Rassegna stampa 29 gennaio

 

Giustizia: il "fine pena mai"... e il dettato costituzionale

di Alessandro Margara (Presidente Fondazione Michelucci)

 

Fuoriluogo, 29 gennaio 2008

 

Abolizione dell’ergastolo, una questione rilanciata con forza dalle prigioni. L’abolizione dell’ergastolo è prevista dalla bozza di legge delega per il nuovo codice penale, elaborata dalla Commissione Pisapia ed anche da un disegno di legge di iniziativa dei senatori Boccia, Di Lello, Russo Spena ed altri. L’abolizione dell’ergastolo è stata anche oggetto di uno sciopero della fame, che ha coinvolto detenuti, e in particolare gli ergastolani, i loro familiari e molte altre persone, che si riconoscono in questa richiesta.

Il "fine pena mai" ha le ore contate? Realisticamente, con i tempi che corrono, pare difficile rispondere affermativamente. Il che non toglie che sembra opportuno rifletterci su: anche per cercare le ragioni di un interesse ridestatosi con tanta forza. Mi sembra logico ripercorrere soprattutto il discorso sulla costituzionalità dell’ergastolo.

Si deve tornare alla sentenza 264/1974 della Corte Costituzionale, che, posta dinanzi al quesito, risponde che "funzione (e fine) della pena non è certo il solo riadattamento dei delinquenti (…) Non vi è dubbio che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano, non meno della sperata emenda, alla radice della pena. E ciò basta per concludere che l’art. 27 della Costituzione, usando la formula "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", non ha proscritto la pena dell’ergastolo (come avrebbe potuto fare), quando essa sembri al legislatore ordinario, nell’esercizio del suo potere discrezionale, indispensabile strumento di intimidazione per individui insensibili a comminatorie meno gravi o mezzo per isolare a tempo indeterminato criminali che abbiano dimostrato la pericolosità e la efferatezza della loro indole".

Ho riportato la motivazione della sentenza, salva una precisazione sulla quale tornerò: la risposta al quesito di fondo posto dall’art. 27 della Costituzione è tutta qui e si può dubitare che sia esauriente.

Il primo dubbio è questo: si ritiene che la pena non abbia soltanto la finalità della rieducazione, ma anche le altre che la sentenza costituzionale cita. E allora? Se una delle finalità non è realizzabile con una certa pena, come la rieducazione con l’ergastolo, la violazione dell’art. 27 Cost. non viene certo meno perché sono realizzabili le altre finalità.

In effetti, ed è l’altro dubbio grave sugli argomenti della sentenza 264/74, la stessa sembra realizzare una petizione di principio: affermare che il legislatore ordinario deve disporre dello strumento dell’ergastolo come "indispensabile strumento di intimidazione" o un mezzo per isolare a tempo indeterminato un certo tipo di detenuti non è una risposta sul punto che questa pena configuri o meno violazione della Costituzione.

Non si riflette e non si risponde sul fatto che questa pena sia contraria al senso di umanità o non sia finalizzata alla rieducazione del condannato, come l’art. 27 richiede. Si poteva dire qualcosa, ma non è stato detto nulla. Una pena perpetua, che esclude dalla società per la durata della vita, è compatibile con il senso di umanità? E può dirsi finalizzata alla rieducazione del condannato quando a questi sarà negata una vita fuori dal carcere?

Soprattutto, si ancora la valutazione di una persona ad un fatto commesso in un certo tempo, alla pericolosità e alla efferatezza dimostrata con quel fatto commesso in quel tempo e non si suppone possibile che quella persona cambi dopo che uno spazio molto lungo della sua vita trascorre, e trascorre nella particolare condizione carceraria: questo è la negazione che un processo rieducativo si possa svolgere.

Ma la sentenza costituzionale (ecco la precisazione aggiunta dalla motivazione) afferma che la perpetuità dell’ergastolo è solo formale perché, in sostanza, il condannato, se se lo merita, può essere ammesso alla liberazione condizionale, sulla quale decide un giudice, con procedura giurisdizionale, per effetto della sentenza n. 204/1974, a cui la sentenza che stiamo commentando si riferisce esplicitamente. È un argomento efficace?

Intanto, bisognerebbe ricordare che, all’epoca della sentenza che affermava la costituzionalità dell’ergastolo, c’erano varie limitazioni alla ammissione alla liberazione condizionale per gli ergastolani (limitazioni delle quali la Corte ha affermato la incostituzionalità molti anni dopo: vedi le sentenze n. 161/97 e 418/98) e le limitazioni non sono state del tutto eliminate, anzi ne sono sopraggiunte di nuove con la legislazione di emergenza del ‘91 - ‘92, che ha introdotto l’art. 4-bis (contenente esclusioni e limitazioni dei benefici penitenziari per i delitti più gravi), norma che ha trovato ulteriori rilanci, fino a tempi più recenti, con l’ampliamento delle esclusioni per un numero larghissimo di delitti. Queste esclusioni e limitazioni si estendono anche alla liberazione condizionale? La giurisprudenza in proposito non è affatto univoca.

Ma la obiezione di fondo all’argomento della Corte è che la perpetuità dell’ergastolo non ne è un aspetto formale, ma ne è la sostanza. Il fatto che possa intervenire la liberazione condizionale per effetto di una scelta giudiziaria è solo una possibilità ed una possibilità che dipende dalla scelta di un giudice, inevitabilmente legata ad una valutazione discrezionale: nelle quali due parole, non conta solo la discrezionalità, ma anche la valutazione: occorre, cioè, un qualcosa - le prove di ravvedimento certo - che legittimino la concessione. Per questo, dal punto di vista normativo, la pena resta perpetua perché l’eventualità di un provvedimento discrezionale del giudice non può cambiare la sua natura di pena perpetua.

E non è male fornire alcuni dati sulla discrezionalità del giudice in materia di liberazione condizionale: in tutta Italia, nel 2006 (rilevazione parziale fino al 23.10.06: ovviamente, la statistica è relativa alle istanze per tutte le pene, anche temporanee): liberazioni condizionali concesse 21, respinte 373, dichiarate inammissibili 294; e le statistiche per la sola Toscana, temporalmente più complete, ci dicono: 2005: liberazioni condizionali concesse: 2; respinte 32; inammissibili 13; 2006: concesse 4; respinte 36; inammissibili 8; 2007, primo semestre: concesse 1; respinte 12; inammissibili 1. Va ricordato, inoltre, che l’effetto del venire meno della pena perpetua si verifica solo in linea di fatto ed è legato all’esito della applicazione della libertà vigilata per cinque anni.

Allargando il discorso alla liberazione condizionale, la perpetuità dell’ergastolo può essere discussa in due accezioni: formale o sostanziale oppure simbolica o reale. Si è riflettuto sulla seconda accezione. Che dire della prima? Che non è molto diversa dalla seconda. Si può convenire che molti degli ergastolani riguadagnano la libertà dopo un tempo più o meno lungo, ma è legittima la domanda: che senso ha una pena simbolica e col simbolo della perpetuità? Viene fatto di pensare alle "grida" manzoniane, emesse con la certezza della loro inattuabilità, soltanto al fine di uno sfoggio di autorità che non corrispondeva al vero: un modo di nascondere la mancanza di autorevolezza. Però la simbolicità del nostro ergastolo tende fortemente ad essere reale, a rassegnarsi male a restare simbolica. E così in sostanza, si potrebbe concludere il discorso, dicendo che il "fine pena mai" può essere sostituito da un poco rassicurante "fine pena non si sa quando".

