Rassegna stampa 28 gennaio

 

Giustizia: 9 proposte per riformare il Diritto Penitenziario

 

Ristretti Orizzonti, 28 gennaio 2008

 

In un’Italia che sempre più spesso nei due grandi fronti del garantismo e del giustizialismo si schiera sulla base di presunte situazioni emergenziali, la riforma penitenziaria resta l’ennesimo nodo irrisolto, al pari della elefantiaca e forse non soddisfacente macchina statale, del sistema fiscale aspro senza rendere in capacità salariale e assistenza sociale e delle relazioni internazionali, non atte ancora a determinare un univoco indirizzo pacifista, nelle istituzioni europee e non solo. Non basterebbe molto, però, per migliorare la situazione:

prevedere (e rendere effettivo) un numero massimo di detenuti per cella, queste munite dei minimi servizi, allocati in modo riservato rispetto al plesso;

potenziare le strutture sanitarie e di assistenza medica all’interno dei penitenziari, sia per realizzare che malattie afflittive e spesso degenerative siano riconosciute e assistite per tempo sia per evitare che le condizioni di salute siano, come talora purtroppo accade, strumentalizzate per fini diversi dalla cura medica;

completare il sistema delle pene alternative, estendendone l’ambito applicativo, nel contesto di un più stretto rapporto con la magistratura di sorveglianza in generale e col concreto e singolo giudice dell’esecuzione penale;

incrementare le attività intra-carcerarie che promuovono la cooperazione tra detenuti e il rapporto di scambio e riadattamento col mondo esterno;

approvare un nuovo provvedimento di clemenza, unito all’amnistia, che depenalizzi di fatto le ipotesi di reato meno gravi e la cui pericolosità sociale risulti essere non avvertita se non quando quasi assente;

lavorare alla stesura di un nuovo codice penale e di un nuovo regolamento penitenziario che contemperi le esigenze di tutela dalla disgregazione sociale (microcriminalità, criminalità estera, affiliazione di soggetti economicamente e socialmente deboli e ricattabili) con le istanze costituzionali del regime penitenziario;

prevedere possibilità di soddisfazione per le minoranze etniche, religiose, linguistiche, razziali, attraverso l’assistenza spirituale e l’inibizione di pratiche discriminatorie;

ostacolare fattivamente (appunto grazie alle depenalizzazioni previste, o per merito della maggior attività di cura e tutela, oltre a ogni altra misura che si riveli idonea allo scopo) che il carcere diventi veicolo dell’estensione delle organizzazioni criminali tra soggetti intranei a strutture delinquenziali e tutti gli altri detenuti per diverse ipotesi;

adeguare le strutture penitenziarie, a livello e di edificazione e di vivibilità, a dei requisiti oggettivi di abitabilità, quali la salubrità, la summenzionata cura medica, l’attuazione dell’istanza rieducativa della pena. Il marchio di infamità che grava sulle galere e il mancato ritorno in termini di sicurezza sociale dipendono quasi completamente dal mancato raggiungimento di questi scopi.

 

Domenico Bilotti

Comitato Politico dei Radicali di Sinistra

Giustizia: questo è carcere che non consente il cambiamento

 

www.korazym.org, 28 gennaio 2008

 

Quotidiani e tv hanno cominciato a martellare sui tamburi della gran cassa mediatica, il rumore è sempre più assordante, come quando accade qualcosa che era stato ampiamente preventivato.

Le carceri si stanno nuovamente riempiendo, i detenuti stanno riconsolidando la percentuale di sovraffollamento precedente alla concessione dell’indulto. Come al solito siamo replicanti di noi stessi, incapaci di sostenere e ampliare una soluzione umana possibile, che poggi le fondamenta sull’esperienza.

Manca la legalità, non c’è sufficiente sicurezza, occorre costruire nuove galere, c’è bisogno di altre migliaia di operatori intesi come Polizia Penitenziaria, di interventi e di denaro. Effettivamente occorrono i denari, perché senza quelli non esiste possibilità di disegnare alcun progetto attuale e futuro, senza denari la teoria non configura alcuna pratica.

Senza dubbio c’è necessità di interventi, ma se questi sono una sottotraccia di ideologie da mercato, meglio non autorizzarne il passaggio mediatico, camuffandoli da interventi di grande autorevolezza politico criminale.

Possiamo redigere alti muri, edificare nuovi molok tra le nebbie, inasprire pene e sanzioni, moltiplicare per dieci i tutori dell’ordine, ma a quale scopo? Per vincere l’illegalità diffusa? Non è una cella oscura, una disciplina sciocca e feroce a far mettere in discussione il proprio vissuto a un detenuto, si otterrà l’esatto contrario, un ammaestramento che prima o poi deflagrerà.

Il carcere italiano ritorna all’invivibilità di sempre, non perché gli indultati non meritassero quella pietà, è sotto gli occhi di tutti la maturità raggiunta dalla stragrande maggioranza dei detenuti. Non è il carcere la soluzione a disfunzioni prettamente politiche, eppure ha ripreso a funzionare come una discarica abusiva, come una fabbrica di criminalità, in un paese dove le droghe la fanno in barba alle leggi, un paese che crede nella giustizia e nella legalità, finché queste due coordinate sociali non vanno a confliggere con i nostri interessi, attraverso una personalissima interpretazione della conformità alle regole.

Una verità conclamata sta nel sostenere che non è il carcere a poter risolvere le problematiche della giustizia e della sicurezza, anzi, confidando sulla sola capacità di intimidazione e violenza prisonizzante, si accentuano le condizioni per mantenere la persona detenuta a un tempo bloccato, al giorno del reato. Così facendo non esiste più l’uomo e la sua colpa, né la necessità di elaborare una rivisitazione del proprio vissuto, in prossimità di un vero mutamento interiore, per cui prevale il passaggio percettivo da carcerati a vittime, e in questa autoipnosi collettiva colpevolmente indotta, non c’è alcuna spinta alla compassione.

