Rassegna stampa 18 dicembre

 

Giustizia: Napolitano; un confronto in Parlamento sulla riforma

 

La Repubblica, 18 dicembre 2008

 

"Sulla giustizia si avvii un confronto condiviso in Parlamento": il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano torna a chiedere alle forze politiche di superare le pregiudiziali per arrivare ad un accordo. Invito apprezzato da Umberto Bossi, che giudica le parole del capo dello Stato sagge e chiede a Silvio Berlusconi di trovare un accordo con la sinistra sulle riforme "perché i tempi sono maturi".

Napolitano ha parlato in occasione dell’incontro con le alte magistrature della Repubblica. Ha affrontato anche la preoccupazione per la crisi economica, "che non va sottovalutata", ha ricordato la necessità di un approccio bipartisan sulla riforme - Costituzione prima di tutto - e ha chiesto alla politica di creare fiducia nei cittadini.

Confronto condiviso in Parlamento. Sulla giustizia, Napolitano auspica una discussione in Parlamento e "attraverso ogni altro canale di consultazione", e chiede che si cerchino "soluzioni condivise senza partire da opposte pregiudiziali e posizioni rigidamente precostituite". Il presidente sottolinea come il clima politico sia dominato da esasperazioni e tensioni. Ricorda come il ruolo dell’opposizione sia "essenziale in ogni sistema democratico" e tocca il problema della "decretazione d’urgenza", punto dolente della politica italiana, cui si ricorre con "abnorme" frequenza.

Bossi a Berlusconi: ora accordo con la sinistra. Parole elogiate dal ministro delle Riforme, che commenta: "La saggezza prima o poi si sparge, prima o poi troverà un aggancio". E sollecita Berlusconi a un accordo con la sinistra sulla giustizia: "I tempi sono maturi". L’invito al dialogo è stato rivolto dal leader del Carroccio al premier: "Io - ha spiegato al Cavaliere - sul federalismo ho trovato l’intesa; ora tocca a te sulla giustizia".

Un segnale di distensione c’è già: il governo ha accolto alcune proposte del Pd, modificando in diversi punti il ddl delega in materia di federalismo fiscale. Tra le proposte inserite nel testo portato oggi al Comitato Ristretto da Roberto Calderoli e dal relatore Antonio Azzollini, c’è la commissione bicamerale sui decreti attuativi.

Costituzione, riforma bipartisan. Dopo gli auguri di pronta guarigione a Silvio Berlusconi, bloccato da un mal di schiena, Napolitano è tornato ad auspicare che il cammino di riforma costituzionale "venga ripreso in un clima di costruttivo confronto e nella ricerca della più ampia condivisione, come sempre si conviene quando si tratta di modificare la Costituzione". "La permanente validità dei principi fondamentali dei primi 12 articoli non impedisce di formulare essenziali e ben determinate proposte di riforma dell’ordinamento repubblicano", aggiunge.

Crisi economica da non sottovalutare. Il capo dello Stato invita il paese ha "fare con lucida consapevolezza i conti con se stesso, non sottovalutando l’impatto che la crisi globale può avere specificamente sulla realtà italiana". Si è associato alle preoccupazioni per la recessione, i rischi di arretramento "cui è esposta anche da noi l’attività produttiva e con essa l’occupazione, specie tra i giovani", per i rischi "di un diffuso malessere sociale". Non ci si deve, però, demoralizzare, né cadere nel panico o scoramento. E cita Roosevelt: "L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa".

Poi, un monito. Di fronte a "una situazione molto seria", serve "un costume di severità, uno sforzo senza precedenti di gestione corretta e oculata in molti campi dell’azione pubblica", "il massimo rigore nell’uso del denaro pubblico", oltre a interventi "che non possono essere elusi di razionalizzazione e di riforma".

Durata processi intollerabile. Per il capo dello Stato la situazione della giustizia civile è "gravissima" e la durata dei processi "intollerabile". È è "unanime il riconoscimento dell’esigenza di intervenire decisamente" in materia. Accenna allo scontro fra le procure di Catanzaro e Salerno ("Ho sentito il dovere di reagire") e chiede una migliore definizione del ruolo dei giudici in relazione al loro rapporto fondamentale con le forze dell’ordine nella lotta alla criminalità.

Politica non perda il senso del limite. Infine, un appello alla politica, che non deve perdere il senso del limite ma creare fiducia "impulso capace di suscitare fiducia e coesione sociale, sollecitare quella vitale reazione alla crisi e quella rinnovata spinta in avanti che la nazione italiana é in grado di sprigionare come in altre fasi critiche della sua storia".

Giustizia: se Napolitano detta un suo "decalogo" sulla riforma

di Massimo Giannini

 

La Repubblica, 18 dicembre 2008

 

Il saluto di fine anno che Giorgio Napolitano ha rivolto alle Alte Cariche della Repubblica, questa volta, è molto più della rituale "predica inutile" al ceto politico.

Il Capo dello Stato detta alla maggioranza e all’opposizione il suo decalogo per la riforma della giustizia. Per la prima volta non parla solo del metodo, ma entra anche nel merito. Indica puntigliosamente non solo i principi generali, ma anche i correttivi particolari da apportare alla giurisdizione, e persino alla Costituzione.

La discesa in campo del presidente della Repubblica, con quello che potremmo definire un vero e proprio "Lodo Napolitano", dà la misura della gravità del momento. La questione morale sta assumendo i contorni di uno sconquasso istituzionale. Tra il fragore delle inchieste che travolgono le amministrazioni locali di mezza Italia, e il tintinnio di manette che risuona da Napoli a Potenza, si materializza il peggiore degli incubi. Un’altra Tangentopoli, confusa e molecolare. E un’altra Mani Pulite, diffusa e muscolare.

Il Capo dello Stato, nell’irritualità del suo intervento, si muove sull’onda di questa emergenza. Con tutte le giustificazioni, ma anche tutti i pericoli del caso. Forse per la prima volta, nella "dottrina" del Quirinale, al pur richiamato "diritto dei cittadini" ad una giustizia giusta e al pur riconfermato valore dell’"efficienza di uno Stato fondato sull’imperio della legge", il Capo dello Stato risponde con una "piattaforma programmatica" che sembra rispondere ad altre priorità.

Non è affatto scontato sentire il presidente della Repubblica che, all’indomani della "retata" disposta dalla Procura di Napoli contro imprenditori e assessori della giunta Iervolino, sottolinea "con urgenza" i problemi "di equilibrio istituzionale nei rapporti tra politica e magistratura", e invoca "misure di riforma volte a scongiurare eccessi di discrezionalità, rischi di arbitrio e conflitti interni" nell’esercizio della funzione giudiziaria, "a cominciare dalla funzione inquirente e requirente".

Non è affatto scontato sentire il presidente della Repubblica che, all’indomani dallo scontro fratricida tra le procure di Salerno e Catanzaro sul caso De Magistris, chiede misure di riforma "che riguardino anche la migliore individuazione e il più corretto assolvimento dei compiti assegnati al Csm dalla Carta costituzionale". Che rafforzino il "richiamo" ai rigorosi criteri di comportamento, "come quelli relativi al riconoscimento effettivo dei poteri spettanti ai capi degli uffici". Che ripristinino quei "limiti da osservare - e troppo spesso violati - nella motivazione dei provvedimenti giudiziari", o più semplicemente quelli attinenti a "un costume di serenità, riservatezza ed equilibrio", da non sacrificare mai "per missioni improprie" o per "smanie di protagonismo".

Non è affatto scontato sentire il presidente della Repubblica che, nel sostenere l’impegno incessante delle forze dell’ordine e della magistratura contro la criminalità e la corruzione, invoca una migliore definizione "dei rispettivi ruoli e delle necessarie sinergie". Ciascuno di questi specifici problemi, teoricamente, riflette effettivi punti di debolezza del nostro sistema. Ma poi vanno risolti, concretamente, nella dinamica di una possibile riforma. E qui possono nascere problemi complessi.

Come si riequilibrano i rapporti istituzionali tra magistratura e politica? Facendo eleggere i pm, o riportandoli sotto il controllo del governo? E come si adempie al più corretto assolvimento dei compiti assegnati al Consiglio superiore della magistratura dalla Costituzione? Modificando la medesima e magari separando le carriere attraverso la creazione di due distinti Csm? E come si definiscono meglio i ruoli tra forze dell’ordine e magistratura? Sottraendo la polizia giudiziaria alla dipendenza dei pubblici ministeri?

L’impressione è che il "Lodo Napolitano", nato e dettato dall’emergenza, possa rappresentare una svolta. È un fatto che il Pdl e il Pd (ugualmente colpiti dall’azione concentrica delle toghe) abbiano accolto l’intervento del presidente della Repubblica con un giudizio quasi unanime. "Condivido parola per parola" è la formula che accomuna tutti, da Angelino Alfano ad Anna Finocchiaro. È una grande opportunità: una riforma bipartisan sulla giustizia potrebbe aprire una fase politica nuova nei rapporti tra i due schieramenti. Ma è anche un grande rischio: le tentazioni del Cavaliere, nella sua guerra privata alle toghe, sono imprevedibili. E purtroppo inesauribili.

Giustizia: il monito del Presidente adesso deve essere ascoltato

di Vittorio Grevi

 

Corriere della Sera, 18 dicembre 2008

 

Ancora una volta i temi della giustizia irrompono sulle prime pagine dei giornali. Ma, questa volta, non nella prospettiva, ancora ieri sottolineata con vigore dal presidente Napolitano, di una doverosa riforma concernente il rispetto di "essenziali norme di condotta" nell’esercizio della giurisdizione (una riforma condivisa, ha chiesto giustamente il Presidente, anche perché c’è un rischio di arbitrio che va contrastato), bensì con specifico riferimento ad alcune clamorose inchieste in corso. A cominciare da quella della procura napoletana per l’affare Global Service.

Ampiamente preannunciata da numerosi segnali, la bufera giudiziaria scatenatasi negli ultimi giorni sul comune di Napoli, con il coinvolgimento di diversi assessori ed ex assessori, nonché di un imprenditore finito in carcere, proietta un’ennesima ombra inquietante su certe modalità di gestione del potere negli enti locali, in questo caso da parte di amministratori di centrosinistra.

