necessaria. Poi, comunque sia, nessun medico, anche se lavora in un altro carcere, e quindi conosce le problematiche degli Istituti, si prende la responsabilità di lasciare a domicilio un soggetto coatto che non può neanche interpellare successivamente per telefono. La scelta obbligata è quello dell’inviare il soggetto al più vicino pronto soccorso.

C’è anche da aggiungere che se si innesca il meccanismo di invii continui all’ospedale ce ne sarà più di uno che ne vorrà approfittare per prendere una boccata di ossigeno. No, pensarla così sarebbe un errore gravissimo. Il carcere non può essere una bottega per imparare un po’ il mestiere e poi mollare. Forse bisogna riflettere sull’ambiente, i soggetti e le dinamiche. Il carcere è una frontiera militare che non si può varcare bellamente quando e come si vuole.

La Sicurezza è il cardine di ogni Istituto. Sicurezza significa anche selezionare il personale civile, creare con il tempo un rapporto di fiducia con la struttura carceraria e cercare di mantenerlo il più possibile. La Sicurezza è anche una condizionale nel nostro lavoro di Medici che non si riscontra in altri ambienti. Come abbiamo su accennato inviare un paziente al pronto soccorso non comporta alcun pregiudizio in altri contesti.

Può invece creare seri problemi se il paziente è un detenuto. La Polizia Penitenziaria è quasi sempre sotto organico. Specie di notte creare una scorta per accompagnare un detenuto all’ospedale può creare seri problemi di gestione dell’Istituto. Questo significa forse ignorare un’emergenza? No, vuol dire semplicemente avere in mano quella giusta competenza per decidere quando è il caso e quando no di far uscire un detenuto.

Per un Medico di primo pelo o anche di lungo corso che però non si è mai trovato di fronte a uno che si mangia lamette da barba, la tentazione di spedirlo all’ospedale viene di istinto. Ma un Medico di Medicina Penitenziaria con esperienza di anni nelle carceri, riesce a gestire una tale situazione senza necessariamente inviare al pronto soccorso.

I detenuti non pensano e non agiscono come persone normali. La ristrettezza è una condizione innaturale che innesca strani meccanismi. L’autolesionismo, ad esempio, il procurarsi tagli multipli sul corpo è un fenomeno tipico di tanti detenuti. Il dovere del Medico non è solo quello di ricucirlo ma anche di ascoltarlo. Anche in questo caso la tentazione di una sedazione preventiva è forte.

Invece, tante volte è proprio quello che andrebbe evitato. Si tratta di una richiesta di aiuto psicologico che devi sapere interpretare. E ciò lo comprendi solo dopo una lunga esperienza. E devo dire che tante volte sono gli infermieri, i quali hanno con i detenuti un rapporto più vicino e costante, a sapere come usare le giuste parole. Alludo a infermieri che conoscono il carcere come le loro tasche.

I detenuti inoltre possono essere bugiardi. C’è in loro, specie nei tossicodipendenti, una forma di autodistruzione di cui neanche si rendono conto. La richiesta di un surplus di terapia è una costante in molti di loro. Pur di ottenere qualche goccia di sedativo in più inventano storie lacrimosissime. Il pietismo è un difetto in questi casi. Ma avere il coraggio di negare ciò che ai loro occhi può apparire una banale richiesta, fa parte di un bagaglio culturale che un operatore del carcere può acquisire solo sul campo.

Tutti noi, le prime volte, siamo caduti in queste trappole, siamo cioè stati manipolati dai detenuti. Non ne parlo con disprezzo. Lo dico come semplice constatazione dei fatti. Aggiungo, per chiarire, l’uso anomalo di certi farmaci. Chi mai si sognerebbe che una certa medicina può essere trasformata in una sorta di sostanza stupefacente? È un dato questo che acquisisci solo in questo ambiente e dopo averci lavorato a lungo.

Per cui quando ti avvedi che una certa richiesta è costante e concentrata in una sola cella sospendi il trattamento. Sto parlando di gestione quotidiana, di normale amministrazione. Attenzione però, normale per chi conosce le dinamiche del carcere. Per me è improponibile affidare la salute dei detenuti a gente di passaggio. Si finirebbe nel caos più totale. Né si può pretendere che un professionista debba svolgere esclusivamente un lavoro in un ambiente così stressante e pericoloso. I detenuti non sono tutti tranquilli. Vi sono alcuni di elevata pericolosità sociale con cui tu comunque ti devi confrontare.

Lavorare nel carcere è divenire a far parte di un meccanismo leonardesco: sei una puleggia, devi entrare in armonia con l’ambiente, agire in sincronia, muoverti in sinergia con l’ambiente. E poi devi avere "stomaco". Non sono pochi quelli che non hanno resistito più di un giorno. Si tratta infatti, come già ribadito, di un ambiente usurante e logorante oltre che deprimente.

Giustizia: Polizia delusa dal Pdl per i "tagli" della Finanziaria

di Dimitri Buffa

 

L’Opinione, 4 luglio 2008

 

Nessuno ama la Polizia, anche il Pdl la snobba. Ci saranno 6 mila agenti in meno, sommati ad un vuoto di organico di 9 mila unità. Grossa delusione per i tagli previsti nella prossima Finanziaria.

"Le forze di polizia sono deluse e preoccupate dai tagli consistenti che il governo ha deciso di fare: ci saranno 6 mila agenti in meno e un vuoto di organico di 9 mila unità, cioè 15 mila persone in meno in questa legislatura, non è questo il modo migliore per impegnarsi sulla sicurezza". Queste dichiarazioni, vere nella sostanza ma demagogiche nella forma, sono l’arma che il Viminale ha messo in mano a Walter Veltroni sulla questione sicurezza.

E infatti è lui che le ha pronunciate dopo avere incontrato i sindacati confederali di polizia, quelli sotto l’egida di Cgil, Cisl e Uil. Ma anche i sindacati autonomi più vicini alla destra, come il Sap, il Coisp e il Confsap, la pensano alla stessa maniera su questo punto: la sicurezza non si fa con campagne vagamente demagogiche sulle impronte ai Rom e sicuramente demenziali come quella per abrogare o ridimensionare la legge Gozzini.

La sicurezza si garantisce dando mezzi, uomini e soldi alla polizia e alle altre forze dell’ordine per presidiare il territorio. Punto. Ma da questo orecchio Maroni e i tecnici del Viminale sembrano non sentirci. Si potrebbe quasi dire, parafrasando un noto proverbio, che quando il piccolo rom indica la luna l’imbecille gli prende l’impronta al dito.

