Rassegna stampa 12 giugno

 

Giustizia: Dl su sicurezza svuota la legge "Simeone-Saraceni"

di Fiorenza Sarzanini

 

Corriere della Sera, 12 giugno 2008

 

Anche chi viene condannato per furto, detenzione di stupefacenti e atti osceni non potrà ottenere la sospensione della pena prevista dalla legge Simeone - Saraceni. È un emendamento presentato dai senatori della Lega e recepito dal Governo durante l’esame del decreto legge sulla sicurezza ad ampliare l’elenco dei reati che non potranno godere del beneficio.

Passa dunque la linea dura voluta dal governo contro chi commette reati predatori, ma non solo. La norma incide soprattutto sui recidivi e mira a garantire che venga effettivamente scontata la condanna, così come aveva chiesto il Capo della polizia Antonio Manganelli e come avevano più volte sollecitato i sindacati delle forze dell’ordine.

Il provvedimento ha superato ieri l’esame della Commissione e l’aula di Palazzo Madama ha bocciato le due pregiudiziali di costituzionalità del Partito democratico e dell’Italia dei valori sull’aggravante per i clandestini che delinquono. Si è astenuto l’Udc perché, come ha spiegato Gianpiero D’Alia "abbiamo preferito essere coerenti con il nostro atteggiamento e pur riconoscendo che il dubbio su alcune norme esiste, riteniamo che rimangano la necessità e l’urgenza di intervenire a tutela dei cittadini sulle questioni di sicurezza".

È stata invece modificata la norma che punisce con il carcere e la confisca dell’immobile chi affitta casa agli immigrati irregolari. C’era infatti il rischio che finisse sotto processo anche chi ospita nella propria abitazione una badante o una collaboratrice domestica senza permesso di soggiorno. "La riformulazione - spiega il Sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano - prevede il carcere fino a tre anni e la confisca dell’immobile quando c’è un "ingiusto profitto". Inserendo questa precisazione si toglie ogni incertezza e non c’è dunque alcuna possibilità di colpire chi collabora con le famiglie italiane, ma soltanto chi delinque.

Resta infatti ben saldo l’intento originario dell’articolo che punta a evitare tutte le situazioni di chi approfitta della condizione di clandestinità degli stranieri, sia per i lavoro che per la casa". In questo modo, aggiunge il presidente della commissione Giustizia Filippo Berselli "chi vuole lucrare sulle locazioni agli stranieri ci penserà due volte, quindi non si verificheranno così facilmente casi in cui un appartamento che vale mille euro viene affittato a cinque immigrati magari a cinquecento euro a testa".

In materia di criminalità arriva invece la stretta voluta dalla Lega e condivisa dal resto della maggioranza. Inizialmente il decreto escludeva dalla sospensione della pena detentiva soltanto il furto in abitazione, il furto con strappo, la rapina, l’incendio boschivo e lo sfruttamento dei minori per fini sessuali. A questi reati si aggiungono adesso: gli atti osceni, la violenza sessuale, la violenza sessuale di gruppo, il furto e tutti i delitti aggravati dalla clandestinità, la produzione, il traffico e la detenzione illecita di sostanze stupefacenti e psicotiche.

Via libera viene concesso anche ad altre norme che mirano a rendere più efficace la collaborazione tra le forze dell’ordine visto che nelle operazioni contro l’immigrazione clandestina potrà essere coinvolta anche la polizia provinciale. Resta il nodo sulla regolarizzazione delle badanti che dovrà essere sciolto nei prossimi giorni, quando il Parlamento comincerà ad esaminare il disegno di legge su immigrazione e sicurezza. Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi e il suo collega dell’Interno Roberto Maroni stabiliranno se proporre l’accoglimento delle istanze arrivate dal 18 dicembre scorso al 31 maggio scorso che hanno i requisiti necessari ma sono rimaste fuori dalle graduatorie stilate in base all’orario di presentazione.

Giustizia: Marroni; la sicurezza non si ottiene con il carcere…

 

Dire, 12 giugno 2008

 

"Solo punendo non si fa nessuna politica di sicurezza". Questa l’idea del Garante dei diritti dei detenuti nel Lazio, Angiolo Marroni, espressa nel corso del suo intervento alla VII Conferenza regionale di organizzazione della Uil, oggi a Torre in Pietra. "I reati - aggiunge - soprattutto quelli più gravi, sono diminuiti. Lo dicono i dati del ministero dell’Interno, è aumentata però la percezione di insicurezza". Di fronte a questa, spiega Marroni, "sia destra che sinistra, soprattutto dopo il caso di pedofilia in Sicilia e dopo un brutto episodio a Roma, hanno detto: "Più carcere, si buttino le chiavi". Che linea politica è questa?".

Secondo il Garante, piuttosto, "bisogna garantire il diritto/dovere dei detenuti di rientrare nella società e nel mondo del lavoro". Nel Lazio, conclude Marroni, "ci sono circa 5.000 detenuti. di cui il 45-48% è straniero, di diverse nazionalità, che si trovano in carceri affollate. La tendenza della legislazione attuale, però, mira ad affollarle sempre di più".

Giustizia: Decreto sicurezza al Senato; i commenti dei politici

 

Dire, 12 giugno 2008

 

Veltroni: sinistra radicale non capisce problema sicurezza

 

"Certe forze della sinistra radicale hanno avuto un risultato elettorale negativo soprattutto perché non si sono rese conto che le fasce popolari vivono il problema dell’insicurezza in termini più rilevanti della loro appartenenza ideologica". Walter Veltroni torna a criticare l’impostazione di una parte della sinistra sui problemi della sicurezza e della legalità. Parlando all’eurogruppo del Pse riunito a Napoli, Veltroni sottolinea l’importanza del tema della sicurezza anche per il Pd: "dobbiamo capire - spiega - che quelle sono domande reali a cui bisogna dare una risposta che non neghi le questioni di base e che non conceda nulla all’egoismo sociale che invece è il tratto distintivo della destra".

 

Finocchiaro: dal Pd pregiudiziale di incostituzionalità

 

"Sull’aggravante presenteremo una pregiudiziale di costituzionalità per violazione del principio di parità". Lo afferma Anna Finocchiaro, nel corso di una conferenza stampa a palazzo Madama, alla quale hanno partecipato anche il capogruppo alla Camera, Antonello Soro, i ministri Ombra Marco Minniti e Lanfranco Tenaglia, e i capigruppo in commissione affari Costituzionali e Giustizia del Senato, Enzo Bianco e Felice Casson. Nella conferenza stampa sono state illustrate le proposte e gli emendamenti del Pd al pacchetto sicurezza presentato dal governo al Senato. Per il Governo, aggiunge Finocchiaro, "l’aggravante è prevista per qualsiasi tipo di reato e senza fare distinzioni tra cittadini Ue e extracomunitari". Un atteggiamento "ingiustificato - prosegue l’esponente del Pd - al quale noi rispondiamo con la proposta di inserire l’aggravante per chi si sottrae ad un provvedimento di espulsione, perché questo aspetto crediamo che giustifichi un’aggiunta di pena". Ma la maggioranza, conclude, "come peraltro su quasi tutto il resto, ha avuto un netto atteggiamento di chiusura".

 

Bianco: grave non abolire il patrocinio gratuito ai mafiosi

 

"È particolarmente grave che la maggioranza non abbia voluto modificare la norma che ancora prevede il patrocinio gratuito per i mafiosi. Noi avevamo proposto un emendamento per escluderli, ma la risposta è stata negativa". Lo afferma il capogruppo in commissione affari Costituzionali del Pd, Enzo Bianco, nel corso di una conferenza a palazzo Madama nella quale il partito Democtratico ha illustrato le proposte e gli emendamenti al pacchetto sicurezza. E altrettanto grave, aggiunge Bianco, "è non aver approvato un altro nostro emendamento che prevedeva un posto di lavoro nella pubblica amministrazione per i 67 testimoni di giustizia". Evidentemente, conclude l’esponente del Pd, "nella maggioranza è prevalsa la linea di mostrare i muscoli".

 

Gasparri: le critiche al Dl le respingiamo al mittente

 

"Respingiamo al mittente le critiche della sinistra che nella scorsa legislatura non riuscì a varare nessun decreto per la sicurezza". A dirlo è il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri. "L’opposizione - continua - ha presentato delle pregiudiziali, soprattutto sulla parte di contrasto all’immigrazione clandestina, che per noi, invece, è urgente e necessaria. Il nostro obiettivo è approvare rapidamente il decreto legge, perché abbiamo bisogno di norme più efficaci che la sinistra non è riuscita a dare al paese".

Gasparri sottolinea che "il governo Berlusconi intende invece dare maggiori certezze e tutele ai cittadini. Il confronto resta comunque aperto- aggiunge- alcune materie saranno infatti definite nel disegno di legge che seguirà al decreto, anche se sulla sicurezza abbiamo idee diverse. Noi vogliamo rafforzarla, loro forse pensano che non bisogna procedere in questa direzione".

 

Ucpi: abrogazione del patteggiamento in appello è illegittima

 

L’Unione Camere Penali Italiane considera illegittima e dannosa l’abrogazione del Patteggiamento in Appello, inclusa nel decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, portante "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica", e chiama gli avvocati penalisti alla mobilitazione. Il Patteggiamento in Appello, in vigore dal 1989, prevede che, in seguito ad una condanna in primo grado, su richiesta dei legali dell’imputato e qualora vi sia accordo tra avvocato e Pubblico Ministero, il Giudice possa provvedere a ratificare la riduzione della pena dell’imputato senza procedere all’Appello. Negli anni, questa norma ha permesso di snellire i tempi processuali, liberando quindi risorse per altri processi. Questa norma è stata ora abolita in quanto il Governo la considera responsabile di un eccessivo abbassamento delle pene, dimenticando che essa viene applicata solo ed esclusivamente qualora ci sia l’accordo del Procuratore d’Appello e del Giudice stesso. Ucpi contesta quindi il merito dell’abrogazione: il Patteggiamento in Appello, lungi dal concorrere all’incertezza della pena, contribuisce in realtà alla celerità dei processi.

