Rassegna stampa 11 giugno

 

Giustizia: ok dalle Commissioni, il Decreto sicurezza in Aula

 

Dire, 11 giugno 2008

 

Le Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia hanno licenziato il decreto sicurezza, votando il mandato al relatore, che nel pomeriggio approderà in aula (ore 17).

"Abbiamo concluso velocemente i lavori come da programma e il decreto è passato in commissione, ora tocca all’assemblea", dice Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia, al termine della votazione. Berselli spiega anche che il testo è passato "con una modifica dell’articolo 5 che prevede come presupposto per l’applicazione della norma (carcere e confisca dell’immobile per chi affitta a stranieri irregolari sanzionatoria un ‘ingiusto profittò". Una fattispecie "che esclude le badanti dall’applicazione della sanzione", prosegue Berselli, così come "esclude anche gli ospiti di alberghi e gli albergatori".

La nuova riformulazione del governo, ribadisce Carlo Vizzini, Presidente della Commissione Affari costituzionali, "con l’introduzione del giusto profitto, è il punto di mediazione con quanto prevedeva l’emendamento Casson e dovete chiedere a lui perché il Pd non l’ha votato". In ogni caso, sottolinea, "questo significa che la badante non sarà colpita".

Chiamato in causa, Felice Casson, capogruppo del Pd in commissione Giustizia, dà dell’articolo 5 "una valutazione nettamente contraria". E spiega che quella "dell’ingiusto profitto è una definizione troppo generica". Quindi fa un esempio: "Se un americano compra dagli Stati Uniti un alloggio in Italia, se c’è un prezzo troppo alto, anche quello è un ingiusto profitto. come si vede la genericità della norma creerà problemi di interpretazione e di applicazione molto gravi. E alla fine resterà una norma messa lì per fare colpo".

Rispetto al Pd e all’Idv che hanno votato contro e che presenteranno in aula pregiudiziali di costituzionalità , Giampiero D’Alia, capogruppo dell’Udc-Svp, si smarca e spiega che "l’Udc non presenterà pregiudiziali di costituzionalità" per mantenere una coerenza con le proprie posizioni. "Abbiamo ritenuto giusto la necessità e urgenza del provvedimento e in Commissione abbiamo lavorato al miglioramento del testo. Certo ci sono alcuni aspetti che non ci convincono e per questo lavoreremo per migliorarlo ulteriormente in aula".

 

Il caso badanti "stoppa" l’art. 5 del decreto sicurezza

 

Il "caso badanti" irrompe nelle votazioni sugli emendamenti al Decreto sicurezza riprese stamattina nelle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato. A destare perplessità é la norma che prevede il carcere e la confisca degli immobili per chi affitta a stranieri irregolari e che potrebbe coinvolgere anziani e persone disabili che ospitano badanti. Per questo le commissioni hanno deciso di accantonare l’articolo cinque (che è quello che disciplina gli affitti ai clandestini) rinviandone la discussione alla fine di tutte le altre votazioni sul decreto.

Ieri il governo aveva presentato un emendamento che precisava che il carcere e la confisca degli immobili avviene in caso di cessione a titolo oneroso o di affitto o locazione o comunque quando si dà alloggio dietro pagamento. Ma neanche questa riformulazione ha convinto sufficientemente i componenti della commissione. Stamattina, alla ripresa dei lavori si è dunque deciso di accantonare la norma.

Le commissioni intanto procedono spedite con il voto sugli altri articoli. L’intenzione è quella di licenziare il provvedimento entro le 14. In aula è già calendarizzato per le 17 di oggi pomeriggio. La seduta dell’assemblea si aprirà con il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità già annunciate dall’opposizione a cui seguirà l’illustrazione del decreto da parte dei relatori Carlo Vizzini e Filippo Berselli, presidenti rispettivamente della commissione Affari costituzionali e della commissione Giustizia. La discussione generale dovrebbe concludersi domani in mattinata. Martedì 17, alle 11, si svolgeranno le repliche dei relatori e del governo al termine delle quali si avvierà il voto sugli emendamenti che dovranno essere presentati entro le ore 14 di lunedì 16 (per i subemendamenti ci sarà tempo fino alle ore 18 della stessa giornata).

 

La maggioranza mette a punto la norma "salva-badanti"

 

Accordo trovato nella maggioranza sull’articolo cinque del decreto sicurezza che prevede il carcere e la confisca dell’immobile per chi affitta a stranieri irregolari. La norma è stata riformulata dal governo prevedendo che "chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio a uno straniero privo di titolo di soggiorno in un immobile di cui abbia disponibilità, ovvero lo cede allo stesso anche in locazione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni".

La riformulazione dovrebbe dunque escludere il caso degli anziani o dei disabili che hanno in casa delle badanti. "La novità - spiega il Presidente della Commissione Giustizia Filippo Berselli - è l’introduzione dell’ingiusto profitto".

All’articolo 5 del decreto sicurezza resta invariata invece la parte che prevede la confisca degli immobili. L’articolo prevede che "la condanna con provvedimento irrevocabile comporta la confisca dell’immobile, salvo che appartenga a persona estranea al reato".

Le somme di denaro ricavate dalla eventuale vendita dei beni confiscati verranno destinate al potenziamento delle attività di prevenzione e repressione dei reati in tema di immigrazione clandestina.

La norma sull’affitto agli irregolari aveva provocato alcune perplessità anche all’interno della maggioranza, per questo la seduta delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia sul decreto sicurezza era stata sospesa per mezz’ora. La soluzione è stata trovata in una riunione tra il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, i relatori del decreto e gli uffici tecnici della commissione Giustizia.

Giustizia: Osapp; il "problema carceri" costringe a riflessione

 

Apcom, 11 giugno 2008

 

"La luna di miele è già terminata, anzi: non è mai iniziata. Da parte nostra l’approccio utilizzato dal ministro della Giustizia, salutato da più parti più come gesto di maniera che come segnale d’apprezzamento, non convince per nulla. E non convince la piega che il dibattito sulla giustizia sta prendendo ultimamente". Lo afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma di Polizia Penitenziaria.

"Rappresentiamo una realtà importante del panorama che l’On. Alfano avrà l’obbligo di affrontare nei prossimi mesi, se non anni, e la totale indifferenza a cui il problema delle carceri è ormai lasciato dall’attuale Amministrazione, di cui abbiamo più volte chiesto il rinnovo, ci induce a pensare che in materia di Giustizia le questioni serie siano ben altra cosa, anche per l’attuale esecutivo", prosegue.

"Teniamo alta la guardia, e lanciamo l’ennesimo allarme sulla dimensione di un problema che nel corso dell’estate, quando le condizioni di sovraffollamento saranno oggettivamente aggravate da fattori naturali quali il gran caldo, costringerà la classe di Governo a riflettere sulle scelte da adottare; ma il quel momento - avverte il leader dell’Osapp - non ci sottrarremo dall’onere di segnalare le responsabilità del nuovo disastro sociale. Auspichiamo che il Ministro appena insediato sia al pari solerte, non solo per le questioni che attengono più da vicino il sistema delle intercettazioni, o il dibattito sulla prostituzione. Ma tenda, con l’entusiasmo dimostrato fin dal primo istante, alla migliore comprensione di una crisi che alla luce del vero appare più grave di quello che è: con numeri notevolmente falsati e riportati dal Dap".

