Rassegna stampa 10 giugno

 

Giustizia: Dl sicurezza; emendamenti del Governo in Senato

 

Ansa, 10 giugno 2008

 

Giro di vite sugli stranieri irregolari e sui "pirati" della strada; più poteri ai sindaci e ai prefetti in materia di ordine pubblico e sicurezza; misure di prevenzione contro la criminalità organizzata con ampliamento dei poteri del procuratore nazionale anti-mafia; interventi sulle lungaggini dei processi con aumento dei casi di rito direttissimo e giudizio immediato e abolizione del patteggiamento in fase di appello. Sono i cinque capitoli su cui interviene il Decreto Sicurezza approvato dal Consiglio dei Ministri a Napoli e da oggi in Aula al Senato. Ecco cosa prevede il testo del Governo.

 

Espulsione di immigrati e allontanamento di cittadini comunitari

 

Le nuove norme ampliano i casi di espulsione degli immigrati clandestini su ordine del giudice prevedendo analogo provvedimento per i cittadini comunitari, attraverso la misura dell’allontanamento del cittadino appartenente a uno stato membro Ue che non abbia reddito o che delinque. Il limite della pena per l’irrogazione del provvedimento di espulsione (ora fissato a una pena detentiva non inferiore a 10 anni) viene portato a due anni. In pratica il giudice, in tutti i casi di condanna dello straniero o del cittadino comunitario a più di due anni di carcere, ne ordina il rimpatrio. Chi trasgredisce l’ordine di espulsione o di allontanamento è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

 

Arresto e confisca immobili per chi affitta a irregolari

 

È previsto che chiunque cede a titolo oneroso un immobile a un cittadino straniero irregolarmente soggiornante sul territorio italiano è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La condanna comporta la confisca dell’immobile affittato, salvo che appartenga a persona estranea al reato. Le somme ricavate dall’eventuale vendita dei beni confiscati sono destinate al potenziamento delle attività di prevenzione e repressione contro l’immigrazione clandestina.

 

Aggravante della clandestinità

 

Se chi commette un reato si trova illegalmente sul territorio nazionale le pene sono aumentate di un terzo. La nuova aggravante di clandestinità viene applicata sia agli immigrati extra-comunitari che ai cittadini di Stati membri dell’Unione europea irregolarmente entrati in Italia.

 

Più processi per direttissima e no al patteggiamento in appello

 

Per accelerare i processi, il decreto prevede l’obbligo, e non più la facoltà per il pubblico ministero (a meno che ciò non pregiudichi gravemente le indagini) di richiedere il rito direttissimo o il giudizio immediato per i reati per i quali sono previsti i riti speciali. Si ampliano inoltre le fattispecie perseguibili con processo ordinario. Si prevede che il pubblico ministero proceda con il rito direttissimo nei confronti dell’imputato quando l’arresto in flagranza è già stato convalidato e quando lo stesso abbia reso confessione o quando la prova della sua colpevolezza risulta evidente.

Il rito direttissimo pertanto diverrà la regola in relazione a tutte le indagini che non richiedono attività ulteriori da parte del pm. Anche per il giudizio immediato si è introdotta la previsione della necessità come regola generale. Infine viene introdotto il divieto di patteggiamento in fase di appello: l’accordo tra le parti potrà aversi solo in fase di udienza preliminare. La sospensione della pena non potrà essere applicata per i reati per tutti i reati in relazione ai quali ci sono esigenze di tutela della collettività.

 

Giro di vite su chi guida ubriaco o drogato

 

È uno dei capitoli più "corposi" del dl sicurezza. Per chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti sono stabilite pene più severe nel caso di lesioni gravi e gravissime o di omicidio colposo. L’inasprimento delle sanzioni per chi provoca incidenti stradali avviene sia sul piano penale che su quello delle sanzioni amministrative accessorie. Per chi provoca la morte di una persona viene elevato il massimo di detenzione in carcere da cinque a sei anni. Per chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il carcere può arrivare a dieci anni se si cagiona la morte di una sola persona e fino a quindici anni le vittime sono più di una. Anche per chi provoca lesioni gravi (e non gravissime) viene previste il solo carcere (da sei mesi a due anni) in luogo della pena alternativa. Per le lesioni gravissime si innalza a quattro anni il massimo del carcere. Niente attenuanti inoltre per chi guida ubriaco o sotto l’effetto di droga. A chi viene trovato al volante con un tasso alcolemico superiore a 1.5 grammi/litro inoltre segue sempre la confisca del veicolo (a meno che non appartenga a persona estranea al fatto).

Ulteriori inasprimenti della pena sono previsti per chi non si ferma a prestare soccorso: in caso di omicidio colposo, oltre al carcere, scatta la revoca della patente, mentre prima era prevista la sola sospensione fino a un massimo di quattro anni. Per chi rifiuta di sottoporsi ai controlli per accertare lo stato di ebbrezza o l’assunzione di droghe non ci sarà più solo una sanzione amministrativa ma l’arresto da tre mesi a un anno con sospensione della patente e confisca del mezzo. Infine, per le lesioni gravi o gravissime provocate da guidatori ubriachi o drogati la competenza a decidere viene affidata al tribunale ordinario prevedendo espressamente che non se ne occupi il giudice di pace.

 

Sequestro e distruzione merce contraffatta

 

Per quanto riguarda la merce sottoposta a sequestro nell’ambito di un procedimento penale si attribuisce all’autorità giudiziaria il potere di procedere alla distruzione non solo delle merci deperibili ma anche delle merci contraffatte e di quelle di cui è vietata la fabbricazione, il possesso e la vendita se la custodia risulta particolarmente costosa per il bilancio dello Stato o pericolosa per la sicurezza, la salute o l’igiene pubblica.

 

Più poteri a sindaci e prefetti

 

Si modifica il testo unico sull’ordinamento degli Enti locali dando maggiori poteri a sindaci e prefetti in tema di ordine e sicurezza pubblica. Su tutto ciò che attiene la pubblica sicurezza si prevede inoltre la cooperazione tra la polizia locale e le forze di polizia statale, nell’ambito di direttive di coordinamento del ministero dell’Interno. Il sindaco adotta provvedimenti "contingenti e urgenti" al fine di prevenire e eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Anche al prefetto è dato un ruolo più attivo: il rappresentante dello Stato sul territorio può intervenire con propri provvedimenti in caso di inerzia del sindaco e può predisporre gli strumenti necessari all’attuazione delle iniziative adottate dal sindaco per l’incolumità pubblica. Se poi i provvedimenti decisi dal sindaco di un comune hanno ripercussioni anche sui cittadini di comuni limitrofi, il prefetto indice una conferenza alla quale partecipano i sindaci interessati, il presidente della provincia e soggetti pubblici o privati dell’area. Il motivo di tale norma, si legge nella relazione che accompagna il decreto, è che "la riforma legislativa del 1993 che ha introdotto il sistema dell’elezione diretta dei sindaci e quella del 2001 che ha modificato il Titolo V della Costituzione hanno portato alla rivendicazione da parte degli Enti locali di un ruolo sempre maggiore anche in materia di ordine e sicurezza pubblica" e perché "il sindaco è in grado più di chiunque altro di conoscere le problematiche sociali della realtà locale che incidono sul senso di insicurezza percepito dai cittadini".

 

Accesso della Polizia Municipale al Ced del Viminale

 

Il personale della polizia municipale addetto ai servizi di polizia stradale accede direttamente al Centro elaborazioni dati del Viminale (Ced) per consultare lo schedario dei documenti di identità rubati o smarriti (fino a oggi poteva accedere solo allo schedario dei veicoli rubati o rinvenuti). Oltre alla consultazione dei dati del Ced (e questa è un’ulteriore novità) gli agenti di polizia municipale possono immettere dati acquisiti autonomamente.

 

Dai Cpt ai Cie, arrivano i Centri di Identificazione e Espulsione

 

I Centri di Permanenza Temporanea (Cpt) e i Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (Cpta) cambiano nome e diventano Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie).

 

Ampliamento dei poteri del Procuratore Antimafia

 

In tema di contrasto alla criminalità organizzata si estendono i poteri di coordinamento del procuratore nazionale antimafia anche in materia di misure di prevenzione. Inoltre si prevede che nell’ambito delle misure di prevenzione sia valorizzata l’esperienza delle Direzioni distrettuali antimafia attraverso l’attribuzione alle stesse della competenza a indagare e a proporre le misure di prevenzione e si dà analoga competenza al direttore della Dia (Direzione investiva antimafia). Queste funzioni erano già previste, in vario modo, in disposizioni di legge precedenti, il decreto ora si propone di racchiuderle tutte in un’unica norma riordinando la materia.

Giustizia: allarme sicurezza, la ricetta dei sindaci in 17 punti

di Stefano Filippi

 

Il Giornale, 10 giugno 2008

 

L’elenco è lungo: 17 punti per migliorare la sicurezza delle città sottoposti al ministro dell’Interno. Questioni concrete, di quelle che toccano la vita quotidiana della gente ma spesso non trovano una soluzione. I muri sporchi, gli ambulanti abusivi, le merci contraffatte, il vandalismo contro beni pubblici, ma anche la prostituzione e più in generale il degrado urbano. Un’ora e mezzo di confronto, a tratti acceso, tra il ministro Roberto Maroni e 21 primi cittadini del Nord Italia che ormai vanno sotto il nome di "Gruppo di Parma": sindaci di tutti gli schieramenti che si radunano periodicamente nella città ducale guidata da Pietro Vignali, il quale ne è il promotore assieme al collega veronese Flavio Tosi.

Dal vertice di ieri non è venuto un "botto", un annuncio clamoroso. È stata piuttosto la conferma che si sta lavorando, che il ministro vuole ascoltare i sindaci e non ci sono ostacoli legati al colore politico. Si entra nel dettaglio dei provvedimenti, si parla di leggi, decreti, regolamenti, ordinanze: questioni magari aride ma inevitabili

I sindaci, per bocca di Vignali, si sono detti "contenti che nel pacchetto sicurezza varato dal governo siano state inserite alcune proposte contenute nella Carta di Parma approvata alcuni mesi fa, in particolare l’allargamento dei nostri poteri". Ma giudicano inadeguato lo strumento messo nelle loro mani: l’ordinanza contingibile e urgente. "Un atto straordinario, unico e soggetto a valanghe di ricorsi", dice Vignali che chiede certezza delle risorse, per esempio escludendo dal patto di stabilità le spese per la sicurezza.

Si è discusso a lungo sulle misure per contrastare la prostituzione in strada. È stato un sindaco di sinistra, il padovano Flavio Zanonato, a muovere contro la legge Merlin, "vecchia e inadeguata": "Nel 1958 dalle case chiuse sono uscite 2.500 prostitute, oggi si stima siano 110mila e il giro d’affari illecito incalcolabile". Ma non c’è una ricetta univoca contro il mercato dei corpi. Maroni ha preso atto, ha annunciato che farà togliere l’emendamento dal decreto legge che oggi comincia l’iter al Senato e inserirà nuove proposte nel disegno di legge: "Sarà una riforma complessiva e non solo repressiva. In generale, sui temi della sicurezza nelle città vogliamo e dobbiamo dare risposte di sistema, non sull’onda emotiva dell’emergenza". Sgomberare con le ruspe e davanti alle telecamere un campo nomadi senza prevedere soluzioni alternative, ha esemplificato, significa soltanto rinviare il problema.

Anche su altri temi il ministro ha promesso correzioni alle norme che andranno in discussione. È stato invece prudente davanti a una delle proposte più dibattute, lanciata dal suo collega di partito Tosi: il fermo di polizia locale per comportamenti contrari alla sicurezza urbana. "Vandali, ubriachi, aggressori, tossicodipendenti - ha spiegato il sindaco di Verona - mettono a rischio la sicurezza sapendo che forze dell’ordine e magistrati spesso hanno altro da fare, e se vengono multati se ne fregano.