La sentenza 264 ha ricavato dalla precedente 204 il solo fatto che la concessione della liberazione condizionale era giurisdizionalizzata e, per tale via, sottratta alla discrezionalità dell’organo politico e affidata alla valutazione del giudice in contraddittorio. Ma, nella 204, c’erano altri principi da prendere in considerazione.

In primo luogo, mentre la sentenza 264 affermava che la "funzione (e fine) della pena non è certo il solo riadattamento dei delinquenti", la sentenza 204 parla di "fine ultimo e risolutivo della pena stessa, quello, cioè, di tendere al recupero sociale del condannato". C’è una notevole differenza fra il concetto di "riadattamento dei delinquenti" e quello di "recupero sociale del condannato"; come pure fra questo fine come uno fra i tanti della pena, nella 264, e il "fine ultimo e risolutivo della pena stessa", come nella 204.

Perché il punto fondamentale di quest’ultima sentenza è proprio di attribuire al condannato, nell’ambito della esecuzione della pena, un diritto soggettivo a vedere riesaminata la efficacia nei suoi confronti della parte di espiazione della pena già sofferta e di legare a quella valutazione il "protrarsi della pretesa punitiva".

Per concludere, direi che le due sentenze della Corte costituzionale in questione si muovono su lunghezze d’onda diverse. E devo aggiungere che, mentre la 264 resta sostanzialmente datata, la 204 è stata costantemente ripresa dalla giurisprudenza costituzionale successiva. Il che potrebbe fare sperare che non sia impossibile tornare a verificare la validità della prima.

Giustizia: Osapp; un Commissario straordinario per le carceri

 

Adnkronos, 29 gennaio 2008

 

Gli arresti operati oggi in diverse operazioni della polizia "devono rimettere all’ordine del giorno la questione carceri e del sovraffollamento". Lo afferma il segretario Generale dell’Osapp, Leo Beneduci, sottolineando che oggi sono entrate nelle carceri italiane "più di 150 persone".

"La società - spiega Beneduci - si preoccupa della sicurezza; adesso è la questione cardine su cui tutta la politica pone attenzione. Ma forse non ci si rivolge mai agli effetti che ciò produce in strutture che non sono più idonee, né in termini di capienza né in termine di sicurezza interna ed esterna ad accogliere nuovi soggetti".

"L’Amministrazione Penitenziaria in questi ultimi tempi ha segnalato in più di un’occasione quello a cui andremo incontro tra 4/5 mesi - sottolinea Beneduci -. Ma sembra che il problema principale sia mettere dentro chi ha commesso i reati, come se si potesse buttare la chiave senza tenere conto delle condizioni di chi dal carcere, prima o poi, esce e dimenticando nello stesso tempo gli effetti che può portare, alla società ed al Paese, il tenere dentro persone in condizioni disumane".

"Il termine discarica sociale non lo abbiamo coniato noi. Forse è giunto il momento di nominare anche per il fallimentare sistema penitenziario italiano un Commissario Straordinario".

Giustizia: Osapp; sì alle riforme, perplessità sul "braccialetto"

 

Adnkronos, 29 gennaio 2008

 

In materia di giustizia e carceri "gli interventi devono essere radicali: servono riforme urgenti per la "discarica sociale", come ha tenuto a sottolineare Eurispes nel suo rapporto annuale, ed è per questo che avvertiamo uno strano clima di riscatto delle forze che fino adesso sono state all’opposizione". Così in una nota il segretario Generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di Polizia penitenziaria) Leo Beneduci.

"Per dirla in modo chiaro - sottolinea Beneduci - pensiamo che le elezioni, che da più parti vengono auspicate, siano l’alternativa sbagliata a ciò che più urge per il Paese e per la società che rappresentiamo. Affrontare una nuova tornata elettorale sarebbe un disastro per le carceri".

"Quello che serve è un diverso modo di pensare alla logica detentiva, che non si basi più sui numeri, o che quei numeri li possa leggere in chiave di risposta e non di allarme. È apprezzabile, infatti, il piano pluriennale varato dall’Amministrazione per l’espansione ed il rafforzamento dell’edilizia carceraria, ma - lamenta l’Osapp - 7.385 nuovi posti non sono nulla contro un tasso di crescita della popolazione carceraria di mille unità al mese".

"Per quanto riguarda la sperimentazione, come il braccialetto proposto dal Dap siamo perplessi su gli effetti risolutivi dell’esperimento annunciato, perché‚ - prosegue Beneduci - pensiamo che in questo si celi la cultura di chi vuole tenere in carcere, con l’unica finalità di nascondere alla società civile, ciò che è considerato marcio ed irrecuperabile: quasi a voler applicare antiche e desuete concezioni di lombrosiana memoria, lasciando però fuori gli affidabili".

"Ribadiamo fortemente che le riforme che noi intendiamo servano adesso, e non sono possibili tra tre mesi. Tra tre mesi - conclude il segretario generale dell’Osapp - il sistema sarà veramente al collasso, e nel frattempo, non si potrà far fronte ad una emergenza che un Governo sfiduciato, e obbligato dall’ordinaria amministrazione, può normalizzare".

Giustizia: il Dap compera 36 Bmw e 2 Porsche, per fare cosa?

di Adriano Todaro

 

www.girodivite.it, 29 gennaio 2008

 

Cosa se ne fanno al Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, di 36 auto Bmw 330I e 2 Porsche Cayenne? Bella domanda. Difficile da rispondere anche perché il Guardasigilli non c’è più. Le Bmw di grossa cilindrata sono state assegnate ai Provveditorati regionali nella misura di 2 ogni provveditorato. Le Porsche Cayenne, blindate, sono finite a Roma. Secondo la denuncia di Giampietro Pegoraro, segretario regionale della Funzione Pubblica-Cgil del Veneto, le auto sono state tutte prese in leasing per la modica cifra di mille euro al mese e tutte sottoutilizzate. Ogni mese, quindi, il ministero della Giustizia sborsa - solo per le Bmw perché non conosciamo i dati delle Porsche - 36 mila euro.

Come si vede nulla di nuovo. Continuano gli sprechi da una parte e i guadagni dall’altra perché, come abbiamo spesso ripetuto, il carcere, per molti, è un grande affare.

L’ex ministro Clemente Mastella ha dichiarato che è stato colpito perché dava fastidio. Non sappiamo se dava fastidio. Certo è, che non è cambiato nulla. Ogni mese, nelle carceri, entrano, come detenuti, più di mille persone. Le carceri sono sempre più piene e, quindi, più invivibili. I suicidi vedono protagonisti non solo i detenuti, ma anche gli agenti di polizia penitenziaria.

E non ci sono solo i suicidi. Secondo un rapporto della Simspe, la Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, più della metà della popolazione carceraria, è affetta da svariate patologie. Aumentano i detenuti affetti da epatite C, molto pericolosa se consideriamo che una volta all’esterno, i detenuti potrebbero infettare familiari e amici. A questa si aggiunge un’altra malattia legata allo stress, la psoriasi, malattia cronica della pelle e poi, ancora, depressione e disturbi psicologici, problemi cardiovascolari e osteoarticolari.