La situazione è particolarmente delicata nella capitale, che pure è stata nel periodo pre-elettorale, campo di battaglia prediletto per gli alfieri della "sicurezza percepita" grazie ad alcuni episodi di cronaca abbastanza ingigantiti ad arte. Ebbene proprio a Roma ci saranno i tagli più consistenti di organici, commissariati e straordinari per la polizia. Il Silp della Cgil, in un comunicato, se la prende anche con il questore: "È emerso chiaro, e lo dimostreremo in seguito, l’orientamento da parte della Questura di privilegiare la cura degli eventi di massa, piuttosto che garantire la sicurezza dei cittadini soprattutto se abitanti nelle periferie".

Come dire che c’è un emulo di Veltroni a San Vitale. Secondo il Silp, "l’attenzione spasmodica dovuta ad eventi che risultano palcoscenici internazionali a Roma provoca specularmente disattenzione verso quasi tutto il tessuto sociale che contribuisce allo sviluppo delle città, con particolare riferimento alla situazione dei commercianti, denunciata dalle associazioni di categoria che impietosamente mette a nudo tutte le lacune del modello organizzativo finora adottato."

Poi i dati sui tagli: "dal nostro studio appare evidente la carenza degli organici di tutti i commissariati che le previsioni fornite dalla Questura indicavano dover comprendere 5.000 uomini, mentre è emerso che attualmente sono in forza negli stessi uffici 3.500 uomini: ovvero mancano 1.500 poliziotti fondamentali per garantire livelli accettabili di sicurezza nella capitale." Ci sono poi gli esempi sui singoli commissariati di zone caldissime di Roma, come Trastevere, Fidene, Prenestino e Primavalle: "per il commissariato di Trastevere che nella pianta organica doveva avere 70 unità di effettivi già nel 2005, gli uomini a disposizione reali ad oggi sono 64"; per quanto riguarda il commissariato di Fidene, "a fronte dell’organico previsto dalla Questura di 157 unità, risulta aver solo 89 uomini a disposizione"; stesso discorso per il Commissariato Prenestino "con meno 61 uomini su 159"; idem con patate per Primavalle "con un organico di 140 previsti a fronte dei reali 75". Un discorso a parte meritano poi i commissariati di provincia ove il taglio per alcuni è di oltre il 50% dell’organico: per tutti è clamoroso il caso di Genzano che a fronte dei 57 uomini previsti in dotazione a tutt’oggi ne vede lavorare soltanto 32. Il discorso potrebbe continuare all’infinito ed allargarsi da Roma alle altre metropoli italiane, soprattutto Napoli, Palermo e Milano. Questa, caro Maroni, come dicono gli stessi poliziotti, è la vera questione sicurezza. Altro che Rom e romeni.

Giustizia: parlamentari siciliani, scandalo degli stipendi d’oro

di Gian Antonio Stella

 

Corriere della Sera, 4 luglio 2008

 

Non potevano scegliere un momento migliore, i deputati dell’Assemblea regionale siciliana, per aumentarsi di straforo lo stipendio coi giochetti furbetti. Proprio ieri, infatti, la relazione del procuratore generale della Corte dei Conti isolana Giovanni Coppola ha letteralmente fatto a pezzi il bilancio consuntivo della Regione. Bilancio che si può riassumere con un solo aggettivo: catastrofico.

Pochi punti: la spesa pubblica regionale, alla faccia di tutti gli impegni presi dal centro-destra da anni al governo, è salita a 15 miliardi di euro, con un’impennata dell’8% sul 2006. I vari assessorati hanno distribuito una enormità di consulenze fornendo per di più dati "incompleti e parziali, mancando un meccanismo centralizzato di controllo". I dipendenti sono cresciuti fino al numero abnorme di 21.104 (di cui 2.245 dirigenti: uno ogni nove addetti) con un aumento di 6.859 assunti, col risultato che "in Sicilia c’è un dipendente regionale ogni 239 abitanti, mentre in Lombardia il rapporto è di uno ogni 2.500" (dieci volte più basso) e una spesa per le buste paga di quasi un miliardo di euro. I corsi di formazione professionale (302 milioni di euro) sono stati 3.069 con gli obiettivi "più disparati", sono costati "circa 100mila euro" l’uno e hanno avuto in media "appena 15 iscritti" dimostrandosi più utili "agli enti che li organizzano piuttosto che ai giovani che li frequentano". Non bastasse, ecco la ciliegina sulla torta: nel 2007 la sgarrupata sanità siciliana è costata 8 miliardi e 500 milioni di euro: 1.711 pro capite. In pratica, accusa la magistratura contabile, "nell’isola si è speso il 30% in più di quanto si spende per la sanità in Finlandia", un Paese con un territorio più grande dell’Italia, 300 mila abitanti più della Sicilia "e un servizio sanitario tra i più efficienti del mondo".

Bene: in questo contesto disastroso che toglierebbe il sonno a ogni amministratore con la testa sul collo, cosa ha deciso l’ineffabile maggioranza che governa l’isola? Ha deciso che le prebende che mensilmente ricompensano il lavoro (si fa per dire...) dei deputati regionali, che già sono in varie voci parificate a quelle del Senato e possono arrivare con diarie e rimborsi e indennità varie per viaggi e spese telefoniche a oltre 19 mila euro (tra i 10 e gli 11 mila netti) sono insufficienti. "Siamo o non siamo uno dei più antichi parlamenti del mondo?"

Così, visto che le buste paga sono ancora più gratificanti nel caso il deputato faccia parte del Consiglio di Presidenza (7.700 euro lorde in più al presidente, circa 5 mila ai due vice) oppure abbia qualche delega da assessore (otto, con una integrazione di 2.600 euro) o ancora sia ai vertici di qualche commissione, hanno stabilito di moltiplicare queste commissioni facendole diventare dieci. Risultato finale?

Antonella Romano, sulla Repubblica di Palermo, ha fatto i conti: calcolando che godono di ulteriori supplementi anche i capigruppo e i loro vice, su 90 consiglieri i "graduati" salgono dai 53 della scorsa legislatura a 72. Con un aumento secco di un terzo.

E le polemiche sulla Casta, i costi della politica, la necessità di tagliare? Ciao. E le promesse elettorali di imprimere una svolta a certi indecenti privilegi di quelli che Luigi Einaudi chiamava "i padreterni"? E chissenefrega, ormai le elezioni ci sono state...

Roma: suicida un Ispettore Superiore di Polizia Penitenziaria

 

Comunicato Sappe, 4 luglio 2008

 

Appare davvero inarrestabile il "mal di vivere" che sembrerebbe colpire una consistente aliquota di poliziotti penitenziari. Dopo i circa 10 suicidi dall’inizio dell’anno, questa mattina si è tolto la vita con l’arma di ordinanza nella Caserma del carcere romano di Rebibbia un Ispettore Superiore di Polizia Penitenziaria di 45 anni. Sgomento Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria.