Gli atti si ripetono e i cittadini hanno la sensazione che nessuno faccia niente. Allargando il potere di fermo li mettiamo in cella di sicurezza per 24 ore. Se quando escono ci riprovano, finiscono dentro di nuovo". Maroni ha chiesto tempo per riflettere, ma la provocazione è lanciata. I sindaci di centrosinistra, guidati dal modenese Giorgio Pighi, sono decisamente critici.

I 17 punti messi sul tavolo dai sindaci comprendono misure contro i commerci abusivi e l’accattonaggio; strumenti più efficaci per contrastare i vandalismi, i danneggiamenti e l’occupazione di beni o suolo pubblico; maggiore collaborazione con Roma anche con l’accesso alle banche dati (i vigili vogliono sapere subito se per caso fermano un pregiudicato); estensione dei controlli sugli affitti irregolari di case ai clandestini.

 

Ecco le 17 richieste dei Comuni al ministro dell’Interno

 

  1. Maggiore severità nella concessione e nel ritiro delle licenze commerciali.

  2. Possibilità per il sindaco di sgomberare suolo (o un edificio) pubblico occupato abusivamente senza emissione di ordinanze e con l’uso della forza pubblica.

  3. Maggiori poteri per evitare il disturbo della quiete pubblica.

  4. Obbligo di ripristino a carico di chi abbia danneggiato edifici pubblici o commesso atti di vandalismo.

  5. Definire giuridicamente i "fenomeni di degrado urbano" e prevedere pene per i responsabili.

  6. Prevedere come reato contro il patrimonio l’imbrattamento del suolo pubblico.

  7. Sanzione amministrativa contro la prostituzione in luogo pubblico, sia alle prostitute sia ai clienti.

  8. Accorciare i tempi e semplificare le procedure per la confisca e la distruzione delle merci abbandonate dagli ambulanti abusivi.

  9. Prevedere strumenti di autodifesa per la polizia municipale (bastone distanziatore e spray urticante)

  10. Maggiori poteri per l’esecutorietà delle disposizioni comunali.

  11. Possibilità di ordinare forme di "ravvedimento virtuoso" (lavoro gratuito a favore della collettività) a carico di chi non abbia rispettato le norme comunali e non possa pagare la sanzione.

  12. Potere di fermo di polizia per 24 ore per chi tiene comportamenti contrari alla sicurezza urbana (ubriachezza, risse, parcheggiatori abusivi).

  13. Accesso a tutte le banche-dati del ministero dell’Interno.

  14. Possibilità per i sindaci di graduare le sanzioni alle violazioni amministrative (oggi molto basse).

  15. Decadenza del contratto di affitto per chi subaffitti l’immobile a clandestini.

  16. Possibilità di fermo o arresto per chi danneggi edifici pubblici.

  17. Sanzioni più pesanti con possibilità di arresto in flagranza di reato per chi istighi i minori all’accattonaggio.

Giustizia: Rapporto Cgil; Paese insicuro, solidarietà a rischio

di Rosaria Amato

 

La Repubblica, 10 giugno 2008

 

Il "Rapporto sui diritti globali 2008" presentato dalla Cgil segnala il pericolo di involuzione. Precariato, povertà e insicurezza. Al tramonto la società solidaristica. L’indebitamento totale delle famiglie ammonta a 490 miliardi, in forte difficoltà 1 su 5. Il lavoro è sempre più precario e rischioso: i morti sul lavoro superiori a quelli delle guerre in Iraq.

Un lavoratore sempre più marginale, con un salario sempre più striminzito e lontano dalle medie europee e dai picchi straordinari raggiunti dai compensi dei manager. Un sistema ingiusto, all’interno del quale le famiglie s’impoveriscono, s’indebitano senza che s’intravveda "un vero disegno riformatore" nelle politiche di welfare. È l’Italia che emerge dal "Rapporto sui diritti globali 2008", il rapporto annuale sulla globalizzazione e sui diritti nel mondo redatto dall’associazione SocietàINformazione e promosso da Cgil, Arci, ActionAid, Antigone, Cnca, Forum Ambientalista, Gruppo Abele e Legambiente.

"Cresce sempre di più il senso di insicurezza della popolazione, la precarietà del lavoro, la sfiducia nel futuro e la paura di perdere il benessere e la qualità delle proprie condizioni di vita", osserva nel presentare il rapporto il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, denunciando "il rischio di processi involutivi che, oltre a danneggiare il mondo del lavoro in generale, finirebbero per devastare il tessuto connettivo sui cui si è sviluppata la nostra società, impostato su valori solidaristici e universali".

Morti sul lavoro, una guerra a bassa intensità. Quella delle morti sul lavoro, denuncia il curatore del rapporto Sergio Segio, direttore dell’associazione SocietàINformazione ed ex militante di Prima Linea è "una piccola guerra a bassa intensità, nascosta dietro le mura delle fabbriche, tra le impalcature o nei campi". Per quanto riguarda le cifre è però "una grande e infinita guerra, se consideriamo che, nella Seconda guerra mondiale, le perdite militari italiane furono di 135.723 morti e 225.000 feriti, mentre la lunga battaglia nei luoghi di lavoro dal 1951 al 2007 ha prodotto almeno 154.331 morti e ben 66.577.699 feriti". Analoghi i risultati di un confronto rispetto alla Guerra in Iraq: dal 2003 al 2007 hanno perso la vita 4.213 militari della coalizione contro 6.654 morti sul lavoro in Italia nello stesso periodo.

Le morti sul lavoro non sono un caso, sono piuttosto la conseguenza di "una cultura economica e organizzativa" che non ritiene ragionevole una spesa per la sicurezza volta a evitare anche il minimo rischio di incidenti. Si viaggia, ricorda il rapporto, a un ritmo di ben oltre 1000 morti sul lavoro e più di 900.000 infortuni l’anno. E la nuova legge sulla sicurezza (legge n.123/2007 non pone le condizioni per un vero miglioramento, secondo i curatori dell’analisi, dal momento che, "più che sul sistema sicurezza, è intervenuta suo suoi effetti perversi, non modificandone, quindi, le logiche e le strategie di governo".

La povertà "differita". "La povertà è sostanzialmente stabile, le politiche di welfare sembrano non scalfirla", rileva il rapporto, denunciando però un rischio ancora più grave, quello della "povertà prossima ventura", o della "povertà differita". "Così può infatti essere definito - spiega Segio - il fenomeno massiccio del credito al consumo e dell’indebitamento delle famiglie, spesso premessa di fallimenti individuali, vale a dire l’impossibilità di fare fronte alle rate del mutuo della casa e dei tanti debiti contratti". Dal 2001 al 2006 il credito al consumo in Italia è cresciuto dell’85,6%, arrivando ormai a 94 miliardi di euro, mentre l’indebitamento complessivo delle famiglie ammonta a 490 miliardi. Per precipitare nella povertà, ricorda il rapporto, basta poco: nel 2007 secondo uno studio sarebbero 346.069 le famiglie italiane divenute povere a causa delle spese sanitarie sopportate.

Salari sempre più bassi. La principale causa dell’aumento della povertà in Italia è costituita tuttavia dai salari, sempre più bassi e inadeguati rispetto alla crescita dell’inflazione. Le statistiche Ocse, ricorda il rapporto, ci dicono che tra il 2004 e il 2006 le retribuzioni in Italia sono scivolate dal diciannovesimo al ventitreesimo posto, ma nel frattempo "nel 2007 i primi cinque top manager italiani hanno ricevuto compensi per circa 102 milioni di euro, il salario lordo di 5000 operai, peraltro senza alcun vincolo con i risultati dell’impresa e con l’efficacia e produttività del proprio lavoro". Oltre due milioni e mezzo di famiglie "ufficialmente" povere, sette milioni e mezzo di individui. Mentre con un reddito non superiore al 20% della linea di povertà calcolata dall’Istat cerca di sopravvivere l’8,1% dei nuclei. Vale a dire che le famiglie povere e a rischio povertà sono una su cinque. Anche perché, a fronte di salari praticamente fermi, negli ultimi sei anni ogni famiglia ha perso un potere d’acquisto pari a 7700 euro, secondo alcune associazioni dei consumatori.

La "flexicurity" rimane un miraggio. A contribuire alla povertà c’è anche il lavoro precario. Nel 2006, ricorda il rapporto, le assunzioni a tempo determinato hanno superato per la prima volta quelle a tempo indeterminato. Sommando tutti i lavoratori impegnati con contratti precari, o se si vuole flessibili, si arriva, secondo il centro studi Ires, a una cifra compresa tra 3.200.000 e 3.900.000 persone; poco meno quelle che lavorano nel sommerso. "La flessibilità è corrosiva nei confronti del lavoratore - osservano i curatori del rapporto - perché gli istilla ansie, paure e insicurezza, ma lo è anche nei confronti del lavoro, che finisce per perdere qualità". Anche perché la flessibilità italiana è lontanissima dalla flexsecutiry del modello scandinavo: "Il famoso modello danese, il più studiato e forse il più efficace (anche se poi alla prova dei fatti lascia fuori i più fragili) si basa infatti su una serie di variabili necessarie, oltre la semplice formula: investimenti ingenti di risorse pubbliche, ammortizzatori sociali molto estesi, di tipo universalistico, un sistema efficiente di formazione permanente, un uso del lavoro flessibile non ‘al risparmiò ma mirato a obiettivi di sviluppo".

Una paura che fa paura. In una situazione di sempre maggiore povertà e insicurezza la paura dilaga, ma è "una paura che fa paura", osserva Segio: "I dati ci dicono che le paure legate alla sicurezza sono infondate, il tasso di scippi ma anche di omicidi è il più basso degli ultimi trent’anni, eppure l’88% degli italiani pensa che in Italia vi sia più criminalità rispetto a cinque anni fa". La paura porta alla xenofobia, sentimento che può anche far comodo: "Dietro a ogni campagna securitaria - afferma Segio - ci sono sempre appetiti e progetti immobiliari. Così come la geografia degli sgomberi dei campi rom in molte grandi città, a partire da una incattivita Milano, ricalca esattamente le necessità e le tempistiche dei palazzinari, proprietari di vastissime aree".

Giustizia: il Governo Berlusconi e le "promesse boomerang"

di Luigi La Spina

 

La Stampa, 10 giugno 2008

 

La "luna di miele" di Berlusconi con gli italiani rischia di essere troppo dolce. E, come le torte eccessivamente zuccherate, il risultato potrebbe anche disgustare.

E presidente del Consiglio, infatti, dopo una campagna elettorale insolitamente priva di spettacolari promesse, sembra aver puntato tutto sui fatidici 100 giorni, quelli che segnano spesso non solo un primo bilancio del governo, ma danno l’impronta di una intera legislatura. Così, con un ritmo forsennato, si susseguono annunci di provvedimenti a raffica: sulla sicurezza, sull’immigrazione, sui rifiuti, sulle intercettazioni, sull’Alitalia, sugli statali fannulloni e, persino, sulla prostituzione. Un frenetico carosello d’iniziative che vorrebbero rispondere alle due sostanziali attese degli elettori. Quella di un ministero forte, compatto, capace finalmente di decidere. E quella di un ministero che non ha paura di scelte coraggiose, che non si fa intimidire dai conformismi del "politicamente corretto", capace di sfidare i vecchi tabù della sinistra culturale e politica. Insomma, per cominciare a parlar schietto, di un vero governo di destra.