"Ci chiediamo a questo punto - continua Beneduci - se il Ministro non sia a conoscenza della reale portata delle questioni che attengono le carceri italiane. Se non sia informato del fatto che la quota della capacità tollerabile, che il Dap attesta alle 64.000 unità, è in verità di molto inferiore quel dato (57.000 circa secondo i nostri calcoli). Se non comprenda come quella soglia di tollerabilità reale, secondo la presenza effettiva e certificata di 53.816 detenuti, possa essere velocemente superata dopo l’estate. Ci domandiamo se l’On Alfano non sia stato messo al corrente della condizione di quasi metà delle carceri italiane: da dichiarare fuori norma in base una disposizione emanata dalla Commissione Europea, recepita nel 1988 dal Ministero della Salute".

"Esortiamo il Ministro - conclude - prima di intraprendere la navigazione verso lidi difficili in acque agitate, a valutare problema su problema gli effetti delle manovre che vorrà mettere in atto. Questo perché - conclude Beneduci - la storia dei governi passati ci ha rivelato sovente come le lune di miele sappiano lasciare il sapore amaro di cose inspiegabilmente incompiute, anche per ministri così dinamici".

Giustizia: carcere disumano per disabile, l’Italia condannata

 

Agi, 11 giugno 2008

 

Lo Stato italiano dovrà pagare 10mila euro di risarcimento a un detenuto disabile rinchiuso in un carcere non adeguatamente attrezzato. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha così accolto il ricorso di Franco Scoppola, 68 anni, condannato all’ergastolo nel gennaio nel 2002 per l’omicidio della moglie e il ferimento del figlio nel 1999.

Secondo la Corte, l’Italia ha violato l’articolo 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo che proibisce il trattamento disumano e degradante dei detenuti. Scoppola dal 1987 è costretto su una sedia a rotelle e la sua situazione è peggiorata nel 2006, quando si è rotto un femore.

Nel 2003 chiese di essere trasferito dal carcere romano di Regina Coeli a una prigione adatta a ospitare disabili, così da poter usufruire dell’ora d’aria e vivere in condizioni migliori. Nel giugno del 2006 la sua richiesta di scontare la pena agli arresti domiciliari fu accolta, ma in settembre il provvedimento fu revocato. Solo nel settembre dello scorso anno Scoppola ha ottenuto il trasferimento al carcere di Parma, che ha una sezione per disabili.

Il ricorso al tribunale di Strasburgo era corredato da perizie mediche che hanno certificato che lo stato di salute di Scoppola "è incompatibile con la detenzione in prigione". E i giudici hanno dato ragione a Scoppola.

Non è chiaro, si legge nella sentenza, perché lo Stato italiano abbia revocato la decisione del giugno 2006 quando avrebbe dovuto "trasferire immediatamente l’interessato in una prigione meglio attrezzata, così da escludere il rischio di trattamento disumano" o "sospendere l’applicazione della pena". Il periodo passato a Regina Coeli, invece, ha suscitato nel detenuto "sentimenti costanti di angustia, inferiorità e umiliazione sufficientemente forti da costituire un trattamento disumano o degradante", ha spiegato la Corte.

Giustizia: Alfano; corrotti e corruttori devono finire in galera

di Antonella Rampino

 

La Stampa, 11 giugno 2008

 

Ministro Alfano, se fosse stata in vigore la legge che limita l’uso delle intercettazioni a casi di terrorismo o di mafia, sarebbe stato possibile scoprire che a Milano ci sono stati cinque morti per interventi chirurgici inutili?

"Lei fa un torto alla magistratura milanese se crede che l’indagine è figlia di intercettazioni e basta. Ci sono cartelle cliniche, dichiarazioni di pazienti e testimonianze, oltre che perizie. Nessuno vuole impedire l’uso delle intercettazioni. Il nostro è un tentativo molto serio di impedirne l’abuso".

 

Dunque saranno possibili anche per reati di corruzione e concussione, come vorrebbe il suo predecessore Castelli?

"Non vanno spuntate le armi alla magistratura, chi corrompe o è corrotto deve andare in galera: siamo al lavoro per trovare la soluzione, ed estenderle anche ad altri delitti. Ma è il caso di ribadire che indagare non coincide esattamente con intercettare".

 

I cittadini non la pensano così. I sondaggi di tutti i siti dicono che a larghissima maggioranza sono contrari alla legge…

"La risposta ai sondaggi dipende molto dal tipo di domanda. Proprio adesso ho visto su un sito che il 62 per cento dei votanti afferma che le intercettazioni non si possono pubblicare mai, o solo se inerenti ai reati. Fin qui ci sono state applicazioni iperboliche, che hanno leso il diritto alla riservatezza di cittadini. E poi spendiamo troppo in intercettazioni".

 

Sono troppi 224 milioni di euro all’anno, su un bilancio, quello del suo ministero, che è di oltre 7 miliardi all’anno?

"Mica vogliamo percentualizzare rispetto al bilancio della Giustizia! Il riferimento è alle spese di giustizia, il capitolo del ministero che serve a mandare avanti la macchina del processo penale, e che è di 600-700 milioni di euro".

 

L’inchiesta sulla scalata Antonveneta, per esempio, è costata 8 milioni di euro. Ma in risarcimenti ne ha fruttato 340…

"Anche in quell’inchiesta credo che i magistrati abbiano guardato i bilanci e interrogato i protagonisti, non che si siano messi la cuffia ad ascoltare. Sono altri i cosiddetti "costi per bersaglio": abbiamo visto che per una intercettazione in una procura si spende una cifra, e in un’altra il triplo".

 

Però quello che l’opinione pubblica percepisce è che Berlusconi è fortemente e personalmente interessato al tema. Nel 1996 arrivò persino a convocare una conferenza stampa mostrando una microspia, che poi si rivelò non essere tale…

"Macché. Le assicuro che il tema è assolutamente trasversale allo schieramento politico. Noi presentammo il primo ddl nel 2005, e così Prodi nel 2007, ottenendo alla Camera 400 voti. E nella scorsa legislatura fu approvato in Finanziaria, per il 2008, il sistema unico delle intercettazioni. Che noi manterremo: invece di gestirle procura per procura, verranno centralizzate. Non è una mania di Berlusconi, anche la precedente maggioranza aveva un suo disegno di legge".

 

Quello di Mastella. Accoglierete qualcosa di quel testo?

"Dalle dichiarazioni di Veltroni, come da quelle del presidente della Repubblica, emerge la necessità di tutelare la privacy, evitare gli abusi e che soggetti che nulla hanno a che fare con le indagini possano vedersi sbattuti sui giornali. Servono anche sanzioni".

 

Quali? Resta il carcere per i giornalisti?

"Noi siamo per sanzioni severe per chi tratta come carne da macello gente che non c’entra con l’inchiesta, perché non crediamo sia da buttare il diritto alla riservatezza. Questo non vale solo per i giornalisti, ma anche per tutti gli anelli della catena delle fughe di notizie previste e punite dal nostro codice ma che mai hanno trovato riscontri di condanne".

 

Sul tema sicurezza, riformulerete il reato di immigrazione clandestina?

"L’opposizione l’ha chiesto. Noi valutiamo che la norma così com’è può dare buoni risultati, riformularla non è compatibile con gli scopi della legge".

 

Dunque resta il reato. È prevista l’espulsione, o la pena sarà detentiva?

"Abbiamo consegnato al Parlamento una norma che introduce il reato, fondandolo su un presupposto: l’Italia è uno Stato sovrano che ha delle regole di ingresso e chi le viola commette un reato. Sulle sanzioni vogliamo che il Parlamento si pronunci, valuteremo dopo aver ascoltato il dibattito".

Giustizia: Frattini; la pena per i "papponi"? butterei le chiavi

 

Dire, 11 giugno 2008

 

Per il ministro degli esteri Franco Frattini occorre prevedere la pena dell’ergastolo per stroncare l’attività di chi riduce in schiavitù le donne per costringerle alla prostituzione e rendere l’immigrazione clandestina un reato.