Eppure, invece d’intervenire in questo campo, si acquistano inutili auto tenendo conto che i mezzi in dotazione alla Polizia penitenziaria sono obsoleti e inquinanti. Non solo. Le divise degli agenti arrivano con il contagocce e fuori misura. Addirittura, qualche tempo fa, sono arrivati giacche a vento con le mostrine della Polizia di Stato e non della Polizia penitenziaria e, quindi, sono state ritirate.

In compenso il ministero ha deciso di ripartire con la sperimentazione del controllo a distanza, quello dei braccialetti elettronici. Per fortuna la sperimentazione si farà solo a Milano e non, come nel passato in diverse città italiane. Saranno 400 i braccialetti sperimentati su altrettanti detenuti e l’auspicio è che possa funzionare meglio di sette anni fa.

In quel periodo, nel 2000, ministro della Giustizia Piero Fassino, un decreto legge del 24 novembre prevedeva l’uso dei braccialetti elettronici o meglio delle cavigliere. Le misero in funzione, con molta calma, sette mesi dopo, il 2 maggio 2001 su 350 detenuti dando sicurezza a tutti che erano a prova di manomissione. Poche settimane dopo un colombiano agli arresti domiciliari si diede alla fuga e il 2 luglio 2002 un boss della mafia altrettanto, mentre era ricoverato per Aids all’ospedale Sacco di Milano.

I braccialetti ci costavano 30 euro al giorno di affitto. In realtà sembra non siano stati pagati del tutto visto che una delle ditte fornitrici, l’inglese On Guard Plus, aveva sospeso la fornitura perché, appunto, non veniva pagata.

Ora si riparte con 400 braccialetti. Non sappiamo quanto costeranno e se saranno a prova di manomissione. Con certezza, però, sappiamo che gli eventuali evasi saranno rincorsi con le Bmw 330I e con le Porsche Cayenna.

Giustizia: i reati calano? allora si devono costruire più carceri!

di Adriano Todaro

 

www.girodivite.it, 29 gennaio 2008

 

Per rimodernare gli alloggi e la mensa degli agenti penitenziari del secondo carcere milanese, quello di Bollate, mancano i soldi. E allora ci si affida alla pubblicità. Una convenzione è stata stipulata fra il Provveditore per le carceri della Lombardia, Luigi Pagano, e l’Alitalia. Sul tetto del carcere sarà posto un grande cartellone pubblicitario visibile dalla vicina autostrada Milano-Laghi.

A ben guardare, questo episodio è sintomatico: l’Alitalia è un’azienda in fallimento che succhia soldi pubblici, il carcere lo stesso. Non tanto, ovviamente, quello di Bollate che è carcere modello e all’avanguardia, ma tutto il settore che riguarda le carceri. Finito l’effetto indulto, ricomincia la paralisi. Oggi nei 218 istituti di pena ci sono oltre 49.442 detenuti a fronte di 43.213 posti disponibili. Ogni mese entrano in carcere 1.000 persone. Se questo trend continuerà, fra poco, in primavera, i detenuti saranno più di 60 mila, come prima dell’indulto.

Le cause? Prima di tutto la recidività. È un sistema perverso: carcere - libertà - carcere. La percentuale media di chi ritorna a delinquere, e ritorna in carcere, è attorno al 70 per cento. Quando si esce se non si trova una situazione solidale, se non si trova il lavoro, un alloggio, se si è messi all’indice, malgrado si sia pagato il "debito con la giustizia", si ritorna a delinquere. Gli stessi parlamentari che hanno votato favorevolmente per l’indulto (praticamente tutti), oggi sono contrari, sono pentiti, dichiarano che tutti i mali provengono dall’indulto.

I mezzi di comunicazione di massa fanno la loro parte nel fomentare le paure dei cittadini, nell’indicare nell’indulto la causa di tutti i mali. In realtà non poteva andare meglio di come è andata. Quando si aprono le celle e sul territorio non c’è o non si è voluta creare nessuna rete di protezione, è ovvio che si torni a delinquere. Afferma il sottosegretario Luigi Manconi: "Senza l’indulto noi saremmo a una cifra stimabile di circa 80 mila detenuti. Ovvero uno stato di totale illegalità, una situazione invivibile per quanti lavorano dentro le carceri, un inferno per i detenuti e, quindi, una situazione ad alto rischio, al limite di un possibile collasso o esplosione".

Poi c’è il problema degli stranieri. Fra il 1980 e il 1990, fra le persone in carcere, il 15 per cento erano stranieri. Oggi sono il 37 per cento, provenienti da 144 Paesi! Inutili le lamentele dei cittadini. Se non si farà in fretta a mettere mano alla vergognosa legge Bossi-Fini, le carceri saranno sempre più affollate di stranieri e, quindi, sempre meno vivibili.

Terzo punto i detenuti in attesa di giudizio. Su circa 50 mila detenuti, 29 mila e 137 persone sono in attesa di giudizio. Non sappiamo se resteranno in cella o saranno liberati. Intanto, però, contribuiscono al sovraffollamento. A tutto ciò è necessario aggiungere le emergenze vere o presunte (romeni, decreto sicurezza). Se è difficile mandare in carcere un potente, è facilissimo mandare in carcere persone senza potere, poveri, senza cultura.

Intanto i reati, nel nostro Paese, sono in calo. Negli ultimi sei mesi del 2007, i reati sono diminuiti di 145.043. Si è passati da 1.468.161 delitti, nel periodo gennaio-giugno, a 1.323.118 fra giugno-dicembre. Si uccide meno (nel 2006, 621 persone uccise; nel 2007, 593), ci sono meno reati legati agli stupefacenti, meno rapine (nel 2006, 50.270; nel 2007, 49.123. Negli ultimi sei mesi del 2007, 22.675 rapine), meno estorsioni, meno violenze sessuali (negli ultimi sei mesi del 2007, 2.057 a fronte delle 2.421 dei primi sei mesi dell’anno, meno scippi (nel secondo semestre 2006, 11.861; secondo semestre 2007, 10.439). L’unico settore che "tira" sono i furti negli appartamenti.

Eppure si progettano nuove carceri (sono dieci quelli in costruzione). E per cercare di dimostrare all’opinione pubblica di essere sensibili al problema, si scaricano le responsabilità della mancata costruzione da un ministero all’altro. E così Clemente Mastella dà la colpa ad Antonio Di Pietro e, quest’ultimo, la rimanda al destinatario. In realtà questo delle nuove carceri è solo fumo propagandistico. Prima di tutto perché per costruire un carcere ci vogliono in media 10 anni. E poi perché l’Italia è piena di carceri che non sono utilizzate. La trasmissione televisiva "Striscia la notizia" l’ha documentato in continuazione. Famoso è il caso del carcere di Gela (48 celle, tutte con i servizi igienici) che è stato progettato nel 1959, finanziato nel 1978, cantiere aperto nel 1982, ultimato mezzo secolo dopo e inaugurato dal ministro Mastella lo scorso 26 novembre.

Nel 2000, il governo aveva deciso di ristrutturare 214 carceri che abbisognavano di opere indispensabili per la vivibilità sia dei detenuti e sia degli agenti di polizia penitenziaria (negli ultimi 10 giorni dello scorso dicembre, ben quattro suicidi di agenti) e di chi nel carcere ci lavora. L’allora governo di centro-sinistra (Guardasigilli Oliviero Diliberto) aveva stimato un investimento di 400 milioni di euro e i tempi previsti per la realizzazione delle opere in 5 anni. Le ristrutturazioni dovevano riguardare, in particolare, le strutture igienico-sanitarie, tutte al di sotto degli standard europei: acqua calda nelle celle, toilette separate dalle cucine e dalle brande, celle per non fumatori, cucine per un massimo di 200 coperti ed altro.