Ucpi contesta anche il metodo dell’abrogazione, avvenuta per decreto legge. Il decreto legge è uno strumento che può essere utilizzato qualora vi siano presupposti di necessità e urgenza, non riscontrabili nel contesto attuale. Ucpi, quindi, invita gli avvocati penalisti italiani a sollevare in Tribunale la questione della illegittimità costituzionale della norma che abroga il Patteggiamento in Appello, ed infine invita il Parlamento a soppesare le conseguenze che l’approvazione di tale norma potrà avere sui tempi della giustizia.

Giustizia: diritto alla difesa dei poveri, molti non lo conoscono

di Desi Bruno (Garante dei diritti dei detenuti di Bologna)

 

Il Domani, 12 giugno 2008

 

La Costituzione nel suo dettato all’articolo 24 sancisce l’inviolabilità del diritto alla difesa in ogni stato e grado del procedimento assicurando ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. Quella che è la dichiarazione programmatica contenuta nella Carta fondamentale trova la sua concretizzazione nell’istituto che prende il nome di patrocinio a spese dello Stato che permette ai non abbienti di farsi assistere da un avvocato e da un consulente tecnico, senza sostenere le spese di difesa e le altre spese processuali.

Ci sono voluti decenni perché il legislatore desse attuazione al dettato costituzionale, assicurando parità di difesa a chi è sprovvisto di mezzi adeguati, senza la quale viene compromesso sia il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge sia la possibilità di avere un processo equo. Il diritto alla difesa trova particolare difficoltà a realizzarsi nel caso degli stranieri, spesso irregolari, mancanti di mezzi economici per affrontare le spese legali alla inadeguata comprensione della lingua italiana che rende problematici i rapporti tra avvocato e cittadino straniero alla scarsa conoscenza delle regole basilari dell’esercizio del patrocinio nel nostro Paese.

Perché sia concessa l’ammissione all’istituto la legge prevede una serie di condizioni soggettive che debbono essere rispettate da chi ne voglia usufruire. Una prima serie di condizioni riguarda il reddito. Per essere considerato non abbiente la somma dei redditi, percepiti nell’ultimo anno, non deve superare il limite (che viene aggiornato ogni due anni) di 9.296,22 euro, nel caso in cui l’interessato viva da solo, mentre si procederà alla somma con i redditi del coniuge e degli altri familiari conviventi, se l’interessato vive con la famiglia, se percettori di reddito. Il limite di reddito è aumentato nella misura di 1.000,00 euro per ogni familiare convivente privo di reddito.

Tale condizione legata al reddito deve permanere dal momento della presentazione della domanda per tutta la durata del processo. Per quanto riguarda la condizione della cittadinanza, in particolare per il giudizio penale, ne possono usufruire tanto l’italiano quanto lo straniero, anche minorenne, o apolide residente in Italia, purché sia possibile la loro identificazione. In merito alla condizione della posizione processuale, sempre con particolare riguardo al giudizio penale, si possono avvalere dell’istituto l’indagato, l’imputato, il condannato, la persona offesa dal reato, il danneggiato che intenda costituirsi parte civile, il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

Le restanti condizioni soggettive che interessano riguardano le cause di esclusione dall’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di cui, nei giudizi penali, non può avvalersi chi sia indagato, imputato, condannato per reati di evasione fiscale e chi sia difeso da più di un avvocato. La domanda di ammissione deve contenere la richiesta di patrocinio a spese dello Stato sottoscritta, a pena d’inammissibilità, dall’interessato con firma autenticata dal difensore o dal funzionario che riceve la domanda.

Essa deve contenere la dichiarazione, sotto la propria responsabilità, che si è nelle condizioni di reddito richieste dalla legge con l’impegno di comunicare le variazioni di reddito successive. A seguito dell’ammissione al patrocinio si potrà essere sottoposti al controllo della Guardia di Finanza e in caso di dichiarazioni false e omissive e di mancata comunicazione degli aumenti di reddito si potrà essere puniti con la pena della reclusione in carcere da 1 anno a 6 anni e 8 mesi, oltre al pagamento di tutte le somme corrisposte dallo Stato. Non è ammessa la richiesta in forma orale, nemmeno se questa avviene in udienza.

Nei giudizi penali la domanda deve essere presentata alla cancelleria del giudice oppure al giudice in udienza oppure al direttore del carcere, se l’interessato è detenuto. I cittadini. italiani non devono allegare alla domanda nessun documento infatti potranno autocertificare l’esistenza dei requisiti previsti dalla legge. I cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea devono allegare una certificazione del consolato del Paese d’origine che confermi la veridicità del dichiarato, salvo il ricorso all’autocertificazione qualora si provi l’impossibilità di documentarlo. Si potrà nominare un solo difensore iscritto in uno speciale elenco consultabile presso il Consiglio dell’Ordine degli avvocati. Gli avvocati non potranno percepire somme diverse da quelle riconosciute dallo Stato.

Spesso i cittadini, benché il testo unico in materia sia del 2002, non sono a conoscenza di questa possibilità, che si estende ai giudizi civili e amministrativi, e spesso non riescono a far valere i loro diritti o a difendersi in modo adeguato per mancanza di mezzi.

Giustizia: quante parole su mancanza di certezza della pena!

di Giancarlo Trovato

 

Rinascita, 12 giugno 2008

 

Scomparsi ormai da tempo i lavatoi comunali, il cicaleccio delle comari si è andato a trasferire gradualmente in televisione e sui giornali. Completamente fuori ne sono rimaste proprio le instancabili lavandaie, che non possono più far sentire la voce perché tutti i posti sono stati occupati dai più disparati loro imitatori, che si riconoscono solo per lo svolgere un lavoro meno faticoso ma più ricco. Si sente chiacchierare di tutto e giudicare ogni cosa, senza che alla base esista una conoscenza del tema. Quando, poi, si affronta quello della giustizia e della sicurezza sociale, l’incompetenza è allarmante, anche perché la tendenza generale è seminare terrore per evitare la richiesta di affrontare il particolare e di offrire soluzioni.

Lo sterile cicaleccio è ormai costante nel denunciare la mancanza di certezza della pena, che - al momento - ha avuto l’unico frutto di convincere gli extracomunitari a venire in massa a delinquere in Italia, ove si ritrovano a restare a lungo in cella. Oggi sono 20.123 su un totale di 53.700 reclusi: il 37,5%. Senza la loro presenza non esisterebbe lo spauracchio di un nuovo pericoloso sovraffollamento, capace di creare quelle condizioni che resero obbligatorio l’indulto 2006.

La "mancanza vergognosa di certezza della pena" è stata ribadita di recente anche dal Capo della Polizia Antonio Manganelli, che - trascurando che il 60% dei detenuti è in attesa di giudizio e, quindi, senza la certezza di subire una pena - si è lamentato perché le leggi attuali rendono molto difficile perseguire i reati, con la conseguenza che numerosi sono gli arresti e pochi quelli che restano in carcere. Il periodico penitenziario di Padova, "Ristretti Orizzonti", criticando i dati riportati da "Il Sole 24 ore" a sostegno del lamento di Manganelli, ha svolto una semplice considerazione aritmetica:

"Nel 2007 le forze dell’ordine hanno arrestato oltre 196.000 persone, ma quelle che effettivamente sono state immatricolate in un Istituto di pena sono state 90.441. Evidentemente, per le restanti 106.000 circa non c’erano nemmeno gli estremi per richiedere la convalida dell’arresto al Giudice! Tra le 90.441 persone entrate in un carcere 22.423 sono uscite entro 48 ore e questo è potuto succedere solo perché il Giudice delle Indagini Preliminari non ha convalidato l’arresto (previsto in tale lasso di tempo), ritenendo insussistenti o insufficienti le motivazioni per disporre la custodia cautelare in carcere. In conclusione, dei 196.000 arresti eseguiti nel 2007, soltanto 70.000 (il 35,7%!) erano realmente motivati".

Non si ottiene la certezza della pena, del resto, con lo sbattere in carcere anche 126.000 persone che non hanno commesso reati, dando semplicemente adito a sospetti tali da spingere le forze di polizia a trattenerli un po’ per capirci meglio. Certezza della pena, soprattutto, non significa trattenere a vita in carcere l’autore di qualsiasi reato. Tale certezza, infatti, è soprattutto invocata quando la commissione di un reato è attribuita a un recidivo, libero dopo aver completamente espiato la pena.

Del resto sono assai rari con una percentuale intorno all’1% - anche se fanno maggior notizia - i reati commessi da chi si trova in misura alternativa. Quelli che dovrebbero far gridare allo scandalo perché, invece che in carcere, il reo era fuori. Mancanza di certezza della pena, infine, non deve essere confusa con l’aver colpevolmente aperto le porte dell’Italia ad un’orda di extracomunitari, sapendo che - per sopravvivere - avrebbe commesso reati di qualsiasi specie.