In Italia, nessun presidente del Consiglio, dopo Ricasoli, Sonnino e Salandra, ha mai amato che si definisse così il colore di un suo ministero. Eppure, una normale democrazia funziona con l’alternanza al potere dei due classici schieramenti politici. Ecco perché, per motivi diversi, anche meno nobili, pure una parte degli elettori contrari a Berlusconi, visto sconfitto lo schieramento amico, si è augurata di vedere all’opera "finalmente un governo di destra vera, come quello della Thatcher o di Reagan".

In realtà, Berlusconi si è ispirato a modelli meno obsoleti. Il suo punto di riferimento, lo si è capito subito, è Sarkozy. Quello, per la sicurezza, dell’ex ministro dell’Interno. Quel- lo, per l’economia, del candidato all’Eliseo che invoca "la libertà di poter lavorare quanto si vuole". Quello del trionfatore alle presidenziali che promette l’immediato "aumento del potere d’acquisto" dei francesi.

Il subitaneo favore popolare e mediatico ottenuto con il primo Consiglio dei ministri, a Napoli sull’emergenza rifiuti, ha avuto il risultato di invogliare il "Berlusconi quater" a una moltiplicazione di annunci che rischia di contraddire proprio quei caratteri di solidità, concordia e, soprattutto, di efficacia vantati all’atto della sua nascita. Alle partenze fulminanti, infatti, si susseguono sempre bruschi stop. L’elenco è lungo, per cui si possono citare soltanto i casi più clamorosi.

Si decidono specie di "tribunali speciali" per l’emergenza dei rifiuti in Campania e, poi, si capisce che è difficile sottrarre la questione al "giudice naturale", perché, come ricorda Andreotti a Scalfari nel film Il divo, "il problema è più complesso".

Si minaccia il carcere ai clandestini e, poi, ci si accorge che non ci sarebbero penitenziari sufficienti, si ingolferebbero ancor di più i tribunali e tutto finirebbe come le "gride" di manzoniana memoria. Per l’Alitalia non solo il rischio di fallimento è più vicino, ma forse la soluzione "Air France" era proprio l’unica che poteva evitarlo. Licenziare gli statali fannulloni è un’ottima idea, ma neanche l’attivismo del benemerito Brunetta riesce ad assicurarlo senza infilarsi nel solito tunnel delle trattative sindacali che si sa già come finiscono. Levare le prostitute dalle strade è un proposito che non solo non trova nella maggioranza l’approvazione unanime, ma sembra colpire le vittime invece che gli sfruttatori. Infine, sulle intercettazioni appare subito chiaro come l’intenzione governativa finirebbe per assicurare l’impunità alla maggior parte dei criminali in circolazione, rafforzando peraltro l’idea che si vogliano garantire gli affari illeciti della solita "casta" di politici, amministratori e portaborse dei potenti.

Il risultato della politica degli annunci è sotto gli occhi di tutti: spesso è mancata proprio quella coesione nella maggioranza di cui si voleva dar prova, perché, in molti casi, la Lega si è dissociata dalla coppia Fi-An; c’è uno scarto evidente tra le intenzioni di decisionismo e di concretezza e l’inefficacia pratica dei provvedimenti proclamati; la raffica di iniziative, su argomenti sempre disparati, provoca disorientamento sulle linee essenziali del governo, alla prese ogni giorno con avanzamenti e retromarce incomprensibili.

Certamente il clima di idillio tra Berlusconi e la generale opinione pubblica non è ancora compromesso. Ma spingere il pedale delle attese, moltiplicare le speranze, semplificare problemi complicati facendo credere in soluzioni imminenti può portare a cambi di umore repentini tra gli italiani. Come è avvenuto, peraltro, proprio tra Sarkozy e i francesi. Il presidente d’Oltralpe sta raccogliendo i frutti amari di promesse troppo facili, soprattutto sull’attuale unico banco di prova dei governi europei: i bilanci delle famiglie. Forse sarebbe meglio che Berlusconi si concentrasse su questo grave e fondamentale problema e smorzasse l’eco dei più disparati annunci.

Giustizia: la domanda di sicurezza, tra buonismi e cattivismi

di Geppy Rippa

 

Il Denaro, 10 giugno 2008

 

La questione "rom" è di quelle che portano i nodi al pettine e i fatti che tempo fa sono accaduti a Napoli-Ponticelli (oltre all’affaire "monnezza") ne rappresentano il momento di rivelazione e ne evidenziano lo stato di emergenza che si è determinato, in quanto sul campo nomadi, assaltato e distrutto a furor di popolo è avvenuto il cortocircuito: immigrati (clandestini), disagio popolare, criminalità organizzata. La mancata tutela dell’ordine pubblico scarica le conseguenze sui cittadini più esposti, meno tutelati, più poveri, che sono poi anche quelli dove la malavita trova terreno fertile per innestarsi nel tessuto sociale.

La sensazione è che questo nostro paese si dibatta tra due dimensioni psicologiche che non riescono a trovare il binario su cui instradare l’esercizio delle funzioni pubbliche, con la conseguenza di una continua oscillazione tra buonismo e.... cattivismo, che finiscono con il non portare da nessuna parte. Vi è una pretesa illusione che basti fare una legge per cambiare realtà deformate da inveterate incrostazioni, con tutti i rischi delle....scorciatoie nel rispetto dei principi dello stato di diritto.

Non basta replicare a Zapatero in termini, magari giustamente risentiti, che pensi ai fatti suoi, quando la Spagna nell’enclave di Ceuta ha fatto sparare per fermare immigranti clandestini: perché lo Stato è il legittimo detentore dell’uso della forza e se la forza non la usa lui va a finire che la usano gli altri. Si tratta quindi di vedere come e in quali condizioni la forza è stata usata. Il che non significa che nella fattispecie tale uso non possa essere stato deprecabile. Nuovi reati e inasprimenti delle pene.

Ma come sarà gestita la stretta normativa? Se si tratta di pene previste da norme penali, occorreranno fermi nei casi di flagranza, carcerazioni preventive, processi con tre gradi di giurisdizione e tutto questo per centinaia di migliaia di persone: perché l’immigrato clandestino colpevole di reati è pur sempre un individuo che ha diritto a un giusto processo. Con i tempi della nostra giustizia e con le nostre carceri superintasate.

Altra cosa è ovviamente fermare il clandestino nel momento in cui entra in Italia ovvero farlo uscire dal paese, scaduto il visto turistico, stando ovviamente attenti ai sospetti. E poi ci sono le norme europee per gli intracomunitari e ci sono anche i soldi europei per gli alloggi, che pare non abbiamo neanche utilizzato e forse nemmeno chiesto. Attorno alla questione immigrazione e nel caso di quella clandestina e della sua ipotesi di reato circola una grande confusione, sia concettuale che pratica, é inaccettabile che si pensi che tale reato possa sanzionare una condizione e non un comportamento: é clandestino chi penetra in un luogo senza farlo sapere.

In questo senso, considerare clandestina una badante giunta con visto turistico e poi fermatasi in un Paese oltre il limite del suo permesso, sarebbe improprio. Della badante si conosce l’identità e non si è introdotta di nascosto. In sede di esame del disegno di legge, dovranno essere operate varie distinzioni, perché è impensabile considerare alla pari situazioni totalmente diverse: un conto è una persona provvista di passaporto e un conto chi ne è privo; un conto è lo straniero che passa regolarmente la frontiera e un conto colui che lo fa nel sottofondo di un camion.

Certo, se i termini della discussione restano quelli attuali tutto risulterà confuso e destinato a naufragare negli ideologismi di opposta tendenza, senza pervenire ad alcunché di concreto. La proposta di introdurre un reato di immigrazione clandestina appare però una scorciatoia sbagliata non soltanto sotto il profilo costituzionale, ma anche sotto quello della congruenza al fine. E non a caso su di essa le critiche dell’Unione Europea si sono appuntate. L’immigrazione va certamente controllata, ma proprio questo controllo e le difficoltà pratiche che pone andrebbe rinfacciato all’Unione, grande produttrice di "grida", altrettanto aliena dall’assumersi le responsabilità che ne conseguono.

Proprio perché la gestione dell’immigrazione, come anche quella del diritto di libera circolazione all’interno di uno stato (o di una federazione di stati) presuppone che sia l’Unione a farsi carico dei problemi che essa pone. Altrimenti succede che per chiudere gli occhi dinanzi alla realtà, si incorra poi in guai peggiori. Forse il Consiglio dei Ministri di Napoli ha optato per il disegno di legge in materia di immigrazione (scaricando la patata bollente al Parlamento) proprio per non scontentare la Lega di fronte a un provvedimento che avrebbe potuto minare la concordia di intenti all’interno della stessa maggioranza, che su tematiche di questo genere si trova certamente esposta.

Come del resto ogni governo che deve affrontare situazioni di emergenza (Napoli docet), specialmente se esse sono il derivato di lunghe assenze dei pubblici poteri. La minoranza avrebbe quindi molto terreno per esercitare la sua opposizione costruttiva (e liberale), laddove sembra invece preoccupata di trovarsi in un cul de sac, stretta tra il timore di apparire contraria a misure che reputa indispensabili da un lato e dall’altro di perdere in tal modo la sua anima.

Giustizia: il carcere affonda a causa di "riforme dimenticate"

 

Il Velino, 10 giugno 2008

 

Riforme dimenticate nel campo della giustizia e situazione esplosiva delle carceri. Sono due dei temi affrontati dal Rapporto sui Diritti Globali 2008 presentato da Cgil, Arci, Cnca, Gruppo Abele e Antigone e Forum Ambientalista. Dopo aver ricostruito il conflitto che ha opposto politica e magistratura negli ultimi anni, il Rapporto sottolinea come "in questo aspro e intricato conflitto sono state assorbite le migliori energie politiche e le riforme possibili sono state rinviate".

"Si è registrato - spiega - un progressivo arretramento anche sui temi su cui il programma dell’Unione sembrava aver sancito un accordo. Così, se l’indulto approvato con così largo consenso poteva essere interpretato come un segnale di cambiamento di clima culturale, progressivamente le aspettative sono andate riducendosi. La maggioranza spaventata dalle polemiche e incapace di trovare una sintesi tra le esigenze securitarie e la costruzione di nuove politiche penali libere dalle logiche dell’emergenza si è progressivamente arenata. Per quanto riguarda il mondo penitenziario l’indulto ha consentito una vera e propria boccata di ossigeno. Ma la crisi è, ora come ora, in assenza di riforme, solo spostata. E le recenti dinamiche sembrano indicare che ben presto torneremo ai livelli di emergenza del 2005".

"Un solo dato - osserva il Rapporto sui Diritti Globali -: se nel dicembre 2007 i detenuti erano circa 48 mila, nei primi mesi del 2008 hanno superato le 50 mila unità. Ci avviamo quindi, molto rapidamente, a superare la capienza tollerabile. A questo, a prescindere dalla mancata riforma del codice penale, va forse aggiunto il fatto che è mancata una complessiva strategia di rilancio e modernizzazione del sistema penitenziario.

Anche la decisione di inserire la polizia penitenziaria negli Uffici di esecuzione penale esterna non sembra dettata tanto da scelte di fondo ma da equilibri raggiunti con i sindacati di polizia penitenziaria. Unico punto di rilievo è il passaggio della sanità penitenziaria al Sistema sanitario nazionale. Questo passaggio di competenze potrebbe contribuire alla risoluzione anche del problema degli ospedali psichiatrici giudiziari, ultimo residuo manicomiale del nostro paese.

Non si sono invece risolte, e a volte nemmeno affrontate, le altre questioni all’ordine del giorno: l’approvazione del nuovo codice penale, l’introduzione del reato di tortura, l’abolizione dell’ergastolo, l’incompatibilità delle donne con figli piccoli e il carcere, l’abrogazione delle normative sull’immigrazione (Bossi-Fini) e dei Cpt, l’abrogazione della legislazione in tema di stupefacenti (Fini-Giovanardi), l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti di Genova e del G8, l’introduzione del Garante delle persone detenute".