E poiché l’inchiesta di Napoli segue di poche ore la notizia di analoghe indagini avviate a Pescara e a Potenza, e sempre per fatti corruttivi legati ad intrecci di malaffare politico- amministrativo, nel quale risultano indagati diversi esponenti del Partito democratico (sebbene a Napoli, per la verità, fra i parlamentari coinvolti figuri altresì un esponente del Pdl), l’impressione è che anche il principale partito di opposizione non possa ormai più vantare la tradizionale rendita di immagine, rispetto alle ombre di una "questione morale" tuttora irrisolta.

Naturalmente per ora si tratta soltanto di ipotesi di reato formulate dagli organi del pubblico ministero (peraltro già avallate in vario modo dai provvedimenti di un giudice), sicché è buona cosa attendere l’esito delle inchieste prima di formulare un giudizio definitivo. Questa, tuttavia, è una precisazione da farsi, e doverosamente, sul piano tecnico processuale, come riflesso della presunzione di non colpevolezza che assiste qualunque indagato. Sul piano politico, però, il discorso è differente, essendo palese che un partito non può attendere mesi od anni, prima di dare segnali di pulizia e trasparenza al suo interno.

E questi segnali devono essere dati sulla base di valutazioni politiche (ponderate, ma tempestive), attraverso provvedimenti che rimuovano anche il minimo sospetto: senza condanne anticipate, ma anche senza atteggiamenti di indulgente lassismo, soprattutto quando determinati fatti o determinate condotte risultino comunque da circostanze obiettive, benché non (ancora) sanzionati da una sentenza. È fin troppo facile ripeterlo, di fronte a notizie come quelle provenienti dalle inchieste di Napoli, di Potenza, di Pescara ed anche di altre sedi.

Tuttavia bisogna essere consapevoli che oggi, non saremmo qui a parlare ancora una volta di "questione morale", ed a lamentare il riesplodere di episodi di pubblica corruttela dai contorni già ben noti, se dopo la stagione degli scandali di Tangentopoli, all’inizio degli anni ‘90, il nostro ceto politico avesse trovato in sé la forza di rigenerarsi a fondo nelle proprie radici etiche.

Sia nel senso di recuperare da parte di tutti un più profondo senso dello Stato, sia nel senso di predisporre rigorosi congegni diretti comunque a prevenire (anche attraverso adeguate selezioni dei soggetti da candidarsi), certi disdicevoli comportamenti, all’insegna dello scambio tra tangenti ed affari. Così purtroppo non è avvenuto, per cui ancora una volta spetta all’autorità giudiziaria - nell’esercizio della sua funzione istituzionale di controllo della legalità - il compito di accertare fatti e responsabilità di vicende riconducibili, per lo più, allo schema penalistico della corruzione.

Adesso occorre che alla magistratura venga data piena fiducia ai fini dello sviluppo delle indagini in corso (ovviamente nel rispetto di tutte le garanzie difensive previste per gli indagati), così da poterne verificare ogni possibile implicazione, senza privilegi per nessuno. Nemmeno per i parlamentari che sono stati indirettamente coinvolti in intercettazioni telefoniche operate non a loro carico, i quali per primi avranno interesse a dimostrare la propria estraneità ai fatti.

Quanto allo strumento delle intercettazioni, la circostanza che esse siano all’origine di molte delle inchieste per corruzione rese note in questi giorni, costituisce una ulteriore dimostrazione della concreta utilità di questo mezzo investigativo, anche nei procedimenti per i reati contro la pubblica amministrazione. E, nel contempo, costituisce altresì un serio monito per quanti, in sede di politica legislativa, vorrebbero invece escludere la loro ammissibilità proprio nell’ambito di tali procedimenti. Ma questo pericolo sarà evitato se in tema di riforme della giustizia si cercheranno, secondo l’auspicio rinnovato ieri dal presidente Napolitano, soluzioni "condivise".

Giustizia: siamo il paese che ha processi più lunghi d’Europa

di Massimo Martinelli

 

Il Messaggero, 18 dicembre 2008

 

Che la misura fosse colma se ne era avuta la netta percezione giusto un anno fa. Quando anche il giorno dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario, si trasformò quasi in un Requiem per la dipartita di un malato terminale. A Roma la relazione del Primo Presidente di Cassazione, Vincenzo Carbone, fu talmente lucida e spietata da rappresentare ancora oggi un documento che dovrebbe essere studiato nelle università.

A Milano c’era Giuseppe Grechi, presidente della Corte d’Appello, che riuscì a far toccare con mano il concetto immateriale di sfascio della giustizia: sventolò un avviso di cancelleria di un ufficio giudiziario di Firenze datato ottobre 2007 che annunciava: "Per esigenze d’ufficio, la data della prima udienza viene differita al 15 febbraio 2012".

Qualcuno gli chiese quando sarebbe finito, un processo che cominciava fin dall’inizio con quattro anni e mezzo di ritardo. Lui rispose: "Come minimo nel 2018". E aggiunse: "Ma è giustizia questa?". E siccome cerchiamo di essere un paese civile, anche questa mancanza di giustizia dovuta ai ritardi si cerca di risarcirla. Basta dire che negli ultimi 5 anni di statistiche disponibili, dal 2000 al 2006, l’incremento delle somme pagate per le cause senza fine è stato dell’800 per cento, per un ammontare di 41 milioni e mezzo di euro elargiti "solo" per risarcire cittadini che avevano subito lungaggini processuali.

Ma negli ultimi mesi, dalle cancellerie civili si è levato un nuovo, beffardo, allarme: molti italiani hanno cominciato a chiedere il risarcimento anche per le lungaggini del processo intentato per avere i danni per la giustizia troppo lenta. Anche se sembra una musica già sentita, occorre ricordare che in Europa hanno da tempo ingranato le marce alte: in Austria i processi durano 34 mesi, contro i 116 (cioè quasi 10 anni), che ci vogliono in Italia.

Da noi una pronuncia di divorzio arriva dopo 582 giorni contro i 251 della Spagna e i 117 dell’Olanda. Ancora più dilatati sono i tempi per una vertenza di licenziamento, che dura mediamente 696 giorni. A zittire le immancabili obiezioni circa la scarsità di fondi, di mezzi e di strutture, c’è ancora la relazione del presidente Vincenzo Carbone, datata gennaio 2008, che spiega: "La spesa per la giustizia nel nostro Paese è abbastanza in linea con gli altri dell’Unione europea che hanno performance giudiziarie decisamente migliori".

E precisa pure che Svezia, Germania e Olanda "svolgono processi civili in meno di metà del tempo necessario in Italia e hanno risorse pubbliche assai prossime a quelle italiane: 44 euro per abitante in Svezia, 53 in Germania, 41 in Olanda e 46 in Italia".

Questa, per grandi linee, è solo la situazione della giustizia civile. Che molto spesso è quella spicciola, che interessa alla gente comune, che riguarda il proprietario di casa che non riesce a sfrattare l’inquilino moroso, oppure l’automobilista che non ottiene in tempi ragionevoli il risarcimento per il tamponamento al semaforo.

C’è poi il grande capitolo della giustizia penale, che pure è ridotta al lumicino, con le tante distorsioni che il presidente Napolitano ha tratteggiato nel suo intervento: c’è il protagonismo di certi magistrati, la spettacolarizzazione di certe inchieste, la sostanziale deresponsabilizzazione delle toghe, che quasi mai vengono chiamate a pagare per i danni che combinano. Talvolta l’Associazione Magistrati dichiara che dal punto di vista disciplinare, proprio le toghe rappresentano la categoria più colpita nella pubblica amministrazione. Deve essere un questione di punti di vista, però.

Perché giusto un mese fa, il 18 novembre, lo stesso presidente Napolitano aveva esortato il Csm ad esercitare con tempestività, rigore e senza indulgenze l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati che sbagliano. E ancora non si erano verificati quegli episodi che, pure, il capo dello Stato ha stigmatizzato ieri.

Come ad esempio gli scontri tra procure e l’emissione di provvedimenti giudiziari abnormi, come quelli recentissimi di centinaia e centinaia di pagine, che contengono indicazioni e dettagli che riguardano la vita privata, e persino le più intime abitudini, di persone neppure indagate nell’inchiesta nell’ambito della quale vengono emessi.

Giustizia: a Napoli saccheggio sistematico di risorse pubbliche

 

La Repubblica, 18 dicembre 2008

 

Una vicenda giudiziaria travolge la giunta di Napoli. È in carcere l’imprenditore Alfredo Romeo, coinvolto nell’indagine sulla delibera "Global service" approvata dal Comune. Altre 12 persone sono invece agli arresti domiciliari: tra questi, due assessori della giunta comunale di Napoli, due ex loro colleghi e un ex provveditore alle opere pubbliche, attualmente al ministero delle Infrastrutture.

Indagati anche gli onorevoli Renzo Lusetti (Pd) e Italo Bocchino (An). La richiesta di utilizzo delle conversazioni telefoniche dei due parlamentari con l’imprenditore Alfredo Romeo equivarrebbe, infatti, a un’informazione di garanzia. Intercettato anche l’ex ministro democristiano Paolo Cirino Pomicino.

Le accuse. Tutte le persone raggiunte dalle misure cautelari sono accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa degli appalti, abuso d’ufficio e corruzione. I magistrati: "La prospettiva ultima è quella del saccheggio sistematico delle risorse pubbliche". E lamentano una "fuga di notizie per screditare l’imponente attività investigativa". L’operazione è stata condotta dalla Dia e dai carabinieri di Caserta, che hanno eseguito le ordinanze cautelari firmate dal Gip di Napoli, che ha accolto le richieste della Direzione distrettuale antimafia napoletana, guidata dal procuratore Franco Roberti.

Il "Global service". Nel provvedimento "Global service" era compreso l’affidamento di appalti relativo a manutenzione delle strade e del patrimonio pubblico, nonché la gestione di mense scolastiche. Un affare da 400 milioni di euro, in realtà mai partito. Con il provvedimento, il comune di Napoli intendeva affidare a un unico gestore, come in altre città, l’appalto per una serie di lavori pubblici e manutenzioni di competenza del Comune. La delibera fu varata ma il relativo appalto non partì mai, causa mancanza di copertura finanziaria.

I nomi. Tra i destinatari delle misure cautelari, figurano l’ex assessore alle Scuole, Giuseppe Gambale, l’ex assessore al Bilancio Enrico Cardillo, nonché un ufficiale della Guardia di finanza in forza alla Dia, che avrebbe informato l’entourage di Romeo delle indagini in corso. Nell’inchiesta, destinatari a loro volta di misure cautelari anche l’assessore Laudadio e l’ex provveditore alle Opere pubbliche per Campania e Molise, Mauro Mautone.