Di fronte al perpetuarsi di false affermazioni, nel cittadino non può che trasformarsi in terrore il senso d’insicurezza, giacché è portato a credere che il dilagare della criminalità sia ormai irrefrenabile. Aumenta pure lo spreco di soldi dello Stato a causa delle inutili spese, collegate all’arrestare tutti per dare prova di efficienza. Risorse che sarebbero meglio impiegate in un’azione mirata di prevenzione sul territorio. Esiste un certo qual disordine nel garantire il rispetto delle leggi.

Quando, del resto, il cittadino si ritrova costretto a chiedere l’intervento di "Striscia la notizia" per vedere tutelati i propri diritti e per ottenere la fine di un torto, la corretta amministrazione della giustizia è ai confini dell’utopia. Gli "addetti ai lavori" si ritrovano concordi nel sostenere che nulla funziona, senza rendersi conto che le cause e le colpe - anche se in quota parte - sono di loro stessi. E così, oltre ai numerosi "esperti" e "opinionisti", anche magistrati e legislatori monotonamente si lamentano della mancanza di certezza della pena, trascurando che - ammesso e non concesso che sia così - non può che dipendere da una carenza legislativa o da un’incapacità nell’applicare le leggi. Al di sopra di qualsiasi sospetto le forze di polizia, le quali, come s’è visto, ne arrestano addirittura troppi.

In sostanza, magistratura e legislatore - senza rendersene conto - si accusano da soli, presi dalla foga di far cicaleccio e di mettersi in mostra. Irreale pensare che proprio loro non sappiano chi deve risolvere il problema.

Problema che non esiste, contrariamente a quello incontrovertibile della mancanza di una corretta e moderna amministrazione della giustizia, capace di emettere sentenze certe con pene capaci di rendere certa l’inclusione sociale dei condannati.

Il cittadino si sentirà sicuro, quando avrà la certezza che lo Stato è in grado di restituire alla società i cittadini che hanno sbagliato educati al rispetto delle regole. Magari migliori di quanti non sono mai entrati in carcere.

Giustizia: intercettazioni; giallo sulla legge, interviene il Colle

 

La Repubblica, 12 giugno 2008

 

Il giallo del decreto sulle intercettazioni è una forzatura, anzi no "un refuso", alla fine comunque un incidente diplomatico tra il governo e il Quirinale, sulla più delicata delle materie in agenda. Un semplice "errore materiale", minimizza il premier Berlusconi. Ma a far sospettare il blitz poi fallito sono state le due lunghe ore trascorse tra la diffusione del comunicato stampa che annuncia appunto a sorpresa il decreto al posto del ddl, e la sua correzione, intervenuta solo dopo il richiamo del Colle.

In serata tutto si chiarisce: la stretta sulle intercettazioni passerà attraverso un disegno di legge che dovrà transitare dal Parlamento, ne consentirà l’utilizzo solo per tre mesi e anche per i reati di corruzione e concussione. Il ricorso al decreto anziché al ddl, nel consiglio di ministri di domani, avrebbe fatto scattare il "coprifuoco" su tutte le intercettazioni e le relative indagini in corso.

A scatenare la tempesta è il comunicato stampa che annuncia l’ordine del giorno del consiglio dei ministri di venerdì, diffuso dall’ufficio stampa di Palazzo Chigi ai giornalisti al seguito del premier riunito per l’emergenza rifiuti alla Prefettura di Napoli. Sono le 15.30. Al primo punto c’è il "decreto legge sulle intercettazioni". Decreto e non disegno di legge?

La notizia subito lanciata dalle agenzie rimbalza in Parlamento, soprattutto al Senato dove si sta discutendo un altro decreto, quello sulla sicurezza. I ministri si trincerano dietro un "non ne so nulla". La Lega entra in allerta con l’ex Guardasigilli Roberto Castelli: "A questo punto vediamo cosa c’è scritto, anch’io sono curioso di vederlo". Il Pd giudica il ricorso al decreto "inaccettabile: non c’è alcuna urgenza". E di "incostituzionalità" parla Casini dell’Udc. Antonio Di Pietro, malizioso: "Mi piacerebbe sapere qual è il processo che deve essere bloccato". A Napoli lo staff berlusconiano, tempestato dalla richiesta di chiarimenti, è in fibrillazione. Il premier resta chiuso nel vertice. Finché non arriva la doccia fredda. E sono trascorse da poco le 17.

Il Quirinale sottolinea con una nota che le dichiarazioni rilasciate martedì dal presidente Napolitano indicavano "chiaramente la necessità di far confluire il confronto in un disegno di legge". Come dire, una materia così delicata deve passare dal Parlamento. Berlusconi tiene la conferenza stampa sui rifiuti, si mostra sorpreso per l’accaduto e precisa: "Un mero errore materiale". Dice di essere stato informato da Gianni Letta ma che "non ci sono le condizioni di necessità e urgenza" per un decreto. Certo, a suo dire "c’è stata una degenerazione" nel ricorso alle intercettazioni. Ma sarà un ddl e lui ne detta i contenuti: "Sarà possibile utilizzare le intercettazioni solo per i reati più gravi" e il riferimento è a quelli di omicidio e pedofilia, oltre a terrorismo e mafia. Per pene "dai 10 anni in su, secondo le regole europee" e saranno concesse dietro permesso di un collegio formato da tre giudici "solo per un periodo di tre mesi", scandisce Berlusconi. "È il minimo che i cittadini debbano attendersi, la democrazia non è tale se si viola la libertà dei cittadini".

Per i giornalisti la sanzione del carcere lascia il posto a una pena pecuniaria. La Lega tiene un mini vertice al Senato con Bossi, Maroni, Calderoli e Castelli. Al termine, il ministro dell’Interno Maroni detterà le loro condizioni: "Può andare bene il limite di dieci anni, purché ci siano anche tutti i reati contro la pubblica amministrazione". Ovvero concussione e corruzione. Estensione alla quale il Guardasigilli Angelo Alfano, partecipando in serata a Matrix, si dirà subito disponibile.

Ma quanto avvenuto aveva lasciato comunque nel campo dell’opposizione una coltre di sospetto. Per Di Pietro "ci hanno provato, ma sono stati colti con le mani nella marmellata. Bisogna stare attenti e sempre con gli occhi aperti". Col portavoce del premier Bonaiuti che sbotta: "Ma quale marmellata? Questo Di Pietro è proprio in malafede". Il capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro a fine giornata resta scettica: "Prima l’annuncio del decreto, poi lo stupore di Castelli, infine l’ennesima smentita dopo una puntualizzazione del Quirinale. Che pressappochismo e confusione nel governo".

Giustizia: Sappe; Alfano ci dica cosa intende fare per il carcere

 

Il Velino, 12 giugno 2008

 

"A più di un mese dall’insediamo del IV governo Berlusconi, crediamo sia davvero giunta l’ora che il ministro della Giustizia Angelino Alfano ci dica su quali direttrici intende muoversi in ambito penitenziario. Non vorremmo che i nostri reiterati appelli a occuparsi di carcere e Polizia penitenziaria cadano nel vuoto.

Il corpo patisce una carenza di organico di oltre quattromila unità, mancano 2.500 unità nei diversi profili professionali del comparto ministeri e, a fronte di ben 550 dirigenti, ci sono ancora penitenziari che non hanno un direttore in pianta stabile. Attendiamo da più di un anno il previsto avvicendamento dei dirigenti generali che guidano i Provveditorati regionali, ma la macchina dell’Amministrazione penitenziaria è ingolfata e non parte.

E l’imminente passaggio della sanità penitenziaria nell’ambito del servizio sanitario nazionale produrrà problemi anche sul fronte della sicurezza, rispetto al quale ci sembra manchi una concreta strategia d’azione". È quanto afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria.

"Un progetto globale di avvicendamento dei dirigenti generali che assolvono le funzioni di Provveditore penitenziario nelle varie Regioni d’Italia è annunciato da tempo, ma tutto langue. Abbiamo più di 550 dirigenti penitenziari, molti per altro negli uffici dipartimentali e nei Provveditorati, ma vi sono tante carceri italiane che non hanno un direttore in pianta stabile, e questo è francamente inaccettabile. Su questo fatto specifico e paradossale, ci riserviamo di inviare una dettagliata nota anche al ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta, auspicando una operazione di trasparenza che accerti lo stato delle funzioni e degli incarichi dei dirigenti penitenziari".

"Con il passaggio della sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale avremo anche problemi collegati con la sicurezza delle strutture penitenziarie, perché - a differenza di quanto accade oggi, con medici penitenziari ben identificati - si verificherà il potenziale accesso nelle carceri di un’ampia fascia di medici delle Asl, rispetto ai quali non è ancora dato conoscere a quali preventivi accertamenti di polizia saranno sottoposti.

E non vorremmo, infine, che si accentuasse il ricovero di detenuti negli ospedali civili, a tutto discapito della sicurezza sociale e dell’inevitabile aumento dei carichi di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria impegnati nel servizio di piantonamento. Ecco, su queste cose e sul futuro del sistema penitenziario vorremmo parole chiare dal ministro della Giustizia Angelino Alfano.

A cominciare dalla nomina del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - che noi auspichiamo sia una conferma del presidente Ettore Ferrara, interlocutore che si è dimostrato serio, affidabile e altamente qualificato -, confermando la titolarità dei vertici del dipartimento a un magistrato, che garantisce certamente il principio della terzietà rispetto alle aspettative dei dirigenti provenienti dai ruoli della nostra amministrazione".