"Il nostro primo pensiero va al dolore dei familiari e in particolare a quello delle piccole figlie del povero Collega. Sembra davvero inarrestabile questa catena di disgrazie che portano così tanti colleghi - e in così poco tempo - a togliersi la vita. È davvero un luogo comune pensare che lo stress lavorativo riguardi solamente le persone fragili.

Al contrario, il fenomeno colpisce, inevitabilmente, tutti i lavoratori, e in modo particolare coloro che operano nei servizi di sicurezza e tutela pubblica, che non solo vivono sovente in una costante situazione di rischio, ma spesso vengono a contatto con situazioni di dolore, angoscia, paura, violenza, distruzione e morte non escluse anche le conflittualità interprofessionali in una struttura fortemente gerarchizzata quale è quella della Polizia Penitenziaria.

Ciò che sconcerta è che l’Amministrazione Penitenziaria, che pure aveva deciso una serie di interventi proprio per contrastare il disagio professionale e personale dei poliziotti penitenziari a seguito di numerosi suicidi di colleghi avvenuti in breve tempo, non ha poi dato esecuzione pratica a quei progetti d’intervento".

Capece sottolinea infine l’effetto burnout tra i poliziotti penitenziari, "una forma di disagio professionale protratto nel tempo e derivato dalla discrepanza tra gli ideali del soggetto e la realtà della vita lavorativa, al quale probabilmente si aggiungeranno anche criticità di natura più strettamente familiare.

Per questo abbiamo ritenuto e riteniamo che l’istituzione di appositi Centri specializzati in grado di fornire un buon supporto psicologico agli operatori di Polizia - garantendo la massima privacy a coloro i quali intendono avvalersene - possa essere un’occasione per aumentare l’autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità spendibili in una professione davvero dura e difficile, all’interno di un ambiente particolare quale è il carcere, non disgiunti dai necessari interventi istituzionali intesi a privilegiare maggiormente l’aspetto umano ed il rispetto della persona nei rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano la Polizia Penitenziaria".

 

Marroni: purtroppo in carcere si continua a morire

 

"Purtroppo in carcere si continua a morire - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - Che a togliersi la vita siano reclusi o agenti, la sostanza non cambia: il carcere è una realtà dura e complessa che, a volte, fa apparire insuperabili i problemi quotidiani. Per quanto riguarda la polizia penitenziaria, l’episodio di oggi, le agitazioni di Viterbo e le segnalazioni sulle carenze di personale sono spie di un malessere che sta diventando profondo e che diventerà ancora più insopportabile con il sovraffollamento che deriverà dall’entrata in vigore dei nuovi provvedimenti del governo. La Regione Lazio, su sollecitazione di questo Ufficio, sta attivando interventi a sostegno degli agenti sia di carattere psicologico che per dotarli degli strumenti culturali per mediare con una popolazione detenuta sempre più variegata".

Genova: ancora aggressioni e violenze nel carcere di Marassi

 

Adnkronos, 4 luglio 2008

 

Questa mattina un detenuto è stato aggredito dai compagni di cella al primo piano della prima sezione del carcere Marassi di Genova. In seguito all’aggressione, l’uomo è stato trasportato d’urgenza al pronto soccorso. Ieri, invece, il personale di Polizia Penitenziaria è dovuto intervenire presso altra sezione per sedare una lite tra due detenuti extracomunitari "che si sono affrontati brutalmente con lamette e quant’altro era a loro disposizione". Lo denuncia Fabio Pagani, segretario regionale per la Liguria della Uil Pa Penitenziari, che evidenzia come il carcere genovese non sia nuovo a questi episodi che "si susseguono a frequenze preoccupanti".

"Quando il sovraffollamento determina - dichiara Pagani - condizioni detentive ai limiti dell’inciviltà è quasi consequenziale l’aumento della violenza in carcere. D’altro canto in celle in cui al massimo potrebbero permanere tre persone oggi ve ne risiedono in sette". Ma a preoccupare il sindacalista è anche la "mancata adozione di provvedimenti idonei a salvaguardia dell’incolumità del personale di polizia penitenziaria" dell’istituto.

Non mancano nemmeno le polemiche nei confronti del Governo e del ministro della Giustizia Angelino Alfano: "Ci chiediamo tutte quelle attenzioni promesse dal Pdl in campagna elettorale dove siano finite - conclude Pagani - di certo ci sono un provvedimento fiscale che taglia e riduce gli organici e un decreto legge (dl 112) che penalizza oltremodo gli operatori della sicurezza. Prendiamo atto del silenzio e dell’immobilismo del ministro. Forse ha altro da fare che pensare al disastrato mondo delle carceri".

Catanzaro: terminato corso di pizzaiolo per giovani detenuti

 

Quotidiano di Calabria, 4 luglio 2008

 

Finanziato dalla Camera di Commercio di Catanzaro, la cui gestione è stata affidata alla Cicas del Presidente Giorgio Ventura.

In data 2 luglio 2008, all’interno dell’Istituto Penale per i Minorenni "Silvio Paternostro" di Catanzaro, si è concluso il corso per pizzaiolo finanziato dalla Camera di Commercio di Catanzaro, la cui gestione è stata affidata alla Cicas del Presidente Giorgio Ventura.

Le attività, teoriche e pratiche, sono state realizzate, rispettivamente, dal Cav. Nicola Albano della Cicas, e dal Maestro Pizzaiolo Salvatore Megna. Attraverso tale attività formativa, che rappresenta la continuità delle precedenti analoghe esperienze realizzate all’interno della struttura carceraria nel corso del 2007, il Presidente della Camera di Commercio di Catanzaro, Paolo Abramo, e il Direttore dell’Istituto, Francesco Pellegrino, puntano a potenziare la qualificazione professionale dei giovani detenuti, propedeutica per il loro successivo reinserimento socio-lavorativo.

Il corso si è svolto nell’apposito laboratorio inaugurato all’interno del "Paternostro" nel marzo 2007, e realizzato grazie alla sensibilità e disponibilità manifestate dal Sindaco di Catanzaro, On. Rosario Olivo, dal Dott. Mario Squillace della Zanussi - Electrolux Professional di Catanzaro, e dal Presidente della Camera Penale Minorile Distrettuale "Pino Polacco - Francesco Perrotta" di Catanzaro, Avv. Mario Polacco.

La giornata del 2 luglio ha visto il Presidente Paolo Abramo consegnare ai giovani detenuti gli attestati di partecipazione al Corso.