Nessuno o quasi si preoccupa di non fare fallire sul nascere qualsiasi progetto tendente al recupero della persona detenuta, superando la pratica della detenzione fine a se stessa, che mantiene colme le celle, senza favorire alcun auspicato cambiamento, in una esecuzione penale che riconosce come unico strumento di riordine il carcere.

Le celle si riempiono di lunghi monologhi di follia lucida, in un confine inteso come spazio e soglia di non appartenenza, un "prevaricamente" altro, specificatamente un luogo ove detenere-contenere i risultati di un disagio sociale galoppante, che non è sintesi di volontà criminale, di contrapposizione ideologica, bensì di marginalità e esclusione.

Giustizia: Mancino (Csm); la Lonardo non andava arrestata

 

Il Gazzettino, 28 gennaio 2008

 

Giustizia: Nicola Mancino bacchetta le toghe. Ieri il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura ha criticato le "schegge" di magistrati che agiscono in un "modo destabilizzante sul piano generale". Pur dichiarando la sua piena fiducia nella magistratura, Mancino afferma che non c’erano le "condizioni" per arrestare Sandra Lonardo.

L’occasione per parlare del caso che è costato la caduta del governo Prodi è stata la cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario, a Napoli. In serata è giunta la risposta piccata di un componente della giunta dell’Associazione nazionale magistrati del capoluogo campano, Antonello Ardituro: "Le schegge sono sempre quelle che fanno indagini sui pubblici amministratori e sui politici. Con tutto il rispetto dovuto al vicepresidente del Csm, è del tutto evidente che il richiamo ai pm e al gip di Santa Maria Capua Vetere è inopportuno".

È ancora il caso Mastella, dunque, ad avvelenare i rapporti tra i politici e la magistratura. Il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Scotti definisce inaccettabile l’arresto della Lonardo, mentre gli uffici legali dei ministeri dell’Interno e degli Affari regionali fanno sapere che bisogna sospendere dal suo incarico il presidente del Consiglio regionale della Campania, cioè la signora Mastella. Lo prevede, scrivono, la legge 55 del 1990. La stessa che avrebbe obbligato alle dimissioni - qualora non avesse rimesso spontaneamente il mandato - il governatore della Sicilia Totò Cuffaro

La tensione tra i poteri della Repubblica non sfugge all’ex capo di "Mani pulite", Francesco Saverio Borrelli, presente alla cerimonia milanese. Il magistrato che scoperchiò la vergogna di tangentopoli e mandò a casa la cosiddetta "Prima Repubblica" osserva: "Il 1992 non è mai finito. La reazione della classe politica è in contrasto con il principio che vuole che tutti siano uguali davanti alla legge".

Queste le premesse poco promettenti per riaprire un difficile dialogo. Il malumore tra le toghe è tanto. Anche il centrosinistra, in fondo, ha deluso. Non è bastato che Mastella congelasse l’odiatissima - dai magistrati - riforma Castelli. Dalle Corti d’appello di tutta Italia si levano le voci di magistrati che alla politica chiedono mezzi e autonomia, che condannano quanti, da potenti, ritengono di dover essere trattati con i guanti bianchi.

Ma soprattutto si chiedono riforme. "Al posto di questa impietrita immobilità è urgente un vero e proprio piano della giustizia, un disegno totale che affronti il problema con una visione non settoriale e, accanto alla già attuata riforma dell’ordinamento giudiziario, metta mano in una visione complessiva all’ordinamento processuale innanzitutto, a quello penitenziario, all’ordinamento forense, a quello del personale e alle strutture materiali, un programma che sia portato a compimento da persone competenti, esperte, efficienti e di buona volontà", osserva il Procuratore generale di Bologna, Francesco Pintor.

Dal capoluogo lombardo, Giuseppe Grechi, presidente della Corte d’Appello di Milano, dichiara: "Alla giustizia manca la benzina, non certo l’anima". Negli uffici giudiziari non c’è abbastanza personale, non ci sono automobili e pure la cancelleria lascia a desiderare. Più di una volta l’Associazione nazionale magistrati ha portato all’attenzione della cronaca le mancanze del sistema, attraverso non pochi "libri bianchi".

Tra le conseguenze della povertà di uomini e di mezzi, la cronica lentezza dei processi, già denunciata dal Procuratore generale della Cassazione, Mario Delli Priscoli, durante la cerimonia di apertura dell’anno giudiziario della suprema corte. Il Procuratore reggente della Corte d’Appello di Roma, Claudio Fancelli, ieri ha offerto cifre allarmanti: "A Latina un processo civile è durato mille e quattrocento giorni. A Roma, di norma ne dura 900, cioè un po’ meno di tre anni". Una curiosità: a Roma ci sono più avvocati che in tutta la Francia. A Palermo, a detta del Procuratore capo, Francesco Messineo, tra vuoto d’organico, tempi biblici e prescrizione, si è arrivati a un vero e proprio "genocidio giudiziario".

Giustizia: Starnini; potenziare subito l’assistenza sanitaria

 

Ansa, 28 gennaio 2008

 

Torna l’allarme sanità nelle carceri italiane. L’SOS arriva da Giulio Starnini, direttore di reparto dell’ospedale Belcolle di Viterbo. "Secondo un’indagine di Gfk Eurisko - afferma Starnini che è anche consigliere nazionale della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria - su un totale di 1.300 detenuti testati in 25 carceri, il 62% necessita di una terapia medica".

Secondo Starnini, il 28% dei detenuti è affetto da malattie infettive come l’epatite. È proprio questo dato a preoccupare di più per il rischio contagio che queste persone potrebbero scatenare, non tanto in carcere, ma una volta tornate in libertà. "È necessario potenziare l’assistenza sanitaria alle persone detenute per garantire un trattamento adeguato a tutti coloro i quali ne necessitino", aggiunge il medico.