Per il ministro degli esteri Franco Frattini occorre prevedere la pena dell’ergastolo per stroncare l’attività di chi riduce in schiavitù le donne per costringerle alla prostituzione e rendere l’immigrazione clandestina un reato, anche senza che sia prevista una pena, per riuscire ad espellere veramente i clandestini. Frattini illustra le due idee in un’intervista alla Stampa nella quale sostiene che sulla prostituzione occorre distinguere.

"Chi abusa di ragazze che vengono trovate per strada non può non sapere che sono vittime del traffico di esseri umani: in questi casi il cliente va punito. L’unico modo per salvare le giovani schiave è impedire che stiano sulle strade". Il ministro si dice però più preoccupato di "stroncarne il commercio" e quindi afferma che "non può essere punito solo come sfruttamento della prostituzione, bisogna applicare le norme che puniscono la riduzione in schiavitù, che prevedono l’ergastolo".

Rispondendo a una domanda sui "quartieri a luci rosse" Frattini dice che in alcuni paesi del Nord Europa hanno funzionato, anche sotto il profilo del rischio sanitario, ma che il problema principale è quello degli sfruttatori. Sul tema dell’immigrazione clandestina il ministro degli esteri afferma che occorre essere certi che l’espulsione sia "effettiva e immediata". E per ottenere questo l’immigrazione clandestina non può essere una violazione amministrativa ma deve divenire un reato: "la proposta del reato senza pena è sensata" dice, perché consente l’espulsione senza ingolfare le carceri.

Frattini infine sottolinea che il "pacchetto sicurezza" del governo considera "eccezionale" il ricorso alla custodia nei Cpt sino a 18 mesi e che rendendo effettiva l’espulsione si può evitare questa "misura gravissima" prevista dalle norme europee.

Giustizia: (Pd); norme contro violenza a donne in "pacchetto"

 

Ansa, 11 giugno 2008

 

"Inserire nel pacchetto sicurezza norme contro la violenza sulle donne, i maltrattamenti in famiglia e lo stalking". A chiederlo è la senatrice del Pd Silvia Della Monica, componente della commissione Giustizia, che sottolinea come "il Pd abbia presentato un pacchetto di emendamenti al pacchetto sicurezza e ci auguriamo che l’atteggiamento della maggioranza e del governo sia di apertura alle nostre proposte su questioni che, almeno a parole, rappresentano un’assoluta priorità per tutti".

Il nostro pacchetto di emendamenti, aggiunge Della Monica, "prevede, innanzitutto, l’aumento delle pene per i maltrattamenti in famiglia e, riguardo allo stalking, l’introduzione della figura di reato, il divieto di avvicinamento e misure cautelari anche provvisorie, l’incidente probatorio protetto, intercettazioni telefoniche ed ambientali, oltre all’aggravante per reato commesso dal coniuge, dall’ex coniuge, dal partner o dall’ex partner in caso di violenza sessuale".

Inoltre, prosegue Della Monica, "abbiamo previsto il permesso di soggiorno per motivi umanitari per le donne immigrate vittime di violenza o in caso di reati contro i figli minori". Su questo pacchetto di proposte "assolutamente ragionevoli - conclude - ci aspettiamo un comportamento coerente da parte della maggioranza e del governo dal momento che anche il ministro Carfagna ha riconosciuto che la violenza contro le donne è un’emergenza per il Paese".

Giustizia: mala-sanità a Milano... cose da "bassa macelleria"

di Adriano Sofri

 

La Repubblica, 11 giugno 2008

 

Ci sono modi di dire che hanno perduto il legame con il loro significato originario. Noi diciamo: "Non ci posso credere!", e vuol dire che ci crediamo senz’altro, tutt’al più troviamo la cosa un po’ singolare. Ora di colpo diciamo: "Non ci posso credere!", e vuol dire che davvero non ci possiamo credere, e non vogliamo crederci.

Si dice che in una clinica (una sola?) di Milano (di Milano!) non un singolo medico pazzo o farabutto, ma un intero manipolo di medici di ogni ordine e grado, per denaro, contro ogni giustificazione terapeutica, resecava mammelle, squartava toraci, asportava polmoni, reimpiegava chiodi infetti, moltiplicava interventi senza speranza, faceva scempio di persone umane ridotte a corpi, e di corpi ridotti a organi - per denaro. "E per fare 15 polmoni... auguri... e no, dico, poi se sei fortunato che in un mese ti arrivano quattro poli traumi e non so dieci fratture costali, ma cosa fai ti metti ad operare dieci fratture costali perché non hai pazienti?". Se sei fortunato. Persone sofferenti si mettevano nelle loro mani, e le loro mani, in solido, le storpiavano fino alla morte per amore del denaro.

E quando ne parlavano, ne parlavano come se fosse un compito seccante cui non potevano sottrarsi. "Cioè, o tu fai 15 polmoni, o altrimenti non puoi pagare un’équipe...". Farò di voi pescatori di uomini - vi ricordate questa promessa. Ecco la versione dei professionisti della Santa Rita: Merlano: "Cioè tu pescavi dall’Oltre Po pavese?". Brega Massone: "Ma io pescavo dappertutto, da Lodi, dove tiravo fuori le mammelle, poi ho cominciato a pescare anche i polmoni...". Non bastasse il sacrificio di tutte quelle operazioni indebite, per aggiungere un paio di zeri al salario mensile, a volte la sfortuna si accaniva su di loro. Come quando per un disguido nella spedizione si trovano in mano "un tibiale destro al posto di un rotuleo sinistro", e a quel punto, chi se ne frega, infilano il rotuleo sinistro nella gamba destra, e per colmo di sfortuna il paziente è un collega, un medico anche lui: Galasso: ".. sì una roba no noi abbiamo messo ad un collega un tibiale destro al posto di un rotuleo sinistro, mi vengono già le coliche ma non importa".

Sembra M.A.S.H., nel centro di Milano. Sembra la Gita a Tindari. Diceva il boss mafioso all’antica: "Noi sapevamo quale era la linea che separava l’uomo dalla bestia". La linea non fa che retrocedere. Viene da dire che almeno a Tindari, o nella Cina delle esecuzioni capitali, o nel mondo dei bambini rapiti, la ferocia ha un suo fine imprenditoriale: trafficare organi. Nel centro di Milano gli organi andavano a fondo perduto, solo per compilare moduli del Drg, il rimborso a tariffe. Il seno di una ragazza, il polmone di un poveretto. La malasanità, a guardarla da qui sembra umana. L’aggravante della crudeltà, che le titolari della pubblica accusa milanese hanno elevato, è una mera adesione al tariffario: "Investire su qualcuno che ha principalmente una patologia oncologica". Investire. Su qualcuno che ha il cancro - o attribuirglielo.

Mettiamo che siate quel qualcuno. Quella qualcuna. O un suo caro, una sua cara. Che siate magari uno del paio di centinaia ancora ricoverati nella clinica, e non siate ancora scappati in sottoveste e a piedi nudi, se ve ne restavano le forze. C’è un problema sicurezza, in Italia: fare da sé? Una ronda, in corsia? E ci scandalizziamo delle morti bianche: carni rosse, morti rosse. Sono dei dilettanti, i boss della Thyssen, rispetto a questi luminari. Nella caserma di Bolzaneto, Genova 2001, un medico capo penitenziario e suoi colleghi e sottoposti si divertirono a torturare e umiliare degli inermi: ma almeno erano gonfi di fanatismo, di spirito di corpo, di sadismo. Questi della Santa Rita, come li restituiscono le carte dell’accusa e le registrazioni delle telefonate, non sono né buoni né cattivi, né esaltati né depressi: sono solo fedeli al tariffario. (A proposito. C’è una sola cosa peggiore dell’abuso delle intercettazioni telefoniche: il loro divieto).