Giustizia: i dirigenti carcerari preoccupati per scelte Governo

 

Comunicato stampa, 10 maggio 2008

 

I dirigenti penitenziari esprimono forte preoccupazione per le scelte che il Governo sta assumendo sul tema della sicurezza e dell’immigrazione clandestina.

I direttori degli istituti penitenziari, degli Uffici di esecuzione penale esterna, degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, riunitisi a Roma in una assemblea nazionale organizzata dalla Fp Cgil, hanno denunciato la grave situazione di sovraffollamento che già si riscontra in alcune fra le più significative realtà penitenziarie del Paese.

L’inarrestabile trend di nuovi ingressi nel sistema carcerario (circa mille unità al mese), l’ampliamento del ricorso alla pena detentiva che l’Esecutivo ha deciso nei suoi primi atti di governo, i devastanti effetti che il Ddl sull’immigrazione clandestina avrà sul sistema penitenziario prefigurano un percorso molto pericoloso per la tenuta dell’intero sistema carcerario e per il Paese stesso.

Fra qualche mese le carceri scoppieranno letteralmente e sarà impossibile governarle nel rispetto delle finalità che la Costituzione affida alla pena; a nulla serviranno allora le ripetute dichiarazioni di esponenti del Governo che offrono come soluzione a questo scenario ormai scontato la costruzione di nuove carceri (tutte ancora da finanziarie, da progettare)

Il Governo, quindi, rifletta attentamente sugli effetti che avranno le scelte che si stanno assumendo e provi a orientare diversamente la propria azione, a cominciare dalla riforma del codice penale ormai non più rinviabile: ricorso al carcere solo per i reati più gravi e di maggior allarme sociale, investimenti per le attività di recupero e di reinserimento quali veri e propri fattori di produzione di sicurezza, e ricorso a misure penali diverse dal carcere; sono queste le soluzioni che necessiterebbero.

Vi è infine una grande questione che riguarda già ora l’esigibilità dei diritti del lavoro di chi opera nelle carceri con responsabilità di governo.

Circa 500 dirigenti penitenziari operano da tre anni senza contratto di lavoro, senza un sistema di diritti e di tutele professionali, senza il riconoscimento dei livelli di responsabilità che quotidianamente vengono esercitati.

I Ministri Alfano e Brunetta devono aprire al più presto un confronto con le rappresentanze della dirigenza affinché innanzitutto venga garantita la piena titolarità nell’esercizio delle funzioni ad ogni singolo dirigente (vi sono ancora molti istituti penitenziari privi di direttore titolare e, al contrario, realtà amministrative più che adeguatamente provviste di unità dirigenziali) e per giungere al più presto alla sottoscrizione di un accordo contrattuale che riconosca finalmente il valore e la delicatezza delle funzioni esercitate dal direttore di un carcere o di un ufficio di esecuzione penale esterna.

 

Cgil Dirigenza Penitenziaria

Giustizia: Cgil; subito un piano straordinario per il carcere

 

Comunicato stampa, 10 giugno 2008

 

Altro che costruire solo nuove carceri, pronte fra dieci anni, occorrono subito misure di contrasto al sovraffollamento degli istituti di pena e forti investimenti per dotare il sistema delle risorse economiche e umane essenziali!

Il complesso delle misure inserite nel pacchetto sicurezza renderà presto invivibili gli attuali istituti penitenziari italiani, resi per lo più inadatti a garantire alle persone temporaneamente private della libertà personale un regime di vita tollerabile e la funzione rieducativa della pena a cui faceva pubblicamente, e giustamente, riferimento il nuovo Ministro della Giustizia Alfano.

Sono quasi 54 mila oggi, a fronte di una capienza di circa 43 mila posti, le persone detenute nelle 207 vecchie carceri, con un significativo trend di crescita mensile stimato in mille nuove ingressi al mese che entro l’anno condurrà il sistema penitenziario al collasso, ovvero a contenere quelle 60 mila presenze che indussero il Parlamento, non più tardi di due anni fa, ad affidare all’indulto la soluzione del sovraffollamento. Un Cpt per ogni regione certo non basterà a contenere le circa 600 mila persone clandestine stimate, e allora a quali provvedimenti o altre strutture ricorrerà il Governo per rendere operativo il provvedimento concepito e garantire un trattamento umano e dignitoso alle persone trattenute?

C’è bisogno di una riforma completa e non più ulteriormente procrastinabile dei codici, occorre implementare il ricorso alle misure alternative alla detenzione, servono investimenti economici in grado di rendere vivibili, sicuri e funzionali gli istituti di pena anche per il mondo del lavoro in carcere, dotare il sistema dei mezzi e delle risorse umane essenziali, delle diverse professionalità penitenziarie e della Polizia penitenziaria. Dovrà, in particolare, essere incrementato l’organico di quest’ultima di alcune migliaia di unità per garantire la sicurezza delle strutture e dei numerosi servizi affidati, assicurare il miglioramento delle attuali, pessime condizioni di lavoro degli operatori e la piena esigibilità dei loro diritti.

Argomenti che vorremmo presto discutere con il Ministro della Giustizia Alfano, al quale chiediamo di convocarci quanto prima, come ha già fatto il suo collega Maroni con le OO.SS. della Polizia di Stato, e al quale chiederemo anche le ragioni dell’inopinata ed inaccettabile esclusione del personale del Comparto Sicurezza dalla detassazione degli straordinari, come noto parte integrante del lavoro quotidiano dei poliziotti penitenziari, da anni peraltro pagati molto meno del lavoro ordinario e tuttora in attesa di definizione nell’ambito della coda contrattuale.

 

Cgil Comparto Sicurezza

Giustizia: Cisl; situazione carceraria, un’emergenza nazionale

 

Comunicato Stampa, 10 giugno 2008

 

Lettera al Ministro della Giustizia. Preg.mo Ministro Alfano, sicuramente è stato informato dei contenuti dell’intervento del Pres. Ferrara, Capo del Dap, alle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato, dove il quadro che emerge per il settore penitenziario è sostanzialmente drammatico.

La Cisl per propria abitudine ha sempre offerto ai suoi predecessori una leale collaborazione, un serio livello di confronto che puntasse al merito delle questioni ed alla soluzione dei problemi.

Da anni - On. Ministro Alfano - stiamo informando ed avvertendo la politica sulla gravissima situazione del sistema carcerario italiano e di come difficilmente siano compatibili le varie idee di riforma della Pubblica Amministrazione con un settore così strategico per la risposta che i cittadini attendono, sia di sicurezza che di carattere sociale e correttivo dei comportamenti umani sbagliati. Ma le strutture sono inadeguate, le risorse economiche largamente insufficienti, le dotazioni di personale in servizio numericamente carenti e gestite spesso con diffusa insoddisfazione professionale ed economico retributiva.

Tutti parlano del sistema penitenziario, anche attraverso i mass-media, in modo spesso improvvisato e senza conoscere realmente la reale situazione vissuta. Pochi sanno che siamo quasi giunti ad un livello di intollerabile sovraffollamento delle strutture con oltre 55.000 detenuti ospitati nei penitenziari (sia tra la popolazione adulta che tra i minorenni) ed altrettante persone condannate all’espiazione di pene alternative alla detenzione in carcere: insomma oltre 110.000 persone da controllare, da vigilare, ed ai quali assicurare il mantenimento dei diritti costituzionalmente previsti.

Non bastasse questo si deve tener conto che i detenuti aumentano al ritmo di circa 1000 al mese, e se le norme introdotte in questi giorni con il "Pacchetto Sicurezza" non vedranno realizzarsi accordi bilaterali con i Paesi Stranieri riguardo alle espulsioni,la situazione andrà al collasso totale in pochi mesi.

A questo si aggiungono le condizioni delle strutture penitenziarie, che cadono letteralmente a pezzi, in edifici medioevali (il 20% risalgono al periodo tra il 1200 ed il 1500, il 60% tra il 1600 ed il 1800, mentre solo il 20% degli Istituti risalgono all’ultimo secolo) e finanziamenti pubblici che negli ultimi 7 anni si sono ridotti del 50%, passando dai circa 55 milioni di euro della Finanziaria 2000 allo stanziamento di 28 milioni circa del 2007.

Si deve poi tener conto che il 60% dei detenuti sono in attesa di giudizio; l’elevato aumento dei processi penali, oltre che a determinare vari problemi ai cittadini, fa lievitare il numero di coloro che rimangono in custodia cautelare - magari inutilmente - e costringendo lo Stato (tramite l’Amministrazione Penitenziaria) ad organizzare un enorme mole di attività dei Nuclei Traduzioni e Piantonamenti della Polizia Penitenziaria, oltre a garantire nella fase di detenzione ogni diritto costituzionale alla persona.

Insomma la situazione non mostra segnali positivi per questo settore dello Stato. Tutti invocano Sicurezza, e l’Opinione Pubblica invita (stimolata anche da molti esponenti politici) a mandare tutti nelle Patrie Galere. Ma per fare questo bisognerebbe costruirne di nuove e soprattutto si devono rendere pienamente utilizzabili quelle già esistenti.

Forse spetta proprio a Lei Ministro Alfano spiegare quali sono le difficoltà a praticare quel tipo di politica, che il sistema Giustizia - nel suo complesso - se lasciato in queste condizioni è al collasso! Anche sulla politica delle pene alternative al carcere non si registra nessuna novità, anzi gli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna hanno problemi anche maggiori di quelli che non hanno gli Istituti, relativamente al poter assicurare il mandato istituzionale affidatogli.

Ministro Alfano, c’è tanto da fare, veramente tanto. Il blocco delle assunzioni nel Pubblico Impiego ha visto entrare, con interventi straordinari, un numero di operatori (di polizia penitenziaria e del comparto ministeri) neanche capace di recuperare il turnover per i pensionamenti. Tutto il personale mostra segni di insofferenza perché è troppi anni che è esposto a sacrifici e carichi di lavoro eccessivi. Ecco perché sono incomprensibili le dichiarazioni che vedono assoggettare tutti i lavoratori della Pubblica Amministrazione allo stesso modo. Potremmo farle mille esempi di come lo Stato, il sistema penitenziario italiano, abbia potuto assicurale le attività essenzialmente per lo spirito di sacrificio e di appartenenza che lega queste migliaia di persone in un vincolo morale tra loro.

A Lei Ministro il compito di restituire ottimismo, ed in alcuni casi anche dignità, al lavoro di questo Personale che spesso, in nome del giuramento fatto alle Istituzioni, sacrifica attese personali e delle proprie famiglie, dei loro affetti più cari, per assolvere a ciò che lo Stato richiede. Forse questo al Suo collega del Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione sfugge, non riteniamo per "malafede" ma perché nessuno ha voluto spendersi per questi "Servitori dello Stato", dei quali ci si ricorda - purtroppo - solo quando si partecipa come anche Lei ha fatto nei giorni scorsi per la commemorazione della Strage di Capaci.

 

Cisl Comparto Sicurezza

Giustizia: medici carcere; "tutti in galera" non è la soluzione

 

Comunicato stampa, 10 maggio 2008

 

Da più parti ormai si chiede maggiore severità, certezza della pena, aumento delle sanzioni. I cittadini hanno paura. Il tema della Sicurezza è oramai argomento quotidiano. Non passa giorno che non si sente qualche notizia su stupri, rapine, aggressioni. In effetti, in Italia negli ultimi anni sono diminuiti gli omicidi ma risultano in crescita tutti gli altri crimini. Che fare? Aumentare i controlli, inasprire le pene, monitorare le immigrazioni. Ma alla fine il grido unanime è: in galera!