Dopo sette anni, solo il 16 per cento delle celle sono a norma: 4.763 su 28.828 mentre 1.750 sono in via di ristrutturazione con casi come a Secondigliano dove nessuna delle 802 celle ha l’acqua calda e solo 11 hanno la doccia. In realtà mancano soprattutto i soldi. Forse verrà il tempo (Bollate docet) che le carceri per mantenersi dovranno fare pubblicità. Intanto le opere di ristrutturazione vanno al rilento e il segretario di uno dei sindacati autonomi degli agenti, il Sappe, dichiara: "Qui non c’è un soldo neanche per imbiancare le celle".

Giustizia: Lonardo; caduto il governo viene meno la cautela

 

Il Foglio, 29 gennaio 2008

 

 

Cessate le esigenze di custodia cautelare della signora Lonardo in Mastella. Il pubblico ministero competente ha chiesto la revoca degli arresti domiciliari inflitti a Sandra Lonardo, la moglie dell’ex ministro Mastella. Si vede che le esigenze di custodia cautelare sono immediatamente sparite appena il governo è caduto.

D’altra parte era del tutto evidente che quelle giuridiche non sussistevano, visto che sarebbe stato difficile per la presidente del Consiglio regionale della Campania fuggire all’estero, mentre la reiterazione del reato era impossibile per il semplice fatto che nessuno ha mai capito come si faccia a esercitare concussione nei confronti di Antonio Bassolino.

Dunque è oggi ancora più lecito pensare che le esigenze fossero solo politiche, e che quindi il radicale mutamento della situazione le abbia fatte scomparire. Questo gioco di prestigio col quale un inquirente chiede gli arresti una settimana prima di andarsene, un gip li concede pur dichiarandosi incompetente, ha provocato una crisi di governo e porterà alla fine anticipata della legislatura (con o senza un breve intermezzo tecnico).

Chissà che cosa hanno in serbo i membri del partito delle procure per "animare" la prossima campagna elettorale! È a questo scempio che bisogna reagire, per liberare il paese da un’insopportabile cappa che lo condiziona e lo soffoca da quindici anni. Clemente Mastella stesso e Silvio Berlusconi hanno denunciato questo stato di cose, ma ora debbono farne il centro della battaglia politica, meglio, della lotta di liberazione dalle ingerenze e dai ricatti giustizialisti che è sempre più urgente e necessaria.

Toscana: Fondazione Michelucci; "l'effetto indulto" è esaurito 

 

In Toscana, 29 gennaio 2008

 

A circa un anno dall’approvazione dell’indulto, il 19 settembre 2007, dagli istituti penitenziari toscani erano uscite 1.636 persone, 877 italiani (53,6%) e 759 stranieri (46,4%).

Rispetto al dato nazionale (26.756 le persone uscite di cui il 61,6% italiani e il 38,4% stranieri) la quota di detenuti stranieri che hanno beneficiato dell’indulto è stata superiore di 8 punti percentuali, a testimonianza di una maggior presenza di immigrati nelle carceri toscane.

"La presenza in carcere è di nuovo a livelli elevati - ha dichiarato l’assessore alle politiche sociali Gianni Salvadori - e se ciò sta accadendo lo dobbiamo soprattutto a due leggi, la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze.

I dati che abbiamo a disposizione grazie alla Fondazione sono preoccupanti. Dobbiamo attivarci al più presto per consentire a chi entra in carcere di essere accolto in maniera dignitosa e per chi ne esce di potersi totalmente reinserire nella società.

Stiamo lavorando a due progetti che dovrebbero partire all’inizio del 2008: uno per aumentare il numero di operatori all’interno degli istituti e l’altro per creare percorsi concreti di lavoro per chi esce. In totale metteremo a disposizione 370mila euro, 120mila per il primo progetto e 250mila per il secondo. Un altro impegno che abbiamo preso riguarda un progetto avviato nel carcere di Porto Azzurro destinato agli ipovedenti. Piccoli sforzi - ha concluso l’assessore - che puntano ad aprire nuove strade in un universo complicatissimo".

Al 30 giugno 2006 la popolazione detenuta toscana ammontava a 4.106 persone (210 le donne, 5,1% del totale). Già nel 2000 i detenuti toscani avevano toccato quota 3.900 per superare i 4.000 a partire dal 2003. Sempre a metà 2006 i detenuti di origine straniera erano 1.660 (93 le donne) pari al 40% del totale (contro il 33% a livello nazionale).

I detenuti tossicodipendenti erano il 30% circa, gli alcol-dipendenti il 3%, quelli affetti da Hiv il 2% circa.

Questo conferma anche in Toscana la tendenza nazionale al ricorso alla cosiddetta detenzione sociale: aumenta cioè la presenza nelle strutture detentive di persone che vivono in uno stato di svantaggio, disagio o marginalità per le quali, più che una risposta penale o carceraria, sarebbero più opportune politiche di prevenzione e sociali appropriate.

Dopo l’indulto l’assetto e l’organizzazione delle strutture penitenziarie italiane e toscane è mutata profondamente, ma è poi emersa una dinamica che ha confermato quello che era già chiaro prima dell’indulto: senza cambiamenti normativi che favoriscano la depenalizzazione dei reati minori, il potenziamento delle misure alternative, l’introduzione di misure sostitutive e la modifica delle recenti disposizioni in materia di immigrazione, tossicodipendenza e recidiva, la popolazione detenuta sarebbe cresciuta in modo spedito, riproponendo in breve tempo la situazione di sovraffollamento pre-indulto.

Ad inizio 2007 la presenza straniera era salita al 43,3% del totale, più del 3% rispetto a sei mesi prima: su 2.864 detenuti gli stranieri erano 1.241 (54 le donne). Confrontando la composizione della popolazione detenuta nell’arco di un anno (31 luglio 2006 - 31 luglio 2007), si è evidenziato in vari casi il ritorno ad una situazione di sovraffollamento, simile a quella pre-indulto, e l’incremento della componente straniera.

Il fenomeno è abbastanza chiaro ad esempio ad Arezzo, Livorno, Pisa, Pistoia e Prato. A Sollicciano si è riusciti a restare sotto le 800 unità, grazie al ricorso a periodici sfollamenti verso altre strutture. La popolazione complessiva a metà settembre 2007 aveva già superato la capienza regolamentare (fissata allora dall’amministrazione penitenziaria in 2.848 posti) di circa 380 unità. I detenuti stranieri sono aumentati in tutte le case circondariali: ad Arezzo, a Sollicciano, a Livorno, a Lucca, a Pisa, Pistoia, Prato e Siena. Analoga situazione anche in altre strutture (Firenze Mario Gozzini, Empoli, Grosseto, Massa Marittima, Pontremoli) dove la popolazione detenuta è piuttosto bassa. Nella casa di reclusione di Massa si è passati dal 30 al 47%.

In un anno anche l’Opg di Montelupo ha registrato un incremento della popolazione internata malgrado la capacità ricettiva. Attualmente gli Istituti penitenziari per adulti in Toscana sono 18 (19 se consideriamo la struttura di Pontremoli, sezione distaccata femminile della Casa Circondariale di Massa).