Manca, per il momento, il ministero della Salute. In compenso, nel campo della sanità, in particolare in Lombardia, la privatizzazione ha fatto passi da gigante. Pare che ci fossero già state condanne di fior di primari per interventi chirurgici non giustificati: cardiochirurgia, affari di cuore. Bisognerà ammettere che privatizzazione e amore (privato) per il denaro (pubblico) vanno ancora assieme, a meraviglia. In un paese ordinato la sanità deve essere pubblica, e si deve tenere una sobrietà, quanto al denaro. Naturalmente, l’amore per il denaro, la passione del denaro, non è destinata inevitabilmente a travolgere il rispetto per i polmoni e i reni e i seni altrui.

Infatti, quando succede, diciamo: Non ci posso credere. C’è però una complicazione. Se avete un amico medico, o un vostro medico di fiducia - di fiducia, sul serio - provate a dirgli come siete esterrefatti e costernati per la notizia milanese. Scuoterà la testa. Di tutte le categorie, la meno incredula rispetto alla macelleria burocratica della Santa Rita, quella che ci può credere, senza neanche tanta fatica, è la categoria dei medici. Qualcuno, esagerando per l’amarezza, arriverà a dirvi: "È tutto così". Non è vero. Ma che cosa sarà di un popolo costretto a dubitare che i propri medici siano così?

Sicilia: Fleres (Pdl), situazione delle carceri vicina al collasso

 

Adnkronos, 11 giugno 2008

 

Le carceri siciliane sono vicine al collasso e il numero di detenuti è aumentato dopo l’ultimo indulto. L’allarme sulla situazione carceraria isolana è lanciato da Salvo Fleres (PdL), garante per la Sicilia dei diritti fondamentali dei detenuti, che ha inviato una lettera al ministro della Giustizia, Angelino Alfano.

"In Sicilia - scrive Fleres - le 27 strutture penitenziarie esistenti (al netto di alcune sezioni chiuse) possono ospitare non più di 4.063 detenuti (capienza regolamentare). Alla data odierna risultano ristretti quasi 5.800 soggetti, a fronte di una capienza tollerabile di 5.954 posti. Il quadro complessivo che ne deriva è davvero preoccupante e, senza voler esagerare, si può dire che si è vicini al collasso, soprattutto se si tiene conto che i detenuti dell’Isola sono, addirittura, più numerosi di quelli che erano ristretti prima dell’ultimo indulto".

Nella lunga missiva il senatore del Pdl suggerisce alcuni spunti per interventi di natura legislativa, amministrativa ed organizzativa. Innanzitutto la chiusura "data la loro fatiscenza e l’assenza dei requisiti minimi stabiliti anche dalla Commissione europea contro la tortura e il trattamento degradante, con un provvedimento d’urgenza, del carcere Ucciardone di Palermo e di quello di piazza Lanza di Catania, nonché di quelli di Marsala e di Termini Imerese e la contestuale rimozione degli ostacoli che impediscono l’apertura delle carceri di Noto e Gela".

Indispensabile per Fleres anche il "potenziamento degli esistenti istituti penitenziari più efficienti con dotazione di impianti adeguati e, soprattutto, progettazione e realizzazione di due mega-strutture (una nella Sicilia occidentale e l’altra in quella orientale), anche al fine di sopprimere carceri di piccole dimensioni che non garantiscono alcun trattamento rieducativo e di reinserimento sociale.

Nella lettera al Guardasigilli Fleres propone anche "l’adeguamento dei contingenti di Polizia penitenziaria in servizio presso gli Istituti di pena; maggiore ricorso alle pene alternative per alcuni crimini non violenti; previsione di percorsi lavorativi e di reinserimento sociale dei detenuti in carcere e di quelli che usufruiscono di pene alternative, "premiando coloro che intendono realmente redimersi e seguire un percorso di legalità".

"Recentemente l’Amministrazione penitenziaria - scrive il senatore del Pdl al ministro Alfano - ha certificato che è bassissima la percentuale di detenuti che, usufruendo di benefici e di un effettivo e serio programma lavorativo e di reinserimento, ritornano a delinquere. Mentre è percentualmente alta (85%) la recidiva commessa dai soggetti abbandonati a se stessi e senza alcuna assistenza dentro e fuori il carcere".

Tra le proposte del garante per i diritti dei detenuti anche dei corsi di aggiornamento professionale per gli operatori di polizia penitenziaria e il miglioramento dell’istruzione e della cultura, "principalmente a livello professionale medio superiore e accademico, all’interno delle carceri, con particolare riferimento non solo ai reclusi italiani ma, soprattutto, a quelli stranieri, spesso del tutto privi degli strumenti conoscitivi necessari a comprendere la loro condizione detentiva, nonché le procedure previste dal nostro ordinamento".

"Non penso - conclude Fleres - né a provvedimenti svuota carceri che, come abbiamo visto, sono assolutamente inefficaci, né a trasformare, ma sarebbe molto difficile, le carceri in alberghi a cinque stelle. Penso soltanto che sia giusto garantire dignità alla pena e costruire un percorso intramurario che non riconduca in carcere il detenuto dopo un periodo più o meno breve di libertà, creando così un circuito virtuoso, in assenza del quale, tra l’altro, lo Stato continuerà a spendere circa centomila euro l’anno per ogni recluso, mantenendo basso il livello complessivo di sicurezza sociale".

Puglia: Buccoliero (Pd); dare una risposta al sovraffollamento

 

Asca, 11 giugno 2008

 

"Le nostre carceri stanno perdendo, ogni giorno di più, la funzione di strutture disciplinari e la stessa pena ha, per lo più, un ruolo repressivo e incapacitante, che mal si concilia con la politica carceraria della rieducazione". È quanto dichiara il Consigliere della Regione Puglia e vicepresidente della VII commissione, Affari Istituzionali, Antonio Buccoliero, intervenendo alla vigilia della giornata di studio, che si svolgerà a Lecce e che ruoterà attorno alla proiezione del film-documentario "Nella casa di Borgo San Nicola con le donne, nel carcere" di Caterina Gerardi.

"Un plauso - prosegue Buccoliero - va a Caterina Gerardi, che ha saputo indirizzare la sua sensibilità di donna e di operatrice culturale verso la condizione, non certo facile, delle donne negli istituti penitenziari. Purtroppo, i problemi di Borgo San Nicola sono i problemi di tante case di detenzione, che dello status di casa hanno poco o nulla. Il sovraffollamento delle prigioni, che si scontra con la carenza di personale, genera spesso situazioni di insofferenza e di stress psicofisico, che in molti casi sfociano in vere e proprie violenze.

Certamente, la recente proposta di una parte del Governo di introdurre il reato di clandestinità non farebbe che aggravare una situazione già di per sé critica per l’intero sistema carcerario. è necessario, invece, lavorare con più convinzione sulle politiche carcerarie, perché se è vero che ci sono criminali incalliti e pericolosi, che meritano di scontare pene severe, è vero anche che ci sono tanti detenuti che dopo aver scontato la loro pena per reati comuni meritano di avere una seconda possibilità, che spesso viene preclusa dalla stessa cultura carceraria".

"Senza tralasciare, infine - conclude Buccoliero - l’importanza della Polizia Penitenziaria, che costituisce un avamposto dello Stato a tutela della sicurezza del cittadino, sia essa chiamata ad operare nel carcere o sul territorio. Non dimentichiamo, infatti, che ogni politica di sicurezza cammina sulle gambe degli operatori, che meritano, pertanto, il pieno e concreto consenso delle istituzioni".