Possiamo anche essere d’accordo ma ci si dimentica che le prigioni non hanno pareti elastiche, non si gonfiano a dismisura a seconda dei nuovi arrivi. La gente non si cura di queste cose, forse non sa neppure che esiste un problema di sovraffollamento delle carceri. Mettere tutti in prigione senza curarsi del resto è come buttare la polvere sotto il tappeto credendo così di aver fatto pulizia. Anche perché non è che le carceri sono luoghi deserti dove il detenuto viene dimenticato e chi si è visto si è visto.

Il malessere del carcere non è una meritevole punizione che casca sulle teste dei criminali. A parte i detenuti - che secondo alcuni se la sono cercata - il disagio alla fine ricade poi su chi nelle carceri è lì per lavorare. Già per natura il carcere: è un luogo che affligge. Renderlo ancora più difficile per chi onestamente svolge le sue mansioni non è affatto giusto. Anche se noi che operiamo in queste tristi strutture abbiamo sviluppato uno stomaco forte questo non vuol dire che accettiamo di tutto.

Non siamo reietti della società messi lì per svolgere il lavoro sporco. Per cui quando si invoca una maggiore severità si deve anche tener conto su chi questa severità va a compattare. Molte strutture sono vecchie, per non dire fatiscenti. Le celle, già di per sé piccole, vengono arrangiate con letti a castello per ospitare più persone. Queste condizioni possono mandare in brodo di giuggiole chi avendo una visione severa della Giustizia reputa che i detenuti se lo meritano. Ma non è così semplice. La mancanza di spazio associata alla mancanza di libertà può provocare tensioni esplosive che mai finiranno sulle pagine dei giornali ma nelle infermerie dei penitenziari di certo sì.

Le carceri sono luoghi dove occorre sviluppare un grande senso della diplomazia, ogni cosa viene mediata da trattative. Tutto il mondo è così, ma nel carcere è una vera peculiarità. È molto più stressante contrattare che curare. Eppure tante volte è quello che dobbiamo fare perché i fondi sono quelli che sono. Richiedere risorse in questo contesto attuale vuol dire esporsi a rischio linciaggio. Però una soluzione va trovata. Se già oggi è difficile differire una cura perché mancano i soldi per le medicine o gli specialisti per cui ti arrangi fin dove puoi - mediando, per l’appunto - cosa sarà domani quando le galere deborderanno?

Il solo pensarci fa venire i brividi. Investire sulla sicurezza non può non tener conto dove questi problemi vanno poi a sedimentare. Il tanto criticato indulto ha comunque risolto temporaneamente un problema che stava oramai esplodendo come un bubbone. Se di indulti non si vuol più parlare qualche altra maniera va trovata. Insomma, risolvere il problema gonfiando le carceri, quindi caricare di ulteriore mole di lavoro gli operatori penitenziari, non è accettabile. Per noi medici poi la questione è ancora più delicata.

Forse un fenomeno non ancora del tutto studiato è la percezione del proprio corpo in un ambiente coatto. È difficile a volte stabilire se un sintomo è di natura organica o psicologica. In ogni caso è arduo lavorare in un sistema che si depaupera sempre più di risorse ma per contro si infoltisce continuativamente di nuovi arrivi. È come remare controcorrente e non arrivare mai perché come vedi la riva c’è una continua alta marea che te l’allontana.

Anche noi siamo per la tutela della Società ma non vogliamo essere quelli che pagano il prezzo maggiore o addirittura l’unico. Per cui quando si parla di Sicurezza si devono affrontare anche le nostre tematiche. È questo ciò che chiediamo.

 

Amapi - Associazione Medici Penitenziari Italiani

Giustizia: sul tema intercettazioni il Governo già "in panne"

 

Italia Oggi, 10 giugno 2008

 

Divide la stessa maggioranza il disegno di legge anti-intercettazioni annunciato dal presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, sabato al convegno di Santa Margherita ligure dei giovani di Confindustria. Quello che voleva essere un annuncio spot e che già non sembrava aver entusiasmato la platea, allora rischia di trasformarsi nella prima buccia di banana nella luna di miele con gli elettori. Ieri, sia pure, con toni più cauti, è stato lo stesso ministro della giustizia, Angelino Alfano, a confermare la predisposizione di un disegno di legge da portare in consiglio dei ministri venerdì. Secondo Alfano, tutti o quasi gli italiani oggi verrebbero intercettati. Ma i dati ufficiali dicono altro.

Secondo lo stesso ministero di via Arenula è vero che nel 2007 sono state disposte intercettazioni legali nei confronti di quasi 125 mila soggetti (non milioni di italiani, dunque), ma è altrettanto vero che per la prima volta da anni questa voce di spesa ministeriale è diminuita. Non sembrava dunque una emergenza particolare, e le polemiche subito nate sull’annuncio fatto da Berlusconi indicano come a una decina di giorni dal varo del provvedimento più importante del governo, e cioè la legge di bilancio, il Dpef e gran parte della finanziaria, fosse poco utile buttare sul percorso una buccia di banana del genere. Certo, la proposta del premier sui 5 anni di galera per tutti sembra più la sceneggiatura di uno spot elettorale che la base seria per affrontare un problema che certamente esiste. Sceneggiate nel contro-spot anche le reazioni indignate di magistrati, giornalisti e buona parte del centrosinistra, visto che si tratta di un disegno di legge che avrà tutto il tempo per essere discusso e anche radicalmente modificato in parlamento.

Non incombe dunque nessun dramma per la libertà di stampa o di indagine. Ma un po’ di praticità non guasterebbe in questi giorni, perché non sarà con gli spot o sventolando bandiere ideologiche dall’una e dall’altra parte che si potrà trovare la soluzione dei problemi.

Si metta insieme, ad esempio, la raffica di proposte sull’immigrazione e la sicurezza con il disegno di legge sulle intercettazioni. L’idea è quella di costringere forze di polizia e magistrati a un superlavoro sui clandestini, innescando circa 700 mila arresti immediati (quanti sono i clandestini stimati oggi sul territorio italiano) e lo stesso numero di processi in tre gradi di giudizio. Stesso trattamento, e altro superlavoro per forze dell’ordine e tribunali, per la prostituzione nel caso si introduca il reato di adescamento.

Di fatto tutto il sistema sicurezza, i tribunali italiani e perfino le carceri dovrebbero essere impegnati su questo duplice fronte. Non ce la farebbero di sicuro, ma anche ipotizzando un estremo sforzo, nessun altro tipo di reato potrebbe più essere perseguito. Per chiudere ogni possibilità residua, si toglierebbe alla magistratura anche uno strumento di semplificazione delle indagini come le intercettazioni. Ci saranno stati abusi nel loro utilizzo, è vero. Ma negare per questo l’utilizzo di una tecnica avanzata di indagine è come impedire alla polizia di utilizzare le volanti perché qualche agente si diverte ogni tanto a lanciarle in pista a Imola o le usa come privatissima alcova. E perché non vietare i computer, visto che nelle pause del lavoro vengono illecitamente utilizzati per fare i giochini o collegarsi ai siti a luci rosse? E i telefoni cellulari?

Se il problema sono le intercettazioni illegali, si punisca chi le utilizza al di fuori della legge. Se il tema è la riservatezza del loro contenuto, la si blindi. C’è un modo semplice che risolverebbe tutto: stabilire che una intercettazione telefonica non possa essere mai fonte di prova processuale, ma strumento e indizio utile alle indagini. Con le intercettazioni si può intuire una pista, che poi deve essere verificata e accompagnata da riscontri probatori. Pubblicarla non avrebbe senso, perché non sarebbe documento utilizzabile.

Gli intercettati avrebbero il diritto a legislazione vigente di procedere per diffamazione e di chiedere i danni in sede civile in caso di divulgazione di quei testi. Senza seguire strade suggestive, ma certamente impraticabili.

Giustizia: Alfano; nessuno vuole arginare azione magistrati

 

Adnkronos, 10 giugno 2008

 

"Nessuno vuole arginare l’azione della magistratura o comprimere le indagini e il codice vigente in materia dice quasi tutto se non tutto, prevede e punisce già da oggi il reato cosiddetto di fuga di notizie", ma "purtroppo non è stato sanzionato quasi niente quando, sovente, il codice è stato platealmente violato". Lo ha affermato il ministro della Giustizia Angelino Alfano, a proposito della questione della disciplina delle intercettazioni telefoniche, intervenendo in commissione Giustizia della Camera per un’audizione.

Il Guardasigilli, ricordando che in Italia "oltre centomila persone nel corso di un anno vengono intercettate", considerando il numero di telefonate giornaliere, di soggetti contattati e di giorni a cui si è sottoposti a controllo, ha sottolineato che si può "empiricamente dire" che "c’è intercettata una grandissima parte del nostro Paese". Inoltre, ha detto ancora il Guardasigilli, la spesa per le intercettazioni "è in continua crescita" con un sistema "molto costoso e irrazionale. Il nostro governo - ha quindi annunciato il ministro - presenterà una proposta alle Camere e siamo fiduciosi sul fatto che, al di là del dibattito che si è sviluppato sui giornali, anche in questa materia si possa venire a capo di una vicenda in modo assolutamente responsabile, dove per responsabile intendo l’approccio di chi ritiene che il problema esista e vada risolto e che poi, in riferimento alle varie possibilità di soluzione, ci si debba confrontare nel merito in modo assolutamente costruttivo per il bene del Paese".

Alfano ha ricordato che nel programma elettorale del centrodestra erano previsti "la limitazione dell’uso delle intercettazioni telefoniche e ambientali al contrasto dei reati più gravi; il divieto della diffusione e della pubblicazione con pesanti sanzioni a carico di tutti coloro che concorrono alla diffusione e pubblicazione. Questo è il nostro programma, nessuno vuole arginare l’azione della magistratura o comprimere le indagini".

Il ministro ha quindi lamentato che attualmente, di fronte al già previsto il reato di fuga di notizie, "i tribunali italiani" non sono "titolari di casistiche giudiziarie che ci possano dire che tale reato, per il quale innumerevoli fascicoli sono stati aperti nel corso degli anni, abbia avuto la sua efficacia con condanne rinvenibili".

Il Guardasigilli ha poi evidenziato che per la Corte europea dei diritti dell’uomo "sono requisiti essenziali per garantire un’adeguata protezione del diritto alla privacy la definizione delle persone assoggettabili ad intercettazione; la natura dei reati che vi possono dare luogo; la fissazione di un termine massimo per la durata delle intercettazioni; una disciplina ad hoc per garantire la privacy degli interlocutori che siano casualmente attinti dalle intercettazioni senza avere alcun collegamento con l’oggetto delle indagini".

E partendo da quest’ultimo aspetto, Alfano ha voluto soffermarsi su una considerazione "empirica e scarsamente scientifica. In Italia oltre centomila persone nel corso di un anno vengono intercettate, negli Stati Uniti sono 1.700, in Svizzera 2.300, in Olanda 3.700, in Gran Bretagna 5.500, in Francia 20.000. Se ciascuno degli intercettati italiani fa trenta telefonate al giorno fa tre milioni. Dando per assunto che ogni uomo non parla ogni giorno con le stesse trenta persone e moltiplicando tutto ciò per un numero imprecisato di giorni in cui il soggetto viene intercettato, arriviamo a tre milioni di soggetti al giorno moltiplicati per il numero dei giorni per cui il soggetto patisce l’intercettazione. E partendo dal presupposto che non sono ogni giorno le stesse tre milioni di telefonate che vengono intercettate, probabilmente c’è intercettata una grandissima parte del nostro Paese. Ritengo che sia una considerazione non scientifica, perché non sono l’Istat, ma empiricamente valida".