"Solo metà dei detenuti affetti da epatite C - dice ancora Starnini - vengono subito messi in terapia e, fra questi, un quarto non accetta di curarsi. Un terzo, inoltre, sospende la cura prima del previsto. Quindi, su 100 detenuti con epatite C, 74 quelli che non seguono la terapia". "L’epidemia - precisa Roberto Monarca, consigliere Simspe con delega alle malattie infettive - si diffonde anche perché il detenuto talvolta preferisce rifiutare le cure in carcere sperando così di usufruire della legge per essere trasferito in ospedale, in comunità o magari in liberta". Nel documento di indirizzo 2007-8, Simspe Onlus suggerisce di affrontare seriamente questa problematica ricorrendo alla riconversione e al potenziamento dei centri clinici presenti nelle varie strutture penitenziarie.

Il carcere di Viterbo non fa eccezione a questa regola, anche Mammagialla necessita di una particolare attenzione dal punto di vista sanitario e, vista la contiguità con il reparto di medicina protetta di Belcolle, necessiterebbe sicuramente di un reparto speciale destinato al trattamento dei detenuti affetti da problemi clinici cronici, reparto che ancora non esiste.

Ricordiamo che ad oggi l’effetto indulto, per Mammagialla, è sostanzialmente svanito: le sezioni detentive sono ormai prossime al tutto esaurito e aleggia lo spettro del sovraffollamento. Recentemente un triste episodio di suicidio ha richiamato l’attenzione di tutti i mass-media sul carcere di Viterbo.

Simspe Onlus vorrebbe invece che l’attenzione fosse rivolta alla buona sanità che si tenta di promuovere all’interno dell’istituto anche grazie a un coordinatore sanitario come Franco Lepri, sempre attento ai bisogni di salute espressi dalle persone detenute, ma è anche necessario che i servizi sanitari e le strutture vengano costantemente adeguate e integrate per poter far fronte alle sempre più attuali sfide poste dalle patologie emergenti e riemergenti.

Giustizia: Sappe; sull’inaugurazione dell’anno giudiziario

 

Comunicato Sappe, 28 gennaio 2008

 

Anche dalla relazione del presidente della Corte di Appello di Genova Ettore Criscuoli è emerso il fallimento dell’indulto del luglio 2006 - un provvedimento, è opportuno ricordarlo, votato dai 2/3 del Parlamento -, criticato più volte dal Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il Primo sindacato dei Baschi Azzurri.

Bisognerebbe allora chiedersi perché il Parlamento e il Governo non sono intervenuti nonostante le nostre costanti e continue "grida d’allarme". Per mesi e mesi, infatti, denunciammo la quotidiana difficoltà lavorativa delle donne e degli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, lo stress che essa produce e la necessità di Governo e Parlamento di ripensare il carcere con una legislazione penitenziaria che preveda un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) delineando per la Polizia Penitenziaria un nuovo impiego ed un futuro operativo, al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale. Nessuno ha fato nulla e questo è il risultato: le carceri sono sovraffollate e gli agenti, nettamente sotto organico, stressati. Di più. Nonostante dell’indulto hanno beneficiato 27mila detenuti, la capienza massima di 43 mila presenze nelle carceri italiane è stata superata a giugno 2007; con questo ritmo di crescita entro l’anno saremo di nuovo all’emergenza preindulto".

È quanto ha dichiarato Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, la prima organizzazione più rappresentativa della Categoria, ai margini dell’inaugurazione dell’anno giudiziario in corso di svolgimento al Palazzo di Giustizia di Genova.

"La realtà è che abbiamo parlato con i sordi" aggiunge Martinelli. "Il nostro appello dei mesi scorsi alla classe governativa e politica di ripensare il carcere e di adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario non è stato ripreso da nessuno. Parlammo di provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci e potenzino gli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale. Auspicammo una urgente svolta bipartisan di Governo e Parlamento per una nuova politica della pena. Sollecitammo di affidare il controllo delle misure alternative alla detenzione alla Polizia Penitenziaria, accelerandone quindi l’inserimento negli Uffici per l’esecuzione penale esterna, vuole dire andare a svolgere le stesse funzioni di controllo oggi demandate a Polizia di Stato e Carabinieri, che in questo modo possono essere restituiti ai loro compiti istituzionali, in particolare il controllo del territorio, la prevenzione e la repressione dei reati, a tutto vantaggio dell’intera popolazione.

Certo, è per noi motivo di soddisfazione apprendere dall’intervento del rappresentante del Ministro, Emilio di Somma (Vice Capo dell’Amministrazione penitenziaria), che il Ministero della Giustizia ha recepito integralmente le nostre richieste per una nuova politica della pena che ponga al centro il ruolo del Corpo di Polizia Penitenziaria, avvalendosi anche di dispositivi tecnici come il braccialetto elettronico. In questi giorni infatti è partita su tutto il territorio nazionale la sperimentazione di 400 braccialetti elettronici, che assicureranno continuativamente la localizzazione della persona interessata sul luogo di detenzione e renderanno impossibili i comportamenti elusivi.

Riguardo infine al giusto rilievo del presidente Criscuoli, che ha messo in luce l’urgenza di affrontare e risolvere il problema dell’edilizia penitenziaria, credo che esso non possa essere disgiunto da una politica di assunzione di nuovi Agenti - magari attraverso concorsi a livello regionale -. Altrimenti il rischio è che avremmo sì nuove carceri ma non gli Agenti da farvi lavorare…".