Torino: le Reti per l’inclusione sociale... servono nuovi stimoli

 

Redattore Sociale, 11 giugno 2008

 

Convegno a Torino per fare il punto sulle reti per l’inclusione socio-lavorativa. Sarti (Cefal): "Non servono ricette o vangeli". Le criticità: difficoltà di governare il sistema, comunicare le buone prassi.

Un convegno dal titolo "Buone e cattive prassi di utilizzo delle reti per l’inclusione socio-lavorativa di persone detenute": un momento di discussione sul ruolo che una rete ha nel trasferimento, nello sviluppo e nelle evoluzioni delle buone prassi, dal livello locale a livelli più estesi. Durante il seminario si è sottolineata l’importanza delle reti territoriali, le condizioni del loro successo e della loro efficacia, cercando così di offrire elementi di riflessione ai vari operatori e ai decisori politici, partendo da esperienze significative.

Presentato da Giacomo Sarti del Cefal il progetto Agis Re.S.P.I.R.O. "Rete sviluppo prevenzione inclusione risorse opportunità", rivolto a sostenere la cooperazione fra le autorità politiche e gli organismi del privato sociale e a rafforzare le reti territoriali (dal livello provinciale a quello europeo) per il trasferimento di buone pratiche e la sperimentazione di strategie economiche o tecniche di gestione in materia di prevenzione della criminalità. Sarti ha sottolineato come gli strumenti esistenti debbano essere considerati strumenti di lavoro, "già sperimentati" , migliorabili in alcuni aspetti ma validi, perché pensati da persone a contatto con quella realtà.

"Non servono ricette o vangeli, ma stimoli" ha dichiarato, ci sono esperienze da non disperdere. A proposito di nuove esperienze, prevista per ottobre un incontro in Romania, uno dei partner di Re.S.P.I.R.O e paese molto attivo in questo campo, che sta offrendo occasioni per conoscere una realtà con problematiche differenti.

Al convegno è intervenuto George Tabacchi, del Consorzio Abele Lavoro, che ha portato alcune esperienze di rete nei processi di inclusione sociale. Le reti mettono insieme diverse sensibilità, ha dichiarato, è un sistema complesso che va governato, obiettivo non semplice. Le criticità: governare senza farsi schiacciare dalle differenze, evitare i personalismi esaltando le originalità; la dimensione economica non può essere l’unico elemento aggregativo. "Per me e per molti di noi, le reti sono solo a finalità culturale e di sviluppo del territorio". Il futuro: un invito alle regioni per sviluppare il sistema rete; la struttura giuridica, come superare la forma spontanea per altre forme giuridiche che aggreghino; il terzo livello è saper comunicare, sviluppare dei piani di comunicazione efficaci, che rendano capaci di incidere sul territorio. E infine: "Non c’è rete senza generosità e gratuità".

Aldo Romagnolli, di Confcooperative Torino ha lamentato come alla ricchezza di esperienze spesso non vengano incontro le istituzioni nazionali. Oggi si ha "una sorta di pigrizia mentale", ha detto, "quasi omertosa", per cui si vuole tornare alle prassi che già erano inadeguate. "E lo si vede nel modo in cui si affronta oggi il tema della sicurezza, con la repressione, invece che con nuovi criteri di accoglienza e integrazione". "C’è bisogno di riscoprire un nuovo protagonismo nobile, della società civile, della sua organizzazione, delle sue aggregazioni imprenditoriali, che si muovano autonomamente con capacità creative in un ambito di solidarietà e responsabilità".

In collegamento diretto in videoconferenza anche colleghi europei di Francia e Spagna, che hanno sottolineato l’efficacia dello strumento rete e gli elementi su cui porre l’accento. Fondamentali ha sottolineato il collega francese, capire le differenze fra i partner, legislative e procedurali, e l’importanza delle relazioni fra interlocutori e la condivisione delle esperienze.

Parma: cura e tutela del Parco del Taro è affidata ai detenuti

 

Lungo Parma, 11 giugno 2008

 

Per il secondo anno, grazie al progetto ideato dalla Provincia, i carcerati della Casa Circondariale di Parma si occuperanno della tutela e la cura degli spazi verdi.

I detenuti curano il parco. Il Parco fluviale Regionale del Taro sta portando avanti per il secondo anno un’iniziativa di inserimento lavorativo di alcuni detenuti. Il progetto è nato da un’ iniziativa dell’assessorato alle politiche sociali della Provincia, del carcere di Parma e del consorzio Forma Futuro. Il Parco del Taro è infatti il primo nella zona ad aver iniziato ad ospitare con una borsa lavoro i detenuti, che mettono a disposizione la propria persona per gestire, pulire, controllare e tutelare il parco.

"I detenuti svolgono con competenza diverse tipologie di lavoro all’interno dell’area del Parco, dalla manutenzione della sede e dei sentieri a piccoli lavori edili, dalla sistemazione forestale alla realizzazione di nidi artificiali", spiega il direttore del Parco, Michele Zanelli. "L’esperienza è per noi totalmente positiva, non solo perché permette ad un Ente che usufruisce di scarse risorse finanziare di avere un aiuto concreto in diversi settori, ma anche perché ci permette di conoscere una realtà diversa ed arricchisce il valore del nostro lavoro".

È Renato Carini, responsabile della vigilanza per il Parco, ad aver materialmente seguito passo dopo passo il lavoro dei detenuti: "Credo che il progetto sia molto positivo per il Parco, i detenuti hanno grande desiderio di esprimere le proprie personalità e professionalità, molti di loro hanno acquisito nuove competenze con attività all’interno del carcere e sono entusiasti di poterle mettere in pratica.

È molto utile questa esperienza, che ha permesso ai detenuti di entrare in contatto con la realtà lavorativa del Parco, e per i dipendenti del Parco stesso, che hanno potuto superare i pregiudizi che normalmente si creano verso coloro che sono in stato di detenzione". L’auspicio degli operatori del Parco è che i tre detenuti, che termineranno la propria attività all’interno dell’Ente, una volta scontata la pena detentiva possano mettere a frutto l’ esperienza lavorativa acquisita trovando un’occupazione. Durante il progetto i detenuti sono entrati in contatto con due studenti dell’Itsos di Fornovo, occupati in uno stage nel Parco, condividendo con loro alcuni momenti lavorativi.

"La convivenza tra gli studenti e i detenuti - dice Mauro Conti, presidente del Parco del Taro - è stata altamente positiva perché lo scambio di esperienze ha portato ad un arricchimento reciproco. Al pranzo finale, organizzato al termine dello stage, i ragazzi ci hanno ringraziati per l’opportunità che è stata loro offerta di conoscere una realtà così lontana dalla loro. Il buon rapporto basato sul rispetto reciproco creatosi tra detenuti, studenti e operatori del Parco dimostra la validità di un progetto che punta al reinserimento nella vita sociale di persone in stato di detenzione.

Il Parco tenterà di riproporre il progetto anche l’anno prossimo; ci piacerebbe che restassero a lavorare con noi, con contratti specifici previsti dalla normativa di formazione lavoro, alcuni di loro. Questi ragazzi stanno dimostrando grande voglia di lavorare e rendersi utili al Parco, comportandosi sempre in maniera esemplare".