Nell’ordinanza, infine, anche Paola Grittani, collaboratrice di Romeo, e altri nomi vicini all’imprenditore. Coinvolto anche Giorgio Nugnes, l’assessore che si è suicidato a fine novembre, e il colonnello della guardia di finanza Vincenzo Mazzucco. L’ufficiale sarebbe stato in servizio fino ad un anno fa alla Dia di Napoli.

Sequestrate le società. La procura ha disposto il sequestro di tutte le società, del valore di "svariate centinaia di milioni di euro", "direttamente e indirettamente riconducibili a Alfredo Romeo". Sequestrati anche l’albergo da poco inaugurato a Napoli (anch’esso al centro dell’indagine) e i conti correnti riconducibili a Romeo e al suo nucleo familiare.

"Fuga di notizie strumentalmente utilizzate". Secondo la Procura di Napoli, quella che ha preceduto l’emissione delle ordinanze di custodia cautelare è stata una "perniciosa fuga di notizie strumentalmente utilizzate per screditare l’imponente attività investigativa".

Alcuni degli indagati, secondo i magistrati, in particolare Romeo e l’ex assessore Gambale, da un certo momento in poi e in particolare dallo scorso gennaio "sono venuti a conoscenza dell’indagine per effetto di illecite rivelazioni di atti investigativi e a partire da allora, temendo interventi coercitivi da parte dell’autorità giudiziaria, hanno cominciato a realizzare una serie di condotte finalizzate ad inquinare le prove e soprattutto ad attenuare il quadro cautelare a loro carico".

Il ruolo del colonnello della Gdf. Funzionale a questo disegno criminoso, secondo la Procura, sarebbe stato il colonnello della Gdf Mazzucco, destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, che era in servizio alla Dia di Napoli. È stata proprio la Dia, braccio operativo della procura di Napoli nell’indagine Global Service, a svelare nome e ruolo della presunta talpa. L’ufficiale avrebbe "tentato di incidere maldestramente sull’azione degli organi inquirenti attraverso clamorose condotte di vero e proprio depistaggio". A lui si sarebbero rivolti Romeo e Gambale quando, nel gennaio scorso, "sono venuti a conoscenza dell’indagine per effetto di illecite rivelazioni di organi investigativi".

Il ruolo di Pomicino. Nella vicenda spunta anche il nome dell’ex ministro Dc Paolo Cirino Pomicino. Il suo ruolo viene richiamato dai magistrati come "interlocutore di eccezione" di Romeo, il quale si sarebbe attivato "nemmeno velatamente" per indirizzare "minacce all’autorità giudiziaria inquirente, di disvelare benefici e favori che nel corso degli anni avrebbe, a suo dire, accordato ad appartenenti al suddetto ordine (la magistratura, ndr)".

Le "minacce" di Pomicino. Pomicino - che gli inquirenti ricordano già coinvolto in passato in vicende giudiziarie analoghe proprio con Romeo - "non manca di lanciare ‘avvertimentì altrettanto, se non addirittura più allusivi, minacciandone la pubblicazione in un prossimo libro che intende scrivere, come emerge in conversazioni intercettate in un periodo in cui Romeo era sicuramente a conoscenza delle attività tecniche (le intercettazioni, ndr) a suo carico".

Giustizia: Napoli; la Iervolino sospende gli Assessori indagati

 

La Stampa, 18 dicembre 2008

 

Il sindaco di Napoli ha espresso "profondo dispiacere umano" per la vicenda che ha visto coinvolti i suoi assessori. Capo dello Stato: bisogna badare solo all’interesse collettivo.

Rosa Russo Iervolino prosegue il suo lavoro, il sindaco di Napoli dopo aver incontrato il segretario del Pd Walter Veltroni spiega ai giornalisti che ha intenzione di "andare avanti" sia pure attuando "il massimo di rinnovamento". Insomma, la giunta sarà profondamente rimaneggiata anche se "non è detto" che si vada ad un totale azzeramento. Per quanto riguarda l’intenzione annunciata da Antonio di Pietro di uscire da tutte le amministrazioni locali in Campania, Iervolino commenta: "Benissimo, uno di meno. Noi andiamo avanti affrontando in pieno tutti i nodi che possono esserci". Al termine dell’incontro con il segretario del Pd, la Iervolino spiega: "Con Veltroni l’incontro è andato come doveva andare, cioè benissimo".

Un incontro, continua, "come vecchi compagni di lavoro e di partito che si stimano. Siccome sono una testona, ho annunciato con orgoglio che ho intenzione di andare avanti, con il massimo di rinnovamento strutturale anche per quel che riguarda la giunta, con il massimo dei mezzi a disposizione e con il massimo dell’orgoglio e della grinta".

Una decisione, precisa la Iervolino, che verrà comunicata di persona anche agli altri partiti della coalizione presenti nella giunta del Comune di Napoli. L’atteggiamento di Di Pietro, dice poi la Iervolino, "mi sembra un po’ strano, ha un assessore in giunta che fino alle 15, quando sono partita per venire qui, ha condiviso tutti i passaggi della giunta". A chi le chiede di commentare la questione morale che sta attraversando il Pd, la Iervolino risponde: "La questione morale esiste in tutto il mondo. Se si pensa che un governatore degli Stati Uniti si stava vendendo il seggio di Obama...".

Questa mattina il sindaco di Napoli ha espresso "profondo dispiacere umano" per il coinvolgimento di alcuni suoi assessori ed ex assessori nell’inchiesta Global service, e annuncia che provvederà a sospendere i due arrestati ancora in carica, Felice Laudadio e Ferdinando Di Mezza.

"Il senso dello Stato è il tratto essenziale che dovrebbe distinguere chiunque svolga una funzione rispondente solo all’interesse collettivo". È quanto sottolinea con forza il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, aprendo alla Farnesina i lavori della Conferenza degli ambasciatori italiani, al fianco del ministro degli Esteri Franco Frattini e alla presenza del presidente della Camera Gianfranco Fini e del presidente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick. "Operare con autentico senso dello Stato - spiega Napolitano - significa anche esprimere la continuità delle nostre istituzioni e il valore supremo dell’unità nazionale, al di là delle mutevoli vicende politiche".

Giustizia: Basilicata; no a richiesta di arresto per Margiotta

 

Ansa, 18 dicembre 2008

 

Hanno votato contro il provvedimento tutti i gruppi ad eccezione dell’Italia dei Valori. La Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio ha espresso parere contrario alla richiesta di arresto per il deputato del Pd Salvatore Margiotta, coinvolto nell’inchiesta sugli appalti per l’estrazione del petrolio in Basilicata.

Hanno votato no tutti i gruppi ad eccezione dell’Italia dei Valori. Il componente dipietrista della Giunta Nello Formisano infatti ha seguito la linea annunciata mercoledì da Antonio Di Pietro di votare sì a tutte le richieste di autorizzazioni a procedere nei confronti dei parlamentari. Il parere della Giunta passa ora all’esame dell’Aula.

Giustizia: medicina penitenziaria alle Regioni, la devoluzione va

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Italia Oggi, 18 dicembre 2008

 

Entro il 2008 partiranno ufficialmente i Tavoli di lavoro per procedere in via definitiva al passaggio di competenze della Medicina Penitenziaria dal Ministero della Giustizia alle Regioni. Non si interromperà quindi, come paventato da molte organizzazioni mediche e sociali, il processo di devoluzione della Medicina Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale avviato con la precedente Finanziaria 2008.

Lo ha annunciato il Sottosegretario alla salute, Ferruccio Fazio, a margine del Convegno sulla riforma della Sanità Penitenziaria tenutosi a Roma lo scorso 11 dicembre su iniziativa di Legautonomie e del Forum per il diritto alla salute in carcere che riunisce varie sigle sindacali (Cgil) e associative.

Sempre il Sottosegretario Fazio ha cercato di sminuire l’allarme lanciato sulla carenza di fondi. Anzi ha affermato che nel 2009 vi sarebbero 10 milioni in più per la sanità nelle carceri rispetto al 2008. I 10 milioni in più, annunciati dal sottosegretario, dovrebbero principalmente andare a coprire le integrazioni contrattuali del personale medico.

Secondo Oriano Giovannelli, Presidente di Legautonomie, l’allarme fondi è invece vero. A suo dire vi sarebbe un buco di ben 7 miliardi di euro nei capitoli della sanità penitenziaria. Prima di Natale, secondo quanto anticipato dal sottosegretario, saranno pertanto a punto due tavoli tecnici per stabilire come procedere al definitivo passaggio di competenze e funzioni.

Al primo tavolo (che riguarda il passaggio in generale), ha ricordato il sottosegretario con delega alla salute in carcere, parteciperanno rappresentanti del Ministero della Giustizia, della Salute e di cinque Regioni. Il secondo tavolo sarà specifico e riguarderà la regionalizzazione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg).

Un tema non facile che non potrà comunque portare al superamento degli ex manicomi criminali sino a quando non ci sarà una modifica del codice penale che espressamente prevede l’internamento negli Opg quale misura di sicurezza per coloro i quali non sono imputabili. Complessivamente non ci sarebbe quindi bisogno di decreti aggiuntivi per realizzare il passaggio iniziato nel lontano 1999.

Una riforma che è stata lasciata nel dimenticatoio per nove anni e che fu ripescata nel 2007 da Luigi Manconi, sottosegretario alla giustizia dell’ultimo governo Prodi. Risale all’aprile del 2008 l’emanazione del decreto della Presidenza del consiglio dei ministri che conteneva "Modalità e criteri per il trasferimento al servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria".

Restano i piedi i problemi legati alle province autonome e alle regioni a statuto speciale che devono deliberare la transizione in base a quanto previsto dal loro statuto. Fino a quando non lo avranno fatto l’assistenza dei detenuti in queste aree resterà sotto la competenza del ministero della giustizia. In questa fase di transizione, per certi versi pericolosa perché si rischiano vuoti di tutela, le regioni si stanno attrezzando con proprie delibere con cui si individuano modelli organizzativi innovativi.

Tra le più recenti delibere vi è quella del Piemonte. Il modello, di carattere sperimentale, che la regione Piemonte ha inteso adottare in questa fase di avvio si concretizza nell’istituzione di un dipartimento interaziendale denominato "Dipartimento regionale per la tutela della salute in carcere". A tale struttura è affidato il compito di coordinare le funzioni sanitarie esplicate dalle Asl sedi di carcere, al fine di garantire una omogeneità dell’intervento sul territorio regionale e di sovrintendere allo svolgimento dell’intero processo di riordino.