Giustizia: come si supera l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario!

di Adolfo Ferraro (Direttore e Psichiatra nell’Opg di Aversa)

 

Ristretti Orizzonti, 12 giugno 2008

 

Uno degli ultimi atti che il governo precedente ha legiferato è stato quello della applicazione di un decreto legge del 1999 che prevede il passaggio delle competenze sanitarie in carcere dalla sanità penitenziaria alla sanità pubblica territoriale. Significa che tutti gli istituti carcerari d’Italia saranno affidati sotto l’aspetto medico alle Asl su cui l’istituto insiste, realizzando un atto che nella forma è rappresentativo di un valore assoluto e condivisibile: tutti hanno diritto allo stesso livello di cura , da chi è libero a chi è incarcerato.

Per uno strano gioco di burocrazie e di strumentali interpretazioni però gli ospedali psichiatrico giudiziari , diretti fin ora da psichiatri in quanto (faticosamente) luogo di cura , saranno da lunedì prossimo 16 giugno diretti da direttori di istituti penitenziari con le conseguenze prevedibili: se lo spirito della legge era quello di garantire una eguale salute per tutti , con questa strategia attuata frettolosamente dal Ministero della Giustizia (senza alcun avallo del Ministero della Salute) una struttura adibita alla cura dei malati di mente diventerà inevitabilmente ed inequivocabilmente un carcere, spingendo non verso un aspetto sanitario, che già si è sperimentato e che sarebbe dovuto evolvere con l’affidamento degli ospiti degli Opg alle Asl di competenza, ma con il suo esatto contrario: la criminalizzazione e l’esclusione dei malati di mente, costretti a vivere la loro malattia in un luogo con l’organizzazione di un carcere e dove sarà - ovviamente - privilegiato l’aspetto detentivo a quello della possibile cura. Ancora una volta il disabile psichico che cade nelle ambigue maglie dell’Opg rimane invischiato in una serie di ulteriori ambiguità che rappresentano, infine, la volontà neanche tanto nascosta di trattare la malattia mentale con la reclusione.

Avellino: Uil; detenuto morto, non percosse ma cause naturali

 

Comunicato stampa, 12 giugno 2008

 

"Sarebbe sin troppo facile richiamare i nostri inviti alla prudenza ed alla cautela. È, invece, anche questione di responsabilità. Pur riaffermando a gran voce l’esigenza che l’Amministrazione Penitenziaria faciliti le comunicazioni con la stampa non posso esimermi dall’invitare i giornalisti ad agire con senso di responsabilità nella gestione delle notizie che possono alimentare le già forti tensioni che si vivono negli istituti penitenziari" È quanto dichiara il Segretario Generale della Uil Pa - Penitenziari, Eugenio Sarno, all’esito dell’esame autoptico effettuato sulla salma del detenuto rinvenuto cadavere nella sua cella ad Avellino.

Esame che ha escluso qualsiasi lesione e ha stabilito in cause naturali le ragioni del decesso. "Apprendiamo che l’autopsia ha escluso qualsiasi forma di lesione e violenza pur essendosi riservati ulteriori esami tossicologici, come da prassi. Per quanto ci riguarda ciò non è affatto una sorpresa ben conoscendo il personale che opera ad Avellino. Nessun omicidio, quindi, è stato perpetrato. Né dagli agenti, né da detenuti come pure qualche incauto giornalista aveva voluto far trasparire".

Eugenio Sarno sottolinea come la notizia del decesso riferibile ad omicidio avesse in qualche modo alimentato tensioni all’interno delle carceri. " Una morte dietro le sbarre, piaccia o meno, è sempre una notizia. Quand’essa, però, alimenta ingiustificate ipotesi è consequenziale che le tensioni all’interno degli istituti si elevino proporzionalmente. Soprattutto in un momento, come questo, in cui esauriti gli effetti post- indulto il sovraffollamento sta assumendo proporzioni ingestibili. La notizia di un possibile omicidio è davvero una mina vagante.

Credo sia giusto sottolineare l’estrema professionalità e competenza con cui il Comando di Reparto e la Direzione della Casa Circondariale di Avellino hanno gestito l’intera vicenda. Analogamente sottolineo la correttezza della popolazione detenuta ivi ristretta" La Uil Pa Penitenziari apprezza la celerità con cui gli inquirenti hanno operato e auspica che la notizia sia idoneamente veicolata agli organi di informazione "La celerità delle indagini ha favorito la chiarezza di cui si avvertiva necessità. Ribadisco, comunque, appieno le mie riserve circa l’intendimento del Pm di affiancare alla squadra investigativa della polizia penitenziaria un gruppo di Carabinieri. Per noi non c’era ragione alcuna. Voglio sperare che ora i magistrati chiariscano, direttamente, anche agli organi di informazione che le cause del decesso non sono riferibili a violenze e lesioni, con le stesse modalità con cui hanno reso noto il sopralluogo in carcere".

Agrigento: 72 anni, 300 € di pensione e… 6 giorni di carcere!

 

La Sicilia, 12 giugno 2008

 

Condannato a pagare 7 mila euro di ammenda e a scontare sei giorni di carcere per abusivismo edilizio. Questo è l’epilogo giudiziario della vicenda il cui protagonista è un volto abbastanza noto agli agrigentini, Pier Umberto Favata.

L’uomo di 72 anni, originario di Castelvetrano, ma residente in una casa popolare del Villaggio Mosè è stato trasferito nel carcere di contrada Petrusa dagli agenti della Squadra Mobile. Un arresto svolto quasi a malincuore dagli agenti coordinati dal dirigente Salvatore Montemagno, alla luce delle condizioni disagiate del pensionato a 300 euro al mese. La legge però e legge e deve essere applicata nel modo corretto. E così è stato fatto dai poliziotti. Favata era accusato di avere realizzato una costruzione abusiva nello spazio antistante la propria casa. Dal controllo alla denuncia, passando adesso all’arresto in carcere, da scontare in sei giorni. Verrebbe da dire che forse nel penitenziario agrigentino potrebbe vivere in condizioni migliori, anche se l’età non verde e lo stato complessivo del soggetto consiglierebbe un luogo diverso dove scontare la pena. Per non parlare dell’ammenda pesantissima per un pensionato praticamente al minimo. Le legge però, come detto è legge anche per chi con dignità, non naviga nell’oro.

Avellino: le "scuole aperte" nella Casa Circondariale di Bellizzi

 

Asca, 12 giugno 2008

 

L’assessore regionale all’Istruzione Corrado Gabriele ha partecipato oggi alla manifestazione di chiusura del progetto "Scuole aperte" organizzata dall’Itg D’Agostino di Avellino.

L’iniziativa si è svolta nella succursale della scuola presente presso la Casa Circondariale di Bellizzi Irpino. Sul palco si sono avvicendati gli studenti che hanno interpretato poesie ed opere composte durante l’anno di attività. "Il lavoro di apertura al territorio - ha dichiarato l’assessore Gabriele - svolto dall’Istituto D’Agostino è stato davvero pregevole. La succursale della scuola presente nella casa circondariale di Bellizzi si è trasformata in un laboratorio volto al recupero, schiudendo le porte del carcere, abbattendo le differenze sociali, grazie ad un lavoro culturale minuzioso e coinvolgente.

Il carcere rappresenta uno dei principali luoghi in cui la cultura criminale si rigenera e si riproduce. È perciò necessario continuare il lavoro avviato quest’anno al fine di trasferire ai detenuti nuovi interessi e nuovi valori culturali", ha concluso Gabriele.

Livorno: premio letterario per detenuti prorogato di un mese

 

Comunicato stampa, 12 giugno 2008

 

Proroga Premio Castelli. Gli Enti promotori ed organizzatori del Premio "Carlo Castelli", in considerazione del fatto che è ormai prossima la scadenza del 15 giugno, quale termine ultimo di presentazione degli elaborati in concorso, mentre da molti Istituti penitenziari continuano a pervenire lavori, hanno deciso di prorogare di un mese detta scadenza che è quindi fissata al 15 luglio p.v. Fino a quella data quindi, tutti i detenuti che intendono partecipare al Premio possono continuare ad inviare i loro elaborati all’indirizzo già indicato nel bando, cioè alla Sede organizzativa del Premio "Carlo Castelli" - Società San Vincenzo De Paoli - Via L. Landi n° 39 - 57025 Piombino (LI).

Torino: il 17 e 18 convegno del Centro per Giustizia minorile

 

Comunicato stampa, 12 giugno 2008

 

"Ripartiamo dalle radici… porte aperte sulla Giustizia Minorile". Torino, 17-18 giugno 2008. "Chi lavora secondo un piano avvedutamente predisposto, prova certamente una non comune soddisfazione personale, che colui che opera soltanto momento per momento ignora; soddisfazione che si aggiunge alla gioia di poter restituire alla vita ed alla società un uomo nuovo".

Così diceva il primo Direttore dell’Ufficio minorile, il Consigliere Uberto Radaelli, uomo che tanto impegno ha profuso nel periodo post riforma della giustizia minorile, in favore di quei "minori irregolari nella condotta e nel carattere" al fine del loro reinserimento sociale.

Il 17 giugno 2008, dalle ore 14 alle ore 18, presso il Centro per la Giustizia Minorile per il Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria si terrà la cerimonia di intitolazione del Centro di Prima Accoglienza di Torino (CPA) al Presidente Uberto Radaelli.

In occasione dell’intitolazione, il Centro per la Giustizia Minorile per il Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, in collaborazione con la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, la Città di Torino, l’Università degli Studi di Torino, l’Istituto Luce, la Consigliera di Parità Provinciale e la Circoscrizione 9, organizza mercoledì 18 giugno, dalle ore 9 alle ore 18 il Convegno "Ripartiamo dalle radici… porte aperte sulla Giustizia Minorile".