Ivrea: termina il Progetto "Carcere, comunità multiculturale"

 

Comunicato Stampa, 11 giugno 2008

 

La Direzione della Casa Circondariale di Ivrea in collaborazione con la Cooperativa Mary Poppins, titolare del progetto "Carcere: comunità multiculturale" finanziato dalla Regione Piemonte e realizzato lo scorso anno in istituto, intende organizzare il giorno 24 giugno, alle ore 15.30 presso la Sala polivalente dell’istituto, una manifestazione che celebrerà ufficialmente la conclusione del progetto. Nell’ambito della manifestazione si presenteranno tutte le realtà, interne ed esterne, che collaborano con il penitenziario nella realizzazione delle diverse attività volte a sostenere l’azione rieducativa.

Si illustreranno sia le attività svolte nell’ambito dei diversi progetti realizzati grazie al contributo regionale all’interno del penitenziario (oltre al sopraindicato, sono stati realizzati: dal Comune di Ivrea in collaborazione con la Fondazione Ruffini e l’Associazione di Volontariato penitenziario "Link - collegamento tra dentro e fuori" e dall’Associazione Iride "Laboratorio del fisico"), sia quelle realizzate dalla stessa Direzione anche in virtù della preziosa collaborazione dell’Associazione dei Volontari penitenziari (giornalino "L’Alba", Tipografia, corsi scolastici e professionali tenuti dal C.T.P. di Ivrea e C.F.P.P. di Torino, Ser.T. di Ivrea, Laboratorio Musicale in collaborazione con il Liceo Musicale).

L’incontro pomeridiano verrà arricchito da due contributi musicali ad opera del gruppo di detenuti partecipanti al Laboratorio musicale tenuto dal docente Paolo Bersano del Liceo Musicale di Ivrea e da danze e percussioni africane del gruppo danzatori e percussionisti senegalesi "Ngalam". Gli organi di informazione che intendono partecipare devono inviare la comunicazione al fax n. 0125.253239 oppure al n. 0125.615210.

 

Il Direttore

Dr. Gianfranco Marcello

Firenze: detenuti diventano attori "nel paese delle meraviglie"

 

In Toscana, 11 giugno 2008

 

"Nel paese delle meraviglie" è il titolo dello spettacolo teatrale con i detenuti attori della Compagnia di Sollicciano, in scena venerdì 27 giugno alle 20,45 al Teatro di Sollicciano con la regia di Elisa Taddei. L’iniziativa è organizzata dall’associazione TdS, dalla Casa circondariale di Sollicciano, dalla fondazione Carlo Marchi con la collaborazione della Presidenza del Consiglio comunale di Scandicci, della Regione Toscana e dell’istituto Sassetti Peruzzi. Chi fosse interessato ad assistere allo spettacolo dovrà prenotare entro il 15 giugno inviando un fax allo 055.7372363 o una mail a educatori.cc.firenze@giustizia.it, allegando copia del documento d’identità.

Bollate: Progetto sperimentale sul "Valore sociale del colore"

 

Vita, 11 giugno 2008

 

Presentato ieri mattina a Milano al Mondadori Multicenter il primo esperimento di applicazione del "valore sociale del colore" in un istituto di pena.

Il colore può essere uno strumento molto efficace per alleviare il disagio in situazioni sociali difficili. A Bollate la prima esperienza conosciuta di "riqualificazione cromatica" di un carcere per migliorare il clima di vita e di lavoro. Un progetto che ha visto la cooperazione di professionisti, istituzioni pubbliche e operatori privati per un intervento rapido, efficace ed economico.

La dottoressa Lucia Castellano, direttrice della Seconda Casa di Reclusione di Milano-Bollate ha così dichiarato: "Questo progetto ha finalmente trasformato in luogo un non luogo, con beneficio dei poliziotti che lo abitano. Siamo una comunità di persone che ora vivono meglio grazie a un lavoro a più mani". Castallano ha ringraziato oltre agli autori del progetto, la squadra che lo ha realizzato, composta da cinque detenuti diretti dall’assistente della Polizia Penitenziaria, Walter Raso, oltre che il mondo delle aziende e del volontariato che si è prodigato per la realizzazione del progetto. Ed ha concluso: "Non è detto, infatti, che il bello debba abitare solo al centro di Milano".

L’autore del progetto, il colour consultant Massimo Caiazzo, ha spiegato che "Il progetto di riqualificazione "Colore a Bollate", è nato l’autunno scorso da un’idea mia e di Carlo Zanda impegnati da tempo in un progetto su "Il valore sociale del colore" con l’obbiettivo di studiare, progettare e realizzare soluzioni che, utilizzando le potenzialità del colore, contribuiscano a migliorare la qualità della vita di quei luoghi che in questi anni sono stati esclusi dalla rivoluzione cromatica di cui hanno beneficiato, per esempio, i centri storici delle città d’arte, il design, la moda etc.".

Luigi Pagano, Provveditore Regionale Istituti Penitenziari della Lombardia, ha evidenziato come il progetto Bollate di custodia attenuata sia stato immaginato e realizzato da lui, insieme all’ex Provveditore Felice Bocchino nel 2001. Da allora a oggi molti passi sono stati compiuti nel segno di un’esecuzione penale che restituisca dignità ai detenuti e reale opportunità di reinserimento lavorativo e sociale. Il progetto colore si inserisce oggi per creare una cornice idonea a tale sperimentazione.

L’amministratore delegato di Akzo Nobel Coatings Spa, Maurizio Poletti, nel suo intervento puntualizza la filosofia del gruppo: "Akzo Nobel, gruppo leader mondiale nella produzione di vernici per edilizia, è da sempre impegnata nelle attività di restauro e di abbellimento del territorio, nel pieno rispetto dell’ambiente e della sicurezza sul lavoro. Spesso questo accade attraverso sponsorizzazioni tecniche nella realizzazione di importanti Piani del Colore come quelli di Torino (il primo), Trieste, Portofino, Roma (Municipio II) e molti altri a livello locale. Akzo Nobel è inoltre impegnata - in Italia e nel mondo - in attività di sostegno alle diverse comunità. La recente acquisizione del colosso inglese ICI (Imperial Chemical Industry) ha fatto del Gruppo Akzo Nobel il principale attore globale nel mondo delle vernici e della chimica".

I rinnovati locali saranno inaugurati ufficialmente martedì 24 giugno alle ore 16 alla Seconda Casa di Reclusione di Milano-Bollate, via Cristina Belgioioso 120 Milano, con un evento pubblico.

Immigrazione: il lavoro delle badanti? vale 10 miliardi di euro

 

Ansa, 11 giugno 2008

 

Indecifrabile e minacciosa, così appare la realtà sociale italiana. La crisi italiana è una crisi del sociale, intesa come incapacità di connettersi, di fare relazioni, di essere una comunità che sa stare insieme, aggregare, includere. Così il welfare tradizionale non basta più a dare sicurezza.

L’avarizia del welfare italiano verso donne e famiglie. Alle famiglie è destinata una spesa sociale pari appena all’1% del Pil. Il 59% degli italiani ritiene che oggi non si fanno figli perché i redditi familiari sono troppo bassi, il 27% sottolinea che si è troppo presi da se stessi, il 24% fa riferimento all’assenza di servizi di supporto alle famiglie, il 23% indica che si lavora troppo e non c’è tempo per pensare ad altro, mentre il 18% segnala la paura associata alla responsabilità di educare e crescere i figli. Rispetto alle donne europee, le italiane sono molto meno convinte che una donna che lavora può stabilire una relazione adeguata con i propri figli (lo pensa il 16% delle italiane rispetto a un dato medio europeo del 32%).