Un momento cordiale e al tempo stesso ricco di tensione emotiva, come ha sottolineato lo stesso Abramo nel corso del suo intervento. "Ogni volta che vengo in questa struttura - ha detto rivolto ai ragazzi - ne esco con la consapevolezza di avere preso più di quanto sono riuscito ad offrirvi. Il consiglio che mi sento di darvi - ha aggiunto - è di capitalizzare questa spiacevole parentesi della vostra vita e, una volta usciti, trovare la strada giusta per realizzare i vostri sogni in serenità. Per conto nostro - ha concluso - cercheremo di fornirvi gli strumenti professionali per poter fare questo". Dopo la consegna degli attestati, i ragazzi hanno a loro volta consegnato al presidente Abramo e agli altri protagonisti dell’iniziativa dei piccoli ricordi da loro stessi realizzati nel corso di un’altra attività. La serata si è conclusa con la degustazione delle pizze sfornate dai neo pizzaioli.

Bollate: il carcere dove regna la fiducia e le celle sono aperte

di Alessandro Litta Modignani

 

L’Opinione, 4 luglio 2008

 

Intervista a Lucia Castellano, direttrice della Casa di Reclusione di Bollate, il carcere modello "dove regna la fiducia e le celle sono aperte".

"La nostra capienza massima sarebbe 970 detenuti, mentre al momento ne abbiamo 640. Questo però non lo scriva, mi raccomando, sennò ce ne mandano subito altri 4-500 e tutto il nostro lavoro va a pallino". Lucia Castellano, da sei anni alla guida del carcere-modello di Bollate, alla periferia nord-ovest di Milano, difende la peculiarità del suo istituto, fiore all’occhiello del sistema penitenziario italiano, tanto da essere stato inaugurato due volte: nel dicembre 2000 da Fassino, l’anno successivo da Castelli, dopo il cambio di governo. La vittoria ha molti padri, si sa, mentre la sconfitta è orfana.

"Il nostro è un circuito a custodia attenuata - spiega Castellano - dove l’aspetto rieducativo della pena prevale su quello retributivo. Da noi è concentrata un’utenza non pericolosa, non da isolare, ma da reinserire nella società. Pertanto non vi sono soggetti sottoposti al 41 bis, né a regime di alta sicurezza, né terroristi e simili. I nostri detenuti sono considerati a bassa pericolosità sociale, non tanto per il tipo di reato commesso, quanto per la mancanza di legami con reti criminali di alcun tipo".

 

Come si arriva a Bollate?

"Il carcere viene scelto dai detenuti, rinchiusi in altre carceri, che presentano domanda al provveditorato. Si esamina il fascicolo e si dà il parere. Vengono prescelti in base a caratteristiche soggettive e oggettive. Devono avere un fine pena di lunghezza media: non breve, ma neppure troppo lungo, diciamo fra i 4 e i 10 anni. Cioè in grado di aderire fisicamente e psicologicamente alle regole della vita interna. Noi abbiamo un regime di fiducia, con le celle aperte. Non è facilissimo adattarvisi e non tutti sono pronti ad accettare queste regole. Per questo dobbiamo preliminarmente verificare l’effettiva volontà di inserirsi".

 

Come sono strutturati i reparti?

"Ne abbiamo in tutto 6. Nel primo e nel terzo sono raccolti i detenuti comuni. Nel secondo i tossicodipendenti: 170 in tutto, compresi alcuni affetti da Hiv. Non vi sono metadonici, si arriva a Bollate già disintossicati. Nel quarto vi sono giovani fra i 21 e i 25 anni, che provengono dal carcere minorile Beccaria, con il quale abbiamo un’apposita convenzione. Al quinto vi sono gli addetti al lavoro esterno, sulla base dell’art. 21. Sono 60 su 600, una percentuale molto alta, che è il nostro orgoglio. Al sesto reparto, infine, vi sono 24 detenuti per reati sessuali".

 

Un problema delicato....

"Vengono seguiti per un anno dall’equipe guidata dal professor Paolo Giulini, un’autorità nel campo, e poi inseriti con gli altri, con ottimi risultati. Chi viene a Bollate stabilisce con il carcere un rapporto contrattuale: se vuoi stare da noi, devi accettare di convivere con chi ha commesso reati sessuali. Non in cella magari, ma in sezione sì. Fa parte delle regole del gioco. L’idea di isolare e proteggere i colpevoli di reati sessuali è un retaggio della cultura delinquenziale che aveva in qualche modo contagiato la società: noi ce ne stiamo liberando".

 

E non ci sono mai stati problemi?

"Un pugno, una sola volta in tanti anni di carcere. È un bilancio di cui siamo fieri".

 

E il reparto femminile?

"Le detenute sono 40, a fronte di 600 maschi. Sono state tutte trasferite il 18 febbraio scorso da Opera, dove ora non ve ne sono più. Il reparto potrebbe contenerne fino a 100, ma mancano le poliziotte e di conseguenza resta sottoutilizzato".

 

Come si compone l’organico?

"Abbiamo 350 agenti di polizia penitenziaria. Consideri che al momento dell’indulto avevamo 970 detenuti, e che in una settimana ne sono usciti 500. Del resto, è logico che l’indulto da noi avesse un’incidenza così alta, data la composizione particolare della nostra popolazione carceraria".

 

Come funzionano le attività lavorative?

"Circa 300 reclusi sono addetti alla vita interna dell’istituto. Altri 100 lavorano all’interno, ma alle dipendenze di aziende esterne. Altri ancora lavorano al servizio di cooperative sociali committenti, dove operano fianco a fianco detenuti e no. Altri 60, come ho detto, lavorano all’esterno sulla base dell’art. 21, dopo aver seguito corsi di formazione professionale. Desidero sottolineare che tutti gli enti locali qui fanno molto, dal Comune di Milano, alla Provincia, alla Regione Lombardia".

 

Dunque per andare a Bollate i detenuti devono fare richiesta. E lei, come ha fatto?

"Prima di Bollate, sono stata a Marassi, a Eboli e a Secondigliano. Mi sono sempre occupata di tossicodipendenze e, mi creda, non è stato per niente facile. Questa esperienza però è stata straordinariamente formativa e certo mi è servita per arrivare a dirigere un istituto così particolare".

 

Eppure anche a Bollate ci sarà qualcosa che non funziona....

"Senta, oggi abbiamo a disposizione 6 educatori: non sono pochi. Prima siamo arrivati ad averne uno: uno solo, su quasi mille detenuti! Abbiamo avuto due evasi in sei anni, uno dei quali era un tossico ripreso dopo poche ore. Dal lavoro esterno non si sono ripresentati, dal 2002, 4 su 160. I suicidi sono stati 4 o 5. Sono numeri molto bassi rispetto alla media, il che dimostra che stiamo operando bene".