Si tratta di una giornata dedicata alla nascita, allo sviluppo e alle attuali tendenze della Giustizia Minorile, con uno sguardo particolare alle Pari Opportunità e alle Politiche di Genere". La giornata del 18 giugno si svolgerà presso l’Aula Magna del Palazzo del Rettorato, Via Verdi n. 8 / Via Po n. 17, e affronterà le tematiche legate alla giustizia minorile; dalla situazione attuale degli Istituti Minorili in Italia, con particolare riferimento alle Pari Opportunità e al crescente fenomeno dell’immigrazione minorile, alla comunicazione e diffusione delle notizie aventi per protagonisti i minori. Il Convegno ha ottenuto il patrocinio della Regione Piemonte, della Provincia di Torino, della Città di Torino, dell’Istituto Luce, dell’Università degli Studi di Torino, della Consigliera di Parità Provinciale e della Circoscrizione 9.

In occasione del Convegno sono previste due iniziative. La prima consisterà nell’allestimento della mostra fotografica "Monelli banditi - scenari e presenze della Giustizia minorile in Italia", presso il loggiato del Palazzo del Rettorato, Via Verdi 8 / Via Po 17, dal 16 al 26 giugno. Ingresso libero. Le immagini fanno parte del cospicuo materiale fotografico (circa 2800 foto) rinvenuto negli archivi della Scuola di Formazione del Personale della Giustizia Minorile di Roma. Si tratta di foto risalenti agli anni 50-70, frutto di una serie di campagne fotografiche commissionate nel 1951 all’Istituto Luce, dall’allora Ministro di Grazia e Giustizia Dino Grandi, e ritraggono alcuni momenti della vita quotidiana nelle case di correzione. Ad un occhio attento e sensibile, gli scatti offrono molteplici chiavi di lettura e spunti per una riflessione allargata. Vite ancora tenere precocemente travolte e indurite dagli eventi, case di rieducazione, centri di osservazione, prigioni scuola, "monelli" come possono esserlo tutti i bambini, "banditi" come sinonimo di delinquenti o potenzialmente tali, pericolosi per aver deviato dalle regole della convivenza civile.

Monelli banditi, posti nella condizione di non nuocere, in luoghi separati e adibiti, secondo le migliori intenzioni, alla rieducazione e al reinserimento. Innocenti? Colpevoli? Capaci di intendere e di volere? Da punire? Da rieducare? Il dibattito è ancora aperto e all’ordine del giorno. "L’obiettivo - spiega il Dirigente del Cgm Dott. Antonio Pappalardo - è quello di rendere visibile la storia della Giustizia Minorile, raccontata dagli ospiti del convegno e dalle immagini fotografiche che raccontano un mondo che racchiude segmenti di vita, di disagio, di emarginazione, ma anche di dedizione, di impegno professionale e culturale. Il Convegno vuole essere l’occasione di un’approfondita riflessione sul tema dell’amministrazione della giustizia minorile, oltre che la possibilità di far conoscere al "mondo esterno" la realtà attuale dei Centri di Giustizia Minorile".

La seconda iniziativa è quella su cui i ragazzi e le ragazze detenute stanno già lavorando: la realizzazione di una mostra fotografica avente per oggetto il "Ferrante Aporti" visto dai loro occhi". La mostra "Monelli banditi" sarà allestita presso il Palazzo del Rettorato, dal 16 al 26 di giugno (ingresso libero); mentre la mostra "Occhi aperti sul Ferrante" sarà allestita presso l’Istituto Penale Minorile "Ferrante Aporti" di Torino, Via Berruti e Ferrero n. 3, dal 19 al 30 giugno, con ingresso libero (previa presentazione di documento di riconoscimento), dal lunedì al sabato dalle ore 15.30 alle ore 18.30; domenica 29 dalle ore 9.30 alle ore 18.30.

La stampa e le televisioni sono invitate a partecipare, in particolare alla Conferenza Stampa, che si terrà il 16 giugno alle ore 11, presso l’Aula "Mario Allara" del Palazzo del Rettorato.

Per ogni ulteriore informazione rispetto alle iniziative contattare la Segreteria del C.G.M. Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, Tel. 011.6194280 - Fax 011.6194299. Responsabile Organizzativa: Valentina Valeria Vivarelli.

Milano: "San Vittore Sing Sing", festival rock dietro le sbarre

 

Il Giornale, 12 giugno 2008

 

Il rock è libertà. Al punto che il suo suono può fare magie: anche allargare un po’ le sbarre, e portarti un pezzo di mondo addosso. Si, perché il rock lo si "tocca" davvero quando colpisce tutti i cinque sensi: lo si ascolta, lo si vede, ma se ne percepiscono anche gli odori, la polvere del palco, degli amplificatori, del legno delle chitarre e della batteria, del sudore dei musicisti.

Il rock è il fischio imprevisto del microfono, è lo sguardo incrociato per un attimo con chi canta e suona sotto i riflettori, insomma è tutto ciò che la tv o l’impianto stereo non potranno mai dare. Ecco perché un’iniziativa come San Vittore Sing Sing - il festival di musica e cabaret organizzato per alcuni carceri del Milanese, giunto alla quarta edizione - si è trasformato in un appuntamento imperdibile. E non solo per detenuti e operatori penitenziari: gli stessi artisti tornano da queste esperienze con una nuova consapevolezza del loro rapporto col pubblico. L’edizione 2008 - prevista oggi (ore 17.30 - 20.30), lunedì 16 (13.30 - 16.30) e venerdì 20 giugno (ore 15.30-17.30) - avrà come rispettivi scenari le case di reclusione di Bollate e San Vittore e, novità di quest’anno, il carcere minorile Beccaria.

I ragazzi e le ragazze di questo istituto si riuniranno, per una volta tutti insieme, sul campo di calcio, provando a saziarsi di musica. Nato da un’idea dell’agenzia di comunicazione Piano B, in collaborazione con le cooperative delle case circondariali ed il provveditorato alle carceri lombarde, e in legame con il Mantova Musica Festival e la Provincia di Milano, San Vittore Sing Sing avrà un parterre di artisti nazionali e internazionali di assoluto rispetto: maestri della risata come Ale e Franz, Stefano Chiodaroli e Fabrizio Fontana noti per le apparizioni televisive a Zelig e Colorado; musicisti come Roy Paci, il berbero sufi Nour Eddine, Sud Sound System, Franki Hi Nrg, Fish, Club Dogo, Mondo Marcio e Fabri Fibra, già protagonista di un’analoga iniziativa targta Mtv, nel carcere romano di Rebibbia.

Accanto a loro, gli artisti "interni", come la band VLP Sound formata da detenuti di San Vittore, coordinata dal maestro Alejandro Jaraj, e i Francobranco, gruppo guidato dal musicista e agente penitenziario Franco Carnevale. Il via al festival è previsto per questo pomeriggio al carcere di Bollate, distribuito su due palchi montati nel campo sportivo e nel reparto femminile, di recente realizzazione: anche in questa occasione ci sarà spazio per due band "interne", come i Suonisonori and the Reggae Band e gli Aria Dura.

"Per noi del carcere di Bollate è la seconda edizione - spiega il direttore, la napoletana Lucia Castellano .- Manifestazioni come queste alleviano il peso della detenzione e si rivelano utili anche per la sicurezza: la musica e la comicità distendono gli animi, alleviano le frustrazioni. Noi abbiamo una commissione cultura che organizza eventi teatrali, cineforum e soprattutto cabaret".

Milano: "Rock the jail", il videoclip realizzato all’Ipm Beccaria

 

Reuters, 12 giugno 2008

 

Come passa il tempo una ragazza straniera chiusa in un carcere minorile? Incollata davanti alla televisione, guardando programmi musicali e fantasticando sui miti proposti dal video.

Partendo da questo presupposto, un gruppo di 14 ragazze detenute nell’Istituto penale minorile Beccaria di Milano ha partecipato ad un laboratorio sulla televisione, producendo un videoclip musicale insieme ad alcuni volti noti del piccolo schermo che sarà presentato domani nella sede della Provincia di Milano.

"I detenuti più giovani spesso tendono a confondere la realtà con la finzione presentata in televisione", spiega a Reuters Giuseppe Vaciago, presidente dell’associazione Suonisonori che ha aiutato le ragazze, quasi tutte rom ed extracomunitarie, a realizzare il progetto. "Portando alcuni testimonial all’interno del carcere, abbiamo cercato di smitizzare il mondo della televisione", aggiunge Vaciago che, grazie anche all’appoggio di Palazzo Isimbardi, è riuscito a coinvolgere personaggi come Ambra Angiolini, Camilla Raznovich, Paolo Kessisoglu e Luca Bizzarri.

Il testo e la musica del video, intitolato "Il Viaggio", sono stati composti dalle ragazze, che recitano davanti alle telecamere alternandosi alle vere star, ma con i volti coperti da maschere e occhiali colorati. Nessuno, meno che mai una minorenne, amerebbe farsi riconoscere come una detenuta del Beccaria. Ma queste ragazze hanno un motivo in più per voler celare il più possibile la loro identità. Nonostante la giovane età sono quasi tutte sposate, e se i loro mariti venissero a sapere che hanno cantato e ballato davanti alle telecamere, per loro potrebbero essere guai seri una volta tornate in libertà.