Giustizia: sui killer mafiosi laureati, il commento delle vittime

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 28 gennaio 2008

 

"Il Times, il massimo quotidiano londinese ammette che è difficile imbattersi in due boss mafiosi più crudeli di Giuseppe e Filippo Graviano, eppure si sorprende il quotidiano britannico per l’imprevedibile intelligenza dimostrata dai due macellai, i quali si sono da poco laureati in matematica e economia". È il commento di Giovanna Maggiani Chelli, in rappresentanza dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, a seguito della pubblicazione sulla testata britannica di un’inchiesta sui killer mafiosi laureatisi mentre erano in detenzione nelle carceri italiane.

"Noi chiaramente - prosegue Maggiani Chelli in una nota - siamo vicini a quanto espresso in proposito dal Dr. Sebastiano Ardita direttore del Dap e dal Procuratore Ingroia, che criticano in senso negativo le possibilità date ai boss di "Cosa nostra", detenuti a regime di 41-bis, condannati per le stragi del 1993. E chiaramente aggiungiamo qualcosa di più, non si tratta di intelligenza per i fratelli Graviano si tratta delle possibilità che i mafiosi come sempre hanno in Italia. I fratelli Graviano in carcere all’ergastolo e a 41-bis non ci vogliono più stare, sfruttano perciò le larghe maglie della giustizia italiana anche sul fronte della mafia per raggiungere i loro obiettivi, ma noi non ci lasceremo incantare ne ora ne mai".

"Disapproviamo - spiega la portavoce dell’Associazione - ogni forma di riconoscimento ai due delinquenti incalliti, che mai potrebbero portare a nulla di buono se inseriti nuovamente nella società italiana. Riteniamo che i due delinquenti, assassini, abbiano solo molto denaro frutto del sangue di innocenti, quelli di via dei Georgofili del 27 Maggio 1993, denaro che quasi certamente hanno usato per comprarsi lauree e non solo".

"Perché non si fa un censimento sulle loro proprietà, e lo si scrive sui massimi quotidiani, piuttosto che parlare delle loro lauree? - si chiede Maggiani Chelli - A Nizza Giuseppe Graviano possiede un casa con cinque cucine, alla faccia di chi aspetta ancora i risarcimenti delle cause civili intraprese contro il mafioso di "Cosa nostra".

"Sono persone innocenti e oneste che aspettano la risposta dello Stato, non mafiosi rei di strage, persone giovani con la vita rovinata che devono giornalmente curarsi da malattie gravissime che il delinquente gli ha procurato e per loro la laurea è sempre più lontana e non certo per mancanza di intelligenza. - conclude amaramente Giovanna Maggiani Chelli - I Graviano non sono intelligenti, sono mafiosi, è diverso".

Napoli: sfiducia tra la cittadinanza, non denuncia più i reati

di Danila Liguori

 

Il Denaro, 28 gennaio 2008

 

Molti reati subiti dai napoletani non vengono più denunciati. Lo afferma il presidente della Corte d’appello di Napoli, Raffaele Numeroso, alla vigilia dell’inaugurazione dell’anno giudiziario prevista domani a Castelcapuano. "Nell’ultimo anno - spiega il presidente - il numero dei furti è aumentato da oltre 97 mila a quasi 107 mila, le rapine da 15 mila a 16.500 circa, le estorsioni da 943 a 1.102, ma tutti questi dati sono approssimati per difetto perché sappiamo che nella realtà sono molto di più i reati commessi in questo campo, ma moltissimi non denunciano. Forse i napoletani non denunciano più per sfiducia nella giustizia, per la preoccupazione di perdere tempo negli uffici delle forze dell’ordine, perché sono convinti che non potranno mai identificare gli autori di rapine o scippi di cui sono state vittime e quindi non possono avere giustizia".

Napoli è ancora al primo posto per numero dei procedimenti penali definiti presso la Corte di Appello e secondo, dopo Roma, per quelli civili. Ma, nonostante questo, le cifre dei reati penali non risultano esattamente rassicuranti. Aumentano infatti, rispetto all’anno giudiziario 2006/ 2007, gli omicidi volontari, quelli per furto o rapina, quelli di tipo camorristico simbolo, secondo il presidente della Corte d’Appello Raffaele Numeroso, di "una forte recrudescenza degli scontri tra opposte organizzazioni camorristiche".

Resta inoltre da risolvere la questione relativa all’avvenuto spostamento della giustizia civile presso i locali del centro direzionale che è fonte, secondo Numeroso, "di gravi disagi alla magistratura e alla classe forense". Altro problema da affrontare è quello relativo all’eccessiva durata dei processi; "stiamo aspettando - commenta Numeroso - incisive e rapide modifiche legislative". Si dichiara comunque ottimista il presidente, perché "noi magistrati ci stiamo impegnando per raggiungere dei traguardi, come quello della riduzione dei tempi di durata dei processi".

Roma: il Tribunale ha un Ufficio stampa, è il primo in Italia

 

Adnkronos, 28 gennaio 2008

 

Primo in Italia, il Tribunale di Roma, presieduto da Paolo De Fiore, ha istituito l’Ufficio Stampa previsto dalla Legge 150/2000, "la cui attività - si legge in una nota - è, in via prioritaria, indirizzata ai mezzi d’informazione di massa (stampa, televisione, radio, informazione on-line e satellitare)". A dirigerlo è stato nominato Giorgio Parnasi, iscritto all’Albo dei Giornalisti.

Piacenza: "Sosta Forzata", quando il carcere parla alla città

 

Libertà, 28 gennaio 2008

 

Il progetto di creare un giornale in carcere, "Sosta Forzata" (in uscita con il settimanale diocesano "Il Nuovo Giornale"), è sostenuto dalla Regione Emilia Romagna, con fondi erogati attraverso il Comune di Piacenza. Il coordinamento del progetto è affidato all’Associazione La Ricerca, mentre il periodico è pubblicato grazie allo Svep, centro servizi per il volontariato.