La Toscana è tra le regioni a più alta concentrazione di Istituti ed accoglie tutte le tipologie di penitenziari: ci sono 12 case circondariali (Arezzo, Empoli, Firenze Mario Gozzini, Firenze Sollicciano, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa Marittima, Pisa, Pistoia, Prato, Siena, di cui Empoli, Firenze Mario Gozzini e Massa Marittima a custodia attenuata), 5 case di reclusione (Gorgona, Massa, Porto Azzurro, San Gimignano, Volterra), 1 Ospedale Psichiatrico Giudiziario (Montelupo Fiorentino) e l’Istituto femminile di Pontremoli che dipende dalla direzione di Massa.

Cagliari: i detenuti in rivolta devastano il carcere minorile

di Marco Noce

 

L’Unione Sarda, 29 gennaio 2008

 

Quattro ore di guerriglia, sabato notte nel carcere minorile di Quartucciu, con due agenti feriti e tre celle devastate e incendiate. A scatenare la violenza, tre detenuti marocchini e un egiziano che alle 22 si sono affrontati in una zuffa. Soltanto alle 2 del mattino dopo l’arrivo di diversi colleghi richiamati in servizio gli agenti sono riusciti a riportare la calma. Il sindacato: "Organici insufficienti, sicurezza a rischio".

Quattro ore di violenza cieca: tre celle trasformate in campo di battaglia, nordafricani contro nordafricani, gente dura, cresciuta nelle periferie di Milano e di Bologna. Botte, insulti, brande e sedie distrutte, finestre sfondate, cessi sradicati e usati come armi, fuoco. Dalle 22 di domenica sera alle 2 di ieri mattina, finché ai pochi agenti di turno non si sono aggiunti quelli richiamati da casa, a Quartucciu è stata guerriglia: è finita con un’irruzione nelle celle, con gli uomini in divisa a separare i detenuti e due agenti in infermeria. Uno ha una contusione a una spalla, l’altro una mano tagliata da una scheggia di vetro. E i sindacati insorgono: siamo in pochi, l’edificio è fatiscente, le condizioni di lavoro intollerabili. Il carcere minorile, dicono, è una bomba pronta a esplodere.

Dietro tanta furia, a quanto pare, futili motivi. Può bastare davvero poco, a far saltare i nervi a persone costrette a trascorrere le giornate gomito a gomito: un tic, un modo di fare, una parola di troppo. Tutto, dentro, può diventare esasperante. La goccia trabocca domenica alle 22. Epicentro, due celle. Due di quelle occupate dai non italiani, che a Quartucciu sono in maggioranza schiacciante: sui sedici detenuti attualmente rinchiusi nel carcere minorile, soltanto tre sono sardi (due sono i diciassettenni di Capoterra arrestati la settimana scorsa con l’accusa di aver fatto parte del branco che ha prima impiccato, bruciato e torturato un venticinquenne di Sestu e poi rivendicato la bravata in tv, a "Le Iene").

Gli altri, in larghissima prevalenza, sono stranieri: extracomunitari, soprattutto nordafricani, ma anche rumeni. La gran parte non ha commesso reati in Sardegna: gli istituti minorili di Milano e Bologna, colmi, inviano ospiti in Sardegna. Trattandosi spesso di immigrati clandestini, sostengono i sindacati della polizia penitenziaria, non è nemmeno certo che si tratti effettivamente di minorenni.

Ad affrontarsi sono tre marocchini e un egiziano. Volano urla, insulti. Poi i quattro vengono a contatto. È una zuffa furibonda. Gli agenti di turno sono quattro. Uno è di guardia all’ingresso. Gli altri tre non sono abbastanza per affrontare il rischio di aprire il portone blindato e separare i litiganti: c’è il pericolo che lo scontro dilaghi, che si trasformi in rivolta.

Mentre dietro le sbarre la violenza sale d’intensità e i detenuti spaccano tutto ciò che possono, negli uffici comincia una caccia disperata ai rinforzi. Partono telefonate, ci sono agenti che, di domenica notte, devono salutare moglie e figli e saltare in macchina per andare ad affrontare lo scontro. Dovere, certo. Ma quando, in trenta, si sono accumulati qualcosa come cento giorni di riposo e ottocento di ferie arretrati, è comprensibile che uno, infilando il cappotto, si lasci scappare un’imprecazione.

Ci vuol tempo, perché i rinforzi arrivino a Quartucciu. Nel frattempo, in tre celle i rottami di sedie, brande, tavolini vengono incendiati: c’è fumo, caldo, rabbia, paura. Il tempo passa con una lentezza esasperante. Quattro ore, in queste condizioni, possono sembrare infinite. Sono quasi le due del mattino quando la polizia penitenziaria mette in atto il blitz. Il portoncino viene aperto, gli agenti separano i quattro: sono minuti concitati, nel corpo a corpo volano colpi, spinte, si tenta di non scivolare sulle schegge di vetro.

Alla fine, la situazione comincia lentamente a tornare alla calma. Divisi i litiganti, vengono rinchiusi ciascuno in una cella. Le fiamme vengono spente. Gli agenti feriti si fanno medicare: nulla di grave, per fortuna. Ma la sensazione è che la bomba Quartucciu abbia fatto un altro scatto oltre il livello di guardia. E il rischio di un’esplosione sembra più vicino.

Como: i coniugi Romano a processo per la strage di Erba

 

Tg Com, 29 gennaio 2008

 

Il giorno tanto atteso è arrivato. A Como si celebra il primo round del processo a Rosa Bazzi e Olindo Romano, i coniugi ritenuti gli autori del massacro di Erba. In tribunale anche Azouz Marzouk, il tunisino che nella strage ha perso moglie e figlio. "Non vedo l’ora di guardarli in faccia, sarà una sfida... Penso che non meritano né di morire né di vivere fuori da lì. La loro pena di morte sarà morire in carcere", ha detto Marzouk a La Stampa.

In aula con Rosa e Olindo anche Marzouk, il tunisino, che l’11 dicembre 2006 perse la moglie, Raffaella Castagna, il figlio Youssef, poco più di due anni, e la suocera, Paola Galli, uccise insieme ad una vicina di casa, Valeria Cherubini.

È giunto a bordo di un furgone cellulare dal carcere di Vigevano (Pavia), dove è detenuto per droga dal primo dicembre scorso. Azouz, nel processo, si è costituito parte civile ed è anche testimone dell’accusa. Pertanto non potrà assistere a tutte le fasi del processo. Potrà partecipare alle fasi preliminari e a quelle dopo la sua audizione come testimone. Presenti anche Carlo e Pietro Castagna, rispettivamente padre e fratello di Raffaella.

"Io posso essere simpatico o antipatico, ma quello che ho vissuto sulla mia pelle lo so solo io. Io adesso sono in carcere. Uscirò magari tra qualche settimana, tra qualche mese, quando finirà l’inchiesta. Per quello che hanno fatto alla mia famiglia, loro sono condannati a stare dentro tutta la vita", ha detto Marzouk.

Sui coniugi Romano, vicini di casa delle vittime, gravano accuse da ergastolo: tre omicidi premeditati, un quarto omicidio, quello della Cherubini, il tentato omicidio di suo marito, Mario Frigerio, che sopravvisse, l’incendio dell’abitazione della famiglia Marzouk-Castagna per distruggere i corpi, il porto dei coltelli e della spranga utilizzati per l’eccidio e la violazione di domicilio.