"Abbiamo dovuto convincerle che era un loro diritto", spiega Gianluca Messina, insegnante di musica di Suonisonori che ha impiegato un anno e mezzo per vincere le diffidenze delle ragazze e coinvolgerle nel lavoro. "Una volta convinte, però, loro sanno dove trovare la forza per affrontare i mariti". Da 10 anni Suonisonori si occupa di promuovere iniziative musicali ed educative all’interno delle carceri, ma è la prima volta che uno dei progetti rivolti al mondo esterno riesce a coinvolge prigioniere femmine.

"Volevamo cercare di offrire alle persone che stanno fuori una chiave di lettura diversa del mondo del carcere e abbiamo deciso di rivolgerci alle ragazze perché solitamente sono le più escluse dalle rivolte verso l’esterno, principalmente per motivi culturali", ha detto Messina.

Il testo della canzone è nato da una riflessione proposta alle ragazze sul testo dell’Odissea di Ulisse, nelle cui peripezie le detenute non hanno faticato a immedesimarsi. "Canto i colori che qui non vedrò", dice questo pezzo che fonde un arrangiamento pop con testi italiani e ritmi provenienti dalla tradizione musicale zingara. "Per cercare nel muoversi quel che non ho".

Il video di tre minuti - realizzato gratuitamente da professionisti come Antonio Boccola, regista di "Fame chimica" e Italo Petriccione, direttore della fotografia del premio Oscar "Mediterraneo" - è stato girato su pellicola all’interno del carcere. "Volevamo sensibilizzare il pubblico sui problemi vissuti dai detenuti minori, che spesso sono poco più che bambini", dice Boccola. "E allo stesso tempo dare la possibilità alle ragazze che hanno partecipato di sentirsi adolescenti come tutti gli altri, che ballano, cantano e sognano di apparire in televisione".

Da domani il video sarà scaricabile sul sito della casa di produzione dello stesso Boccola (www.e-tica.it), ma i coordinatori del progetto sperano che, anche grazie alla partecipazione di volti famosi dello spettacolo, la canzone possa avere successo ed essere trasmessa in radio e televisione. La massima soddisfazione, dice Vaciago, sarebbe infatti che le ragazze vedessero apparire i propri volti sugli schermi del carcere, sfatando così definitivamente il mito posticcio dei modelli presentati in televisione.

Torino: "YouPrison", mostra su limitazioni di spazio e libertà

 

www.exibart.com, 12 giugno 2008

 

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo dedica un importante evento espositivo al tema dell’architettura carceraria. Exibart - Torino - Via Modane 16. Orario: mart-dom: 12-20 gio: 12-23. Lunedì chiuso. Biglietti: 5 euro, ridotto 3 euro. Vernissage: 12 giugno 2008. Ore 19-21.

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo dedica un importante evento espositivo al tema dell’architettura carceraria con la mostra YouPrison. Riflessioni sulla limitazione di spazio e libertà, a cura di Francesco Bonami (13 giugno - 12 ottobre).

L’architettura oggi gode di grande visibilità mediatica, grazie alla proliferazione di edifici spettacolari quali musei, teatri e grandi opere, ma l’idea della prigione non riceve altrettanta attenzione. Si tratta, tuttavia, di un tema architettonico tra i più difficili e coinvolgenti, in cui l’organizzazione dello spazio dà corpo al principio giuridico e politico della punizione del crimine. Undici studi di architettura internazionale sono stati invitati a progettare lo spazio abitativo di un carcere.

La committenza prevedeva la creazione di una cella di tre metri per quattro dotata di tutti gli elementi essenziali per la vita dei detenuti. Durante la realizzazione dei progetti, la cella è diventata il mezzo per speculare su un problema etico, politico e sociale e su un sistema di cui essa costituisce la più piccola unità strumentale. Gli architetti hanno affrontato il tema interpretando la cella come modello analitico.

Essi hanno dato vita a riflessioni su questioni di pubblico interesse, quali la limitazione di libertà, il rispetto dei diritti umani, gli strumenti di sorveglianza e controllo, l’evoluzione urbanistica e le sue influenze sulle forme dell’abitare. Come emerge dai progetti in mostra, la committenza ha posto dunque agli architetti quesiti che eccedono il tema architettonico, sollevando un dilemma che, per alcuni, ha messo in gioco una presa di posizione etica.

Studi di architettura partecipanti: Alexander Brodsky, Mosca, Russia; Atelier Bow Wow, Tokio, Giappone; Diller Scofidio + renfro con David Allin, Hayley Eber, Eric Rothfeder, New York, Usa; Inaba (Jeffrey Inaba) e Slab Architecture (Jeffrey Johnson), Los Angeles; DW5 Bernard Khoury, Beirut, Libano; project (Ana Miljacki e Lee Moreu), Benjamin Porto e Dan Sakai, Brooklin, Usa; Nowa (Marco Navarra), Catania, Italia; Sciskew Collaborative, Shanghai, Cina e New York, Usa; Kianoosh Vahabi, Tehran, Iran; Yung Ho Chang - Atelier FCJZ, Pechino, Cina; Eyal+Ines Weizman, Londra, UK (progetto multimediale di Angela Melitopoulos). Artisti in mostra: Darren Almond; Gianfranco Baruchello; Ashley Hunt; Jaan Toomik; Kon Trubkovich e Artur Zmijewski.

Immigrazione: Caritas; ecco chi sono i romeni, nuovi cittadini

 

Redattore Sociale, 12 giugno 2008

 

Il nuovo dossier di Caritas Italiana "Romania. Immigrazione e lavoro in Italia" fa luce, senza pregiudizi, sulla realtà della comunità romena in Italia. Smontando alcune distorsioni provocate dall’emergenza sicurezza".

Un milione di nuovi cittadini che, nonostante le difficoltà e le discriminazioni, contribuisce in modo rilevante al Sistema Paese. Sono gli immigrati romeni in Italia, centuplicati dal 1997, diventati il primo gruppo stranieri residente e la seconda, per numero, forza lavoro nazionale. A loro è dedicato il terzo dossier Caritas sull’Immigrazione dall’Est Europa, "Romania. Immigrazione e lavoro in Italia. Statistiche, problemi e prospettive". Un’indagine socio-statistica che, attraverso ricerche qualitative e analisi quantitative, ha cercato di far luce, senza pregiudizi, sulla realtà della comunità romena in Italia. Partendo dalle stime sulle presenze per arrivare a definire il volto di questa collettività, smontando alcune delle distorsioni provocate dall’"emergenza sicurezza". Per capire chi sono, come vivono, quali problemi incontrano, che atteggiamenti hanno verso l’Italia e gli italiani, quelle migliaia di lavoratori che contribuiscono all’1,2 per cento del Pil. Nonostante i lavori che svolgono li costringano spesso a un processo di dequalificazione; nonostante le paghe siano inferiori a quelle degli italiani; e nonostante siano tra i più colpiti dalle dinamiche del lavoro nero.

"Va tentato un rinnovato accreditamento dei romeni nell’opinione pubblica - ha dichiarato il direttore di Caritas Italiana, Vittorio Nozza anticipando alcuni risultati dell’indagine - Sono fondamentalmente dei grandi lavoratori, anche se non mancano individui e gruppi malavitosi. Apprezzano la nostra lingua e la nostra cultura, con cui si sentono imparentati; leggono i nostri giornali; mandano con profitto i figli a scuola; sono soddisfatti del nostro sistema sanitario più ancora che della nostra cucina. Non importa se ortodossi o cattolici, rivelano un profondo sentimento religioso e con spirito di unità pregano nelle nostre chiese. Questi sono veramente i romeni: i nuovi cittadini da accogliere".

 

Oltre un milione i romeni in Italia. Producono l’1,2% del Pil

 

Da appena 8mila nel 1990 a oltre un milione all’inizio del 2008. In 17 anni i cittadini romeni in Italia è aumentata di cento volte, diventando il primo gruppo nazionale straniero, con 557mila occupati che contribuiscono per l’1,2 per cento al Pil italiano. È la fotografia numerica della comunità romena scattata dal Dossier di Caritas Italiana "Romania. Immigrazione e lavoro in Italia. Statistiche problemi e prospettive". Cifre che completano i dati degli archivi ufficiali per far luce sulla realtà effettiva di una comunità di cui nell’ultimo anno si è parlato quasi solo in termini di sicurezza.

Le presenze. All’inizio del 2007, su un totale di 3.690.000 stranieri regolari i romeni sono risultati 556mila secondo la stima del Dossier Caritas/Migrantes, per il 53,4 per cento costituiti da donne. Aggiornata all’inizio del 2008, la stima, basata sull’utilizzo incrociato di tutti gli archivi disponibili, ipotizza la presenza di 1.016.000 romeni, il 73 per cento per motivi di lavoro e il 23,5 per motivi di famiglia. La prima regione di residenza con 200mila presenze è il Lazio (100mila solo nella provincia di Roma), seguita da Lombardia (160mila), da Piemonte (130mila), da Veneto (120mila), Emilia Romagna e Toscana (80mila). Più indietro Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia con 20mila presenze. Una presenza consistente e diffusa che però secondo i ricercatori di Caritas/Migrantes non basta per giustificare la "sindrome da invasione". Si tratta di "un’eventualità improbabile trattandosi di un paese caratterizzato dall’invecchiamento della popolazione, dal buon andamento economico e dal forte bisogno di trattenere forza lavoro aggiuntiva". Invece, sottolineano i ricercatori, "si è trascurato di riflettere sufficientemente sull’apporto che i romeni assicurano al Sistema Italia".