La responsabile di Sosta Forzata è la giornalista Carla Chiappini, che in carcere è molto più di una figura professionale; è un punto di riferimento umano. Alla redazione collabora l’associazione "Oltre il muro". Nell’ambito del progetto, e grazie alla disponibilità della direttrice Caterina Zurlo, due giornalisti piacentini hanno fatto il loro ingresso in carcere, per un giorno. Ed è stato un modo per abbattere nuove barriere, muri mentali, reciproche diffidenze tra la categoria dei giornalisti e quella dei "delinquenti", anzi sarebbe meglio dire di coloro che sono stati giudicati colpevoli di reato e stanno scontando la pena.

Occorre ora abbattere le barriere che esistono tra la casa circondariale delle Novate e la città che ospita questa grande realtà (300 detenuti, da tutta Italia): questo è l’ambizioso obiettivo dell’iniziativa "Piacenza per il carcere" che si terrà il 10 aprile, e vedrà coinvolti ben sei istituti scolastici piacentini. È la prima volta che si organizzerà una manifestazione così articolata attorno al carcere delle Novate.

Nel pomeriggio della stessa giornata, andrà in scena la quinta edizione del concorso di racconti "Parole oltre il muro" che recupera il valore terapeutico dello scrivere. Si usa il tempo della reclusione, per quanto possibile, per riflettere, per coltivare i sogni quando si uscirà, per rafforzarsi la tempra ed evitare di ricacciarsi nel circolo vizioso reato - carcere - speranza - ricaduta - carcere. "Sosta Forzata" parteciperà anche al Festival del giornalismo del 12 aprile a Perugia, organizzato dal giornalista Beppe Severgnini che ha voluto il periodico della casa circondariale, nella sezione dedicata ai cittadini che fanno giornalismo. I ragazzi di Sosta Forzata sono cittadini.

Sono rinchiusi, ma hanno una prospettiva sul mondo, che è solo in apparenza viene limitata dalla costrizione fisica. "Non pensate che la crisi economica e politica in Italia, abbia connessioni con l’aumento della criminalità?" è una delle domande che vengono rivolte durante l’incontro. Ce ne è un’altra, più difficile: "In quello che i giornalisti scrivono, quando parlano di criminalità, ci mettono dentro anche la loro rabbia?". È una domanda che è bene tenersi dentro, perché accompagni chi fa questo mestiere ogni volta che poserà le dita sui tasti del computer.

Roma: i "Presi per caso", una band musicale… galeotta

 

www.larivieraonline.com, 28 gennaio 2008

 

Salvatore Ferraro e i "Presi per caso" for Gino Girolimoni. È questa l’ultima originale iniziativa della band musicale galeotta, già altre volte riuscita dimostrazione di come carcere, musica e sociale possano incrociarsi e dare vita a qualcosa di valido e utile, oltrepassando pregiudizi, ipocrisie e luoghi comuni del nostro tempo. Ma andiamo con ordine: chi era Gino Girolimoni? Cosa ha fatto? Di che si sta parlando?

Per l’opinione pubblica dell’epoca, siamo a metà degli anni venti, e per qualcuno anche adesso, è stato il Mostro di Roma, l’uomo che nella capitale ha violentato e ucciso crudelmente nell’arco di poco tempo tre bambine: Rosina Pelli, Elsa Berni e Armanda Leonardi. In realtà le sue responsabilità non vennero mai provate, anzi si dimostrò il contrario, individuando in modo più che attendibile il vero autore di quei crimini efferati, Ralph Lyonel Brydges, un pastore della chiesa anglicana Holy Church di Roma, già fermato e accusato in precedenza di atti di libidine violenta nei confronti di una bambina.

Sospettato anche dei delitti di Roma, venne prosciolto in quanto "conosciuto favorevolmente dal console inglese". Ma serviva un colpevole, era tutta Roma a pretenderlo e il regime a imporlo, perché Mussolini premeva, c’era da ricucire lo strappo col Vaticano oltremodo contrariato dal coinvolgimento di un uomo di chiesa nella vicenda.

Nel maggio 1927 si decise allora di arrestare Gino Girolimoni, di anni 38, mediatore, che da subito si dichiarò innocente. L’8 marzo 1928 venne assolto dalla Corte d’Appello di Roma per non aver commesso i fatti. Nell’aprile 1928 il reverendo Brydges fu formalmente imputato degli omicidi delle bambine, ma dopo qualche mese prosciolto per insufficienza di prove e rilasciato. Girolimoni morì in miseria e in solitudine nel dicembre del 1961. Da colpevole, seppur libero e innocente.

A quasi 80 anni di distanza, la storia di Girolimoni torna d’attualità e finisce al centro dell’interesse di chi in parte, e con modalità più o meno simili, si è trovato a rivivere sulla propria pelle la stessa infelice esperienza: Salvatore Ferraro, Claudio Bracci, Marco Nasini, Stefano Bracci e Nando Giuseppetti, o più semplicemente, i Presi per Caso. Tutti ex detenuti, ad eccezione di Nasini che è incensurato, in carcere hanno scontato la loro "pena", ma soprattutto incrociandosi, mischiando le loro storie e la passione per la musica, hanno reso costruttivo e, per quanto possibile, dilettevole il "soggiorno" dietro le sbarre, durante il quale è nato un legame che la libertà riacquistata ha poi rinvigorito e consolidato.

Salvatore Ferraro, leader e compositore sidernese del gruppo, condannato a quattro anni e due mesi per favoreggiamento nel caso Marta Russo, è ora impegnato in una serie di progetti a sfondo sociale nei quali trovano spazio concerti, spettacoli e altre manifestazioni che coinvolgono e intrattengono i detenuti di Rebibbia, in più sostiene al fianco di Daniele Capezzone l’attività di Decidere.net, un’associazione che si occupa di proposte giuridiche.