Nell’aula della Corte d’assise di Como, invasa da cronisti e pubblico, gli avvocati Fabio Schembri e Luisa Bordeaux hanno cercato di incunearsi nelle falle, a loro avviso esistenti nella ricostruzione dell’accusa, dopo che i loro assistiti hanno ritrattato le ampie confessioni dei giorni dopo il fermo. I legali, infatti, hanno sollevato di fronte ai giudici alcune eccezioni preliminari tra le quali il riconoscimento della nullità dell’interrogatorio del 10 gennaio 2007, durante il quale i Romano furono difesi da un unico avvocato.

Secondo il pm Massimo Astori non c’è alcuna incompatibilità perché nessuno dei due coniugi accusava l’altro. I difensori hanno anche chiesto la nullità del decreto di differimento dei colloqui tra i due imputati e il loro difensore oltre alla richiesta di inserire nel fascicolo alcune analisi del Ris perché atto irripetibile.

Hanno puntato, poi, sull’inutilizzabilità di vari atti, compreso il rilevamento di quella macchia di sangue di Valeria Cherubini trovata sulla Seat Arosa di Olindo. Obiettivo principale, poi, è smontare la testimonianza di Frigerio, il quale, inizialmente, aveva parlato di una persona "con la carnagione olivastra" per poi identificare senza tentennamenti Olindo Romano come colui che lo aggredì sul pianerottolo, al primo piano della corte di via Diaz.

Ancona: giustizia, indulto e… "fenomenologia dell’assurdo"!

 

Corriere Adriatico, 29 gennaio 2008

 

Ha senso istruire processi che poi imbucano inevitabilmente il vicolo cieco dell’indulto? Ha una logica spendere 70 mila euro per la pubblicazione di sentenze sulla vendita di borsette e cd taroccati? È davvero utile aprire decine e decine di fascicoli di indagine dove del presunto responsabile si conoscono solo le impronte digitali? Ha senso, questo modo di amministrare la giustizia, oppure si sconfina nell’assurdo?

Se ne parlerà questa sera (ore 20 e 30 al ristorante Passetto) nella conviviale del Rotary Club di Ancona che ha per tema la "Fenomenologia dell’assurdo". La relazione sarà tenuta dal procuratore della Repubblica Vincenzo Luzi, che illustrerà alcuni casi in cui l’esercizio della giustizia sembra sfidare le più elementari leggi della logica razionale. Questioni che il dottor Luzi ha affrontato anche di recente con prese di posizione pubbliche.

Come quando denunciò l’eccesso di spese (27 mila euro nel 2005, 9 mila nel 2006, 26 mila nei primi otto mesi del 2007) sostenute dagli uffici giudiziari anconetani per la pubblicazione di sentenze a carico di extracomunitari sorpresi a vendere Cd e capi d’abbigliamento contraffatti. La giustizia anticipa somme che poi nessuno restituirà. Si parlerà anche della legge sull’indulto, passata con l’obiettivo di alleggerire la pressione sulle carceri ma poi estesa anche alle pene pecuniarie, con perdita secca per le casse erariali. E anche di processi macinati a vuoto, come quelli a carico di clandestini identificati solo dalle impronte digitali e poi finiti chissà dove, imputati fantasma di una giustizia ai limiti dell’assurdo.

Immigrazione: il decreto-espulsioni? alla prossima legislatura

di Antonio Forina

 

Liberazione, 29 gennaio 2008

 

Doveva rialzarsi ieri il sipario sul famigerato decreto-espulsioni dei cittadini stranieri, uno degli ultimi provvedimenti del governo Prodi. Ieri, o al massimo in settimana. Ma alla fine la conferenza dei capigruppo ha deciso di non muovere un passo fino alla risoluzione della crisi e allora tutto è rinviato a quando il paese avrà di nuovo un governo. Mercoledì, nella più rosea delle ipotesi. O mai più, se si andasse subito al voto.

Resta meno di un mese, dopo di che il nuovo decreto rischia di finire come il suo predecessore, quello voluto da Veltroni all’indomani dell’omicidio Reggiani, approvato al Senato con la fiducia - e con il "no" della senatrice Binetti - e poi abbandonato dal governo per un vizio di forma, banale finché si vuole ma sufficiente a bloccare l’iter parlamentare dell’intero pacchetto sicurezza.

All’epoca, constatata l’impossibilità di una conversione, il governo decise di abbandonare il decreto e di farne Uno nuovo, anche questo urgente, sfornato a mo di pandoro nel bei mezzo delle feste natalizie. Una sorta di versione 2.0, destinata a diventare legge in tempi brevi.

Nessuno aveva, previsto gli effetti devastanti del terremoto con epicentro a fra Ceppaloni e Santa Maria Capua Vetere, colpo di grazia per il fatiscente capannone di Prodi. Dopo ieri, se rifuggiamo la tentazione di intravedere nell’altolà di Montecitorio un anticipo di ciò che accadrà di qui a poco, quella del decreto-espulsio-ni è diventata la classica partita da tripla, lo spauracchio per book-makers e scommettitori.

Difficilissimo valutare le forze in campo, impossibile azzardare un pronostico, vista la fragilità degli equilibri istituzionali. Ma le sorti del travagliato di apparivano quanto mai incerte già prima della decisione dei capigruppo. n provvedimento era già stato modificato in commissione: in particolare erano stati accolti alcuni emendamenti presentati dal Prc, fra cui quello relativo alla fattispecie di reato per cui è prevista l’espulsione.

Si è arrivati ad esempio all’eliminazione della locuzione "dignità umana", espressione non definita ne definibile, che prestava il fianco a una gamma di interpretazioni troppo ampia e variegata. Non è tutto: il nulla osta del giudice dovrà arrivare entro 48 ore e non più entro 5 giorni, come previsto in un primo momento, per cui sono stati rimossi i riferimenti alle strutture di permanenza temporanea, non più coinvolte nella questione.

Il provvedimento di espulsione potrà inoltre essere bloccato quando coinvolgerà paesi che non garantiscono la tutela dei diritti umani (un richiamo all’articolo 19 della legge Turco-Napolitano) e non potrà per nessuna ragione essere emesso per ragioni economiche. Nonostante l’approvazione degli emendamenti appena elencati, in commissione Verdi e Prc hanno comunque optato per l’astensione. Una scelta che preannuncia la battaglia parlamentare: sono ancora parecchi i punti da rivedere in un provvedimento di cui la sinistra arcobaleno.

Contesta la filosofia stessa, in contrasto con il principio della libera circolazione poiché prevede l’espulsione anche per i cittadini dell’Unione Europea. E se mai si arriverà a discuterne in parlamento, il Prc ha intenzione di proporre altre modifiche sostanziali del testo. Graziella Mascia, vice capogruppo del Prc alla Camera e membro della Commissione Affari Costituzionali, è perentoria: "Non può passare - dice - l’articolo che trasforma la violazione del divieto di reingresso da contravvenzione m reato penale punibile con la reclusione fino a quattro anni".

La proposta sarà di ripristinare le precedente sanzione, che prevedeva un anno di arresto convertibile in ammenda. È poi da correggere, anzi, da abolire l’articolo 3, quello che disciplina l’allontanamento per chi è sospettato di terrorismo internazionale. "Si tratta di un reato specifico - sostiene Mascia - previsto dal codice penale, per il quale va istruito un regolare processo. Se quell’articolo rimanesse, la legge italiana andrebbe in direzione opposta rispetto a quella di tutti gli stati europei".