Una risorsa per il Sistema Italia. Se in generale nel nostro paese, con uno su dieci occupati, gli immigrati sono diventati una componente strutturale rilevante del mercato del lavoro, un contributo importante è dato dai lavoratori romeni: ogni 6 nuovi assunti stranieri uno è romeno. L’aumento degli occupati registrati dall’Inail tra il 2006 e il 2007 è stato eccezionale, passando da 263.200 a 557.000, anche se solo in parte si è trattato di nuovi venuti e in larga misura di persone già presenti in Italia ed emerse grazie alla normativa più favorevole derivante dall’adesione all’Unione Europea. Sono aumentati specialmente gli uomini (dal 51,7 al 54,1 per cento), avendo molti di loro (70mila) fruito delle misure di emersione nel settore edile (la legge 4 agosto 2006, n. 248, il cosiddetto "pacchetto Bersani in edilizia"); purtroppo - sottolinea il rapporto - contemporaneamente è diminuito il numero di ore lavorate e sono aumentati i rapporti part-time, spia della maggiore diffusione del lavoro "grigio". Nonostante l’alto livello di preparazione, i romeni trovano sbocco nei posti meno garantiti e, perciò, sottoscrivono in media 1,5 contratti l’anno. L’inserimento avviene per un terzo nell’industria (notoriamente in edilizia), per la metà nel terziario (assistenza familiare, alberghi e ristoranti, informatica e servizi alle imprese) e per il 6,6 per cento in agricoltura.

I numeri del "problema" sicurezza. Una frangia deviante minoritaria rispetto ai grandi numeri della presenza in Italia. È il giudizio con cui nel Dosier Caritas si smonta la forte connotazione "romena" che l’equazione "immigrato uguale delinquente" diffusa nel Paese ha assunto nell’ultimo anno. Un giudizio che non nasconde il fatto che i romeni, che sono stati il 12 per cento dei soggiornanti nel 2006, hanno inciso con una percentuale più alta in diversi reati (omicidi volontari consumati, violenze sessuali, furti di autovetture, furti con strappo, furti in abitazione, furti con destrezza, rapine in esercizi commerciali e rapine in pubblica via, estorsioni), ma sottolinea che non di rado le vittime sono state rumene.

A cominciare dalle migliaia di ragazze reclutate con violenza nelle zone più povere della Romania per essere avviate ala prostituzione in Italia: si tratterebbe, tra le romene e quelle di altre nazionalità, di 18mila/35mila persone l’anno. E sono ricorrenti gli atti di violenza sessuale anche all’interno delle mura domestiche, a danno delle romene o di altre colf a servizio delle famiglie italiane.

Più vittime che untori. Mancanza di informazione e assistenza; sfruttamento sul luogo di lavoro, soprattutto in campo edile; primato dei romeni negli infortuni mortali e molestie sessuali subite dalle donne durante i lavori di accadimento; atteggiamenti intimidatori della sicurezza pubblica; difficoltà burocratiche e ostilità tra gli operatori pubblici; impedimenti all’esercizio del diritto di voto nelle elezioni amministrative; e soprattutto diffusione di un’informazione tendenziosa sui fatti in cui sono coinvolti i romeni. Sono le principali segnalazioni di situazioni di discriminazione e disparità subite dalla comunità romena e raccolte dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) in collaborazione con l’omologo romeno (Cncd). Un quadro di "inserimento negato", a cui non ha giovato un investimento pubblico che nella gestione dell’immigrazione nel tempo si è concentrato sempre più sulla sicurezza. Se nel 1998 le spese per l’integrazione erano pari a quelle per la repressione, già nel 2004 il rapporto era di 1 a 4, con l’ulteriore recente depotenziamento del Fondo per l’inclusione sociale.

 

Bertolini (Pdl): preoccupa l’invasione dei rumeni

 

"In un solo anno i Romeni in Italia sono addirittura raddoppiati, sfondando il muro del milione di presenze. L’invasione dalla Romania nel nostro Paese preoccupa gravemente". A sostenerlo è la deputata Pdl, Isabella Bertolini, che aggiunge: "L’Italia, come hanno fatto altri paesi europei, avrebbe dovuto applicare una moratoria per frenare questa ondata che, come era stato previsto, ci ha sommersi, creando disordine e pericoli per i cittadini".

Ma, puntualizza l’esponente azzurra, "il Governo Prodi, ostaggio dei veti irresponsabili e ideologici della sinistra radicale, si è opposto ostinatamente a tale soluzione di buon senso. Il Governo Berlusconi si trova oggi a dover affrontare una emergenza immigrazione senza precedenti. Il pacchetto sicurezza prevede una serie di misure per contrastare ingressi indiscriminati e per cacciare chi, dedito a traffici illeciti, circola illegalmente nel nostro Paese. Ci vorrà tempo per invertire la situazione attuale - conclude Bertolini - ma, con rigore e fermezza, sapremo ridare all’Italia ordine e legalità".

Droghe: niente più sospensione pena per chi detiene sostanze

 

Notiziario Aduc, 12 giugno 2008

 

Il decreto legge sulla sicurezza pubblica è giunto in Aula al Senato dopo un breve passaggio in commissione Affari costituzionali e Giustizia. E fra le modifiche approvate, anche quella che esclude la sospensione della pena per la detenzione di stupefacenti.

A parte qualche piccolo ritocco e ad eccezione delle proposte di modifica dei relatori sulla confisca dei patrimoni mafiosi, il decreto arriva in Aula del Senato nella formulazione del governo. Tutte le altre proposte di modifica sono state eliminate, a cominciare dall’emendamento di Berselli sulla prostituzione, che troverà collocazione nel disegno di legge, già presentato ma non ancora incardinato al Senato. Sempre nel disegno di legge trova posto anche il reato di ingresso illegale in Italia, inizialmente inserito nel dl.

Un testo che non ha convinto l’opposizione che ha attaccato duramente la maggioranza "chiusa, litigiosa e intransigente" che "non è stata aperta al dialogo" e preferisce "mostrare i muscoli piuttosto che accettare gli emendamenti dell’opposizione". Se si eccettuano alcune proposte, "come quella dell’identificazione dei clandestini, la maggioranza ha chiuso su tutto, dalle misure di contrasto al traffico internazionale dei clandestini, alle norme anti-violenza per le donne, come lo stalking, dal diniego al gratuito patrocinio per i mafiosi alla lotta per contrastare lo sfruttamento dei lavoratori clandestini" ha detto il presidente del gruppo del Pd Anna Finocchiaro.

Critiche sono arrivate anche da Italia dei valori che, assieme al Pd, ha presentato le pregiudiziali di incostituzionalità, che sono state bocciate dall’Aula (122 sì, 163 no e sei astenuti). Aggravante per clandestinità e confisca degli immobili per chi affitta a immigrati irregolari sono i due punti su cui si erano concentrate le questioni pregiudiziali. La norma che prevede un’aggravante per i clandestini che compiono un reato, ha detto il vicepresidente vicario dei senatori del Pd Luigi Zanda, è "in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, con l’articolo 14 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e con l’articolo 21 della carta di Nizza" perché "sancisce una disparità di trattamento fra soggetti che compiono lo stesso reato".

Luigi Li Gotti di Italia dei valori ha invece citato l’articolo 1 del decreto che riguarda l’obbligo di espulsione o di allentamento dello straniero dallo Stato. "L’allontanamento e l’espulsione sono subordinati all’accertamento della pericolosità sociale del condannato. Nella relazione al decreto si afferma questo - ha rimarcato Li Gotti - ma nel testo non si è voluta inserire la precisazione".

Un secondo punto di critica da parte del partito di Antonio Di Pietro è l’articolo 5 del dl che ha introdotto la confisca degli immobili di chi affitta a immigrati irregolari percependo "un ingiusto profitto". La maggioranza, ha aggiunto Li Gotti, "dimentica" che "la confisca è obbligatoria solo qualora il bene sia intrinsecamente pericoloso".

A rimandare le critiche al mittente ci pensa il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri: "L’opposizione ha presentato delle pregiudiziali, soprattutto sulla parte di contrasto all’immigrazione clandestina, che per noi, invece, è urgente e necessaria. Il nostro obiettivo è approvare rapidamente il decreto legge, perché abbiamo bisogno di norme più efficaci che la sinistra non è riuscita a dare al paese. Il governo Berlusconi intende invece dare maggiori certezze e tutele ai cittadini. Il confronto resta comunque aperto". Superate le pregiudiziali, per il dl è iniziata la discussione generale. Entro lunedì vanno presentati gli emendamenti, poi spazio alle repliche dei relatori e del governo, quindi il voto.

Droghe: Udc e San Patrignano; Fiera Cannabis va censurata

 

Notiziario Aduc, 12 giugno 2008

 

Dopo aver esposto in Consiglio comunale i suoi acquisti fatti alla Fiera della cannabis, la consigliera comunale de "La Tua Bologna", in quota Udc, torna alla carica. Kit per sniffare cocaina, lecca-lecca alla marijuana, cime di canapa e semi di "vedova bianca" sono tornati a "sventolare" sotto gli occhi stupefatti di oltre un centinaio di persone, radunate allo chalet dei Giardini Margherita per il convegno "No alla fiera della droga" organizzato appunto dall’Udc. Ad assistere alla scena anche una ventina di ragazzi di San Patrignano, invitati insieme ad alcuni rappresentanti della comunità, perché portassero la loro testimonianza. "Ho speso qualche centinaia di euro per comprare queste cose", spiega Noè, che poi invita i presenti a "fare massa in critica: in futuro chiederò il vostro impegno per impedire che la fiera della cannabis di Bologna si ripeta".