In questo contesto, si inserisce l’interesse e l’impegno personale e della band per Gino Girolimoni. Di lui in passato si erano già occupati con un paio di libri pure Enzo Catania e Massimo Polidoro, Nino Manfredi invece lo aveva portato sul grande schermo con un film di Damiano Damiani, nessuno però è mai riuscito a rivalutare appieno la sua figura, restituendole fino in fondo la giusta considerazione. Per molti è continuato ad essere solo uno spietato assassino, l’equivalente di chi molesta e uccide bambini, un mostro.

La stortura è una stridente deformazione della realtà che non è sfuggita ai Presi per Caso, i quali hanno voluto contribuire a modo loro, a tempo di musica e con l’incisività delle parole di una canzone, all’opera di recupero del buon nome e della memoria di una persona perbene: "Lettera aperta a favore del concittadino Girolimoni" è il titolo del cd presentato lo scorso venerdì alla stampa a Roma al quale i Presi per Caso hanno affidato questa missione di doverosa rivalutazione e ricostruzione "storica".

Attraverso due brani (Lettera aperta e Girolimoni, scaricabili gratuitamente sul sito www.presipercaso.it, ndr) appositamente scritti da Salvatore Ferraro, Letteracanzone - così la band preferisce identificare l’album - ripercorre la vicenda di un innocente che non è una semplice gaffe giudiziaria, ma il dramma esistenziale di un uomo marchiato irrimediabilmente come repellente criminale.

A Gino Girolimoni fu precluso ogni tentativo di ritorno ad una vita normale, compreso il rigetto della richiesta del cambio di cognome, ora è tempo che gli si restituisca dignità e decoro. Letteracanzone è sopratutto il desiderio di una verità negata, un appello "musicale" alla sensibilizzazione dei media in questa come in altre occasioni, affinché il nome di un uomo senza macchia non diventi più sinonimo di carnefice e assassino.

Treviso: dossier; uno studente su tre vittima di violenze

 

Corriere del Veneto, 28 gennaio 2008

 

Loredana (la chiameremo così) ha subìto abusi dal padre dai 5 ai 12 anni. Ora ha un solo desiderio: vederlo sparire per sempre dalla sua vita. Anche perché, quando lei gli rinfaccia il suo dolore, lui la picchia. "Lo odio, lo odierò per sempre, anche se è mio padre. Non lo perdonerò mai, mi ha fatto troppo male e forse continuerà a farmene. Tutto dipende dai suoi scatti d’ira".

Francesca invece ha subìto violenza da un estraneo e non ha avuto il coraggio di confidarlo a nessuno, se non al fidanzato. Ora morto. Da poco, la ragazza ha rivisto il suo violentatore: è rimasto coinvolto in un incidente stradale e ora è in sedia a rotelle. "Forse sbagliando gli ho rivolto la parola e spontaneamente è uscito un "sei stato fortunato, ti avevo augurato di morire", racconta lei.

Le due storie emerse ieri mattina, a Ca dei Carraresi, durante il convegno "Violenza all’infanzia: le verità nascoste", organizzato dalla Provincia in collaborazione con "Etica 2001 Onlus", il "Movimento per l’infanzia" e "Sos Infanzia". "Noi abbiamo seguito almeno 3 mila casi di violenze sui - ha detto Graziano Guerra, presidente di "Sos Infanzia" - un dramma in crescita e del quale nessuno vuole parlare".

Sono stati diffusi i dati di un’indagine su 802 studenti maggiorenni delle superiori di Castelfranco. Il 38% degli intervistati ha dichiarato di aver subìto varie forme di violenza: il 13% sessuale, il 19% psicologica, il 6% fisica. Il 51% delle vittime di tutti i tipi di violenze sono maschi, ma gli abusi sessuali si sono accaniti sul 71% delle ragazze e in quest’ultimo caso il 74% delle volte lo stupratore è una persona conosciuta. Il 50% delle vittime non ha mai presentato denuncia, se non dopo molti anni. Per il 78% degli intervistati l’abuso all’infanzia avviene nelle famiglie. "Di qualsiasi ceto", precisano gli esperti.

Immigrati: nasce Istituto nazionale per promozione salute

 

Galileo, 28 gennaio 2008

 

Da più fronti l’attenzione delle istituzioni è puntata specificamente su immigrati, rom, e poveri (italiani e stranieri), per dare risposta ai tanti bisogni di salute e cure che vengono da queste fasce disagiate ma che, troppo spesso, restano ignorati.

È questa la "mission" del nuovo Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp), inaugurato dal ministro della Salute Livia Turco.

Una nuova realtà, e anche una grande sfida; che subito ha raccolto il plauso del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, intervenuto al suo "battesimo". "L’Istituto - ha affermato Napolitano, prendendo la parola fuori programma - arricchisce di uno strumento importante la politica nazionale e internazionale dell’Italia, la nostra politica di immigrazione, di integrazione, di tutela dei diritti e della dignità degli immigrati e la nostra politica attiva di partecipazione alla lotta contro la povertà nel mondo".

Un invito a tutelare "salute, diritti e dignità degli immigrati" pienamente condiviso da Livia Turco, la quale ha definito il nuovo Centro il "tassello prezioso di una politica sanitaria pubblica a favore dei più deboli e vulnerabili".

E che questa sia la linea del nostro paese nei confronti dei problemi legati alla immigrazione, è stato confermato dal ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, che in visita ufficiale a Bucarest ha tenuto a precisare che "è del tutto infondata l’immagine di una politica italiana ostile odi pulizia etni-ca verso la comunità romena".

A Bucarest, per la prima volta dopo il periodo difficile nelle relazioni tra l’Italia e la Romania seguito all’omicidio di Giovanna Reggiani da parte di un cittadino romeno di etnia rom e al varo del decreto sulla sicurezza, D’Alema ha riaffermato l’esistenza di un "rapporto speciale" tra i due paesi che "nessun evento può mettere in discussione".