Insomma, così com’è il decreto non va bene, prima di diventare legge dovrà subire modifiche sostanziali. Il Prc e la sinistra sembrano avere le idee chiare. Meno chiari sono invece i destini di un provvedimento sul quale sembra gravare una sorta di maledizione. Se però a dicembre lo si è potuto salvare, stavolta gli effetti di un eventuale decadimento potrebbero essere ben più pesanti. Chissà, forse non tutti i mali...

Droghe: dobbiamo rilanciamo un'azione politica… adesso!

 

Fuoriluogo, 29 gennaio 2008

 

Sono passati meno di due anni da quando si poteva leggere nel programma dell’Unione che avrebbe poi vinto le elezioni: "Alla tolleranza zero bisogna opporre una strategia dell’accoglienza sociale per la persona e le famiglie che vivono il dramma della droga, a partire dalla decriminalizzazione delle condotte legate al consumo (anche per fini terapeutici) e quindi dal superamento della normativa in vigore dal 1990. (...) Il decreto legge del governo (di centrodestra, ndr) sulle tossicodipendenze deve essere abrogato".

Allora era forte la convinzione che si sarebbe voltato pagina e fu straordinaria l’assemblea di Bologna del febbraio 2006, con l’adesione delle regioni che erano e sono ancora a netta maggioranza di centrosinistra, così come lo sono le amministrazioni locali. Le realtà professionali, i servizi pubblici e privati, i consumatori, pur con posizioni diverse, assaporavano un vento di cambiamento che avrebbe fatto uscire il paese dal clima d’oscurantismo culturale, di moralismo prezzolato, di scienza mercificata, di esperti senza esperienza che la destra aveva imposto con un miscuglio di arrogante paternalismo e di allarmismo mediatico. Il fulgore del fasto decadente fu ottenuto con la fallimentare conferenza nazionale di Palermo, largamente disertata da istituzioni ed associazioni, e con la grottesca approvazione di una legge la cui oscenità ha dovuto essere coperta dalle trasparenti vesti di un decreto sulle olimpiadi invernali imposto con voto di fiducia (visto che nessuno si fidava e molti un po’ si vergognavano).

Dopo la vittoria dell’Unione, la speranza era che gli integerrimi parlamentari di quello schieramento avrebbero applicato quanto sottoscritto: nessuno poteva immaginare che i timorati di Dio dell’Unione, ed in particolare alcuni cattolici ulivisti e vagamente di centro, dicessero le bugie. L’inganno era certo a fin di bene, una sorta di infiltrazione nelle file nemiche, laiche ed immorali, per vincere la grande battaglia finalizzata all’esportazione armata della verità e dei valori universali della curia romana: così, teodem, teopop e atei devoti, ebbri delle proprie convinzioni e benedetti da prelati tutt’altro che sobri e con un quadro inequivocabile di sindrome di dipendenza dal potere e dai suoi privilegi, si sono lanciati allo snaturamento del programma dell’Unione su temi fondamentali, tra i quali l’abrogazione della Fini Giovanardi. Non si è trattato pertanto di mancanza di una maggioranza per modificare una legge, ma di presenza di una maggioranza dopata dall’inganno per produrre la suggestione della vittoria elettorale.

Dopo la caduta del governo Prodi al Senato, non sappiamo ancora se la prospettiva del voto sia a breve o brevissimo termine. L’auspicio è di non passare dall’oscurantismo implicito di questi mesi al ritorno di quello esplicito della destra; e sarebbe triste pensare a questo come ad un antidoto all’attuale immobilismo, come se la sinistra sapesse essere vitale solo se all’opposizione.

Ma nella palude odierna rimane in ogni modo uno spazio politico da praticare, anche in vista delle elezioni, per una solida azione culturale che ricompatti il mondo di coloro che non amano la semplificazione di un consumo condannato alla galera. Per fare questo si deve però uscire dal tatticismo legato alla ricerca di piccoli o grandi interessi di bottega, dagli allarmismi e dalle falsità scientifiche seminate ad uso e consumo della intangibilità della Fini Giovanardi, per raccogliere il plauso degli umori più torpidi (a destra e a sinistra) quanto a intolleranza e disprezzo dello stato di diritto.

Droghe: dal 1992 oltre mezzo milione gli italiani "segnalati"

 

Notiziario Aduc, 29 gennaio 2008

 

È giovane, maschio, fa uso soprattutto di cannabis ma non disdegna i mix anche con l’alcol, usa le sostanze in modo occasionale, è single, per lo più occupato o studente. Questo l’identikit dei consumatori di sostanze stupefacenti segnalati alle prefetture - tra cui sono sempre più numerosi i minorenni - contenuto in uno studio del Ministero dell’interno che analizza i mutamenti del consumo di droga negli ultimi 15 anni (dal ‘91 al 2006) da quando la legge 309 del 1990 ha istituito i Nuclei Operativi per le Tossicodipendenze delle Prefetture (Not).

Nel periodo preso in esame sono state 516.427 le persone segnalate ai Not, mentre le segnalazioni effettuate dalle forze dell’ordine sono state 653.377 (una stessa persona può essere stata segnalata più volte). Di questi, più dell’80% ha avuto una sola segnalazione.

Lo studio messo a punto dalla Direzione Centrale per la documentazione e la statistica del Ministero dell’Interno, di cui è responsabile il prefetto Giuseppe Montebelli, sottolinea il grande cambiamento della tipologia del consumo di droga negli anni: alla figura dell’eroinomane emarginato, disoccupato e con un livello di scolarità basso si è progressivamente sostituita una nuova tipologia. I giovani assuntori di sostanze risultano essere, in generale, persone socialmente integrate, con un buon livello di istruzione, che spesso consumano alcol in associazione con diverse droghe, sia in occasioni di divertimento, nei locali pubblici, sia in privato.

Il 98% delle persone segnalate per consumo di droga nei 15 anni presi in considerazione sono cittadini italiani, per più del 93% di sesso maschile, età media 24 anni, in gran parte single che vivono nella famiglia di origine. Oltre il 45% ha un diploma di scuola media inferiore, il 30% ha un diploma di scuola media superiore e il 15% ha una qualifica professionale. Uno su tre ha abbandonato gli studi. La maggioranza risulta regolarmente occupata, gli studenti sono tra il 14 e il 22%. L’80% dei soggetti sono stati segnalati per detenzione per uso personale di cannabinoidi.

Oltre la metà delle persone segnalate riferisce di aver cominciato a prendere droga tra i 14 e i 18 anni di età, ma in alcuni casi si segnala un inizio più precoce, a partire dagli 11-12 anni; più di un terzo dei segnalati riferisce una poliassunzione di alcol e sostanze stupefacenti.

L’analisi rileva ancora come la percentuale dei minorenni segnalati sia aumentata nei 15 anni, arrivando nel 2000 al 9% rispetto al 5,7% del 1991; a partire dal 2001 invece diminuisce, fino al valore del 7,7% nel 2006. Anche tra gli under 18 si conferma la tendenza all’aumento della cannabis, di gran lunga la sostanza preferita dai minori; ma si registra, soprattutto negli ultimi anni, anche un aumento di quelli che consumano cocaina, che nel 2006 sono arrivati al 4%.