Alfano ha quindi affrontato il tema dei costi: "la spesa riguardante le intercettazioni è in continua crescita e ha avuto un incremento di circa il 50% dal 2003 al 2006". Inoltre "l’attuale sistema, in base al quale ciascun ufficio di Procura procede autonomamente al noleggio degli apparati e alla contrattazione del prezzo, si è rivelato molto costoso ed irrazionale, dato che la varie Procure hanno stipulato contratti a prezzi molto differenti ciascuna dall’altra. Per cui abbiamo bersagli che costano X da parte di una Procura ed altri che costano X al cubo da parte di altre Procure".

Un tema "concreto", ha rivendicato il ministro, ricordando che l’ultima Finanziaria approvata dal governo di centrosinistra "prevede che sia istituito il sistema unico delle intercettazioni su base distrettuale e che siano emanati i decreti in materia di canone annuo e di recupero forfettario delle spese di giustizia relative alle intercettazioni".

In conclusione il Guardasigilli ha ricordato che ci sono "due testi di riferimento e un programma che sta a monte per quanto ci riguarda: il testo del governo Prodi" che prevedeva "un fortissimo limite alle intercettazioni e un controllo severo della Corte dei Conti"; e il testo del precedente governo Berlusconi. Due proposte che "non divergono radicalmente".

Giustizia: don Ciotti; lotta alle mafie, battaglia per l’Europa

di Gianni Rossi

 

Aprile on-line, 10 giugno 2008

 

L’associazione Libera ha organizzato tre giorni di dibattito a Bruxelles per creare una rete paneuropea e mediterranea che si chiamerà Flare e che ha come scopo il contrasto alla criminalità organizzata. Molti i giovani che hanno partecipato da tutto il Vecchio Continente. Ne abbiamo parlato con il promotore: don Luigi Ciotti

C’è un’Europa giovane, idealista, ma anche pratica e senza preconcetti che vuole dare battaglia contro la "mala pianta" delle mafie. Oltre 300 persone di 30 paesi, soprattutto giovani, si sono ritrovate nelle aule del Parlamento di Bruxelles, e continueranno fino a martedì 10 giugno, per discutere dei pericoli delle tante mafie nazionali, di come contrastare la piovra della criminalità organizzata, che in molti stati dell’Europa e della riva mediterranea ormai ha contaminato la vita politica e sociale.

Organizzata da Libera di Don Ciotti questa "tre giorni" serve a lanciare la rete di "sopravvivenza e lotta civile" che è stata ribattezzata Flare, ovvero: freedom, legacy and rights in Europe, cioè libertà, legalità e diritti in Europa. Rappresentanti di associazioni della società civile che da anni si battono contro i crimini delle tante mafie nei 27 paesi dell’Unione Europea, ma anche della Russia, Giordania, Turchia, Egitto e Libano. Tanti ragazzi delle università, oltre a rappresentanti di associazioni dei familiari delle vittime, magistrati in prima linea nella dura lotta alle mafie, parlamentari europei e nazionali, studiosi del fenomeno, per un summit che trova l’appoggio di personalità come il Presidente del Parlamento Poettering ("sostengo il vostro impegno a nome della nostra assemblea contro gli eco-crimini, la tratta degli esseri umani e le nuove mafie mondiali"), e del ministro degli Esteri italiano, Frattini ("il mio è un sostegno convinto ad una iniziativa che vuole dare una risposta transnazionale contro questa minaccia"). Ne abbiamo parlato con Don Ciotti, animatore di questo incontro internazionale.

 

Cosa vi aspettate dall’Europa con questo vertice internazionale?

Bruxelles alimenta la speranza, dimostrandosi una grande nemica della mafia e dell’illegalità, perché tutte le forme di mafia e illegalità sono nemiche del cambiamento, inquinano i comportamenti della gente, i processi dello sviluppo economico e civile. Certo, il nostro è un percorso lungo, che abbiamo iniziato 10 anni fa proprio qui a Bruxelles. Da una parte ci troviamo di fronte alla globalizzazione delle mafie economiche e dall’altra dobbiamo opporre la globalizzazione dell’impegno della gente, di una società e di tante persone che vogliono sentirsi responsabili. Occorreva, quindi, creare una rete europea con l’obiettivo internazionale, come è appunto il Flare, perché le mafie hanno le loro interconnessioni: ad esempio la ‘ndrangheta calabrese gestisce il traffico della cocaina nel Nord Europa, mentre quella russa è arrivata perfino dentro la finanza della City di Londra. Ci vuole, insomma, una consapevolezza internazionale, quantomeno europea.

 

In apertura dei lavori, lei ha ricordato anche le ultime vittime di mafia e camorra…

Ho voluto rendere onore all’imprenditore assassinato dalla camorra, al bambino ferito gravemente e ridotto in fin di vita durante un conflitto a fuoco della ‘ndrangheta per un regolamento di conti, e al giovane tenente dei carabinieri ucciso da una banda di malviventi a Pagani, venerdì scorso. Io lo conoscevo Marco Pittoni: operava in un contesto difficilissimo. Avevo parlato con lui ed oggi avrei tanto voluto essere vicino alla sua famiglia, durante i funerali nel Sulcis, in Sardegna. Ma credo che anche la mia presenza qui sia un modo concreto di mostrare la nostra vicinanza ai servitori dello Stato e alle vittime delle mafie, come i tanti morti disperati che cercano di emigrare clandestinamente verso il nostro paese.

 

A proposito di emigrazione clandestina, si parla tanto di emergenza criminalità e il governo vorrebbe contrastarla con leggi severe, al limite della legalità secondo l’Associazione nazionale magistrati...

Tutte le proposte contro l’emergenza criminalità non devono colpire gli anelli più deboli, fragili, le vittime. Occorre contrastare la tratta delle prostitute e non le donne che si prostituiscono, così come bisogna combattere chi gestisce e chi copre il traffico della droga. Dobbiamo sradicare il grande traffico che esiste dietro questi atti criminali e lottare contro chi tiene le fila delle grandi organizzazioni. Ma se si vuole colpire essenzialmente i clandestini, allora questa non è la strada giusta.

Dobbiamo, insomma, saper vivere le nostre libertà, la sicurezza in relazione agli altri, non a scapito degli altri. In nome della sicurezza, invece, si rischia di far pagare così i più deboli.

Ci sono molti ragazzi in questa aula del Parlamento europeo che cercano di stringere rapporti con i loro coetanei per difendere anche i loro diritti civili in paesi come la Russia o in quelli arabi, dove è persino difficile esprimere le proprie opinioni. È bello vedere tanti giovani che riflettono, studiano e approfondiscono questi temi e cercano di conoscersi. Su di loro si basa la speranza di creare una nuova forza generatrice.

Dobbiamo essere capaci di vivere le nostre libertà, di difendere i diritti in nome degli altri, mentre si cerca di criminalizzare clandestini e donne sfruttate in nome di un’ipotetica emergenza. Bisogna invece resistere e resistere! Questa è una parola attiva, che significa stare insieme, essere presenti, superare la tentazione di dire basta! Bisogna camminare insieme sui sentieri di giustizia, diritti e libertà di tutti. La speranza ha bisogno di noi!

Giustizia: Sappe; Alfano confermi Ettore Ferrara capo Dap

 

Comunicato stampa, 10 giugno 2008

 

Auspichiamo che per quanto concerne il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria il Ministro della Giustizia Angelino Alfano sia orientato a confermare quale Capo Dipartimento Ettore Ferrara, con il quale sono state messe in cantiere diverse importanti e strutturali riforme che riguardano il Corpo di Polizia Penitenziaria. Mi riferisco, in particolare, ai progetti che prevedono l’affidamento al Corpo dei controlli sulle misure alternative alla detenzione e sull’esecuzione penale esterna, le riforme del Gruppo Operativo Mobile e dell’Ufficio per la Sicurezza Personale e per la Vigilanza (U.S.P.E.V.) oltre ad una serie di interventi mirati per quanto concerne il potenziamento degli organici del Corpo. Sarebbe davvero un peccato perdere un interlocutore che si è dimostrato serio, affidabile e altamente qualificato. La nostra posizione, per altro, è che ai vertici del Dipartimento sia confermata la titolarità ad un magistrato, che garantisce certamente il principio della terzietà rispetto alle aspettative dei dirigenti provenienti dai ruoli della nostra amministrazione.

È l’auspicio di Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria.

Il Presidente Ferrara prosegue Capece ha soddisfatto, per ora, le nostre aspettative. Molto c’è da fare per gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria e per il sistema carcere in Italia e ovviamente molte sono le nostre aspettative verso il presidente Ferrara. Non sono infatti stati ancora programmati dal Governo quegli interventi strutturali per il sistema carcere, chiesti anche dal Capo dello Stato Napolitano, necessari per un sistema - quale quello penitenziario - che è ad un passo dell’emergenza nonostante il provvedimento di indulto. ‘È davvero necessario ‘ripensarè il carcere, ma bisogna farlo in fretta. Noi lo sosteniamo da tempo e sappiamo di avere sulla stessa sintonia di pensiero anche il Capo del Dap Ferrara.

Calabria: sottoscritto un "Patto penitenziario" per la Locride

 

Quotidiano di Calabria, 10 giugno 2008

 

Cinque partner istituzionali per una sfida del cambiamento. Pagheranno il conto con la giustizia ed impareranno un lavoro, il reinserimento sociale dei detenuti di Locri sarà più facile dopo la firma del protocollo d’intesa "Accordo di parte-nariato Patto penitenziario permanente per la Locride". Un detenuto su quattro già lavora, e le opportunità si moltiplicheranno appena andrà a regime il nuovo progetto.

"Potranno imparare un mestiere da spendere all’esterno" spiega Paolo Quattrone, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria. Chi farà il falegname, chi il fabbro, o l’idraulico o il tecnico radio-tv: quattro antichi mestieri, forse troppo facilmente messi nel dimenticatoio, che potranno costituire il modo di rientrare nella società onestamente.

"I primi esperimenti lavorativi sono già partiti con opere di pulizia nel viale delle carceri, cura dell’arredo urbano e degli spazi verdi" sottolinea il sindaco di Locri, Francesco Macrì. Anche la Provincia di Reggio Calabria tra gli attori istituzionali. "Alla sinergia crediamo e facciamo affidamento per portare a termine questo Patto" chiosa l’assessore Attilio Tucci. Opera nel presente ma è gii proiettata nel futuro la Fondazione Schirripa" che ha donato degli immobili per portare avanti il Progetto, il presidente Pietro Schirripa rinnova la personale formula per ridisegnare il volto della Locride: "Legalità e qualità. Penso già alla splendida villa donata dalla Fondazione che può essere trasformata in un centro enogastrono-mico di eccellenza. Quindi lavoro, quindi valorizzazione dei prodotti tipici locali, dal maialino nero ai vini".

Cambiare si può, una frase di padre Giancarlo Brigantini divenuta slogan operativo di chi nella Locride vuole vestire i panni della laboriosità, della legalità e trasparenza. Ne è certo più di ogni altro il prefetto di Reggio Calabria, Francesco Mugolino, che sposa l’iniziativa e sprona i Partner ad "un impegno totale".

Spiegati i contenuti, si consuma l’atto formale della firma del protocollo d’intesa. Cerimoniere lo stesso Mario Nasone, direttore dell’Ufficio dell’Esecuzione penale esterna.