Il modello organizzativo prevede inoltre la costituzione di due strutture operative complesse, una presso l’Asl TO2 di Torino, denominata "Presidio sanitario per la tutela della salute Lorusso e Cotugno" e l’altra presso l’Asl. di Alessandria denominata "Tutela della salute in carcere".

Giustizia: riflettori sul ruolo del Garante dei diritti dei detenuti

 

Sesto Potere, 18 dicembre 2008

 

Realtà carceraria e diritti dei detenuti. Questi i temi al centro del convegno che si è tenuto questa mattina nella residenza municipale sulla figura del "Garante dei diritti delle persone private della libertà personale". Carica rivestita per il Comune e la Provincia di Ferrara dalla dottoressa Federica Berti. Ad aprire i lavori è stato il Presidente del Consiglio comunale Romeo Savini, seguito dagli interventi dei Garanti delle città di Milano, Bologna e Firenze.

Tra gli argomenti al centro della discussione è emersa la necessità di ampliare la conoscenza da parte dell’opinione pubblica della figura del Garante, secondo l’ottica che la vede strumento di collaborazione e coordinamento tra la realtà carceraria e gli enti locali. Da più parti è stata inoltre sottolineata l’esigenza dell’istituzione di un Garante unico per tutto il territorio nazionale, ed è stato sollevato il problema della difficile situazione degli oltre tremila italiani detenuti nelle carceri straniere.

Giustizia: con "project financing" vecchie carceri per le nuove

di Tony Zermo

 

La Sicilia, 18 dicembre 2008

 

È un bel pezzo che si parla di vendere le vecchie carceri per farne di nuove. Che poi le vecchie diventino palazzi, o giardini, o centri commerciali è una scelta che compete alle amministrazioni comunali. Quasi dieci anni fa l’allora direttore del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), Giovanni Tinebra, attuale procuratore generale della Repubblica di Catania, stilò un programma di nuove carceri, ma poi non se ne fece niente e il governo per alleggerire il peso dei detenuti preferì l’indulto. Ora siamo punto e a capo perché le carceri sono nuovamente ingolfate dal ritorno in massa dei vecchi detenuti e dai nuovi arresti.

Gianfranco Imperatori, nella sua veste di "chef advisor" di Kpmg, la più grande società internazionale di consulenza che "costruisce" project financing, ha una sua proposta: "Le vecchie carceri sono un peso non indifferente per l’amministrazione penitenziaria anche sul piano della manutenzione, e siccome ce ne sono molti in pieno centro delle città e le aree che se ne possono ricavare sono di alto pregio, sarebbe semplice darle a un imprenditore privato che in cambio realizzerebbe carceri moderne, fuori dalle città, dove sia possibile scontare la pena in condizioni più umane e più adatte a un recupero sociale dei detenuti".

 

Facciamo qualche esempio?

"Prendiamo l’Ucciardone di Palermo, piazza Lanza di Catania e il carcere di Marsala, tanto per restare in Sicilia. Sono vecchi stabili centenari in zone di notevole interesse. Ma ce ne sono in tutta Italia a cominciare da San Vittore e Regina Coeli. Che ci stanno ancora a fare lì nel cuore delle città? I project financing possono essere a volte complicati, ma questa è un’operazione finanziaria molto semplice e socialmente utile. Negli Stati Uniti le carceri sono gestite da privati che si occupano della sicurezza, dell’ambiente, delle forniture. Non voglio arrivare a tanto, ma concedere a un detenuto una stanzetta con il bidet, invece di metterlo in uno stanzone per sei ospiti, non è una cosa dell’altro mondo".

 

Politicamente ci potrebbero essere degli ostacoli.

"Nemmeno questo è vero. Politicamente conviene a Berlusconi per dire: il centrosinistra faceva l’indulto e mandava liberi i detenuti, io invece costruisco nuove carceri. Sarebbe una bella mossa. Tra l’altro questo metterebbe in moto l’edilizia, procurando nuovi posti di lavoro. In questo momento in cui l’economia è ferma e non c’è una lira, fare delle nuove carceri in cambio di quelle decrepite sarebbe una boccata di ossigeno con lievissimo aggravio sulla pubblica amministrazione. Un carcere moderno è più lineare, più moderno, anche più facile da gestire".

 

Ma perché una cosa che sembra così logica ed eticamente valida non viene mai risolta?

"Lascio a lei le supposizioni, ma un carcere è anche uno strumento di potere, basta semplicemente pensare alle forniture. E allora ci sono molti che non vogliono toccare questo sistema, anche se decrepito. Però mi sembra arrivato il momento che non si può più rimandare la soluzione del problema. Se l’Italia vuole essere un Paese moderno, deve anche avere carceri moderne dove si espiano le colpe senza dannarsi l’anima".

Giustizia: Ingroia (Pm Palermo); riapriamo Pianosa e l’Asinara

 

La Sicilia, 18 dicembre 2008

 

"Non tutti sanno che, nello stesso momento in cui si discute di sovraffollamento delle carceri e dell’insufficienza del tempo a disposizione per costruire nuove carceri, vi sono alcuni edifici penitenziari di particolare efficienza del tutto inutilizzati. È il caso delle supercarceri di Pianosa e dell’Asinara, vera spina nel fianco di Cosa Nostra all’epoca dell’introduzione del regime duro per i detenuti mafiosi.

Sono dieci anni, ormai, che quei carceri sono stati chiusi e rimangono inutilizzati. Non sarebbe allora giunto il momento di pensare alla riapertura di quelle strutture, in modo da restituire efficienza al regime del 41 bis, a ridurre il sovraffollamento delle carceri liberando quelle del continente dai mafiosi più pericolosi?".

Lo dice il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, nell’articolo che sarà pubblicato nel prossimo numero di "I love Sicilia", il mensile di stili, tendenze e consumi in edicola da venerdì 19 dicembre: "In passato - continua Ingroia - il carcere per i mafiosi non era un luogo di afflizione, bensì territorio ove i boss esercitavano il proprio potere in modo incontrastato. Erano i tempi della carcerazione "in pantofole".

Non a caso il carcere di Palermo era detto il Grand Hotel Ucciardone, grazie ai menu a base di aragoste e champagne che i boss riuscivano a farsi recapitare nelle loro celle, ove tenevano vere e proprie riunioni di mafia. Soltanto a prezzo delle stragi del ‘92 il vento e la normativa cambiò, così producendo il 41 bis e il trasferimento dei boss in quei supercarceri. Oggi il 41 bis è il fantasma di se stesso e quelle strutture sono chiuse, mentre le altre carceri scoppiano. È forse il momento di invertire la tendenza".

Giustizia: Garavini (Pd); sì a riapertura di Asinara e Pianosa

 

Ansa, 18 dicembre 2008

 

Parlamento valuti proposte Ingroia. "La proposta del Procuratore Aggiunto di Palermo Antonio Ingoia è molto seria e deve essere al più presto presa in considerazione dal parlamento".

Lo dice Laura Garavini, capogruppo del Pd in commissione Antimafia, la quale si dice "d’accordo sull’ipotesi avanzata da dottor Ingroia di riaprire i penitenziari di Pianosa e dell’Asinara. Anche il collega Lumia si era già espresso in questo senso durante un’audizione in commissione affari costituzionali e giustizia del Senato. Di fronte alle difficoltà, soprattutto di ordine economico, ma anche di tempo, per realizzare nuove strutture, mi pare che una delle possibili soluzioni potrebbe essere proprio quelle di Pianosa e dell’Asinara".

Giustizia: Osapp; riaprire l’Asinara e Pianosa? è impraticabile

 

Agi, 18 dicembre 2008

 

"L’idea di riaprire Asinara e Pianosa come carceri di massima sicurezza è sostenibile sulla carta, meno per quelle che sono le possibilità concrete di far funzionare il sistema". A sostenerlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma di Polizia Penitenziaria (Osapp). "Al dott. Ingroia, e agli esponenti del Pdl che hanno rilanciato ancora oggi l’iniziativa - aggiunge Beneduci - diciamo che il problema è sempre quello: il personale di Polizia Penitenziaria che manca". È dal 1991, sottolinea il sindacalista, "che il nostro organico è in perenne sofferenza, quando cioè i detenuti erano circa 35mila: da allora abbiamo incorporato anche servizi che prima venivano svolti o dalla Polizia di Stato o dai Carabinieri, come i piantonamenti e i trasferimenti dei detenuti. A questo si aggiunga che perdiamo circa 500 poliziotti ogni anno che vanno via per effetto del turnover".

Giustizia: Elisa, 2 anni di età, detenuta nel carcere di Cagliari

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 18 dicembre 2008

 

Nel carcere Buon Cammino di Cagliari è detenuta una bambina di 2 anni. La chiameremo Elisa. Elisa, insieme alla madre, resta chiusa in cella per 20 ore al giorno. Elisa, quando sente chiudere la porta della cella, piange e si dispera. Elisa, quando in carcere incontra qualcuno gli tende la mano per essere portata via da lì. Via dal quel posto vecchio e freddo. Via da quella cella buia, dove anche il sole fatica ad entrare.

È da agosto che Elisa è detenuta. La madre di Elisa non ha un domicilio e non può quindi ottenere la misura alternativa per le detenute madri. Così Elisa resta in carcere e rischia di passarci il Natale. O peggio. Elisa rischia di rimanere in carcere per un altro anno. La legge impone infatti che al terzo anno di età il bambino debba essere scarcerato. Elisa non è un caso isolato. Sono circa 60 i bambini detenuti nelle carceri italiane. A Milano, e solo a Milano, si è trovata una soluzione. Comune, Regione e Provveditore delle carceri lombarde, hanno creato una sorta di casa protetta dove mettere le madri detenute e i loro bambini. Una soluzione che concilia l’esigenza punitiva verso le madri e il necessario rispetto verso i bambini.

Nel resto d’Italia, i bambini crescono in cella. Non è questione di soldi, ma di volontà politica. In Sardegna, ad esempio i soldi ci sono. L’ultima legge finanziaria ha stanziato, grazie al consigliere Maria Grazia Caligaris, più di un milione di euro da destinare anche alla realizzazione di case protette sul modello di quella milanese. Ma nulla è stato fatto. Così Elisa resta in carcere.

Giustizia: gli ex-manager di Alitalia, indagati per bancarotta

 

Ansa, 18 dicembre 2008

 

La Procura di Roma ha iscritto per bancarotta per distrazione o dissipazione i vertici di Alitalia egli anni 2000-2007. Si tratta di Presidenti, Amministratori Delegati e Direttori Generali. In particolare, sono stati Presidenti nel periodo all’attenzione della magistratura: Fausto Cereti (1996-2003), Giuseppe Bonomi (2003-2004), Giancarlo Cimoli (2004-2007) e Berardino Libonati (2007); hanno rivestito la carica di amministratori delegati: Domenico Cempella (1996-2001), Francesco Mengozzi (2001-2004), Marco Zanichelli (2004) e Giancarlo Cimoli (2004-2007).

I Direttori Generali sono Giovanni Sebastiani (1996-2001) e Marco Zanichelli (2003-2004). Intanto, oggi i pm Stefano Pesci, Gustavo De Marinis, Maria Francesca Loy, il procuratore aggiunto Nello Rossi, assieme agli uomini del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, sono andati in via della Magliana, nella sede di Alitalia, per ulteriori acquisizioni documentali e per raccogliere le dichiarazioni di dirigenti di vari settori, sentiti come persone informate sui fatti in merito ad alcuni aspetti gestionali. Al vaglio della procura c’è, tra l’altro, una serie di acquisizioni e dismissioni avvenute nel 2006, nel pieno della risi dell’azienda.

Tra le operazioni all’esame degli inquirenti l’acquisizione di Volare Group e la cessione di tredici aerei di Euro Fly alla F. Luxembourg. E ancora, i rapporti con i fornitori e le consulenze. Un capitolo significativo per chi indaga è l’apparente contraddizione nella politica del personale: ad esempio nel 2000 Alitalia ingloba 1500 dipendenti di Aeroporti di Roma e nel 2006 700 dipendenti di Volare. Nel frattempo la compagnia avvia una politica di esodi particolarmente onerosa.

Il periodo preso in considerazione dai magistrati di piazzale Clodio è quello che va dal 2000 al 2007; gli accertamenti non riguardano quanto avvenuto dopo la dichiarazione di insolvenza. E proprio nei giorni scorsi il commissario straordinario di Alitalia Augusto Fantozzi ha depositato in procura la relazione sulle cause di insolvenza della compagnia aerea.

Giustizia: attesa sentenza sul crack Parmalat, Tanzi colpevole

di Giuseppe Oddo

 

Il Sole 24 Ore, 18 dicembre 2008

 

C’è tensione e attesa per il verdetto su Parmalat al termine del processo per aggiotaggio, ostacolo alle autorità di vigilanza e false comunicazioni sociali cominciato il 28 settembre 2005 a Milano, la cui ultima udienza s’è conclusa stamani qualche minuto prima delle 13. I giudici del Tribunale sono chiusi in camera di consiglio, in una stanza del palazzo di giustizia, e per la sentenza bisognerà attendere almeno questa sera, se non domani.

Al termine della requisitoria il pubblico ministero Francesco Greco aveva chiesto tredici anni di reclusione per l’ex patron Calisto Tanzi, sei anni per l’ex manager di Bank of America (Bofa) Luca Sala, cinque per gli ex amministratori di Parmalat Luciano Silingardi e Paolo Sciumè, cinque per l’ex manager di Bofa Luis Moncada, quattro per l’ex amministratore della stessa Parmalat Enrico Baracchini, tre anni e sei mesi per l’ex presidente della consociata venezuelana, Giovanni Bonici, e altri tre anni e sei mesi per Antonio Luzi, il più giovane degli ex dirigenti di Bofa in Italia.

Bisogna vedere come si orienteranno i giudici soprattutto su un paio di posizioni che ancora oggi apparivano in bilico tra condanna e proscioglimento. Si dà invece per scontata la condanna di Tanzi e di quelli legati a filo doppio all’ex fondatore, azionista, presidente e amministratore delegato di Collecchio. Grazie all’indulto, poi, le pene subiranno riduzioni da due a tre anni.

I riflettori in queste ore sono anche puntati su Bank of America, una delle banche chiamate in causa nel crack del 2003, che in caso di condanna sarà chiamata a rispondere come responsabile civile nei confronti dei danneggiati. Greco è stato durissimo con il colosso creditizio americano e con i suoi dirigenti, in modo particolare con Luca Sala, che oggi era in aula, ma che fino poco tempo fa era detenuto in Svizzera per presunto riciclaggio. Il problema è che la legge Cirielli ha mandato in prescrizione i fatti del 1999 collegati al supposto aumento di capitale di Parmalat Brasil, curato da Bofa. Su quei fatti, secondo il Pm, il reato di aggiotaggio era molto evidente.

Ciò che era stato presentato agli investitori istituzionali come una manovra di rafforzamento patrimoniale, altro non era che un finanziamento mascherato volto a far lievitare i corsi azionari di Parmalat Finanziaria sulla base di una valutazione della consociata brasiliana di circa 1,5 miliardi di dollari. I giudici, adesso, debbono stabilire se le operazioni effettuate da Bofa successivamente alla ricapitalizzazione di Parmalat Brasil seguirono lo stesso schema del 1999 - in tal caso ricadrebbero nella fattispecie dell’aggiotaggio - o se furono regolari operazioni finanziarie.

Non è questione di poco conto. Una possibile condanna di Bofa potrebbe comprendere il pagamento di una provvisionale, ossia un anticipo sul risarcimento complessivo destinato alle parti civili, per un importo assai consistente. I giudici debbono inoltre decidere sui patteggiamenti chiesti da Piero Mistrangelo, ex amministratore Parmalat, da Maurizio Bianchi e Lorenzo Penca della ex Grant Thornton (che fu revisore secondario di Parmalat) e da Deloitte & Touche (che fu revisore principale), la quale ha offerto in cambio un risarcimento alle parti civili.

Lettere: Gonnella; suicidio a Catania, Fleres deve dimettersi

di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone)

 

Lettera alla Redazione, 18 dicembre 2008

 

Salvo Fleres deve dimettersi. Molti si chiederanno chi è Salvo Fleres. È un deputato siciliano del Pdl che contemporaneamente riveste il ruolo di Garante regionale siciliano delle persone private della libertà. Sul Manifesto dell’8 agosto scorso Mauro Palma scriveva: "C’è un po’ di confusione nella discussione italiana sulla figura del garante delle persone private di libertà, di cui da tempo si è avviata una sperimentazione a livello locale, grazie all’impegno di comuni, province, regioni. Esperienze positive, ma limitate perché prive di una normativa nazionale che dia a tale figura autorevolezza, indipendenza e incisività.

Di questo sono ben consapevoli molti degli attuali garanti, che da tempo spingono per una legge specifica, in coordinamento con Antigone che ne lanciò la proposta, ormai undici anni fa. Non tutti però. Ad alcuni sembra bastare questa immagine debole, unita a un po’ di visibilità nel mondo politico. E qui si annida la confusione dei ruoli. Riporta il giornale La Sicilia del 7 agosto che il garante dei detenuti dell’isola ha chiesto informazioni circa il gravissimo caso di abusi e violenza ai danni di un giovane ristretto nel carcere di Catania, perpetrati da altri detenuti come punizione per la sua presunta omosessualità.

Il Garante - dice il giornale - "ha chiesto delle dettagliate notizie al Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria" e quest’ultima "ha attestato che nessun episodio di violenza sessuale con le caratteristiche descritte dai servizi stampa si è mai verificato, nel periodo di tempo indicato". Pertanto "sulla base delle esaurienti ed immediate informazioni ricevute, il garante ha ritenuto di non dovere attivare alcuna iniziativa di sua competenza".

Non sembra certo un brillante esempio di indipendente accertamento: se si tratta di chiedere alle autorità e di accoglierne le conclusioni senza alcuna ulteriore indagine autonoma, non si vede proprio quale sia il bisogno di tale figura. Si resta poi perplessi nel notare che tale Garante è attualmente senatore - del Pdl, ma questo poco importa - perché tale figura dovrebbe essere indipendente dal potere politico e come tale essere percepita da detenuti e osservatori."

Fleres replicò piccato e smentì l’episodio dello stupro: "Nessun episodio, di violenza sessuale con le caratteristiche descritte dai servizi stampa, si è mai verificato, nel periodo di tempo indicato, nel carcere di Piazza Lanza". Lunedì sera, a distanza di quattro mesi, il giovane detenuto si è suicidato nel carcere catanese di Bicocca.

"Il giovane - ha spiegato il suo avvocato - scriveva poesie e aveva modi che potremmo definire effeminati. Non so nemmeno se fosse omosessuale, ma così venne ritenuto dagli altri detenuti, e fu trattato in carcere come tale. Fu violentato da un gruppo di otto detenuti, tutti in carcere per gli stessi reati, e fu costretto al ricovero in infermeria con nove punti di sutura all’ano. L’episodio non è l’unico, credo sia accaduto anche molte altre volte". Ora Salvo Fleres deve dimettersi.

Lettere: Fleres; suicidio non c’entra col caso presunte violenze

di Salvo Fleres (Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia)

 

Lettera alla Redazione, 18 dicembre 2008

 

La vicenda del detenuto suicida Gianluca Di Mauro non ha nulla a che vedere con il caso dell’agosto 2008 inventato da un avvocato catanese in cerca di pubblicità.

"Trovo assolutamente ridicolo ed infamante che certa stampa si presti a divulgare notizie false che nulla hanno a che vedere con la realtà dei fatti. La dolorosa vicenda di Gianluca Di Mauro, trovato impiccato in cella del carcere catanese di Bicocca alla vigilia della libertà che forse il giudice di sorveglianza gli stava per concedere, non può assolutamente essere confusa con una notizia, totalmente falsa e diffusa nell’agosto del 2008, riguardante presunte violenze subite anni fa da un detenuto che scriveva poesie e di cui non importa sottolineare le scelte sessuali.

Davanti al clamore mediatico alimentato da un avvocato catanese in cerca di pubblicità e del facile quanto ridicolo esibizionismo, sul caso dell’estate scorsa ho disposto rigorosi accertamenti ed acquisito esaurienti informazioni. Ho potuto constatare con amarezza che si trattava di una bufala, montata ad arte per fini abbietti. Mi dispiace che qualcuno ne abbia approfittato per censurare il mio operato e mi amareggia leggere che si torni sull’argomento facendo indebiti accostamenti pur di criticare l’attività del mio ufficio improntata a rigore, severità ed indipendenza di giudizio.

Pensavo che l’argomento fosse stato definitivamente chiuso. Invece si strumentalizza accostandolo al caso del povero Di Mauro, sulla cui vicenda ho attivato ogni iniziativa consentita per fare piena luce senza riguardi per nessuno. Ma questo interessa poco a qualche giornalista senza scrupoli che per quello che ha scritto merita senz’altro una tempestiva querela.

Credo che il vero argomento da evidenziare (io lo faccio ormai da alcuni anni) sia quello di denunciare l’attuale pesante situazione carceraria siciliana e la presenza di istituti lager che vanno immediatamente chiusi (Ucciardone di Palermo; Piazza Lanza di Catania; Sciacca; Favignana; Mistretta). In questo senso ho sollecitato e continuo a sollecitare l’intervento del Ministro della giustizia, del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e del Dott. Palma Presidente della Commissione europea contro la tortura ed il trattamento degradante.

Concludo auspicando, proprio partendo dall’ultimo grave suicidio, interventi necessari per dotare le carceri di figure professionali come gli psicologi per garantire adeguata assistenza ai detenuti con gravi disagi psicologici o perché depressi. In questo senso auspico l’assunzione dei vincitori di appositi concorsi ministeriali".

Lettere: Opg Firenze; sono responsabile sanità e non direttore

di Franco Scarpa (Coordinatore Servizi Sanitari Opg Montelupo Fiorentino)

 

Lettera alla Redazione, 18 dicembre 2008

 

Ho letto l’articolo della rassegna stampa di ieri e che riporto in corsivo: Direttamente dall’Opg ci scrivono gli internati con un telegramma: "Caldaia scoppiata, manca acqua calda e riscaldamento da 9 giorni; no cambio lenzuola da 17 giorni; chiedi stufette Protezione Civile. Guasti continui, chiedi inagibilità al Provveditorato, Assessore Rossi, Direttore generale Asl 11 Empoli Dott. Porfido. Responsabile unico disastro Dott. Franco Scarpa. Stiamo congelando. L.G."

Ci terrei a precisare, non al paziente L.G. ma a chi legge che dal 16 giugno non sono più Direttore dell’Opg ma sono responsabile dei servizi sanitari. Ciò a seguito del transito dell’assistenza sanitaria al Servizio Sanitario Nazionale, Asl 11 di Empoli della Toscana, non ho più competenza in merito alla gestione della struttura per quanto riguarda gli impianti di riscaldamento, le docce, il lavaggio e il cambio lenzuola, competenze tutte, ed altre che non cito, restate in capo all’amministrazione Penitenziaria che ha individuato, e dato incarico, della struttura ad un Direttore Penitenziario.

Sono pienamente in linea e sintonia con lo spirito del Dpcm del 1 aprile 2008 e ritengo che la soluzione per gli Opg sia quella di dare sollecitamente corso agli adempimenti riguardo l’attuazione piena dell’allegato C del predetto Dpcm dove si disegnano una serie di azioni per il superamento dell’attuale condizione di trattamento dei pazienti psichiatrici autori di reato.

La Regione Toscana, nella quale ho il compito di lavorare al tavolo regionale di attuazione del Dpcm, ha già messo in atto azioni concrete incontrando i referenti delle Regioni collegate all’Opg di Montelupo Fiorentino (Lazio, Sardegna ed Umbria). Ha inoltre organizzato un sistema di costanti contatti e progetti di lavoro con i Dsm delle Asl della Toscana per facilitare la dimissione di pazienti della regione. Il ricoverato L.G. ha il pieno diritto di esprimere le proprie opinioni. È opportuno fornire adeguata e completa informazione a chi legge sullo stato attuale della gestione degli Opg che, dopo l’attuazione dei primi adempimenti da parte dell’Amministrazione Penitenziaria, non ha più una gestione sanitaria.

 

Dr. Franco Scarpa

Psichiatra Asl 11

Coordinatore Servizi Sanitari Opg Montelupo Fiorentino

Livorno: caso Lonzi; nuove perizie a 5 anni e mezzo da morte

 

Il Tirreno, 18 dicembre 2008

 

Ci vorrà ancora qualche mese prima che l’indagine sulla morte di Marcello Lonzi, il giovane di 29 anni trovato morto 5 anni e mezzo fa in carcere alle Sughere, possa considerarsi conclusa. Lo confermano dalla Procura della Repubblica.

Ieri mattina la madre della vittima, Maria Ciuffi, è stata al Palazzo di giustizia, in via Falcone e Borsellino, per un colloquio con il magistrato che segue le indagini, il vice procuratore Antonio Giaconi. La donna, che ha lottato per far riaprire il caso ed è convinta che il figlio sia stato picchiato, si è detta soddisfatta di come stanno procedendo le indagini e ottimista sull’esito. Più cauto il magistrato, secondo il quale prima di pronunciarsi bisognerà aspettare l’esito delle perizie tecniche. Sono tuttora in corso, infatti, "significative consulenze", disposte dallo stesso Giaconi, che serviranno per fare chiarezza su come sia morto il giovane.

Gli indagati, per il momento, restano tre: due guardie carcerarie e un detenuto. "Se dopo tutti questi anni presto si arriverà alla conclusione delle indagini non posso che essere sollevata - dice la signora Ciuffi - Non chiedo altro che giustizia e mi sembra che tutto stia procedendo al meglio. Non posso fare a meno di pensare a un particolare: come sostenevo io, le tracce di sangue trovate fuori dalla cella sarebbero di Marcellino.

Questa potrebbe essere la prova del fatto che mio figlio non è morto in cella, ma vi è stato trascinato. In ogni caso, senza entrare nel merito delle indagini, qualunque sarà l’esito, sono soddisfatta di tutti gli approfonditi accertamenti che sono stati fatti". La Ciuffi, che è assistita dall’avvocato Fabrizio Bianchi di Pisa, si è anche affidata a un medico legale di parte per lo svolgimento delle perizie. "Mi sono rivolta al dottor Marco Salvi di Genova. L’ho sempre detto e lo ripeto: mio figlio non è mai stato un santo, ma non meritava certo di morire così".

Catania: topo danneggia quadro elettrico, il carcere in blackout

 

Ansa, 18 dicembre 2008

 

Colloqui interrotti per più di un ora ieri mattina nel carcere di piazza Lanza a Catania per un corto circuito. A causare il guasto sarebbe stato un topo che avrebbe danneggiato un quadro elettrico. Lo rende noto l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp).

Assistiamo ogni giorno - afferma Domenico Nicotra, vice segretario nazionale dell’Osapp - al susseguirsi di problemi nell’istituto catanese di piazza Lanza. Dopo l’invasione di topi registrata nelle scorse settimane e le rassicurazioni del Provveditorato per la Sicilia sull’avvenuta disinfestazione sembra che il problema si ripropone.

‘Nonostante i proclami del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che in una sua intervista al quotidiano La Sicilia di Catania ha auspicato la chiusura della struttura ormai vecchia e fuori dai canoni - conclude il sindacalista - non si registrano prese di posizioni ufficiali ed il personale è costretto a convivere con una situazione per certi versi paradossale.

Berretta (Pd): disservizi inaccettabili. Assistiamo ormai con imbarazzante continuità al susseguirsi di gravi disservizi all’interno della Casa Circondariale di Piazza Lanza a Catania: quanto denunciato dall’Osapp è inaccettabile. Lo afferma il parlamentare nazionale del Partito democratico, Giuseppe Berretta. L’esponente del Pd ricorda l’interrogazione parlamentare e i tanti appelli più volte rivolti dal sottoscritto al ministro della Giustizia sulla non idoneità, alla chiusura e alla conseguente, rapida, delocalizzazione di una struttura penitenziaria le cui condizioni sono assolutamente disumane tanto per i detenuti, quanto per la polizia penitenziaria.

Roma: il Cappellano di Regina Coeli; è Natale anche in carcere

 

Radio Vaticana, 18 dicembre 2008

 

L’Avvento prepara alla nascita di Gesù e, spiritualmente, alla rinascita di ogni uomo. Un significato che assume una valenza particolare per chi, come il detenuto in un carcere, è chiamato a una "rinascita" anche in senso sociale.

 

Padre Vittorio Trani, francescano, cappellano del carcere romano di Regina Coeli, ha riflettuto sul punto al microfono di Fabio Colagrande.

La proposta cristiana di un incontro con chi sbaglia, con chi nella società commette un reato, è una delle proposte più forti che si possano fare. Noi siamo dinanzi al Cristo questi ascoltatori che accolgono questo messaggio che deve cambiare il cuore di tutti, il cuore di chi commette l’errore, perché non torni a commetterlo, e anche il cuore di chi sta intorno che deve avere una ricchezza in fatto di misericordia, di comprensione, di vicinanza, perché uno che si ravvede possa trovare lo spazio per camminare. È veramente un momento bello quello dell’Avvento, in cui questo discorso si fa concreto anche da parte della liturgia.

 

Proprio l’invito del profeta Isaia, che abbiamo sentito nella terza Domenica di Avvento, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, al di là del significato letterale, che significato assume nella realtà pastorale all’interno delle carceri?

Assume un significato grandissimo. Intanto, di sensibilizzare la comunità cristiana per prima a guardare questo angolo di emarginazione con uno sguardo diverso. Non dimentichiamo, e nessuno deve dimenticarlo, che lì Cristo si fa incontrare, e la comunità cristiana deve domandarsi come può dare un’attuazione concreta a "ero in carcere e tu ti sei occupato di me". È veramente un momento di grande, grande riflessione per tutta la comunità cristiana.

 

Dal punto di vista pratico, logistico, in queste giornate di avvicinamento al Natale, com’è la vita a Regina Coeli? Lei cerca ovviamente di seguire dal punto di vista pastorale questo cammino...

Da un punto di vista pratico è una comunità come in tutti i contesti cristiani, che si sta muovendo con il presepe: ne stiamo facendo di grandi nei luoghi più comuni e in alcune sezioni di ambiente più ristretto. E poi via via tutta una serie di iniziative, compreso anche da parte nostra un concerto di musica sacra con cui il 22 inaugureremo il presepe grande, che abbiamo fatto nella Rotonda. Sarà un momento di riflessione sia sulla storia del presepe che sul grande messaggio che Dio ci rivolge attraverso l’incarnazione del Cristo. Poi ci sono altre iniziative: i sacerdoti volontari che lavorano nel settore consegneranno ad ogni stanza, dove si trovano i detenuti, un presepe che possa richiamare là dove essi vivono il grande mistero della salvezza e dell’amore.

 

Un augurio che arriva da lei come Cappellano di Regina Coeli, e un invito alla riflessione, a dare un significato a questo tempo di preparazione al Natale...

Alla comunità civile di essere attenta a questa realtà che ha nel suo interno e che deve trovare tante risposte, perché la società deve trovare risposte per le famiglie dei detenuti che sono in difficoltà. Io direi che l’augurio che si può fare a tutti è di avere una grande sensibilità su questi problemi.

Orvieto: gli "EstroVersi"… portano il palcoscenico in carcere

 

Il Messaggero, 18 dicembre 2008

 

Su iniziativa della delegazione orvietana della Croce Rossa l’artista orvietano Gianluca Foresi con la sua associazione EstroVersi regalerà un sorriso ai detenuti della Casa Circondariale di via Roma.

Comici in gabbia con "Uffa… sempre la stessa storia". Questo è il titolo dello spettacolo/omaggio con il quale il cabarettista orvietano Gianluca Foresi insieme alla sua associazione "EstroVersi" entrerà all’interno delle carceri orvietane. Uno spettacolo per tutti i detenuti in occasione dell’imminente Natale. L’iniziativa, che si terrà giovedì 18 dicembre a partire dalle 16.30 per volontà della delegazione orvietana della Croce Rossa, è stata piacevolmente accolta da Foresi che, insieme alla sua spalla comica Marzia Polacco, omaggerà gli ospiti del carcere con uno spettacolo tutto da ridere.

"È un onore per noi - afferma Gianluca Foresi a nome dell’associazione - partecipare a questa iniziativa che vuole regalare un sorriso anche a chi difficilmente può farlo nelle quattro mura di un carcere. Ringrazio soprattutto la Croce Rossa che ci ha dato la possibilità di partecipare attivamente a questa forma di solidarietà nei confronti di tutti i detenuti. Abbiamo deciso di dare in dono, anche solo per un giorno, la nostra comicità a chi è stato meno fortunato - aggiunge - ma per noi è anche una preziosa occasione conoscere più da vicino il mondo delle carceri rendendolo, almeno questo è il nostro intento, un po’ meno oscuro anche solo per un giorno".

Le porte del carcere si apriranno alla comicità a partire dalle 16.30 e per qualche ora l’obiettivo immediato sarà quello di portare un pizzico di allegria all’interno del penitenziario. Per i detenuti, dunque, un pomeriggio di grandi emozioni e di divertimento reso possibile dall’impegno della delegazione orvietana della Cri e dalla sensibilità degli EstroVersi.

Lo spettacolo di cabaret presentato da Gianluca Foresi e Marzia Polacco è una divertente carrellata di personaggi, in cui a importanti figure storiche del medioevo si alternano uomini comuni della nostra quotidianità. All’interno dello spettacolo-intrattenimento vengono inseriti una serie di tipi presi dall’ampio repertorio dei due attori. Dall’istrionico Giullar Cortese, capace di improvvisare in rima e di coinvolgere direttamente il pubblico nello spettacolo al Giullare Apprendista, interpretato da Marzia Polacco, che si lancia in goffi tentativi di imitare il suo maestro. Smesse le vesti dei Giullari, Gianluca Foresi e Marzia Polacco, danno vita ad altri esilaranti duetti: i Fraticelli di Stroncone in cerca di nuovi adepti per il convento e una divertente parodia di Dante Alighieri, poeta Multimedievale, e Beatrice la sua Musa ispiratrice alla ricerca del vate "Virgilio.it". Per non parlare poi di Mohammed, comico egiziano strampalato e demenziale.

Immigrazione: Giornata Onu sui diritti dei lavoratori migranti

di Giorgio Beretta

 

www.unimondo.org, 18 dicembre 2008

 

Un presidio in piazza Montecitorio a Roma e manifestazioni in altre 24 città sono in programma oggi in occasione della Giornata delle Nazioni Unite per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici migranti e delle loro famiglie. "Obiettivo delle iniziative è manifestare contro il disegno di legge 733/08, "disposizioni in materia di sicurezza pubblica" che, con il pretesto di contrastare l’immigrazione clandestina, colpisce in realtà tutti gli immigrati, soprattutto coloro che vivono e lavorano regolarmente nel nostro paese rispettando le leggi" - afferma il folto gruppo di associazioni promotrici dell’iniziativa tra cui Arci, Cipsi, Cnca, Gruppo Abele, Libera e Sbilanciamoci oltre ai sindacati Cgil, Sei Ugl e Uil.

"Il disegno di legge sulla sicurezza, ora in discussione al Senato, riduce fortemente i diritti dei migranti, uomini e donne da tenere in condizioni di precarietà, ricatto e sfruttamento, con gravi ripercussioni sulla pacifica convivenza nella società" - sostengono le associazioni. "L’insieme dei provvedimenti proposti contraddicono le norme internazionali sui diritti umani fondamentali e la stessa Costituzione italiana, che afferma la pari dignità sociale delle persone, senza distinzione di sesso, razza, lingua o religione". Per questo a Roma, nel corso del sit-in verranno illustrate le modifiche proposte dagli organizzatori ai provvedimenti decisi dal Governo e verranno inoltre distribuite copie della Costituzione italiana tradotta in più lingue "per sottolineare i sempre più concreti rischi di stravolgimento che corre la nostra Carta fondamentale".

Le associazioni puntano il dito anche contro il cosiddetto Decreto Flussi che propone il blocco dei flussi d’ingresso dei lavoratori stranieri - "misura propagandistica ed inutile" sostengono le associazioni - che, come ha fatto notare anche la Corte dei Conti con un documento ufficiale, "chiude la strada all’immigrazione regolare e non fa nulla per dare risposta all’estesissima presenza di irregolarità, lavoro nero e violazione dei diritti fondamentali" da parte degli sfruttatori dell’immigrazione. Per quanto riguarda il diritto alle cure, poi, nel ddl è prevista una restrizione con l’introduzione dell’obbligo per i medici e gli operatori sanitari di denunciare gli immigrati irregolari che chiedono di essere curati. Una misura - quest’ultima - ripetutamente denunciata da Medici senza Frontiere oltre che dalla Federazione Nazionale Ordine Medici Chirurghi e Odontoiatri e dalla Società Italiana di Medicina delle Migrazioni che hanno chiesto di ritirarla in quanto lesiva del principio universale di accesso alle cure mediche.

Intanto alla Conferenza euro africana sull’immigrazione e lo sviluppo ha trionfato il modello francese: immigrazione selettiva, accordi multilaterali, militarizzazione delle frontiere. I paesi africani hanno accettato: rischiavano di perdere i finanziamenti allo sviluppo - riporta su Nigrizia Zara Barazzutti, "I rappresentanti europei e africani hanno dialogato attorno al nuovo approccio globale sull’immigrazione adottato dal Consiglio Europeo con il recente ‘Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo".

Lo spirito dichiarato con cui gli stati membri si affacciano alla politica migratoria considera le realtà migratorie come elementi integranti delle relazioni esterne dell’Ue essenziali per creare stretti partenariati tra i paesi d’origine, transito e destinazione" - scrive Barazzutti. "Lo scopo è organizzare un’immigrazione, che vada a coprire i settori lavorativi che necessitano di manodopera immigrata, in accordo con la capacità d’accoglienza dell’Unione europea. Il modello migratorio di riferimento è quello francese centrato principalmente sulla figura di un migrante lavoratore temporaneo di tipo "usa e getta", ossia che al termine della prestazione fa ritorno alla madrepatria.

"Per prevenire l’immigrazione irregolare, gli stati membri, alla luce dei traguardi ottenuti dall’agenzia Frontex, raccomandano la militarizzazione e il potenziamento del controllo delle frontiere, si impegnano a fornire equipaggiamenti, strumenti informatici e biometrici, suggeriscono reti internazionali di scambio d’informazioni su documenti di viaggio, visti e permessi. A fare da contrappeso a queste imposizioni degli esecutivi europei, dovrebbe essere un fondo da destinare all’aiuto allo sviluppo, inteso come potenziamento della rete commerciale africana, appoggio tecnico ai migranti che intendano sviluppare dei progetti di rilancio economico e creazione di nuovi canali per la gestione delle rimesse degli emigrati".

Immigrazione: associazioni in piazza per dire "no" al razzismo

 

Redattore Sociale - Dire, 18 dicembre 2008

 

Davanti a Montecitorio la Cgil assieme a diverse associazioni, tra cui Arci, Antigone, Gruppo Abele e Centro Astalli. Piccinini (Cgil): "Non possiamo accettare provvedimenti che fanno pagare un prezzo esagerato in nome della sicurezza".

"Ci rivolgiamo a tutti per impegnare ognuno contro il razzismo. In Italia c’è un’ondata di xenofobia e intolleranza che viene alimentata dalla destra". È il commento di Morena Piccinini, segretaria confederale della Cgil al ddl sicurezza 733, in discussione al Senato. La Cgil oggi è in piazza di fronte a Montecitorio nella giornata delle Nazioni Unite per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici migranti e delle loro famiglie. Insieme alla organizzazione sindacale anche le associazioni del Terzo Settore come Arci, Antigone, Gruppo Abele e Centro Astalli.

"Non possiamo accettare questi provvedimenti razzisti che fanno pagare un prezzo esagerato in nome della sicurezza - sottolinea la Piccinini -. Far pagare ai migranti 200 euro per il rinnovo del permesso di soggiorno è come vessarli con una tassa impropria che li mette nella condizione di non riuscire a sopravvivere. Il reato di clandestinità e le classi ponte sono illegittime. Bisogna confermare - conclude la segretaria della Cgil - i diritti delle persone, a partire da quelli dei migranti".

Immigrazione: Bologna; nuove prospettive per il Cie (ex-Cpt)

di Desi Bruno (Garante dei diritti dei detenuti di Bologna)

 

Il Domani, 18 dicembre 2008

 

Il Cpta di Via Mattei, la cui attuale denominazione è Centro di identificazione e di espulsione (Cie), nel corso del tempo si è strutturato come non avviene in altre parti d’Italia. Tre anni fa la commissione parlamentare De Mistura considerò il Cpt di Bologna uno dei peggiori d’Italia, ma adesso le cose sono decisamente cambiate con l’apertura ad esempio degli sportelli legali e con i passi avanti che sono stati fatti dal punto di vista sanitario.