Droghe: hashish e marijuana, dal ’91 consumo raddoppiato

 

Dire, 28 gennaio 2008

 

Rapporto del ministero dell’Interno sulle segnalazione ai prefetti: 516.427 persone in 15 anni (il 20% più di una volta), in crescita costante al Sud. Aumenta (+0,13%) l’ecstasy, stabili amfetamine e Lsd, l’eroina passa dal 50 all’8%

Sono giovani, consumano in prevalenza hashish e marijuana, non lo fanno abitualmente e in maggioranza sono uomini. È il quadro che emerge dal rapporto del ministero dell’Interno sull’analisi del consumo di droghe tra le persone segnalate ai prefetti per detenzione di sostanze stupefacenti ad uso personale. La ricerca copre un arco di tempo che va dal 1991 al 2006, cioè da quando sono stati istituiti i Nuclei operativi per le tossicodipendenze (Not) delle Prefetture (con dpr 309/90) fino a quando non è intervenuta la n. 49/06, che ha accentuato l’aspetto repressivo nei confronti dei soggetti segnalati ex art. 75 del testo unico e ha privato il Nucleo della possibilità di proporre un programma terapeutico in alternativa alle sanzioni.

In 15 anni, il numero dei segnalati ai prefetti dalle forze dell’ordine è stato di 516.427 persone, mentre le segnalazioni effettuate sono state 653.377, tenendo presente che una stessa persona può essere stata segnalata più volte in uno stesso anno o in anni diversi. Il primo dato importante è che oltre l’80% dei segnalati risultano avere un solo "avviso", mentre il 20% circa sono pluri-segnalati. In maggioranza sono uomini (il 93% circa), mentre l’età media è di 24 anni. Non solo: 46.734 ragazzi (pari al 9% circa) sono minori di 18 anni.

Significativo è l’andamento delle persone segnalate in base alle diverse sostanze: in 15 anni la percentuale di chi ha fatto uso di cannabinoidi, che rimane la prima sostanza di segnalazione, è quasi raddoppiata (è passata dal 42% del 1991 al 74% nel 2006); l’eroina invece ha subito un tracollo (dal 50% del ‘91 all’8% del 2006), mentre le segnalazioni per cocaina sono triplicate (dal 5% del ‘91 al 14% del 2006).

E se amfetamine e Lsd sono sostanzialmente stabili (dal 2000 la media è ferma allo 0,20%), il consumo di ecstasy e le sostanze analoghe è cresciuto dallo 0,13% allo 0,65% con punte del 2% tra il 1995 e il ‘96. Per quanto riguarda la dislocazione geografica, al Sud si registra una costante crescita di segnalazioni e, a partire dal 2004, i segnalati in questa area del Paese hanno presentato i valori più elevati. Una possibile spiegazione di questo particolare aspetto - si legge nel rapporto - è che alcune regioni dell’Italia meridionale sono divenute, nel tempo, il crocevia per la rotte del narcotraffico. Anche per le Isole, il trend dei segnalati è stato in lieve ma costante aumento.

Francia: la regolarizzazione per gli immigrati che lavorano

di Martinelli Leonardo

 

Il Sole 24 Ore, 28 gennaio 2008

 

Sanatoria per i clandestini che lavorano. Più ingressi per lavoro a scapito dei ricongiungimenti. È il risultato della riforma di novembre e della circolare applicativa del 7 gennaio 2008.

A Parigi chi ha un lavoro è già regolare. Due i criteri: 152 professioni riservate ai Paesi dell’Est Europa e 30 a stranieri extra Ue. I posti disponibili (1,4 milioni, secondo l’Anpe) assegnati per "quote" in base alla disoccupazione e alle richieste delle imprese. È una delle mission di Nicolas Sarkozy: aumentare l’immigrazione di tipo economico e ridurre quella legata al ricongiungimento familiare. Ha anche delle cifre in testa: portare la prima dal 7% del totale, la situazione attuale, al 50 per cento. Il Presidente avrebbe pure la ricetta per centrare l’obiettivo: introdurre in Francia il sistema delle quote.

Questo, però, non è possibile, senza modificare la Costituzione. Ma nell’ultima (molto contestata) legge sull’immigrazione, Parigi cerca di imboccare già quella strada, in un primo tentativo di pianificare i flussi.

La legge del 20 novembre 2007, frutto di una lunga preparazione da parte del ministro dell’Immigrazione Brice Hortefeux, è la stessa che consente il ricorso (anche se alla fine, con molteplici limitazioni) al test genetico per verificare l’effettiva esistenza di una parentela nel caso dei ricongiungimenti familiari. È una legge restrittiva, ma che in realtà presenta notevoli aperture sul fronte dell’immigrazione economica.

Una circolare del ministero dell’Immigrazione del 20 dicembre scorso (in vigore dall’1 gennaio) ha "concretizzato" questa apertura. Dà la possibilità alle singole prefetture di autorizzare l’accesso al territorio francese agli stranieri che presentino un contratto di lavoro a durata indeterminata (Cdi) o anche determinata (Cdd), ma per più di un anno, per una serie limitata di professioni.

La possibilità è stata estesa anche ai clandestini che già si trovano in Francia mediante una seconda circolare del 7 gennaio. In quella del 20 dicembre sono state pubblicate due liste di professioni. La prima ne comprende 152 e riguarda gli stranieri provenienti dai Paesi già nella Ue, ma ancora sottoposti alle disposizioni transitorie, (cioè Polonia e Romania). Si tratta per lo più di profili professionali di basso livello, compresi cameriere e muratore.

Un’altra lista di 30 professioni è invece riservata ai Paesi terzi e comprende soprattutto profili che richiedono titoli universitari, ad esempio tecnici informatici di alto livello e ingegneri del settore delle costruzioni.