Ecco le finalità - "Istituire ed istituzionalizzare un sistema territoriale di governance penitenziaria; focalizzare l’attenzione e gli sforzi operativi intorno all’istituzione di una "Agenzia per l’Inclusione Sociale delle persone provenienti da percorsi penali" - e gli obiettivi - "promuovere l’accesso al mercato del lavoro dei beneficiari finali e dei loro familiari e la micro-imprenditorialità e creazione di cooperative, favorire gli scambi tra le imprese solidali e il territorio; operare il matcthing tra offerta e domanda di inserimento lavorativo sotto forma di work experience, borse di inserimento lavorativo, tirocini formativi; realizzare attività di orientamento individualizzato e corsi di formazione professionali, tenendo conto delle richieste del mercato del lavoro; implementare azioni di sensibilizzazione ed informazione degli attori pubblici e privati; creare una banca dati delle imprese solidali; realizzare un sostegno alle famiglie dei soggetti provenienti da percorsi penali, con l’obiettivo di offrire risposte concrete ai bisogni e alle difficoltà riscontrate quotidianamente; affrontare problemi abitativi, di salute e di accompagnamento sociale dei soggetti dimessi dal carcere; favorire attraverso specifiche azioni territoriali i processi di inclusione sociale delle fasce svantaggiate e dei settori a rischio".

La sfida dei cinque partner istituzionali è stata già lanciata: in campo sono scesi la Prefettura, l’Amministrazione penitenziaria, la Provincia, il Comune di Locri e la Fondazione "Giuseppe Zappia". Tutti convinti perché "cambiare si può".

Liguria: agenti penitenziari manifestano contro provveditore

 

Prima, 10 giugno 2008

 

Un grande striscione con scritto "Vattene", indirizzato al provveditore penitenziario della Liguria Giovanni Salamone. Così un centinaio di aderenti al Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe ha manifestato questa mattina a Genova, sotto la sede del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria della Liguria, contro la gestione dei 7 penitenziari regionali del Provveditore penitenziario Giovanni Salamone, definita "burocratica e fallimentare". Il Sappe, che ha preannunciato una nuova manifestazione di protesta a Roma davanti al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria il prossimo 25 giugno, ha denunciato i discutibili metodi gestionali del Provveditore e, in particolare, la decisione d’autorità di un trasferimento di sede ai danni del segretario generale aggiunto del Sappe Roberto Martinelli, in servizio presso gli uffici del Provveditorato di Genova.

Un trasferimento che nei giorni scorsi il Segretario Generale Sappe Donato Capece ha definito "intimidatorio, gravissimo ed illegittimo", rispetto al quale è sorta una iniziativa bipartisan in Parlamento, con richiesta urgente di informazioni al Ministro della Giustizia Angelino Alfano, da parte del senatore Giorgio Bornacin (del Popolo della Libertà), del ministro ombra della Difesa Roberta Pinotti (PD) e del deputato ligure Giovanni Paladini dell’Italia dei Valori.

I manifestanti, molto rumorosi, hanno messo in evidenza che è evidente il senso di sfiducia dei poliziotti verso il responsabile regionale delle carceri Salamone, più propenso a emanare disposizioni contro i poliziotti (come il tentar di far pagare l’alloggiamento in Caserma o i pasti nella mensa di servizio - smentito in entrambi i casi dall’Amministrazione centrale - o addirittura il razionamento dell’erogazione dell’acqua calda nelle caserme degli Agenti e nelle sezioni detentive per incomprensibili ragioni di economicità) piuttosto che prendere seri e concreti provvedimenti sulla grave situazione penitenziaria regionale, dove le celle sono sovraffollate di circa 1.400 detenuti a fronte di circa 1.000 posti letto e gli organici della Polizia Penitenziaria sono carenti di più di 350 agenti". Chiara e netta la posizione del Sappe: necessario l’avvicendamento del provveditore Salamone, che ha perso il contatto con la realtà penitenziaria ligure e che rimane chiuso nella torre d’avorio del suo ufficio mentre gli agenti di Polizia Penitenziaria lavorano sotto organico e in sezioni sovraffollate all’inverosimile.

Sul trasferimento del segretario generale aggiunto Martinelli, in servizio presso gli uffici del provveditorato di Genova è intervenuto anche il Segretario Generale Sappe Donato Capece che ha definito il trasferimento a Marassi: "... gravissimo perché avviene - casualmente… - il giorno dopo un’affollata riunione che il Sappe ha tenuto con il Personale di Polizia Penitenziaria che lavora nel carcere genovese di Marassi, nel corso della quale sono stati denunciati ancora una volta i discutibili metodi gestionali del provveditore Salamone.

È illegittimo, il trasferimento d’ufficio di Martinelli, perché palesemente in violazione delle norme contrattuali delle Forze di Polizia a tutela dei poliziotti sindacalisti, che hanno il diritto di mantenere la sede di servizio per tutta la durata del mandato sindacale e che necessitano preventivamente ed obbligatoriamente del nulla-osta della Segreteria generale del Sindacato per ogni eventuale movimento dalla sede di servizio.

Ai dirigenti sindacali della Polizia penitenziaria viene garantita un’opportuna tutela attraverso una serie di strumenti giuridici previsti dall’articolo 36 del Contratto di lavoro n. 164/02 e dall’articolo 6 dell’Accordo Quadro Nazionale di categoria del 2004".

 

Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

Salerno: l’Istituto Alberghiero attiva un corso per i detenuti

 

La Città di Salerno, 10 giugno 2008

 

Già presenti elementare e media nel penitenziario dal prossimo anno si potrà accedere anche a un istituto superiore. È la prima iniziativa del genere sul territorio.

Dal prossimo anno scolastico l’Istituto Alberghiero "Virtuoso" sarà presente nella Casa Circondariale di Fuorni con una nuova sede, associata all’istituto, ma autonoma. Si tratta del primo esempio in Campania di un simile progetto che consentirà, ai detenuti che ne faranno richiesta, di seguire un iter formativo volto all’acquisizione di una valida qualifica professionale.

Uno strumento in più per agevolare il difficile processo del reinserimento sociale. Così, alla scuola elementare ed alla scuola media già attive nel carcere di Fuorni, si andrà ad aggiungere anche un istituto superiore. "È un fatto nuovo per l’intero territorio e può contribuire ad abbattere il muro di gomma che si frappone tra il carcere ed il mondo esterno. Considerando che l’istituto è collocato in un ambito a vocazione turistica ciò potrà rappresentare un notevole elemento per l’inserimento sociale di chi ha chiuso i conti con la giustizia, afferma soddisfatto Alfredo Stendardo, direttore del carcere di Fuorni, che al momento accoglie circa 500 detenuti. Questa decisione si aggiunge agli altri percorsi positivi già intrapresi dalla città di Salerno". Il progetto è potuto partire grazie alla collaborazione tra l’assessorato provinciale alla Scuola e l’Ufficio Scolastico regionale e provinciale.

"Quando accettai la proposta i miei collaboratori mi diedero dell’incosciente, in Italia, infatti, si contano su una mano le scuole carcerarie secondarie, dice Aurelio Di Matteo, dirigente scolastico dell’Ipsar "Virtuoso" di Salerno. Occorrerà uno sforzo notevolissimo, sia didattico che programmatico ed il corpo docente dovrà concepire un insegnamento teso più alla manualità, per dare l’occasione di un completo recupero sociale".

Un’utopia che sarà un progetto concreto. Ketty Volpe, coordinatrice del progetto per l’Ufficio Scolastico Provinciale di Salerno. "Questo è il primo caso in Campania, e forse anche in Italia, di istituto alberghiero in carcere, non una succursale ma una sede autonoma associata all’istituto centrale, a cui potranno iscriversi anche detenuti provenienti da altre strutture carcerarie. Le classi potranno accogliere fino ad una massimo di 25 persone". Infine l’assessore Stanzione. "Per dare il via al progetto già a partire dal prossimo anno è stata necessaria una collaborazione tra enti e, se anche una sola persona che frequenterà la scuola potrà mettere a frutto il titolo di studio conseguito, avremo ottenuto un ottimo risultato".

Lucca: sezioni sovraffollate e insalubri, ci sono anche zecche

 

In Toscana, 10 giugno 2008

 

Strutture insalubri e sovraffollate, mancanza del medico la notte, addirittura la presenza di zecche: sono questi i mali del carcere di Lucca secondo Armando Cenni, segretario provinciale del sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria. Dopo una protesta dei medici penitenziari toscani più di un anno or sono, in questi giorni il comunicato del Sappe diffonde nuovi dati sulle carenze.

"L’effetto indulto è terminato le tante aspettative inerenti le misure alternative chieste da più parti non vi sono state. Anche per il 2008 si prevede un’estate calda presso il carcere di Lucca. Da decenni non si vedevano reparti così affollati, la terza sezione che può contenere meno di 40 detenuti, per lo standard previsto dalle vigenti normative, attualmente ne contiene 71, quasi il doppio, si vedono cose che non certo si possono paragonare alla vivibilità ordinaria di un istituto penitenziario moderno. Si vedono letti a castelli per contenere la problematica affollamento, attualmente la popolazione detenuta è di 138 detenuti.

Per meglio comprendere problema l’annosa situazione, qualche settimana fa sono state trovate zecche all’interno di un reparto detentivo. Ci sono alcuni reparti con pavimenti disconnessi che mettono in pericolo anche il normale passeggiare nei reparti sia dei detenuti che del personale. In tale situazione risulta estremamente difficile garantire sicurezza, prerogativa della popolazione detenuta, e rispetto della salubrità prevista dalla legge 626.

Non osiamo definire le condizioni di lavoro, del personale di Polizia Penitenziaria, adito a rispettare, o cercare di rispettare, tutte le disposizioni interne. Il personale lavora sott’organico da decenni, su un muro di cinta pericoloso e che casca a pezzi e molti locali sono praticamente insalubri. Non è presente nelle ore notturne il medico di guardia. Si era parlato qualche anno fa della costruzione di un nuovo istituto penitenziario, solo parole...

In questo ultimo anno l’auspicato e pubblicizzato cambiamento dell’assetto organizzativo della struttura di Lucca non vi è stato. Tante parole pochi fatti. Non possiamo accettare di continuare a lavorare in queste condizioni, ci attendiamo che si prendano seri e opportuni provvedimenti, al fine di non far collassate definitivamente una struttura dello stato. E come sempre siamo pronti a manifestare il nostro dissenso con tutte le forme di protesta consentite".

Roma: Sbai (Pdl); a Rebibbia una grave carenza di personale

 

Dire, 10 giugno 2008

 

"Turni massacranti per gli agenti della polizia penitenziaria, carenza di personale civile appartenente all’area educativa e trattamentale, soprattutto ora che l’estate è alle porte e le attività formative stanno volgendo al termine. Inoltre l’Istituto ospita il doppio delle detenute rispetto alla capienza prevista, aggravando una situazione già difficile". Ad affermarlo è Souad Sbai, deputata del Pdl, a seguito di una visita presso la casa circondariale femminile di Rebibbia che si è svolta oggi pomeriggio.

Il 60% della popolazione carceraria dell’Istituto, osserva la parlamentare, "è costituita da straniere, la maggior parte delle quali provengono dall’Europa dell’Est. In particolare - va avanti - si tratta di donne di etnia rom, trattenute insieme ai loro bambini". Sbai prosegue: "M’impegno a fare da mediatrice con il Comune di Roma affinché vengano approvati nuovi progetti di volontariato destinati all’educazione e all’integrazione infantile all’interno dell’Istituto di pena. Inoltre - chiude - segnalerò al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria la carenza di personale, tanto di polizia quanto civile".

Genova: detenuti fabbricano t-shirt con canzoni di De Andrè

 

Secolo XIX, 10 giugno 2008

 

Dietro il portone marrone e pesante, da questa parte dove si dice ci sia ancora la libertà, spesso rimangono speranze e sogni. Dall’altro lato delle grate queste non filtrano. Però, qualche volta "succedono cose che uno non immagina, iniziative che perfino ti appassionano, ti impegnano fino a ritrovare la speranza. Quella che hai lasciato fuori". Come sedersi sui banchi di scuola anche a 50 anni, per seguire un corso di Grafica Pubblicitaria, imparare a stampare magliette con incise le frasi delle canzoni-poesia di Fabrizio De Andrè. E se a confessarlo è Giorgio Grasselli, detenuto a Marassi da 3 anni nella quinta ala di massima sicurezza (quella destinata a chi è stato condannato per associazione a delinquere o per partecipazione ad organizzazioni criminali) che fra un mese potrà di nuovo lasciare il carcere, c’è da credergli. Fuori, a Genova, lo attendono una moglie ed una figlia di 30 anni. E la possibilità di ripartire daccapo.