 

Come giudica la situazione generale delle carceri italiane?

"Il carcere in Italia è il contenitore di problemi sociali che con il rapporto delitto-pena non ha nulla a che fare. La tossicodipendenza e l’immigrazione irregolare sono i due esempi più evidenti. Si crea un circuito illegale che prima o poi porta dentro. Chi ha commesso reati per procurarsi la droga, deve certo scontare la pena ma deve anche essere curato, reinserito, seguito. Altrimenti la recidiva è scontata. Quanto al reato di clandestinità, che si vorrebbe introdurre, vorrei limitarmi a osservare che infliggere una pena in conseguenza non di un’azione, ma di una condizione, rappresenta un autentico abominio giuridico. Spero proprio che non accada".

 

Teme che prossimamente vi sarà un nuovo sovraffollamento?

"Se lo temo? Ne ho la certezza assoluta! Se sarà introdotto il reato di immigrazione clandestina, sarà inevitabile. Bisogna intervenire piuttosto sulla macchina giudiziaria, sui processi, sul codice di procedura e soprattutto sulle misure alternative alla detenzione. Se l’accesso a questi provvedimenti fosse accompagnato da un serio sostegno sociale, i recidivi diminuirebbero drasticamente e tutta la società - non solo il carcere - ne trarrebbe un grande beneficio. Non bisogna mai dimenticare che il 95% dei detenuti è di bassa condizione sociale: più chiaro di così....".

Piacenza: "Donne oltre il muro", concluso progetto detenute

 

Sesto Potere, 4 luglio 2008

 

Si è svolto nei giorni scorsi il momento conclusivo di un’iniziativa che ha coinvolto le detenute ospiti della sezione femminile del carcere di Piacenza. L’assessore provinciale alle Politiche Sociali Gazzolo e la Consigliera provinciale Pari Opportunità Rosa Maria Susani, accompagnate da alcune esponenti dell’associazione di volontariato "Oltre il Muro", tra le quali la presidente Valeria Viganò Parietti, e dall’incaricato del Comune di Piacenza per le attività a favore della popolazione detenuta, Brunello Buonocore, sono andate a far visita al direttore della Casa Circondariale delle Novate, dott.ssa Zurlo, e insieme a lei sono scese nella sezione femminile per visionare i risultati di una serie di incontri svoltisi a cura delle associazioni "Oltre il muro", associazione di volontariato penitenziario, "Vivi con stile", che si occupa di tutela della salute e della cooperativa "La Pecora Nera".

Le considerazioni che hanno ispirato questo progetto sono molteplici e ben correlate tra loro. Soprattutto si è voluto celebrare l’Anno Europeo delle Pari Opportunità, il 2007, in cui è iniziata l’attività, che aveva come obiettivo "la lotta contro le discriminazioni basate sul genere, sulla razza, sull’origine etnica, sulla religione, sulla diversità di opinione, sulla disabilità, sull’età, sugli orientamenti sessuali."

Fondamentale è stata la conoscenza della situazione generale delle donne recluse che, in quanto componente numericamente minoritaria, soffrono spesso di un’offerta "trattamentale" più povera e meno articolata e, comunque, poco tarata sulle loro esigenze e peculiarità. Il macro-obiettivo del progetto è stato quello di rendere "utile" il tempo vuoto e lento della carcerazione, di far in modo che questa esperienza spesso abbastanza breve per le donne, ma molto dolorosa e devastante, non lasci dietro di sé solo cicatrici e inutili pesi.

Inoltre la direzione della Casa Circondariale piacentina nel settembre 2006 ha firmato con i due assessorati alle "Pari Opportunità" di Provincia e Comune un protocollo d’intesa che sanciva l’impegno a "creare un programma culturale stabile per le detenute e a promuovere la tutela della salute in carcere".

Il progetto "Donne oltre il muro" si proponeva di riprendere le fila di questi intenti secondo le due linee citate nel protocollo: salute fisica, autostima e creatività, facendo tesoro di una presenza di volontarie dell’associazione "Oltre il muro" che con il tempo anno si è fatta più costante e strutturata all’interno della sezione femminile della Casa Circondariale di Piacenza.

 

Azioni concrete

 

Salute del corpo e recupero del rispetto di me. L’obiettivo è stato quello di promuovere nelle donne recluse il rispetto degli altri, partendo dal rispetto di se stesse, del proprio corpo e della propria salute. Questa azione progettuale ha previsto una serie di sei incontri condotti con modalità di tipo formativo da un’infermiera professionale docente della Scuola Infermieri di Piacenza, da un medico e da un volontario esperto. La creatività e l’autostima. Sono stati previsti sei incontri di tipo pratico e formativo sulla creatività condotti dalla dott.ssa Adele Boncordo, formatrice professionale, coadiuvata da un volontario.

 

Prodotti

 

Sono state realizzate borse in stoffa e pelle e altri manufatti (per esempio portaocchiali) da esporre presso la Bottega equo solidale della Pecora Nera in via Calzolai a Piacenza e in altre occasioni

Milano: San Vittore; 6 anni di attività per Reparto "La Nave"

 

Comunicato stampa, 4 luglio 2008

 

Si comunica che il giorno 7 luglio 2008 alle ore 10 si terrà al reparto "La Nave" della Casa Circondariale di San Vittore il VI anniversario della sua apertura. Il reparto "La Nave" ospita 55 detenuti tossicodipendenti per un trattamento riabilitativo avanzato. Il reparto è organizzato e gestito dalla Asl di Milano e svolge un trattamento di cura e riabilitazione del tossicodipendente attraverso un modello di recupero rivolto alla preparazione e orientamento del detenuto verso percorsi alternativi alla detenzione art. 89 (arresti domiciliari a finalità terapeutiche) o art. 94 dpr 309/90 (affidamento terapeutico).

Il periodo pre - processuale, viene utilizzato per orientare e ristabilire i soggetti detenuti attraverso un trattamento psico-socio riabilitativo nella sezione attenuata La Nave, attraverso corsi come l’educazione alla legalità, gruppi di psicoterapia, di sensibilizzazione alla mediazione dei conflitti, sport, attività educativa di video box, di teatro, la redazione del giornale "L’Oblò", musica, pittura, cucina e da due anni anche partecipazione al Coro gestito dalla Casa Verdi di Milano. Partecipano alla realizzazione del percorso psico-socio educativo, oltre all’equipe Asl, numerosi volontari tra cui giornalisti, musicisti e sportivi ex magistrati.

La giornata del 7 luglio vuole significare il senso, l’operosità e i risultati di ultimo anno di lavoro e il gruppo dei detenuti della Nave si esibiranno nel Coro, in improvvisazioni teatrali e offriranno un ottimo buffet preparato da loro con l’aiuto di due cuoche volontarie che hanno gestito il corso di cucina durante l’anno. Il coro è diretto dalla Professoressa Maria Teresa Tramontin con l’aiuto del violinista Carlo De Martini e del pianista Pietro Cavedon, organizzato dalla Casa Verdi di Milano e sponsorizzato dalla Telecom Italia. Il corso di teatro è diretto dall’Attrice Cristina Colombo, consulente da più di 10 anni della Asl.

Il corso di cucina è volontariamente offerto da Elisabetta Rho e Maria Gramegna, cuoche professioniste ed eccellenti educatrici.

All’esibizione sono stati invitati esponenti della Magistratura, del Tribunale di Sorveglianza, della Asl di Milano ed esponenti del mondo dello sport (Leonardo Araujo, Candido Cannavò, e dello spettacolo come Ale e Franz.

Le procedure di imbarco degli invitati prevedono un arrivo al "porto" (Piazza Filangieri, 2 Milano) per le ore 9.30, muniti di documento di identità. Gli invitati verranno in seguito accompagnati al III raggio 4° piano dove si trova" La Nave". Si ringrazia anticipatamente la Direzione del Carcere, l’area pedagogica, il personale di Polizia Penitenziaria che hanno aderito e permesso l’iniziativa, la Asl di Milano, il Tribunale di Sorveglianza e il Tribunale Ordinario, e tutti gli invitati che hanno creduto al progetto "La Nave". Si ringraziano i volontari che hanno sensibilmente e professionalmente portato avanti il loro operato con costanza e continuità.

Vicenza: Cgil; solidarietà a direttrice dopo la sua sostituzione

 

Giornale di Vicenza, 4 luglio 2008

 

L’annunciato avvicendamento del direttore della casa circondariale S. Pio X di Vicenza, con la prossima partenza della direttrice Irene Iannucci e l’arrivo di Fabrizio Cacciabue è stato fortemente criticato dalla Cgil. L’organizzazione sindacale ritiene infatti assurdo non aver confermato la dott. Iannucci, che unanimemente è stata considerata molto valida nell’adempimento del suo difficile compito.

"Come organizzazione sindacale Fp-Cgil siamo rammaricati, sdegnati e sbigottiti - si legge fra l’altro in una nota - per quanto è successo all’interno dell’Amministrazione penitenziaria, che con un atto unilaterale ha posto fine ad una reggenza che ha dato lustro alla stessa Amministrazione. Tale avvicendamento creerà non poche difficoltà tra tutto il personale, per il quale la dott. Iannucci ha sempre avuto e ha un’attenzione particolare per i gravi problemi che di giorno in giorno si presentavano all’interno dell’istituto".

Il sindacato, sottolineando di aver chiesto chiarimenti al Dipartimento amministrazione penitenziaria, per verificare che non siano stati fatti torti alla direttrice, vuole nel frattempo "esprimere la solidarietà alla dott. Irene Iannucci", auspicando che "il suo lavoro non sia stato vano".

Enna: si incendia furgone Polizia Penitenziaria con detenuto

 

La Sicilia, 4 luglio 2008

 

Traffico interrotto sull’autostrada A19, Palermo - Catania, in direzione di Catania, in contrada Ferrarelle all’interno della galleria San Nicola, per un furgone della Polizia Penitenziaria, che trasportava un detenuto. Secondo le prime informazioni non si registrano feriti. Sul posto si trova la polizia stradale. L’uscita obbligatoria per chi proviene da Palermo è quella di Caltanissetta sino allo svincolo di Enna. La chiusura dell’autostrada è dovuta al danneggiamento del soffitto della galleria. Sul posto tecnici dell’Anas stanno provvedendo alla messa in sicurezza della galleria. Si prevede che i lavori saranno ultimati in giornata.

Immigrazione: la deriva razzista, vera emergenza per l'Italia

di Patrizio Gonnella e Luigi Nieri

 

Liberazione, 4 luglio 2008

 

"Moratoria, subito. La situazione dell’ordine pubblico legato ai flussi dei cittadini comunitari dall’est sta sfuggendo di mano. È un dato di fatto. Le rapine in villa e gli episodi di violenza anche in locali pubblici, anche in pieno giorno, sono diventati consuetudine. Va attuata una moratoria per almeno 2, 3 anni nei confronti della Romania e della Bulgaria e lo stesso per i Paesi che entreranno nell’area di Schengen nel 2008. Gli irregolari vanno rimpatriati. Chi arriva in Italia deve avere un alloggio e un lavoro, non siamo il vespasiano d’Europa" (Antonio Di Pietro, novembre 2007).

A seguire quelli della Lega Nord: "Di Pietro sta copiando tutti i messaggi della Lega Nord da oltre un anno". Non amiamo i cappi leghisti e non amiamo i processi di piazza. Tra chi vuole vedere tutti, ma proprio tutti, in galera e chi vuole vedere in galera tutti tranne i colletti bianchi non sapremmo chi scegliere. La vera emergenza democratica è la deriva razzista di matrice istituzionale a cui stiamo andando pericolosamente incontro.

La norma salva-premier è una norma discutibile, censurabile, grave. L’8 luglio non saremo in piazza perché quella piazza è invocata ed evocata nel nome di una idea di giustizia a cui non ci sentiamo vicini. Una giustizia che intende comprimere diritti e garanzie individuali. La democrazia è messa a rischio prima di tutto dalle misure e dalle pratiche illiberali, violente, razziste che stiamo subendo in queste settimane. Avremmo voluto una manifestazione nel nome della giustizia, quella vera, quella non classista.

Quando alcuni di noi - ai tempi del precedente governo Berlusconi - si opposero alla legge Cirielli nella parte in cui se la prendeva con i recidivi (ossia gli ultimi della società) provammo a chiedere dalle pagine del Manifesto ai girotondi di allearci contro la giustizia biforcuta dell’allora Casa delle Libertà. I girotondi infatti si opponevano ad altra parte di quella stessa legge, la parte sulla prescrizione. Non ci fu risposta.

Antonio Di Pietro ha votato contro l’indulto. Dopo la sua approvazione gli ha sparato addosso. Ha contribuito a creare - insieme a buona parte dei media - un clima velenoso e intollerante sul tema della sicurezza. Analoghe responsabilità le hanno molti suoi amici che sono in prima fila nella convocazione della manifestazione dell’8 luglio. La nostra idea di giustizia è quella di una giustizia mite, giusta, riparatrice dei danni sociali prodotti dai fatti criminali.