I provvedimenti non quantificano a priori gli stranieri da regolarizzare: l’esame sarà fatto "caso per caso". Esistono comunque le stime dell’Anpe (in pratica, delle liste di collocamento), che danno un’indicazione della richiesta dei posti di lavoro nei settori indicati dalla circolare. Corrispondono ovviamente a professioni per le quali le aziende francesi hanno forti difficoltà a trovare personale.

Nel caso della lista delle 152 professioni, nel 2006 l’Anpe aveva registrato un milione e 400mila posti di lavoro disponibili, pari al 40% del totale. Va detto, però, che le due liste non sono valide per l’intero territorio francese. Ad esempio, delle 30 professioni aperte a chi proviene dai Paesi extra Ue, solo per sei il via libera a una possibile regolarizzazione si applica a tutte le regioni. In altri casi, invece, sulla base del tasso di disoccupazione e dei dati relativi alla ricerca del personale, si è deciso di limitare la lista.

Sarebbero tra i 200mila e i 400mila i lavoratori stranieri clandestini presenti in Francia, a cui è diretta la regolarizzazione in arrivo. Chi non ha il permesso di soggiorno ha diritto alle cure mediche e i figli possono frequentare scuole pubbliche. Inoltre, sempre la lista riservata ai Paesi extra Ue, può essere allargata agli Stati con i quali la Francia ha concluso accordi bilaterali (come Senegal, Gabon e Congo).

Per questi Paesi, in sostanza, sarà possibile anche regolarizzare lavoratori per professioni meno qualificate, eventualità non contemplata per Stati come l’Algeria e la Tunisia, che non hanno concluso con Parigi questo tipo di accordi, pur dando origine insieme al 30% dei flussi immigratori attuali.

L’obiettivo finale, comunque, resta la creazione di un vero e proprio sistema di quote. Il Governo, nei giorni scorsi, ha annunciato che metterà al lavoro un gruppo di esperti per studiare la modifica costituzionale necessaria a introdurre quel tipo di sistema anche in Francia. Entro fine aprile gli esperti dovranno fornire la loro proposta.

Gran Bretagna: inchiesta; "magnaccia" fa bene alla prostituta

 

Il Sole 24 Ore, 28 gennaio 2008

 

Il "magnaccia" fa bene alla prostituta. Al suo benessere, ai suoi incassi, alla sua sicurezza, addirittura al suo equilibrio psicofisico. E non ultimo anche al portafoglio del cittadino medio.

Parola dell’inappuntabile Economist che, in un’originalissima inchiesta, ha provato ad affrontare il tema "squillo" dal lato economico e soprattutto da un punto di vista molto, molto laico, senza moralismi: quanto rende la prostituzione? Il tema, racconta il settimanale britannico, è stato trattato pochi giorni fa a New Orleans in occasione del meeting dell’American Economic Association, il più importante consesso di economisti Usa. In sostanza: accanto a seriosissime conferenze sull’inflazione, mercato del lavoro e salario minimo, il programma prevedeva, per la prima volta, un seminario dedicato al mercato del sesso a pagamento tenuto da Steven Leavitt.

"Così i governi affrontano un problema secolare e riducono la spesa sanitaria". Per l’80% sono loro i clienti più assidui delle ragazze costrette a stare in strada coautore del best-seller Freakonomics, uscito nel 2005 anche in Italia. Un seminario a dir poco sorprendente. A cominciare dalla figura controversa del "protettore", solitamente demonizzata, perseguitata, identificata da tanta cronaca come il vero sfruttatore di ragazze vittime del racket e che, invece, la ricerca tende stanno meglio se hanno il protettore, il magnaccia.

Il motivo? Semplice: lavorano meno e corrono meno rischi di essere arrestate dalla polizia (di solito agli incroci delle strade). Non basta. Anche sul lato della sicurezza delle ragazze ci sarebbero dati incontrovertibili: le belle di notte, spesso sfruttate, con magnaccia a fianco corrono molti meno rischi di essere aggredite da clienti o concorrenti. Per non dire poi di una certa sensibilità sindacale dei papponi. Sono sempre i guru dell’economia Usa a riconoscerlo. Chi coordina e gestisce le squillo, in sostanza, in molti casi è disposto a riconoscere loro dei veri e propri premi di efficienza, una specie di incremento di produttività.

Altro che aguzzini, insomma! Sembra la contrattazione di secondo livello di un normale mestiere "borghese", ha raccontato durante il seminario lo stesso Steven Leavitt: in alcune interviste molte prostitute hanno addirittura chiesto ai cattedratici di presentare loro un protettore. Siamo al cortocircuito bello e buono, con una figura di magnaccia che sembra sempre più diventare quello di un agente a tutti gli effetti.

Alle femministe e ai moralisti, che hanno sempre sostenuto il contrario, l’Economist risponde quindi con numeri, cifre e risultati, confermati anche da uno studio sulle prostitute in Ecuador. Anche qui: la ricerca dimostra che nei bordelli autorizzati le entraineuses guadagnano meglio. Non solo: la prostituzione legale controllata riduce il tasso di malattie. Ovviamente non è dato sapere se i papponi incentivino anche maggior controlli sanitari, ma gli studiosi propendono per il sì. Morale: legalizzare la prostituzione permette ai governi di meglio affrontare la piaga, garantire più sicurezza a clienti e alle ragazze e, m fondo, tutelare le famiglie, visto che l’80% dei fruitori del sesso a pagamento con travestiti e "puttane" sono uomini spostati.

Di questo i soloni dell’economia riuniti a New Orleans ne sono ormai convinti. Così come ne è convinto il turbo liberista Economist, pur invitando i suoi lettori a non trarre conclusioni affrettate: il proibizionismo, spiega l’immarcescibile foglio britannico, non fa che aumentare la spesa sanitaria. Un invito all’Italia, dunque: riaprite i bordelli, con tanto di papponi e squillo legalizzate. E, forse, pagherete meno tasse.

 

 

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