Ieri quel portone pesante e inquietante è stato varcato anche da Dori Ghezzi, che con Faber condivise quattro mesi di "segregazione" sulle montagne di Orosei, il sequestro che poi ispirò la canzone "Hotel Supramonte". "Se oggi ci fosse lui, saprebbe dire le parole giuste - ha precisato la compagna del cantautore genovese - anche noi abbiamo vissuto un’esperienza peggiore del carcere, la prigionia ad opera dei banditi sardi. In quei giorni abbiamo apprezzato molto la libertà. So cosa vuol dire perderla".

Cinquecento versi di poesia (come "Intellettuali d’oggi, dotti di domani, ridatemi il cervello che serve alle mie mani") hanno ispirato otto carcerati ed oggi raccontano le esperienze di chi ha trovato la forza di lasciare la cella, anche se solo per poche ore al giorno, e ritrovarsi in un’altra meno stretta: l’aula, il laboratorio comunque con le grate. Qui con i professori Mirella Cannata, Francesco Fienga e Carlo Imparato, hanno raccolto tutti i versi che il cantautore del "Bombarolo" ha dedicato alla prigione, comunque ad ogni forma di privazione della libertà. "Conoscevo personalmente Fabrizio, quando ancora non capivo che razza di poeta era - dice Giorgio Grasselli - oggi, riascoltando le sue canzoni qua dentro, rimango colpito da frasi come "Quello che non ho", la libertà; "Quello che non mi manca", dietro le sbarre c’è tanta amicizia e solidarietà".

"Fabrizio, segregato in un altro tipo di prigione qui vicino - ha proseguito Dori Ghezzi, riferendosi al cimitero di Staglieno - ha dimostrato che la sua parola continua a percorrere tutte le strade possibili: è un faro inarrestabile". Un veicolo di comunicazione pure su 500 t-shirt, messe a disposizione da Aura Aste della "Bottega Solidale": sono fabbricate in Bangladesh, da cooperative ed aziende che impiegano materiale del posto, nel rispetto dell’ambiente e garantiscono guadagni equi ai lavoratori.

Tutto questo grazie ad un progetto della scuola interna alla casa circondariale, gestita dall’Istituto Vittorio Emanuele-Ruffini. Un programma di recupero e di reintegrazione portato avanti quasi con testardaggine dal preside Nicolò Scialfa e dal direttore del carcere, Salvatore Mazzeo. Un progetto a cui ha creduto l’assessore Milò Bertolotto della Provincia; soprattutto la Fondazione De Andrè.

L’esperienza di Marassi non è l’unica: già tre anni fa i detenuti-studenti da dietro le sbarre riuscirono a pubblicare una guida turistica di Genova. Per due anni consecutivi hanno preparato spettacoli teatrali "Scatenati" e "Sono felice per te", che sono stati messi in scena sia nel capoluogo ligure, sia a Torino.

Palermo: detenuto regalò motoscafo ad agente, 4 condanne

 

Asca, 10 giugno 2008

 

Un motoscafo regalato a una guardia carceraria porta a quattro condanne e due assoluzioni: il poliziotto penitenziario, Liborio Lo Dico, ha avuto due anni, così come Michele Di Giovanni, un detenuto palermitano (già condannato per estorsione aggravata) che si trovava nel carcere di Mistretta, in cui Lo Dico prestava servizio. La sentenza è della terza sezione del tribunale di Palermo. Colpevoli e condannati a due anni anche Giuseppa Misia, moglie del detenuto, e il fratello di Di Giovanni, Nino. Gli assolti sono altri due fratelli del detenuto, titolari di una ditta che fa rimessaggio nel porticciolo dell’Acquasanta, Roberto e Giuseppe Di Giovanni. Secondo il pm Antonio Altobelli, il motoscafo sarebbe stato regalato per ingraziarsi i favori di Lo Dico durante la detenzione di Michele Di Giovanni.

Perugia: permessi di soggiorno "facili", arrestato un poliziotto

 

Agi, 10 giugno 2008

 

Si è svolto stamani nel carcere perugino di Capanne l’interrogatorio di garanzia per Tommaso D’Emilio, l’ispettore dell’ufficio immigrazione della questura del capoluogo arrestato ieri unitamente alla moglie e ad un imprenditore albanese.

I tre sono accusati di avere ricevuto soldi e favori in cambio di permessi di soggiorno. Il 46enne, comparso davanti al Gip Claudia Matteini ed assistito dagli avvocati Daniela Paccoi e Silvia Egidi, ha respinto gli addebiti, dichiarando di avere sollecitato alcuni permessi proprio perché l’iter procedurale è molto lungo.

Nell’istituto penitenziario perugino è detenuto anche l’albanese Dishrim Kokomani, imprenditore 43enne che, secondo gli inquirenti, avrebbe fatto da tramite tra l’ispettore e gli stranieri in attesa di essere regolarizzati. Anche Kokomani (sia lui che D’Emilio hanno dichiarato al giudice di essere solo amici), difeso dall’avvocato Valter Biscotti che ha presentato istanza di arresti domiciliari, ha respinto le accuse.

La moglie dell’ispettore D’Emilio, Carolyn McLaren agli arresti nella sua abitazione verrà sentita nel corso del pomeriggio. Secondo il quadro accusatorio, D’Emilio per accelerare il rilascio dei permessi chiedeva agli immigrati regali come ricambi per automobili, ricariche telefoniche, capi d’abbigliamento, frutta ed anche legna da ardere; da alcune donne avrebbe preteso rapporti sessuali (accusa respinta in sede d’interrogatorio con veemenza dall’ispettore) ed in un caso, 2.500 euro.

Droghe: la Fict si confronta… per una "strategia condivisa"

 

Dire, 10 giugno 2008

 

Il 26 giugno indetta una tavola rotonda a cui parteciperanno il sottosegretario Carlo Giovanardi, Battaglia (Fict), Olivero (Acli), Taverna (Exodus), Marchetti (Csi), Calvani (Unicri), Bignami (Forum Oratori).

In occasione della Giornata Internazionale contro il consumo e il traffico illecito di droga, indetta per il 26 giugno dalle Nazioni Unite, la Fict (Federazione italiana comunità terapeutiche) in collaborazione con l’Unicri (Istituto Internazionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia) organizza a Roma (Sala conferenze Unicef) una tavola rotonda dal titolo "Educare, prevenire, prendersi cura: confronto per una strategia condivisa". L’iniziativa vedrà la partecipazione di numerose personalità. Tra queste: il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla droga, famiglia e servizio civile, Carlo Giovanardi; il presidente della Fict, Mimmo Battaglia; Franco Taverna di Exodus; il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero; il responsabile del Centro sportivo italiano, Michele Marchetti; Mauro Bignami del Forum degli Oratori italiani; Sandro Calvani dell’Unicri. A moderare la tavola rotonda sarà Mariafederica Massobrio, portavoce della Fict, mentre saluti ai presenti saranno portati da Riccardo Turrini Vita, direttore generale della Direzione generale dell’esecuzione penale esterna. Nel corso della manifestazione sarà data lettura anche del messaggio del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon.

Droghe: Saman; interessa ancora curare i tossicodipendenti?

 

Dire, 10 giugno 2008

 

Per un giorno non assumere nessun tipo di droga, legale o illegale. È l’iniziativa promossa da Saman, Itaca e Agci. Coletti (Itaca): "L’obiettivo è stimolare la politica a dare nuove risposte e non arricchire i narcotrafficanti".

Non assumere per un giorno nessun tipo di droga, legale o illegale, "per riflettere lucidamente sul problema delle dipendenze". Uno sciopero inedito, promosso dall’associazione Saman, Itaca e Agci (Associazione generale cooperative italiane), per giovedì 26 giugno, in occasione della Giornata mondiale per la lotta alla droga. "Gli obiettivi sono tanti - afferma Maurizio Coletti, presidente di Itaca-Europa.

Stimolare la politica e i servizi a dare risposte nuove al problema della tossicodipendenza; non arricchire, per un giorno, i narcotrafficanti; riflettere sulla schizofrenia con cui vengono affrontati questi temi". Un settore in difficoltà, quello dei servizi per i tossicodipendenti, che si fa sempre più complesso e che necessita maggiori risorse. "Gli investimenti pubblici sono ridotti al lumicino - spiega Achille Saletti, presidente dell’associazione Saman - ci domandiamo se, al di là dei buoni propositi, a qualcuno interessa che si curino i drogati". Più risorse, ma non solo. "Da dieci anni c’è poca attenzione da parte della politica - aggiunge Maurizio Coletti -. Serve però anche uno sforzo da parte nostra, servono nuove idee per affrontare questo problema".

Parlando di dipendenze bisogna però affrontare anche il problema, spesso taciuto, delle sostanze legali: psicofarmaci e alcool. "C’è una sorta di schizofrenia su questo tema - spiega Maurizio Coletti - da un lato ci sono le polemiche che seguono le stragi del sabato sera, dall’altro però non si riesce a mettere in atto una politica preventiva seria".

Lo scioperò sarà anche occasione per riflettere sull’enorme giro d’affari legato al consumo di sostanze stupefacenti: "Nel mondo, il 60% del fatturato dei gruppi criminali è generato dalla droga - precisa Achille Saletti -. Se si pensa che la criminalità muove il 9% del prodotto interno lordo mondiale, si può capire la portata economica del commercio di droga".

Questi argomenti saranno al centro del convegno "Riflettiamoci assieme - Vale ancora la pena curare i drogati?" che si svolgerà giovedì 26 giugno, dalle 10 alle 14, presso lo spazio Energolab (Via Plinio, 38). La giornata sarà seguita da Bonsai TV e trasmessa su internet.

Droghe: Federserd; i nuovi dipendenti, giovani poliassuntori

 

Notiziario Aduc, 10 giugno 2008

 

Hanno tra i 15 e i 18 anni, cominciano assumendo alcol e sostanze psicostimolanti (ecstasy); le comprano con i soldi che gli regalano i nonni o rubando dal portafoglio dei genitori. Poi assumono hashish o piccole quantità di eroina per sedare gli effetti stimolanti prima di tornare a casa e nel giro di poco tempo si ritrovano assuefatti da un mix letale. Sono i giovani tossicodipendenti di oggi, che tali proprio non si identificano e per questo rifiutano aiuti dai Ser. T. (Servizi per la Tossicodipendenza): "Si auto-giudicano normali ma con qualche vizio, perché non corrispondono all’immagine comune di tossicodipendente, riverso in terra o costretto all’elemosina" spiega il dottor Claudio Leonardi, membro del Consiglio direttivo FeDerSerD e direttore U.O.C. Prevenzione e Cura Tossicodipendenze ed Alcolismo, Ser.T. ASL Roma C "La maggior parte dei consumatori di oppioidi in terapia è dedita alla poliassunzione: l’associazione è con altre sostanze secondarie, in prevalenza altri oppioidi (35), cocaina (23) e cannabis (17). Le radici di un tale disagio le rintracciamo certamente in famiglia. Nel 90% dei casi la figura di un padre completamente assente e l’immagine di una mamma "che porta i pantaloni" ma che perde di autorità. Genitori impegnati a portare i soldi a casa che perdono di vista la vita parallela dei figli".

 

 

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