Noè cede poi la parola ad alcuni dei ragazzi di San Patrignano, a cui chiede di raccontare la loro storia. Parlano Angelo e Francesca: entrambi hanno cominciato con uno spinello a 14 anni. Poi "ho avuto grossi problemi con la droga - dice Angelo - non avrei mai pensato di andare oltre, anzi: quando vedevo i tossici, guardavo dall’altra parte. Invece sono le cose piccole ad essere le più infide, perché le prendi sottogamba". Stessa esperienza per Francesca. "La cannabis non è una droga leggera, è una droga vera, che fa male, ed è solo l’inizio. Prima si faceva fatica a trovare queste sostanze. Ora invece è allarmante che siano quasi di pubblico dominio".

Stati Uniti: American Gulag, mille detenuti in più a settimana

di Claudio Giusti (Osservatorio sulla legalità)

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 12 giugno 2008

 

La crescita dell’universo concentrazionario americano prosegue inarrestabile. Ogni settimana 1.000 detenuti si aggiungono al più grande esperimento di imprigionamento di massa dai tempi di Stalin. Un milione e seicentomila carcerati riempiono le prigioni statali e federali (trent’anni fa erano duecentomila), ottocentomila quelle locali (cinquecentomila sono in attesa di giudizio), con in più centoventimila minorenni nei riformatori (20-30.000 sono i minori nelle carceri per adulti).

Gli Stati Uniti d’America detengono il record mondiale di un carcerato ogni 120 abitanti, con un tasso di detenzione di 833 per 100.000, ma, se ai 2,5 milioni in prigione aggiungiamo i 5 milioni e passa che sono in libertà vigilata (probation e parole), arriviamo a un condannato ogni 40 abitanti e a un tasso di 2.500 per centomila. Un adulto americano ogni cento è dietro le sbarre e per i neri si arriva a uno ogni nove. Metà dei carcerati sono neri, ma i neri sono il 13% della popolazione. Un terzo dei ventenni di colore è in prigione o in libertà vigilata e per i giovani neri passare un periodo di tempo in prigione è un "rito di passaggio" come lo era per noi fare il servizio militare. Il loro tasso d’incarcerazione è di 13.000 per centomila, mentre per i loro coetanei bianchi è di 1.700. Le donne detenute sono 200.000 e spesso si ha notizia di una di loro costretta a partorire ammanettata mani e piedi.

100.000 detenuti sono in isolamento nei supermax. 3.300 sono nel braccio della morte. Gli ergastolani sono 130.000. Un quarto non ha la possibilità di rilascio sulla parola (LWOP) e di questi 2.200 sono minorenni (fra cui ragazzini di 13 e 14 anni)

Il prezzo del mantenimento del gulag americano è di 60 miliardi di dollari annui e l’intero sistema giudiziario-penale ne costa 200. In California ogni detenuto costa 40.000 dollari all’anno (come tenerlo a studiare ad Harvard), ma se i matti fossero in manicomio e i drogati in comunità la spesa diventerebbe di 20 e 10 mila rispettivamente.

Il Governatore Schwarzenegger sta tentando di salvare il bilancio rilasciando 22.000 dei 160.000 carcerati californiani. A tenere gremito il sistema concentrazionario Usa ci pensano le diciottomila polizie americane che, anche se metà dei crimini gravi non è denunciata, arrestano ogni anno 15 milioni di persone: 5.000 arresti ogni 100.000 abitanti. 1 milione e 500.000 sono arresti per guida in stato di ebbrezza (DUI). 2,5 milioni sono arresti di minorenni e almeno 500.00 di bambini sotto i 14 anni.

Questa enorme massa di persone schiaccerebbe qualsiasi sistema giudiziario, ma quello americano è salvato dalle infinite possibilità di ricatto e contrattazione che offre il patteggiamento. Così i processi con giuria sono appena 155.000 su di un totale di 45 milioni e duecentomila casi giudiziari civili e penali, mentre gli appelli sono solo 273.000.

La famosa efficienza giudiziaria americana si basa esclusivamente sulla frettolosa sommarietà del giudizio, senza certezza del diritto e della pena.

Il 6% degli americani è afflitto da gravi problemi mentali, ma per i detenuti si passa al 20% e le carceri, con i loro 500.000 matti, sostituiscono gli ospedali psichiatrici. Il sovraffollamento di jails e prisons non produce solo gente che dorme per terra o nei corridoi, ma condizioni igienico sanitarie atroci, con altissimi tassi di violenza, stupro e suicidio, tanto che una prigione in Georgia è stata definita da un giudice federale "una nave di schiavi".

Se, ai due milioni e mezzo in prigione e ai cinque in libertà vigilata, aggiungiamo i cinque milioni che hanno perso il diritto di voto (con gravi conseguenze sia per loro che per il sistema elettorale) e i bambini che hanno almeno un genitore in prigione vediamo che l’Incarceration Nation, ha creato una sottoclasse di 15 milioni di persone, un ventesimo della popolazione americana. E pensare che da noi c’è chi si balocca facendo improbabili confronti fra il numero delle intercettazioni.

Stati Uniti: in Texas prima esecuzione dalla fine della moratoria

 

Agi, 12 giugno 2008

 

Prima esecuzione in Texas dalla conclusione della moratoria non ufficiale di sette mesi sulla pena capitale negli Stati Uniti, suggellata dalla sentenza con cui la Corte Suprema federale ha proclamato costituzionalmente legittimo il discusso metodo dell’iniezione letale.

Nella serata di ieri è stato infatti giustiziato nel penitenziario texano di Huntsville, con una dose di veleno, il 37enne Karl Chamberlain: era condannato a morte nel ‘97 per violenza carnale e omicidio ai danni di una vicina di casa, Felicia Prechtl di 29 anni, da lui aggredita sei anni prima. L’assassino, reo confesso, aveva fornito agli inquirenti campioni del proprio Dna, risultati compatibili con quelli prelevati dal cadavere.

È l’esecuzione numero 406 portata a termine nello Stato Usa dal ‘76, quando la stessa Corte Suprema reintrodusse la pena capitale nell’ordinamento americano; il Texas detiene il record Usa dei condannati messi a morte. Il primo Stato a riprendere a giustiziare i detenuti dopo la fine della moratoria è stata la Georgia, il 5 giugno scorso.

Gran Bretagna: detenuti diventano programmatori computer

 

Asca, 12 giugno 2008

 

Non languono dietro le sbarre ma si impegnano per riedificare il proprio futuro: i detenuti di un carcere del Regno Unito stanno per imbarcarsi in un programma di reinserimento che li trasformerà in lavoratori ICT, che trasmetterà loro le competenze da spendere una volta tornati liberi. Sarà il carcere di Wandsworth a portare avanti questa iniziativa e a trasformare i propri detenuti in esperti del networking: potranno spendere le competenze acquisite sul mercato del lavoro, potranno gettare le basi per intraprendere una carriera in un settore avido di manodopera, che nel Regno Unito potrebbe occupare oltre 60mila nuovi lavoratori qualificati.

Impareranno a gestire le reti, si cimenteranno nel cablaggio, seguiranno corsi in presenza e avranno la possibilità di fruire di lezioni somministrate a mezzo e-learning. Per i detenuti che porteranno a termine il percorso di studi, non mancheranno le opportunità di inserirsi nel mondo del lavoro: Beonsite, un’organizzazione non profit che agisce da raccordo tra le esperienze di formazione e il mercato del lavoro, si occuperà di condurre dei colloqui e di inserire gli ex detenuti con la qualificazione guadagnata all’interno del penitenziario.

Il carcere di Wandsworth, con il supporto di Cisco e di Panduit, si trasformerà in una ICT Prison Academy (Picta), uno dei 23 centri di formazione ICT per detenuti nel Regno Unito. Sono un migliaio gli ospiti delle carceri che hanno aderito al progetto, che si sono inseriti in un ecosistema che incoraggia la socializzazione e consente di ottimizzare il tempo di detenzione per costruirsi un futuro: nel penitenziario viene creato quello che oltre le sbarre è una Cisco Networking Academy, le lezioni che si tengono sono volte al conseguimento di certificazioni quali IT Essentials, i fondamentali di hardware e software, e Ccna, per imparare a gestire le reti, nonché la certificazione Ecdl, rudimenti di Java e Unix e abilità di base utili in qualsiasi ambito lavorativo. Nel Regno Unito il 40 per cento dei frequentanti riesce ad inserirsi con successo nel mondo del lavoro, il 35 per cento decide di approfondire gli studi.

"Riabilitare i detenuti affinché possano offrire un contributo positivo alla società pur scontando la loro pena - ha spiegato il ministro David Hanson - significa accontentare sia la comunità sia le imprese". Per questo motivo il programma avviato nel carcere di Wandsworth non è che l’ultimo di una serie di iniziative portate avanti con la collaborazione di soggetti privati e pubblici, iniziative capaci di soddisfare una mancanza di forza lavoro nel settore IT, settore nel quale le aziende britanniche ricorrono sempre più al reclutamento di talenti esteri.

Iniziative di questo tipo non coinvolgono il solo Regno Unito: carceri di Ungheria, Olanda e Portogallo stanno lavorando a fianco di Cisco per formare e reinserire i propri detenuti. Anche l’Italia, con dei progetti previsti per sei penitenziari siciliani e con la Casa di Reclusione di Bollate, rappresenta un esempio virtuoso. A cinque anni dall’avvio del progetto nel carcere del milanese sono un centinaio gli studenti coinvolti, numerosi coloro che, dopo il contatto con il mondo del lavoro in regime di semi-libertà, ora lavorano come tecnici informatici di rete o come formatori, per trasmettere ad altri studenti le competenze acquisite.

 

 

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