Il declino della funzione sociale dei processi formativi. Cresce la convinzione che studiare di più e più a lungo non paga, perché altri sono i percorsi di costruzione del proprio status e benessere sociale. Per oltre un quarto dei ragazzi di età compresa tra 14 e 19 anni non serve un titolo di studio per trovare lavoro. Per più del 55% sono convinti che ci si iscrive all’università soltanto perché non si hanno alternative. E quasi l’80% degli adolescenti italiani confessa di chiedersi spesso che senso ha stare a scuola. Gli insegnanti sono percepiti lontani, e su questa relazione non può non pesare l’età media dei docenti che in Italia risulta particolarmente elevata rispetto agli altri Paesi europei. Nella scuola secondaria superiore quasi il 53% degli insegnanti ha più di cinquant’anni, percentuale pari al 66,8% nella scuola inferiore e al 44% nella scuola primaria.

Che fine hanno fatto i 646 mila stranieri regolarizzati nel 2002? Nel 2007 erano 505 mila quelli che avevano ancora un lavoro ed erano ancora regolari. Il 60% si è trasferito in un’altra provincia per lavoro. Più di 88 mila si sono sposati. Sono segnali di grande vitalità, ma la riduzione del 22% di immigrati regolarizzati, sicuramente non usciti dall’Italia, indica che sono finiti nell’economia sommersa, a testimoniare la scarsa capacità del sistema sociale di includerli.

L’assistenza low-cost delle badanti ritorna sommersa. Dal 2004 al 2007 si è registrato un calo drastico degli immigrati regolarizzati impegnati nei servizi alle famiglie pari a -20,8%, segno di un probabile ritorno al "nero". Il numero effettivo di badanti che lavorano in Italia è nettamente superiore ai dati ufficiali. Stime prudenziali consentono di fissare in 700-800 mila le persone che lavorano in famiglia e in 10 miliardi di euro il valore annuale della loro attività.

"Il sociale non presidiato" è l’argomento di cui si parla oggi al Censis a partire da un testo elaborato nell’ambito dell’annuale appuntamento di riflessione "Un mese di sociale" giunto alla ventesima edizione. Intervengono il Presidente del Censis Giuseppe De Rita, il Direttore Generale Giuseppe Roma, e il responsabile del settore Politiche sociali Francesco Maietta.

Droghe: Fini; la legge va applicata, non è lecito farsi del male

 

Notiziario Aduc, 11 giugno 2008

 

La legge Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze deve essere pienamente "attuata e pensiamo di farlo" attraverso il ricorso ai regolamenti d’attuazione della normativa. È Gianfranco Fini, primo firmatario insieme a Carlo Giovanardi della legislazione in vigore sulla droga, a sottolinearlo mettendo però in guardia sul fatto che "non basta soltanto intervenire con le leggi e con il contrasto".

Quello che occorre, rileva il presidente della Camera intervenendo alla presentazione del libro di Alessandro Barbano "Degenerazioni - droga, padri e figli nell’Italia di oggi" (Rubbettino Editore), è "una politica di valori sani" in cui svolgano un ruolo tutte le componenti della società come la Chiesa, le associazioni di volontariato e lo stesso mondo politico".

Si tratta, spiega Fini, di "combattere ciò che si può definire l’anemia morale di chi trova nelle sostanze un motivo per superare la propria condizione di debolezza". Un fenomeno che deriva anche "dai modelli veicolati dalla società dei consumi, finalizzati alla valorizzazione di quel che appare e non di quel che è. Quante sciocchezze sono state dette o cantate come se fossero il trionfo dell’antagonismo generazionale mentre sono invece la cancellazione dell’identità personale".

Per Fini è quindi necessario "non assecondare le tendenze e le tentazioni largamente diffuse nella società, l’errore di chi è convinto che il valore fondamentale della libertà possa essere declinato senza regole o confini determinati".

"Oggi il rischio della società contemporanea non è in un eccesso di autoritarismo, ma in una deriva che lede la dignità umana: il rischio è la libertà che diviene anarchia, ma non può esistere la libertà di farsi del male" perché nel relativismo del tutto è lecito "non si distingue più tra ciò che è bene e ciò che è male".

Il problema della droga "investe tutti" ma "ci si occupa con molta maggiore intensità di questioni meno importanti. Questo dovrebbe essere un tema centrale più di tante altre questioni su cui litiga la politica". È Giuliano Amato a sottolinearlo, dicendo no al "giustificazionismo. Non c’è alcuna ragione per cui i giovani del nostro tempo debbano cadere nel nichilismo". I dati sul consumo di stupefacenti "sono drammatici e c’è da contrastare le dicerie sbagliate sulle quali c’è chi poi conquista voti".

L’ex ministro dell’Interno si riferisce ad esempio al fatto che "lo spinello di oggi non è quello di tanti anni fa, che aveva principi attivi molto meno alti". Le canne in circolazione tra i giovani "possono devastare il cervello se se ne fa un certo uso giornaliero. È una battaglia che investe tutti e può essere fatta solo se tutti se ne rendono partecipi. Quando sento che bisogna "fargliela vedere agli islamici con il nostro cristianesimo", mi si rizzano i capelli: la "chiamata alle armi" la dobbiamo fare contro noi stessi perché siamo noi che stiamo perdendo noi stessi".

Tra gli intervenuti alla presentazione del libro anche Monsignor Vincenzo Paglia. "Il libro di Barbano - rileva Paglia - fotografa un problema di ordine culturale e morale. L’emergenza educativa è la vera emergenza, se non trasmettiamo a questi giovani una dimensione per cui valga la pena vivere e non "sballare" falliremo. Lo "sballo" è una domanda d’amore, questo è quello che non si riesce a capire. È come se dicessero "esisto anch’io". Il problema di fondo è il vuoto di questi giovani che poi è il vuoto che gli adulti trasmettono ai giovani".

Droghe: Dda; intercettazioni telefoniche contro narcotraffico

 

Notiziario Aduc, 11 giugno 2008

 

"Le intercettazioni telefoniche sono un mezzo della ricerca della prova fondamentale soprattutto per i cosiddetti reati complessi, cioè quei reati che contengono quei fenomeni all’interno dei quali ci sono una pluralità di reati".

Lo ha detto il Procuratore Capo della Direzione Distrettuale Antimafia del Tribunale di Trieste Nicola Maria Pace a margine della Festa della Marina Militare svoltasi ieri a Trieste. "Parlo in particolare di quei fenomeni che si evolvono a filone come i traffici internazionale di droga, ma soprattutto l’immigrazione illegale, un fenomeno che qui noi abbiamo contrastato efficacemente proprio attraverso le intercettazioni telefoniche. Senza le intercettazioni tutta la sfera dei reati collegati all’immigrazione illegale rimarrebbe impunita, questo è sicuro. Per cui al momento l’auspicio è che si possa intervenire sulla materia delle intercettazioni ma con molta attenzione facendo in modo di salvaguardare le possibilità investigative che devono rimare intatte soprattutto di fronte a fenomeni emergenti come quelli citati".

Sul fatto che il Tribunale di Trieste abbia impegnato nel 2007 una cifra di circa 4 milioni di euro, il Procuratore Pace sostiene che "questo è un altro discorso. È un discorso economico e credo che poco si accordi con le esigenze concrete, perché se abbiamo a che fare con fenomenologie di forte portata come quelle che ho detto non possiamo affrontarle in un ottica esclusivamente economica".

Estero: quasi 3mila italiani detenuti in Asia, Africa e Stati Uniti

 

Ign, 11 giugno 2008

 

I parenti costretti a pagare privatamente parcelle esorbitanti degli avvocati locali perché, denunciano le associazioni, "non è previsto in questi casi il gratuito patrocinio". Ma la Farnesina precisa: "L’assistenza va richiesta ai consolati che però non hanno l’obbligo di fornirla". Il padre di Angelo Falcone: "Mio figlio detenuto in India senza prove".