La nostra idea di sicurezza è quella di una sicurezza vera, sociale, inclusiva, tollerante, democratica. La nostra idea di democrazia non coincide con quella di chi ritiene che rumeni e bulgari vadano rimpatriati perché l’Italia non sia ridotta a vespasiano. Il nostro no al decreto sicurezza è un no a tutte le norme presenti in quell’orribile decreto.

A quelle che puniscono pesantemente chi affitta il proprio appartamento agli immigrati, a quelle che introducono la circostanza aggravante della clandestinità, a quelle pensate contro gli immigrati in quanto esseri umani. Se la manifestazione dell’8 fosse stata una manifestazione contro tutto il pacchetto sicurezza non sarebbe mancata la nostra adesione.

Ma il timore è che si apra con Piazza Navona l’ennesima stagione del giustizialismo di sinistra che è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Oggi vi è una emergenza democratica ed è quella razzista. Vi è anche una emergenza giustizia che però non è solo quella deformata dalle vicende berlusconiane.

Immigrazione: Fortress Europe; 185 morti in mese di giugno

 

Redattore Sociale, 4 luglio 2008

 

Il rapporto mensile di Fortress Europe. Inaugurato un monumento alla memoria a Lampedusa, a Roma una preghiera ecumenica. I dati dell’Onu sui rifugiati: in Italia solo lo 0,02% dei rifugiati del mondo.

È un triste anniversario quello della Giornata mondiale dei rifugiati del 20 giugno. Nel mese appena trascorso infatti, lungo le frontiere europee sono morti almeno 185 migranti e richiedenti asilo, dei quali 173 soltanto nel Canale di Sicilia. I dati sono stati diffusi dall’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione Fortress Europe e si basano sulle notizie diffuse dalla stampa internazionale. Quattro uomini sono deceduti alle Canarie, dopo essere stati ricoverati in gravi condizioni dopo il loro sbarco.

In Italia, a distanza di pochi giorni, due iracheni sono stati trovati morti dentro due container sbarcati nel porto di Venezia a bordo di traghetti partiti dalla Grecia. In Turchia due migranti hanno perso la vita in un incidente del camion nel quale viaggiavano nascosti nella provincia orientale di Dogubayazit, mentre un cittadino somalo è rimasto ucciso da un proiettile durante una violenta protesta esplosa nel campo di detenzione di Kirklareli, vicino alla frontiera bulgara. E un proiettile ha ucciso anche tre profughi lungo il confine egiziano con Israele. Una delle vittime è una bambina sudanese di sette anni, ammazzata lo scorso 28 giugno.

E alla memoria dei migranti morti nel Mediterraneo è stato eretto un monumento a Lampedusa. Si trova sull’ultimo promontorio dell’isola di Lampedusa, nella contrada Cavallo Bianco, su una collina di roccia ed arbusti che guarda il mare, verso sud. È una porta in ceramica refrattaria alta cinque metri, realizzata dallo scultore Mimmo Paladino. Il monumento è stato inaugurato lo scorso 28 giugno 2008, grazie al sostegno di Amani, Mondadori, Alternativa Giovani e Comunità Koinonia.

Un simbolo importante. Che va a intaccare l’immaginario collettivo. Che pone un punto di domanda alle coscienze. Perché quella strage non appartiene al passato, ma al tempo presente, e verosimilmente al futuro. Una settimana prima, a Roma, era stata celebrata una preghiera ecumenica per le vittime dei viaggi dell’immigrazione, nella basilica di Santa Maria in Trastevere, il 20 giugno, in occasione della giornata mondiale del Rifugiato, poi replicata a Napoli e Barcellona.

Nel corso della funzione è stato lanciato un appello contro le stragi. Il cardinale Renato Martino ha quindi ammonito l’Europa. "Senza la memoria di questo dolore e della speranza spezzata - ha concluso - si edifica un’Europa virtuale, che si vorrebbe senza drammi, avulsa dal mondo globale e carico di tensioni nel quale viviamo, origine di tanti e ponderosi flussi migratori".

I rifugiati nel mondo, secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur) erano 67 milioni alla fine del 2007. Un dato in aumento del 5% rispetto al 2006, dovuto in gran parte alla situazione in Iraq. Nel 2007 l’Italia ha ricevuto ha ricevuto soltanto 14.050 domane di asilo. Il 60% delle quali da persone sbarcate lungo le coste. Ovvero lo 0,02% del numero dei rifugiati nel mondo.

In generale infatti, l’80% dei rifugiati sono ospitati da Paesi della stessa regione. Tra i dieci Paesi che ospitano il più alto numero di rifugiati solo tre - Germania, Regno Unito e Usa - appartengono al ricco mondo industrializzato. Il primo Paese d’asilo dei rifugiati nel 2007 era il Pakistan (più di 2 milioni di rifugiati), seguito da Siria (1,5 milioni), Iran (963mila), Germania (578mila), Giordania (600mila), Tanzania (435mila), Cina (301mila), Regno Unito (quasi 300mila), Ciad (294mila), Stati Uniti (281mila).

Immigrazione: Bertolini (Pdl); giro di vite su ricongiungimenti

 

Redattore Sociale, 4 luglio 2008

 

Il governo ha accolto ulteriori limitazioni ai ricongiungimenti familiari proposte da Isabella Bertolini (Pdl), relatrice del provvedimento in commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati.

In sede di espressione del parere al decreto legislativo sui ricongiungimenti familiari, la commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, sostiene Bertolini, "ha approvato le ulteriori limitazioni da me proposte. Un giro di vite necessario per frenare l’invasione di extracomunitari attraverso un canale, quello dei ricongiungimenti familiari, spesso utilizzato per aggirare le leggi sull’immigrazione. Le misure che il governo si è dichiarato favorevole ad inserire nel decreto legislativo di riforma dei ricongiungimenti familiari- spiega- consistono: nell’obbligo di stipulare una polizza assicurativa per coprire eventuali spese sanitarie e assistenziali dei genitori ultra sessantacinquenni degli immigrati, che abbiano ottenuto il ricongiungimento, per evitare che i costi derivanti dall’arrivo di nuovi soggetti improduttivi, vadano ad aggravare ulteriormente le già esangui casse del sistema sanitario nazionale, con il rischio di far crollare il nostro sistema di welfare".

È poi previsto, sostiene la parlamentare del Pdl, "più tempo per l’amministrazione (sei mesi e non 90 giorni) per esaminare e rispondere alle richieste degli immigrati extracomunitari, ma si è eliminata la clausola del silenzio-assenso: senza un’esplicita risposta da parte dell’amministrazione competente, la richiesta di ricongiungimento non potrà avere esito. Innalzamento, inoltre - va avanti Bertolini - del reddito minimo necessario per ottenere il ricongiungimento familiare: per ognuno è richiesto un reddito pari almeno all’ammontare dell’assegno sociale (421 euro mensili) e ciò per evitare di creare nel nostro Paese nuove sacche di povertà e di disagio al limite dei livelli minimi di sopravvivenza".

Infine, illustra Bertolini, "per evitare e contrastare la crescita dei casi di poligamia nel nostro Paese, è stata introdotta la soglia della maggiore età per il coniuge da ricongiungere, ma soprattutto si è ottenuto l’impegno del governo a vigilare con maggiore attenzione e ad attivare i controlli necessari. Da oggi- chiude- tolleranza zero per chi voglia utilizzare i ricongiungimenti familiari per aggirare le leggi dello Stato italiano."

Immigrazione: foto e niente impronte per censimento nomadi

di Francesca Mariani

 

Il Tempo, 4 luglio 2008

 

Foto e non impronte digitali. Sarebbe questo l’orientamento del Prefetto di Roma Carlo Mosca, nominato commissario per l’emergenza nomadi della Capitale, per effettuare il censimento dei nomadi minori di 14 anni.

Si sblocca la questione del censimento dei rom nei campi nomadi della capitale. Fino a ieri mattina sul criterio da usare (impronte sì, impronte no) c’era il "no commento. In serata le perplessità sono sfumate, in sintonia con quanto è stato fatto dagli altri commissari per l’emergenza nomadi.

Il prefetto di Roma aveva espresso nei giorni scorsi forti perplessità sull’indicazione arrivata dal Viminale di prendere le impronte anche ai bimbi rom. Ora l’idea di ricorrere alle foto costituirebbe un’alternativa alla rilevazione dèi dati biometrici. Alle impronte però, fanno notare dalla Prefettura di Roma, si potrebbe ricorrere per questioni di ordine pubblico o per motivi legati ad indagini delle forze dell’ordine. Per oggi intanto è fissata la prima riunione operativa in Prefettura che dovrà definire le linee di intervento del censimento dei nomadi che vivono a Roma. L’operazione scatterà il 10 luglio, anche se, per ragioni organizzative, l’avvio potrebbe slittare di qualche giorno. Nel corso della riunione, alla quale parteciperanno, oltre al prefetto di Roma, Carlo Mosca, anche responsabili di polizia, carabinieri e Croce Rossa, sarà affrontata anche la questione della schedatura. La Croce Rossa, che in questa prima fase impiegherà circa 50 persone, ha proposto al prefetto di adottare il sistema già utilizzato dai suoi operatori in Albania: censire tutti i maggiori di 14 anni munendoli di una sorta di scheda nella quale riportare nome, cognome, età, provenienza e, dal punto di vista sanitario, vaccinazioni effettuate e patologie significative.

"La Croce Rossa - ha poi spiegato il prefetto Mosca - compilerà un foglio notizia per minori e adulti e darà una tessera che può servire anche per fare vaccinazioni. Se ci sarà la necessità o dubbi riguardo alla paternità di un minore, si faranno accertamenti d’intesa con la Procura della Repubblica".

Una copia della scheda, che potrebbe essere munita anche di foto, resterà al soggetto censito, un’altra alle autorità. Il documento potrà essere utilizzato per accedere a vari servizi come i programmi di scolarizzazione. Per quanto riguarda i bambini, la Croce Rossa ha proposto di applicare lo stesso sistema che vige per i passaporti: nella scheda dei genitori potranno essere inseriti le generalità dei figli. Sono oltre 9.000 le persone che dovranno essere identificate. Vivono in 70 campi, 50 dei quali abusivi, 20 quelli regolari.

L’operazione partirà dagli insediamenti abusivi nei quali vivono circa 2.500 persone. Ancora da definire il ruolo che dovranno svolgere le forze dell’ordine: c’è chi ha proposto che ad entrare nei campi siano solo gli operatori della Croce Rossa accompagnati dai mediatori culturali di associazioni come Opera Nomadi, Arci e Capodarco. La Cri ha proposto che le operazioni vengano seguite da agenti in borghese.

Nei prossimi giorni il prefetto Mosca resterà in costante contatto con gli altri due commissari straordinari per l’emergenza nomadi, il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi e quello di Napoli, Alessandro Pansa, per definire una omogenea strategia di intervento.

India: 54enne italiano molto malato ad arresti per cannabis

 

Asca, 4 luglio 2008

 

L’ambasciata italiana in India intervenga in favore di Ivano Dal Bo, cittadino veneto di 54 anni, agli arresti domiciliari in India, dove era giunto per turismo, perché trovato in possesso di alcuni grammi di sostanze stupefacenti (cannabis e charas): sottoposto a procedimento penale e condannato nel gennaio 2007, è stato detenuto nella prigione di Mandi e, dopo il pagamento di una cauzione di 8.000 euro, trasferito agli arresti domiciliari in una pensione nel villaggio Bhuntar-Kulu nella regione dell’Himachal Pradesh indiano.

È quanto chiede in una lettera inviata all’ambasciatore Armellini il Presidente della Conferenza dei Garanti dei detenuti Angiolo Marroni, spiegando che "il caso del signor Dal Bo mi è stato segnalato dall’anziano padre, che mi ha chiesto un aiuto dal momento che il signor Ivano è gravemente malato. Le sue condizioni si sono aggravate per il decorso della malattia, che già in Italia lo costringeva a sottoporsi a trattamento retro virale, e per l’impossibilità di cure adeguate oltre che per le scarse condizioni igienico-sanitarie del luogo in cui risiede".

"Le sue condizioni di salute sono così delicate che impongono tempestive cure per salvargli la vita: mi appello quindi alla sua sensibilità affinché, nel rispetto delle leggi e delle procedure, si possa con un suo intervento a nome del governo italiano far si che il signor Dal Bo venga trasferito e curato nel nostro Paese".

Pakistan: pena morte diventa ergastolo per migliaia detenuti

 

Aki, 4 luglio 2008

 

Il governo pakistano ha approvato una proposta per commutare in ergastolo la sentenza alla pena capitale per migliaia di detenuti. Secondo quanto riferisce la Bbc, di questa iniziativa trarranno beneficio circa settemila prigionieri attualmente nel braccio della morte. Non è ancora chiaro se la misura riguarderà anche persone condannate per terrorismo, spionaggio e traffico di droga. La proposta dovrà essere approvata dal presidente pakistano Pervez Musharraf, ma secondo alcune fonti si tratterà solo di una formalità. Nel 2002, l’esecutivo guidato da Musharraf ha garantito un simile trattamento a giovani condannati a morte.

 

 

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