L’andamento generale delle segnalazioni mostra un trend crescente a partire dalla metà degli anni ‘90; l’apice nel 2004, con 47.989 persone. Se nei primi anni ‘90 predominavano le segnalazioni per le cosiddette droghe pesanti, eroina e cocaina, a partire dal ‘93 i segnalati per eroina sono costantemente diminuiti (dal 50% del 1991 all’8% del 2006). Il contrario si è verificato per quanto riguarda il consumo di cannabinoidi (hashish e marijuana), che è aumentato nel tempo (dal 42% del ‘91 al 74% del 2006). Quasi triplicate le segnalazioni per la cocaina (dal 5% al 14%, seconda sostanza di segnalazione dopo la cannabis), stabili anfetamine e Lsd, in lieve aumento ecstasy e anche benzodiazepine e barbiturici.

Quanto alla distribuzione geografica, risulta che il maggior numero dei soggetti segnalati è stato, tra il ‘91 e il ‘95, nel Nord-Ovest; a partire dal ‘96 il Centro ha registrato valori vicini al Nord-ovest superandolo nel 2004 per poi diminuire lievemente. Per il Sud, l’andamento è stato in costante crescita e, a partire dal 2004.

Gran Bretagna: cibo e tendenze criminali, test sui detenuti

 

Agi, 29 gennaio 2008

 

Il vecchio adagio "siamo ciò che mangiamo" potrebbe avere implicazioni anche sulla tendenza a delinquere. È quanto cercherà di verificare un team dell’Università di Oxford che utilizzerà come "cavie" 1.000 minori reclusi in tre istituti di pena britannici. I ricercatori monitoreranno quotidianamente i giovani detenuti per verificare se le vitamine, i minerali, gli acidi grassi extra che saranno introdotti nella loro dieta influenzeranno livelli di violenza, uso di stupefacenti o tendenze al suicidio.

Uno studio pilota che tra il 1995 e il 1997 verificò che i detenuti che ricevevano quote extra di vitamine e altri integratori commettevano il 25% in meno di violazioni disciplinari, e il tasso di coinvolgimento in episodi di violenza si era ridotto del 37%. "Non stiamo dicendo che l’alimentazione è il solo (elemento) che influenzi il comportamento ma pensiamo che ne sia stato sottostimata l’importanza", ha chiarito John Stein, uno dei responsabili della ricerca. A alcuni prigionieri saranno dati oltre 30 integratori in aggiunta ai pasti normali mentre ad altri saranno forniti dei placebo. Entrambi saranno sottoposti a analisi del sangue per verificare che seguano la dieta. David Hansion, responsabile delle prigioni di Sua Maestà, si è detto entusiasta dello Studio "Spero che possa portare a nuova scoperta sul legame tra alimentazione e comportamento tra i più giovani".

 

Per 3 anni 1.000 giovani detenuti seguiranno una dieta corretta

 

Un’alimentazione corretta potrebbe aiutare a ridurre di un terzo i crimini nelle persone che hanno comportamenti antisociali. Lo sostengono alcuni ricercatori dell’Università di Oxford secondo cui una dieta ricca di vitamine, minerali e acidi grassi polinsaturi, come gli omega 3, può migliorare la salute psicofisica e aiutare a controllare gli impulsi violenti dei detenuti, anche dei condannati per omicidio. Lo riferisce oggi il quotidiano britannico Times, nella sua edizione on-line.

Nel prossimo mese di maggio partirà uno studio triennale che verrà condotto su mille giovani detenuti inglesi e scozzesi, rinchiusi nei penitenziari di Hindley nel Greater Manchester, Lancaster Farms nel Lancashire e Polmont nella regione di Falkirk, nel Central Scotland. Il progetto è finanziato con 1,4 milioni di sterline (circa 1,88 milioni di euro) dalla Wellcome Trust. Il gruppo di detenuti sarà diviso in due: uno seguirà un’alimentazione normale, l’altro verrà nutrito con una dieta specifica in grado di fornire quotidianamente oltre 30 vitamine e minerali, più una dose di omega-3, capace, secondo gli ultimi studi, di contribuire a ridurre gli istinti violenti e l’aggressività.

Per John Stein, neurofisiologo dell’Università di Oxford, che sta conducendo lo studio, se l’esperimento dovesse dare risultati positivi, la dieta "anti crimine" potrebbe essere estesa anche al di fuori delle prigioni e in particolare tra le persone considerate Asbo (Anti-Social Behaviour Order) con comportamenti anti sociali. Secondo Stein, gli acidi omega-3, assieme a minerali quali zinco, ferro e a vitamine A, B e D, svolgono un ruolo cruciale nella chimica del cervello. Non solo, ma per il ricercatore inglese esiste una stretta correlazione tra una dieta povera e la propensione al crimine, anche se la cattiva alimentazione non è l’unica causa di comportamenti violenti e azioni antisociali.

Gran Bretagna: cannabis causa 25% dei casi di schizofrenia

 

Notiziario Aduc, 29 gennaio 2008

 

Dietro l’80% dei nuovi casi di malattie mentali, compresa la schizofrenia, si nasconderebbe il consumo massiccio di cannabis. A lanciare l’allarme è un dossier che alcuni esperti dell’università di Cambridge hanno inviato al primo ministro Gordon Brown, che ora dovrà decidere come comportarsi. Immediatamente si è aperta la discussione sull’opportunità di rivedere la legge in materia di droghe leggere in vigore in Gran Bretagna, secondo alcuni troppo tollerante Quattro anni fa, infatti - ricorda il tabloid Daily Mail - il ministro dell’interno David Blunkett ha disposto la riclassificazione della cannabis da droga di classe B alla classe C, cosicché i consumatori occasionali sono diventati non perseguibili. Brown ha però ordinato, la scorsa estate, un’indagine sull’argomento, dopo i tanti allarmi lanciati sulla pericolosità delle nuove varietà di cannabis, molto più potenti che in passato e dannose per la salute mentale di chi fuma. Ora i dati sono arrivati e il Consiglio sull’abuso di sostanze stupefacenti del Governo britannico dovrebbe ufficialmente prenderne visione la prossima settimana.

Secondo i risultati delle ricerche dello psichiatra Peter Jones, a capo del team di Cambridge, entro il 2010 il 25% di tutti i casi di schizofrenia sarà causato dall’abuso di cannabis. E chi rischia di più sono i ragazzini di 10-11 anni che iniziano a fumare spinelli: il pericolo di incappare in una malattia mentale, per loro, raddoppia.

Arabia Saudita: giustiziati 2 trafficanti, 18 esecuzioni in 2008

 

Notiziario Aduc, 29 gennaio 2008

 

Due trafficanti di stupefacenti sono stati decapitati stamattina a La Mecca, portando a 18 il numero delle sentenze capitali eseguite in Arabia Saudita dall’inizio dell’anno. Lo riferisce l’agenzia di stampa saudita Spa. Citando un comunicato del ministero degli Interni, l’agenzia specifica che la condanna a morte nei confronti di Tawa Lawal Ibrahim, nigeriano, e Gholam Omar Shah Nawaz, pachistano, per aver introdotto droghe nel regno è stata confermata da tutti i più alti organi giudiziari del Paese. In Arabia Saudita, dove vige una stretta aderenza alla sharia, la legge coranica, per i reati di traffico di droga, stupro, rapina a mano armata e omicidio è prevista la pena capitale, eseguita per decapitazione in un luogo pubblico.

 

 

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