Sono 2.773 gli italiani detenuti nelle carceri del mondo, 1.448 già condannati e 1.288 in attesa di sentenza o estradizione. Secondo il dato, fornito dal dipartimento del ministero degli Affari Esteri, 2.253 si trovano in Europa, concentrati soprattutto in Germania (1140), Spagna (429) e Belgio (238). Dalla Farnesina precisano poi che gli altri si trovano in Africa, Asia e nelle Americhe. Dietro le sbarre in Burkina Faso, Emirati Arabi, Eritrea, Pakistan e India. E poi Indonesia, Perù, Tunisia, Cile, Bolivia,Tanzania, Giamaica, Stati Uniti, Argentina e Brasile.

Alcuni rischiano la pena capitale per fatti che secondo il nostro ordinamento giuridico sono puniti con sanzioni detentive brevi o addirittura semplicemente amministrative. Accanto a reati come lo spaccio di droga, rapina e truffa, c’è anche, spiegano dalla Farnesina, il semplice over staying ossia la permanenza su un territorio straniero oltre il termine consentito.

A farne le spese sono anche parenti e amici, costretti ad attese snervanti e alle prese con le parcelle esorbitanti degli avvocati locali. È il caso di Giovanni Falcone, carabiniere in pensione di Rotondello in provincia di Matera e padre di Angelo, 28 anni, prigioniero in India dal 9 marzo dell’anno scorso. Instancabile l’ex brigadiere ha denunciato la vicenda in un blog e costituito l’associazione "Vivere liberi onlus". "Mio figlio con il suo amico Simone - spiega Falcone a Ign, testata on-line del gruppo Adnkronos - è stato arrestato a Mandi, località indiana dello stato di Himachal Pradesh perché le autorità locali dicono di averlo trovato in possesso di 18 chili di hashish. Ma non ci sono prove, né testimoni del fatto".

"Per mio figlio era il primo viaggio all’estero. Alloggiava in un’abitazione privata, insieme al suo amico Simone; due euro a testa per dormire, come fanno tanti giovani in viaggio da quelle parti", racconta. "Ma la notte del 9 marzo 2007 sono arrivati i poliziotti e hanno costretto i ragazzi a firmare una dichiarazione in lingua hindi". Niente traduttore, niente telefonata all’ambasciata, come prevede la procedura. Il permesso di chiamare arriva solo dopo che Angelo firma un foglio con cui, scoprirà, la polizia dichiara di averli fermati sulla strada dell’aeroporto per Delhi con la droga.

"Una montatura - denuncia l’ex brigadiere -. Gli stranieri in quei Paesi poveri e ad alto tasso di corruzione vengono visti come "miniere d’oro". Angelo, incensurato in Italia, è sotto processo per traffico di droga. Il racconto della sua vita in carcere ricorda "Fuga di Mezzanotte" di Alan Parker. "Mangiano solo lenticchie e riso tutti i giorni - dice il padre -, dormono su una coperta sul pavimento e si lavano tutti con l’acqua di un secchio in cortile. È stato così che il mio Angelo e il suo amico si sono presi l’epatite virale e chissà che altro ancora".

"Finora per le spese legali abbiamo sborsato diecimila euro - dice il padre - ma siamo ancora agli inizi, la prossima udienza è stata fissata per il 16 giugno. Giovanni chiede "che lo Stato si faccia carico di questi cittadini, prevedendo anche il gratuito patrocinio per i detenuti italiani all’estero".

Un appello condiviso dalla nuova associazione Prigionieri del Silenzio che propone di istituire una figura statale, chiamata a occuparsi dei detenuti italiani all’estero. "Pensiamo anche a un magistrato di collegamento o a un avvocato del posto - dice la Presidente Katia Anedda a Ign - che venga messo a disposizione del consolato per offrire un’adeguata assistenza legale ai nostri connazionali all’estero".

Ma una fonte dalla Farnesina precisa a Ign: "L’assistenza consolare, che è più ampia del semplice patrocinio legale, può essere fornita su richiesta dell’interessato, anche se non è obbligatorio fornirla. In ogni caso i detenuti possono chiederla al consolato italiano, se sono in un paese dell’Unione europea. Se invece si trovano in un paese extra-Ue, in quanto cittadini europei possono rivolgersi a un consolato di uno qualsiasi dei 27 stati membri".

Romania: ferrarese detenuto senza una precisa imputazione

 

Sesto Potere, 11 giugno 2008

 

I consiglieri Tiziano Tagliani e Roberto Montanari del Partito Democratico hanno presentato una risoluzione all’Assemblea legislativa sul caso di Erik Benetti, il trentaquattrenne di Copparo (Fe) detenuto in Romania dall’aprile scorso "senza un preciso capo di imputazione e senza che la difesa abbia potuto prendere visione degli atti del fascicolo prima dell’avvio del dibattimento".

Nel documento si impegna la Giunta regionale ad interessare il Governo affinché si impegni con un’azione diplomatica per il ripristino delle garanzie processuali in modo che il processo si celebri il più presto possibile in un quadro di garanzia per la difesa dell’imputato. I firmatari sollecitano poi iniziative di sostegno a Benetti e alla sua famiglia, a tutela anche delle sue condizioni di salute, "gravemente" peggiorate nelle ultime settimane "con rischio di conseguenze permanenti per il suo stato fisico".

Gran Bretagna: nelle carceri le droghe sono grave problema

di Katia Moscano

 

Notiziario Aduc, 11 giugno 2008

 

Hussain Djemil conosce meglio di qualsiasi altro la relazione tra le droghe e la prigione. Nato in Gran Bretagna da una famiglia turco-cipriota, è cresciuto a Stoke Newington, a nord di Londra, dove i giovani sono spesso a contatto con gli stupefacenti. Negli anni ‘80, Djemil spendeva 100/150 sterline a giorno in crack ed eroina. All’età di 22 anni e dopo molti anni di tossicodipendenza ha cercato aiuto. Dopo 23 mesi in comunità si è disintossicato.

Djemil ha messo la sua esperienza al servizio dei tossicodipendenti dello Oxfordshire. Nel 2002, dopo essere rimasto "pulito" per 16 anni, è stato nominato coordinatore antidroga di alcuni istituti di detenzione. Lo scorso anno è stato nominato capo della politica per la disintossicazione del National Offender Management Service, ma ha presentato le dimissioni dopo alcune settimane a causa della caotica struttura dell’organizzazione e per la impossibilità di risolvere i problemi esistenti.

Dopo mesi di silenzio, Djemil pubblicherà con il Centre for Policy Studies, un pamphlet di 36 pagine che sottolinea i tentativi infruttuosi del Governo di combattere la minaccia delle droghe nelle carceri. "Negli istituti penitenziari le droghe sono diffuse, minando ogni tentativo di disintossicazione dei detenuti e aumentando il rischio di recidività dei reati e la corruzione dello staff", si legge nel rapporto steso da Djemil dopo le dichiarazioni del ministero della Giustizia, secondo il quale si sta vincendo la battaglia della diffusione delle droghe nelle prigioni.

Djemil attacca il Governo perché cerca semplicemente di non peggiorare il problema invece di affrontarlo e risolverlo. "Ci sono oggi rispetto al passato molte più droghe". Ma sono in molti a preoccuparsi per la diffusione delle droghe nelle carceri. Coloro che vi lavorano, rivelano che le droghe sono molto diffuse, e spesso quelli che entrano puliti diventano tossicodipendenti. In molte carceri, la maggior parte dei detenuti è tossicodipendente.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva