Rassegna stampa 26 gennaio

 

Giustizia: abuso degli strumenti processuali e… mediatici

di Vittorio Grevi (Ordinario di Diritto Penale all'Università di Pavia)

 

Corriere della Sera, 26 gennaio 2008

 

Pur nel clima di tensione prodotto da una crisi di governo innescata dalle dimissioni del ministro della Giustizia, Mastella (con tutte le inevitabili polemiche di fronte a certe improvvide generalizzazioni circa una "emergenza democratica tra la politica e la magistratura"), ancora una volta, nel solenne scenario della Corte di Cassazione, si è svolta ieri la tradizionale cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. Cerimonia forse di dubbia utilità, e tuttavia emblematica del più importante momento in cui la magistratura, attraverso il primo presidente della Corte suprema, fa un bilancio sulla "amministrazione della giustizia".

Anche ieri così è avvenuto, con l’ampia relazione inaugurale letta dal presidente Vincenzo Carbone, in ideale collegamento con la "relazione sullo stato della giustizia" predisposta la settimana scorsa dall’allora ministro Mastella (e fatta propria, poi, dal Guardasigilli ad interini Prodi), nella quale si enunciavano linee e obiettivi di politica legislativa per molta parte tuttora condivisibili. Quest’anno, però, tra i due suddetti appuntamenti istituzionali si è inserita anche la manifestazione organizzata nei giorni scorsi a Roma (in coincidenza con una giornata di sciopero dalle udienze, di cui davvero non si sentiva il bisogno) dagli avvocati dell’Unione delle Camere penali.

I quali non solo hanno sottolineato l’esigenza di salvaguardare le "garanzie irrinunciabili" del processo (aspirazione ineccepibile, a patto di riconoscere la presenza di diverse altre garanzie non egualmente imprescindibili, se non addirittura superflue), ma hanno altresì posto l’accento, con ragione, sulla necessità di risolvere i numerosi problemi strutturali ed organizzativi (a cominciare dagli orari delle udienze e da altri "tempi morti" negli itinerari processuali), che sono all’origine di molti ritardi ed inefficienze della attività giudiziaria. È significativo che sia stato proprio questo uno dei punti su cui ha maggiormente insistito anche la relazione del presidente Carbone, il quale ha dedicato largo spazio al tema dell’eccessiva lentezza dei processi, individuando nella loro "non ragionevole" durata (a parte le numerose condanne internazionali subite dal nostro Paese, e le gravose conseguenze risarcitorie a carico dell’erario) il vizio di fondo da cui è afflitta la giustizia italiana.

E, al riguardo, Carbone non ha nascosto che molti rimedi potranno scaturire anche dal superamento delle disfunzioni interne al sistema, pur sottolineando, in ogni caso, la urgenza di specifici interventi legislativi nel senso della accelerazione dei tempi processuali: come sono, per esempio quelli condensati nelle proposte del governo già presentate al Parlamento. Nello stesso senso si è espresso con molta chiarezza anche il procuratore generale Delli Priscoli.

In questo quadro, particolare attenzione è stata dedicata all’esigenza di evitare un uso improprio (cioè, un abuso) dello strumento processuale e, nel contempo, alla necessità di modificare quella "assurda" disciplina della prescrizione dei reati, che oggi troppo spesso vanifica senza ragione anni ed anni di corretto lavoro giudiziario. Mentre, per altro verso, non è mancato un severo richiamo ai pericoli derivanti dalla sempre più diffusa moda dei "processi mediatici", celebrati al di fuori della aule dei tribunali, e talora con indebito protagonismo di singoli magistrati.

Sulla figura e sul ruolo del magistrato come organo super partes, soggetto soltanto alla legge, si è soffermato, infine, anche il guardasigilli Prodi, dedicando, alcuni interessanti rilievi (non privi di allusioni ad episodi recenti e meno recenti) alla funzione di controllo della legalità che la Costituzione assegna alla magistratura anche nei confronti degli esponenti della politica: salva, naturalmente, la rigorosa osservanza dei limiti delle rispettive attribuzioni. Come deve essere, in uno Stato di diritto, da parte di un potere giudiziario "diffuso" e "disinteressato", destinato a fungere da garante e da custode dei diritti di tutti.

Giustizia: Violante; i magistrati vivono una crisi d’identità

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 26 gennaio 2008

 

Ex toga, Luciano Violante, 67 anni, ex magistrato ed ex Presidente della Camera dal ‘96 al 2001. Presiede la Commissione Affari Costituzionali.

 

Onorevole Luciano Violante, le dimissioni dei Pm Ilda Boccassini e Luigi De Magistris dall’Anm sono un segnale grave per il sindacato guidato dai quarantenni Luerti e Palamara?

"La lettera di Ilda Boccassini, che ha una storia professionale di primissimo piano, mi colpisce molto, l’altra mi impressiona di meno perché, come ha stabilito il Csm, si tratta di un magistrato che sarebbe andato al di là dei suoi compiti. E dobbiamo anche considerare la risposta che l’Amn ha dato a De Magistris: ha detto che un magistrato non può abusare dei propri poteri e poi chiedere la tutela".

 

Anche la Boccassini ha rotto con l’Anm dopo un presunto torto subito dal Csm che ha nominato Francesco Greco e non lei come procuratore aggiunto di Milano.

"Il Pm Boccassini ha scritto forse perché irritata dalla decisione del Csm. Credo, però, che il problema sia più generale. Si tratta della crisi di identità professionale che sta attraversando la magistratura e che è sentita soprattutto dai magistrati più esperti. Questo stato d’animo emerge anche dal documento dei magistrati milanesi e in cui dicono che investono il 95% del loro tempo in processi inutili. Il punto di mediazione tra norma e fatto, che rappresenta la funzione specifica del magistrato, è stato sostituito dalla fatica di ricercare la norma nella confusione legislativa".

 

Boccassini e De Magistris hanno almeno il merito di aver messo sul chi vive l’Anm?

"Sì. Inoltre emerge l’esigenza di riflettere sulle ragioni per le quali vengono nominati dalla maggioranza del Csm, i capi degli uffici. Occorre far camminare insieme riconoscimento del merito e indipendenza nella scelta".

 

Secondo l’accusa Anm e Csm conoscerebbero solo "pratiche di lottizzazione".

"Greco che è stato preferito alla Boccassini è un eccellente magistrato. Ma mi sembra che nell’Anna si sia affievolita la spinta ideale, la capacità di pensiero strategico sulla giustizia e sui diritti. Di qui il rischio di ridursi a sindacato dell’esistente. Questa è una crisi dei ruoli professionali che investe tutti: magistrati, insegnanti; giornalisti, politici".

 

Il Presidente Carbone ha centrato la relazione su cosa deve fare un buon giudice.

"Carbone ha documentato che anche con le leggi esistenti si può migliorare il funzionamento della giustizia. E se rendere giustizia riprende ad avere un senso, si può risolvere anche l’attuale crisi di identità dei magistrati. Ecco, queste cose le ha dette proprio Carbone, un magistrato capace che era stato bocciato dal Csm e che ha dovuto fare ricorso al giudice amministrativo per poter rivestire la responsabilità di primo presidente. E per fortuna che quel lavoro oggi lo fa uno come lui".

Giustizia: il senso dell'insicurezza e la paura del diverso

di Massimiliano Fanni Canelles

 

Social News, 26 gennaio 2008

 

Secondo l’opinione dei sociologi il pregiudizio generato da paure ed ossessioni nei confronti di individui appartenenti ad un’etnia o cultura diversa dalla propria si trasforma sovente in razzismo. Le paure dell’invasione e della globalizzazione facilitano poi il connubio extracomunitario-ladro/stupratore/omicida che sembra essere diventato uno stereotipo comune. Ma il problema della sicurezza e della criminalità presenta altre sfaccettature socio-economiche che dovrebbero essere prese in esame e che condizionano i percorsi di ogni individuo come la povertà, la mancanza di lavoro, il basso livello di istruzione, la tossicodipendenza e, non ultime, le esperienze traumatiche di una vita poco fortunata.

D’altra parte la secolarizzazione del mondo occidentale con il progressivo indebolimento delle ideologie e delle fedi religiose ha portato ad un disorientamento nei confronti dei valori e della morale spingendo l’individuo alla ricerca ossessiva del piacere. Se poi consideriamo che la nostra società è strutturata quasi esclusivamente sull’importanza di un’immagine vincente si può facilmente capire come molti individui siano emarginati e introdotti in percorsi devianti.

Ed è proprio su questi aspetti che si inserisce l’utilizzo della violenza nella prevaricazione fisica e psicologica dell’altro, dei più deboli, delle donne, sui bambini o nel condizionamento delle masse e della folla che si traduce nei drammatici avvenimenti degli stadi o delle manifestazioni come il G8 di Genova. Una questione rilevante da porsi è però quanto tutto questo sia legato alla nostra personale percezione del fenomeno o al modo in cui lo stesso fenomeno è visto o rappresentato da opinionisti, persone con responsabilità politiche e istituzionali e dagli organi di comunicazione di massa.

Evocare lo spettro della microcriminalità (lavavetri, venditori abusivi, barboni, questuanti) come grave pericolo da combattere non prendendo adeguati provvedimenti, almeno paritari, verso la criminalità organizzata, la mafia e le lobby del mercato umano e della droga quantomeno rende perplessi se non completamente sfiduciati. è possibile anche che, pur a fronte di un livello stazionario dei dati sulla criminalità, le nostre aspettative di sicurezza siano aumentate, così come l’idea del diritto ad una vita soddisfacente.

Nel contempo è aumentato il numero delle persone anziane, sicuramente più timorose e deboli. Poi la frenesia della competizione sociale ha tolto tempo al rapporto umano creando società sempre più solitarie ed anonime con istituzioni burocratizzate e servizi sempre più impersonali che trasmettono insicurezza. Infine in un contesto di scarsa e spesso discutibile applicazione dei regimi detentivi, non investire sul reinserimento sociale dei detenuti ha favorito la reiterazione del reato quando questi tornano in libertà.

Rispetto ai secoli e agli anni passati quindi non sembra che ci sia stato un aumento di violenza e criminalità ma invece è evidente come sono diverse le modalità e le tipologie in cui queste vengono espresse. è probabile che forme sommerse siano venute allo scoperto, sicuramente difficile è l’interazione di nuove culture, e gli strumenti mediatici sono ridondanti e vengano strumentalizzati. Di certo oggi lo scenario è cambiato e proprio per questo le istituzioni, il potere politico (e soprattutto quello economico) devono individuare le risposte più appropriate in modo che i cittadini possano considerarsi oltre che "consensi elettorali" anche persone sicure.

Giustizia: Gonnella; sulle riforme mancati forza e coraggio

 

Il Manifesto, 26 gennaio 2008

 

Il giudizio complessivo di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, sul Governo di Prodi, è positivo ma non troppo. "Una legislatura cominciata in modo coraggioso con l’approvazione dell’indulto a cui però non è seguita una vera stagione di riforme in ambito penale, assolutamente necessaria. È mancata la forza e il coraggio per farla. Ed è un peccato visto che sul programma elettorale dell’Unione tutto questo era previsto.

Eravamo a buon punto su due testi di legge, già approvati alla Camera. Quello che prevede l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento e un altro che introduce la figura del garante nazionale dei diritti delle persone detenute e private della libertà personale. Leggi che adesso salteranno inevitabilmente e si dovrà ricominciare tutto daccapo.

Decisamente negativo invece è il giudizio sul cosiddetto "pacchetto sicurezza", voluto con forza da alcuni sindaci del Pd e amplificato dalla stragrande maggioranza dei media nazionali. Ed è stato avvilente tutto il dibattito che ne è seguito e che ha fatto fare al nostro paese parecchi passi indietro dal punto di vista culturale".

Giustizia: Ugl; nelle carceri attività dall’alba al tramonto…

 

Comunicato stampa, 26 gennaio 2008

 

A poco più di un anno dall’approvazione del provvedimento di indulto, l’allarme sul sovraffollamento delle carceri è nuovamente suonato e giorno dopo giorno, i nostri istituti di pena si vanno riempiendo sempre di più, avendo già superato la soglia della capacità c.d. "tollerabile". D’altra parte, tutto ciò era largamente prevedibile, sulla scorta di quanto accaduto nel passato in occasione dell’emanazione di analoghi provvedimenti.

È di tutta evidenza quindi, che non si può risolvere il problema in questo modo, contribuendo tra l’altro (ma non è una conseguenza di poco conto) ad elevare il tasso di criminalità della società, immettendo nella stessa così tanti criminali che non hanno terminato di scontare la loro giusta pena: inoltre, e ci sembra altrettanto grave, si lancia un chiaro segnale di impotenza alle vittime dei reati ed ai cittadini onesti tutti, rinforzando nel contempo il senso di impunità negli autori degli stessi.

Insomma, l’indulto è stata la classica cura assai peggiore del male che avrebbe dovuto curare. In realtà, profondamente diversa dovrebbe essere la strada da percorrere per riformare il carcere e renderlo, per quanto possibile, vicino a quel modello di struttura rieducativa e riabilitante che la norma vorrebbe. In primis, bisognerebbe garantire il lavoro a tutti i detenuti, per sottrarli all’ozio totale che è il peggior nemico di ogni progetto di reinserimento: soltanto il lavoro, con l’impegno ed il senso di responsabilità che richiede, può avere una valenza trattamentale e rieducativa.

Lavoro retribuito, secondo i parametri stabiliti dall’ordinamento penitenziario, concependo due circuiti netti e distinti: lavoro all’interno del carcere per i detenuti più pericolosi e per i quali non è ipotizzabile un reingresso anticipato nella società, e lavoro all’esterno per gli altri, con impiego in lavori di pubblica utilità, con prescrizioni ed obblighi più o meno stringenti a seconda delle diverse situazioni, disciplinati dai diversi regimi previsti dalle diverse misure alternative alla detenzione.

All’interno del carcere poi, una giornata organizzata dall’alba al tramonto, con attività sportive, ricreative e culturali da integrare al lavoro di cui si è detto. Tutto questo, lo sappiamo bene, richiede grandi sforzi soprattutto economici, investimenti massicci in risorse, strutture e personale: ma non possiamo accettare che il leit motiv della carenza di risorse, giustifichi lo sfascio di questa istituzione, fondamentale per ogni società che si voglia definire civile, così come ricordava il Mahatma Ghandi, che affermò come il grado di civiltà di una Nazione si misura dallo stato delle sue carceri.

 

Unione Generale del Lavoro

Coordinamento Nazionale Giustizia

Il Segretario Nazionale, Paola Saraceni

Milano: detenuto è malato di lebbra, rinviato il processo

 

Il Giornale, 26 gennaio 2008

 

L’avevano fermato gli agenti di polizia, la notte di mercoledì, dopo averlo trovato in possesso di 15 grammi di marijuana. In manette, con l’accusa di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti - un ragazzo di 24 anni originario della Guinea, stato dell’Africa occidentale. Ieri, il giovane era atteso dal giudice delle direttissime per la convalida dell’arresto. Udienza rinviata. Durante un accertamento medico, infatti, sarebbe emerso che l’imputato è affetto da lebbra. Ma dalla casa circondariale di San Vittore, dove l’uomo era detenuto in attesa del processo, la direttrice Gloria Manzelli esclude che il rinvio sia legato a un rischio di contagio. "Nessun allarme sanitario - spiega infatti Manzelli - il detenuto è guarito dalla lebbra sei mesi fa".

Era stato il pubblico ministero di turno, Tiziana Siciliano, a chiedere la convalida dell’arresto e a disporre il processo per direttissima ma, nel frattempo, la polizia aveva dato comunicazione alla Procura che a causa delle condizioni di salute dell’arrestato - sottoposto ad accertamenti proprio a San Vittore - non sarebbe stato possibile portarlo in Tribunale per l’udienza, rinviata al prossimo 28 gennaio. Eppure, insiste Manzelli, il giovane "non è in isolamento, e non è stata presa nessuna precauzione simile dal momento che risulta già guarito dalla malattia".

Smorza ogni allarmismo anche il dottor Stefano Rusconi, medico della divisione clinicizzata del reparto di malattie infettive dell’ospedale Sacco. "Se in questo caso il giovane ha completato il ciclo terapeutico, non esiste alcun rischio di contagio". E anche per quel che riguarda i casi di lebbra a Milano, dal Sacco non arriva alcun allarme. Anzi. "La lebbra, come fenomeno endemico, in Italia non esiste. E nel nostro Paese, il potenziale di infettività è davvero scarso. I casi che vediamo - conclude il dottor Rusconi - sono sempre importati dall’Africa e dal Sud America, e in ogni caso sono in numero estremamente ridotto".

Roma: teatro-carcere, progetto speciale al Teatro Eliseo

 

Roma One, 26 gennaio 2008

 

Teatro e Carcere è uno dei progetti speciali messi in cantiere nella Stagione 2007 dal Teatro Eliseo in collaborazione con il Centro Studi "Enrico Maria Salerno".

Le due strutture hanno dato vita ad una Associazione appositamente incaricata di realizzare il Progetto Teatro e Carcere dal punto di vista artistico ed organizzativo, oltre ad un progetto più ampio legato al tema della "differenza" che proporrà un ciclo di incontri con intellettuali, artisti, scrittori: l’Associazione Teatro e Diversità Onlus.

L’intento comune è quello di partecipare alla promozione delle iniziative teatrali di qualità che prendono forma all’interno del sistema penitenziario italiano. Ciò in linea con gli indirizzi proposti dai protocolli di intesa fra il Ministero della Giustizia e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a favore del reinserimento sociale e formazione professionale dei detenuti nell’ambito dei mestieri dello spettacolo.

Il Progetto Teatro e Carcere prosegue il percorso inaugurato nella scorsa Stagione con l’evento realizzato nel carcere romano di Rebibbia N.C., il 15 maggio 2006. In quella data il Teatro Eliseo propose frammenti della Ballata del carcere di Reading di Oscar Wilde, con Giovanna Marini, Umberto Orsini, diretti da Elio De Capitani, mentre la compagnia dei detenuti-attori, diretta da Fabio Cavalli per il Centro Studi "E. M. Salerno" , propose brani dello straordinario allestimento della Tempesta di Shakespeare nella versione in napoletano seicentesco firmata da Eduardo De Filippo.

È stato un evento di grande rilievo cui è seguito un secondo appuntamento con l’ospitalità al Piccolo Eliseo dello spettacolo vincitore del concorso "Annalisa Scafi" per la Drammaturgia Penitenziaria. Via Tarquinia 20 è il titolo dell’opera proposta dai detenuti del carcere di Civitavecchia e portata in scena da Emanuela Giordano con una compagnia in cui figurano anche ex detenuti attori provenienti dalla Fortezza di Volterra e da Rebibbia N.C. Un esempio di concreto reinserimento lavorativo, testimonianza di quanto possa essere importante il contributo dell’impresa teatrale privata ai percorsi educativi e formativi disposti dall’Amministrazione Penitenziaria in materia di spettacolo e alla sensibilizzazione del pubblico sul difficile tema della detenzione, del recupero, della legalità.

Il Progetto Teatro e Carcere parte dalla consapevolezza che solo con la collaborazione dell’intero sistema nazionale dello spettacolo, unitamente al supporto delle amministrazioni centrali e locali, sarà possibile costruire occasioni di crescita artistica per le decine di esperienze teatrali in corso nelle carceri italiane e nasceranno opportunità concrete e non illusorie di inserimento lavorativo per quei detenuti-attori che le animano, da anni, con serietà e autentica passione.

Centrale, in questa strategia, è l’urgenza di garantire ai prodotti teatrali di qualità una ampia visibilità presso il grande pubblico, superando il carattere episodico dei debutti al di fuori delle mura delle carceri. Le esperienze di spettacolo nate nei penitenziari italiani (e diffusissime in tutta Europa) devono essere immesse appieno nel sistema teatrale italiano, perché comunicano una verità, un rigore, una necessità espressiva tante volte smarrita sui palcoscenici del teatro "ufficiale".

Il progetto sarà programmato nella stagione 2007 / 2008 e sarà strutturato in quattro tasselli: l’apertura, nel mese di ottobre, si terrà, contemporaneamente, sul palcoscenico del Teatro Eliseo, che ospiterà la nuova creazione della Compagnia della Fortezza, e sul palcoscenico del Teatro della Casa di Reclusione di Rebibbia, che vedrà protagonisti i detenuti - attori della compagnia dei Liberi Artisti Associati.

A seguire, nel mese di dicembre la programmazione per una settimana al Piccolo Eliseo Patroni Griffi dello spettacolo diretto da Fabio Cavalli che avrà come protagonisti tre ex-detenuti che daranno voce a Gadda e Genet. In febbraio, nell’arco di due settimane, il Teatro Eliseo ospiterà quattro spettacoli nati da esperienze carcerarie: i nuovi spettacoli della compagnia di detenuti - attori delle Case di Reclusione di Saluzzo (CN), di Bollate (MI), dell’Istituto Penale per minorenni di Bari e la messa in scena dei copioni vincitori del Premio Scafi per la drammaturgia Penitenziaria. La chiusura del progetto, nel mese di maggio al Teatro Eliseo, è affidata al ritorno di Giovanna Marini e Umberto Orsini come protagonisti della Ballata del carcere di Reading di Oscar Wilde.

Immigrazione: Ismu; 350 mila i clandestini, mai così pochi

 

Corriere della Sera, 26 gennaio 2008

 

Mai così tanti immigrati in Italia, mai così pochi clandestini. Il 2007 potrebbe passare agli annali come un anno di svolta nei rapporti tra l’Italia e gli extracomunitari. D flusso dei nuovi arrivi non si è arrestato, portando il numero degli stranieri residenti nel nostro paese a ridosso dei 4 milioni, ma d’altro canto si è dimezzato, rispetto al 2006, l’esercito degli irregolari, sceso a 350 mila unità.

La Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) che ogni anno fotografa il mondo dell’immigrazione, ha messo in luce un altro dato: secondo un sondaggio, il 52% degli italiani è ormai favorevole alla concessione del diritto di voto agli stranieri. Lo studio è stato presentato ieri a Milano e dice innanzitutto che nel corso del 2007 la popolazione straniera è aumentata dell’8,7%; gli immigrati hanno raggiunto così il 6% dei residenti entro i nostri confini.

Ma il dato più importante è un altro: negli ultimi dodici mesi sul territorio nazionale sono stati rintracciati solo 350 mila clandestini, vale a dire il 46,3% in meno rispetto all’anno precedente. "Sono gli effetti della sanatoria legata al decreto flussi del 2006" sostiene l’Ismu; ma accanto a questo dato confortante gli osservatori segnalano che il 2007 è stato anche un anno difficile nei rapporto tra l’Italia e le comunità straniere, segnato ad esempio dalle rivolte nei Cpt o dal diffuso rigetto verso i campi rom.

I grandi serbatoi dell’immigrazione diretta in Italia sono stati la Romania (+14,8%) e L’Ucraina (+12%) ma si tratta di una tendenza destinata ad esaurirsi a breve: "Già nel 2010 ú dice il rapporto ú in Romania ci saranno più uscite che entrate nel mercato del lavoro locale, così come in Ucraina ci sarà un deficit di 150 - 2oò mila lavoratori".

Le rotte provenienti dall’Est Europa si esauriranno e la pressione migratoria giungerà invece dall’Africa sub ú sahariana. Secondo llsmu questa zona del pianeta, per garantirsi un equilibrio economico, dovrebbe creare 15 ú 20 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2025, un traguardo considerato impossibile da raggiungere in base agli attuali indicatori economici e demografici. Intanto i 4 milioni di stranieri già residenti in Italia stanno lentamente cambiando il volto al paese: il rapporto calcola che la loro forza lavoro produce l’8,8% del Pil nazionale, con una punta dell’11% in Lombardia, Veneto ed Emilia.

I segni del cambiamento sono ancora più visibili nelle scuole dove gli studenti stranieri rappresentano ormai il 14% della popolazione studentesca a Mantova e a Prato. Nonostante ciò la conflittualità tra italiani e nuovi arrivati è più bassa di quanto possa apparire: un sondaggio realizzato sempre dall’Ismu in collaborazione con Eurisko ha detto che il 52,3% degli intervistati è favorevole ad estendere il diritto di voto alle amministrative agli immigrati. Una percentuale di poco inferiore ritiene che le nuove comunità arricchiscano culturalmente il paese; ma il 61% è convinto che questa ondata sia responsabile anche dell’aumento della criminalità.

Immigrazione: Miraglia (Arci); governo Prodi, operato scadente

 

Il Manifesto, 26 gennaio 2008

 

Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, non cerca scuse: il governo ha fallito. "Lo dico a malincuore, ma è così. Ed è un peccato perché a leggere il programma elettorale tutto faceva ben sperare. Un tema, quello dell’immigrazione, in cui si potevano raggiungere ottimi risultati anche perché la maggioranza si presentava abbastanza coesa su molti punti. Invece, dopo un anno e mezzo, siamo a commentare un operato altamente scadente. È mancato il coraggio di fare delle scelte importanti e che potessero dare un’inversione di rotta forte rispetto al passato. Perché anche stavolta la politica si è chiusa a riccio all’interno del Palazzo senza guardare fuori, senza dare risposte credibili alle aspettative della gente. Il fallimento è sotto gli occhi di tutti: la legge Bossi-Fini è ancora in vigore, i due decreti flussi sono stati un pasticcio, gli accordi con la Libia sono ancora lì, così come i Cpt. Ma la cosa più grave è che in quest’ultimo periodo non è cambiato il clima intorno all’immigrazione, anzi direi che è peggiorato. E la vicenda dei lavavetri ne è l’esempio più lampante".

Droghe: due anni d’immobilismo, ora aspettiamoci tempi bui

di Vincenzo Donvito (Presidente Associazione Utenti e Consumatori)

 

Notiziario Aduc, 26 gennaio 2008

 

Mentre scriviamo mancano poco più di 26 giorni al secondo compleanno della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Una delle leggi più repressive nel mondo occidentale contro il consumo ed il mercato delle droghe illegali. Era il 21 febbraio 2006 quando il Parlamento approvò la legge di riforma sulle tossicodipendenze, modificando in fase di conversione un decreto legge per assicurare il corretto svolgimento delle olimpiadi invernali di Torino.

L’opposizione di centro-sinistra in Parlamento mostrò tutto il proprio disappunto, sconcerto, rabbia e annunciò dura battaglia. Quando poi il centro-sinistra è diventato maggioranza ed ha governato l’Italia, il programma elettorale e di governo prevedeva anche uno specifico intervento di modifica.

In quasi due anni non è successo nulla e, caduto oggi il Governo, possiamo solo dire che, a buona ragione, quella legge potrebbe essere rinominata come Fini-Giovanardi-Prodi, con la beffa che il Governo Prodi è stato quello che l’ha attuata perché l’ha gestita per quasi due anni a differenza dei pochi mesi in cui quella legge fu tale durando il Governo Berlusconi che l’aveva fatta approvare.

I ragazzi continuano ad essere perseguiti quando si fanno uno spinello, i malati di tossicodipendenza continuano ad essere considerati delinquenti, lo spaccio per strada continua ad essere fonte di reddito per i disgraziati del terzo e quarto mondo che entrano nel nostro Paese (regolari o meno che siano è irrilevante), le varie polizie continuano ad impiegare il loro tempi per star dietro a questa micro-criminalità e ai ragazzi che si fanno gli spinelli piuttosto che dedicarsi maggiormente alla malavita organizzata che gestisce e prolifica sul narcotraffico.

Chi ha voluto l’attuale legge brinderà il giorno del suo secondo compleanno, così come hanno fatto nell’aula del Senato per la caduta del Governo Prodi: potrà dichiarare di aver vinto anche su questo fronte. La ex-maggioranza di centro-sinistra ha avuto due anni per modificare la legge che considerava nefasta, ma non lo ha fatto, riconsegnandola ai suoi sostenitori con più rodaggio e più esperienza sì da, probabilmente, farla meglio applicare ed evitare che si modifichi in senso non punizionista.

Ora noi, e chi con noi condivide un approccio diverso alle questioni droghe e tossicodipendenza, restiamo col cosiddetto cerino in mano, a far da testimoni al funerale del cambiamento. Le mafie dei narcotrafficanti, che non sono né di destra né di sinistra, ringraziano il Governo che è stato, quello che fu e, probabilmente, quello che sarà.

Qualunque Governo che verrà avrà altre priorità e, quand’anche fosse dato un qualche ascolto a chi sta cercando di far capire il dramma umano e politico del proibizionismo sulle droghe, sappiamo già che al massimo ci si darà una pacca sulle spalle e sarà "grassa" se ci consentiranno di continuare a scrivere in materia senza accusarci di istigare alla disobbedienza delle leggi e al consumo di droghe illegali.

Tempi bui, più bui di quelli che sono già stati, si avvicinano. Prepariamoci a "tenere duro" per continuare col nostro servizio di denuncia e informazione.

Ecco cosa c’era scritto nel Programma dell’Unione… per chi se lo fosse dimenticato: "Educare, prevenire, curare. Non incarcerare. Per le tossicodipendenze non servono né il carcere né i ricoveri coatti. Lavoro, diritti e crescita camminano insieme. Alla tolleranza zero bisogna opporre una strategia dell’accoglienza sociale per la persona e le famiglie che vivono il dramma della droga, a partire dalla decriminalizzazione delle condotte legate al consumo (anche per fini terapeutici) e quindi dal superamento della normativa in vigore dal 1990. Occorre un reale contrasto dei traffici e la tolleranza zero verso i trafficanti. È necessario rilanciare il ruolo dei Ser.T. e dei servizi territoriali che in questi cinque anni sono stati sistematicamente penalizzati dai tagli alla spesa sociale; senza imporre un unico modello e salvaguardando il pluralismo delle comunità terapeutiche, queste dovranno essere messe in rete con il servizio pubblico a cui spetta la diagnosi della dipendenza. Vanno sostenuti quanti, con approcci culturali e metodologie differenti da anni sono impegnati a costruire percorsi personalizzati e perciò efficaci di prevenzione, cura e riabilitazione considerando le strategie di riduzione del danno come parte integrante della rete dei servizi. Il decreto legge del governo sulle tossicodipendenze deve essere abrogato". (pp.186-187)

Droghe: Veneto; Regione taglia fondi a Comunità recupero

 

Notiziario Aduc, 26 gennaio 2008

 

Il vicepresidente del gruppo del Pd in Consiglio Regionale Giovanni Gallo, annunciando la richiesta dell’opposizione a ripristinare, nel bilancio regionale 2008 in discussione in questi giorni a palazzo Ferro-Fini, delle risorse destinate alle persone dipendenti da alcol e droghe sottolinea che "il centrosinistra condivide lo sconcerto con cui le comunità terapeutiche del Veneto hanno denunciato il taglio di oltre la metà dei fondi regionali destinati al pagamento delle rette per i tossicodipendenti e alcol-dipendenti accolti".

"Chiediamo un immediato potenziamento dei servizi - dichiara Gallo in una nota - evitando sperperi su ricerche di dubbia utilità in quanto trattano argomenti già consolidati nelle conoscenze scientifiche". Nel mirino di Gallo e del centrosinistra è lo stanziamento di 300 mila euro all’anno assegnati all’Ulss di Verona per studiare i meccanismi neurobiologici della ricaduta nell’uso delle droghe: "Un simile finanziamento rappresenta uno sperpero di denaro pubblico, una pura azione di immagine, in quanto questi meccanismi sono già conosciuti da anni. Il problema è garantire le soluzioni di questi problemi potenziando la qualità dei servizi, coerenti con i bisogni individuati. Proponiamo pertanto di cambiare la destinazione d’uso di quei 300 mila euro destinandoli a servizi innovativi per le persone che riducano la probabilità della ricaduta".

 

 

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