Il Centro (Ente gestore "La Misericordia") ha avviato un Progetto Sociale, in accordo con l’Ufficio del Garante e con l’intervento degli enti locali e di alcune associazioni, cooperative sociali, sindacati e volontari, autorizzati dalla Prefettura di Bologna, che assicura maggiore attenzione alle persone, in una prospettiva di riduzione del danno derivante dal fallimento del progetto migratorio e dalla difficile accettazione del ritorno al paese di origine, nonché di intervento a tutela dei diritti fondamentali della persona.

Vengono infatti forniti numerosi servizi, dai mediatori culturali (7), allo psicologo, ai gruppi di mutuo-auto-aiuto, agli sportelli informativi, compreso quello per le donne che provengono da situazioni di sfruttamento sessuale, al recupero dei crediti di lavoro per i lavoratori in nero, ad attività ricreative. È presente una biblioteca che sta ricevendo libri da molte realtà cittadine, compresa l’Università di Bologna, che consente anche lo svolgimento di tirocini agli studenti presso il Centro di identificazione e di espulsione.

Sono presenti 13 medici e 7 infermieri con assistenza sanitaria continuativa, salvo la necessità di ricoveri all’esterno e di intervento del servizio pubblico, con cui c’è convenzione.

Al 31 ottobre 2008 sono stati registrati un totale di 772 ingressi, di cui 333 donne e 439 uomini. Tra gli uomini ancora numerose le provenienze dal carcere, purtroppo frequente la presenza di lavoratori e lavoratrici in Italia da molti anni che a seguito della perdita del posto di lavoro non hanno ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno. Sono presenti anche trattenuti con familiari in regola con il permesso di soggiorno. Significativa la presenza di marocchini, tunisini e nigeriani. La capienza massima del Centro è pari a 95 persone.

Dai dati forniti dalla Direzione del Centro, relativi al periodo gennaio - ottobre 2008, che aiutano la comprensione del fenomeno dell’immigrazione clandestina, si può vedere come il numero delle espulsioni, effettivamente effettuate, è pari ad un terzo delle persone entrate nel CPT, ma il dato deve essere letto tenendo conto che un numero elevato di trattenimenti non ha avuto convalida giudiziaria e che un numero ancora più significativo di persone è stata rilasciato alla scadenza del termine massimo di trattenimento e ciò di solito accade per impossibilità di addivenire alla identificazione o perché alcuni paesi di origine non riconoscono i propri cittadini ai fini del rimpatrio.

Interessante anche è l’elevato e preponderante numero di persone richiedenti asilo (69). Negli ultimi anni i miglioramenti avvenuti all’interno del Cei sono innegabili, anche se rimane pur sempre un luogo di detenzione e la permanenza pare assumere i tratti di una vera e propria carcerazione, senza la garanzie della legislazione penitenziaria e della magistratura di sorveglianza, dove risulta difficile spiegare ai trattenuti i motivi a base di tale limitazione della libertà personale dal momento che si prescinde dalla commissione di qualsiasi reato.

L’unico percorso attuabile che può portare ad una vera giustizia sociale e conseguentemente ad una sicurezza sociale, è quello di considerare l’immigrazione non solo un problema di ordine pubblico, ma di inserirlo in una serie di interventi mirati, tra cui gli accordi per la riammissione nei paesi di origine, l’incentivazione al rientro e la regolarizzazione di chi sta già svolgendo effettiva attività lavorativa.

Immigrazione: da Cagliari a Gradisca, "ospiti-detenuti" in rivolta

 

Melting Pot, 18 dicembre 2008

 

La situazione è esplosiva anche e soprattutto per i richiedenti asilo. A gestire le strutture è sempre Connecting People. Sembra ormai trascorso molto tempo da quando l’allora Governo di centro-sinistra guidato dal presidente Prodi aveva giocato la carta dell’umanizzazione dei centri di detenzione. Operazione fallita, questo era logico: la realtà ci racconta di polveriere che ovunque si apprestano ad esplodere e spesso ciò che non è raccontato, è una verità quotidiana di rivolte, tentativi di fuga, insofferenze.

Negli ultimi giorni a Gradisca d’Isonzo (Gorizia) e ad Elmas (Cagliari), si sono susseguiti tentativi di fuga a rivolte e manifestazioni di protesta. Se la realtà di chi è detenuto nelle strutture, o nelle parti dei centri (come a Gradisca), destinate alla Permanenza Temporanea in attesa di espulsione, ora chiamati Cie, è da sempre drammatica, con gli episodi degli ultimi giorni viene a galla una seconda realtà, da sempre denunciata, ma molto spesso dimenticata: quella dei richiedenti asilo. I cosiddetti Centri di Prima Accoglienza diventano così delle vere e proprie prigioni.

La struttura di Gradisca ha messo a disposizione 250 posti proprio per l’identificazione e "l’accoglienza" dei richiedenti, quella di Elmas è totalmente dedicata agli aspiranti rifugiati. Ad accomunarne le sorti la comune gestione di Connecting People, "impresa socialmente orientata".

I richiedenti asilo, anche grazie alle nuove norme approvate con il Decreto legislativo n. 159 del 3 ottobre 2008, entrato in vigore il 5 novembre scorso, possono essere soggetti alla restrizione della libertà di circolazione. Inoltre, il macchinoso iter per la risoluzione della domanda, fatto di valutazioni, ricorsi e permessi temporanei che si propongono come anti-camera all’irregolarità, si traduce in tempi di attesa per la risposta che superano ormai abbondantemente i sei mesi, creando situazioni di semi-detenzione, se non di totale di restrizione della libertà, insopportabili.

Ma non è tutto. La Connecting People, a garanzia del "tutto esaurito" (per ogni migrante "ospitato" riceve un lauto compenso), ha saputo mettere in campo un vero e proprio canale preferenziale tra le coste dove avvengono gli sbarchi e le strutture che gestisce. Lampedusa e Gradisca sono al lato opposto della penisola ma Connecting People, ora si è scoperto il motivo della scelta del nome, ha saputo accorciare le distanze con ponti aerei senza precedenti che dalla Sicilia portano i richiedenti asilo a presentare domanda per lo status di rifugiati proprio nel Friuli.

Stati Uniti: pena morte; assistenza legale carente, casi riaperti

di Ylenia Gifuni

 

www.unisob.na.it, 18 dicembre 2008

 

"Sono assolutamente contrario alla pena di morte. Se qualcuno dovesse uccidere e violentare mia moglie, non vorrei che fosse punito con la sedia elettrica". Era il 1988 e il democratico Michael Dukakis sfidava il repubblicano George Bush padre nella corsa alla Casa Bianca. La presa di posizione dell’ex Governatore del Massachusetts impressionò a tal punto l’opinione pubblica statunitense che nel giro di pochi giorni i suoi consensi precipitarono.

A vent’anni di distanza da quel confronto elettorale, il presidente eletto Barack Obama continua a considerare legittima la pena capitale proprio perché la maggioranza degli americani "non vuole un presidente percepito come troppo debole nei confronti del crimine". È l’opinione di Mary Calkins, avvocato penalista dello studio associato Foley & Lardner, Ip Litigation Group di Washington, che segue i casi di condannati indigenti sottoposti a regime di pena di morte. "Questo consenso popolare è costitutivo - spiega la Calkins -. In alcuni Stati, soprattutto del Sud del Paese, permane il bisogno di vendicarsi di chi commette crimini violenti anche se numerosi studi dimostrano che la pena di morte non costituisce un deterrente efficace".

Giudici, avvocati e procuratori spesso riescono a vedere le falle interne al sistema più di un cittadino ordinario che rispetta la legge e non ha a che fare regolarmente con le forze di polizia. "In sede processuale - aggiunge la penalista - molti non ricevono un giusto trattamento per una varietà di ragioni che includono le possibilità di accesso a una buona assistenza legale. Un detenuto che rischia il patibolo ha diritto ad avvocati competenti e, se i suoi difensori non si mostrano all’altezza, allora la condanna può essere annullata". Jack Lahr, punta di diamante del team statunitense, fa un ritratto del suo cliente tipo: "Nero, di bassa cultura ed estrazione sociale, una vita travagliata alle spalle, talvolta con gravi problemi mentali e psicologici".

Gli incartamenti della Corte Suprema, il massimo organo giudiziario degli Usa, dimostrano che non sono pochi i casi riaperti per assistenza legale insufficiente. Nel 1988 la Corte d’Appello del Maryland confermò la condanna a morte di Kevin Wiggins, accusato di aver assassinato una donna bianca che lo aveva assunto come tuttofare.

Nessuno raccontò alla giuria il passato dell’accusato, le angherie subite da una madre alcolista che gli bruciava le mani per punirlo, le torture durante il periodo dell’adozione e, soprattutto, nessuno fece menzione del suo "quoziente intellettivo ai limiti dell’incapacità mentale". È bastata la presenza in aula di un esperto di medicina legale per mettere in luce gli abusi fisici e sessuali subiti dal giovane Kevin. Il 26 giugno del 2003 la Corte Suprema ha definito "costituzionalmente difettosa" l’assistenza legale di Wiggins e ha fissato un nuovo processo.

La stessa sorte è toccata a Jimmy Davis, un giovane nero che a 20 anni fu coinvolto nell’uccisione di un dipendente di una stazione di servizio in un piccola città dell’Alabama. Jimmy aveva il lobo frontale del cervello danneggiato, ma nessuno ne ha tenuto conto al momento di emettere la condanna. "Il principio base a cui ci appelliamo in questi casi - sottolinea Lahr - è l’habeas corpus. Si tratta di una norma base del diritto americano che obbliga i giudici a emettere condanne solo in presenza dell’accusato, cosa che spesso non avviene".

Stati Uniti: Dick Cheney; Guantanamo? è un carcere prezioso

 

La Rinascita della Sinistra, 18 dicembre 2008

 

Dio salvi l’America! In nome della lotta al terrorismo la democrazia americana sembra essere disponibile a rivendicare la legittimità di scelte che violano diritti umani e garanzie sociali.

Quel patrimonio di principi e regole universalmente riconosciuti che svolgono una funzione di tutela nei confronti di tutti gli uomini e le donne da qualunque parte del mondo provengano. E, soprattutto, il rispetto del quale rende un Paese degno di essere considerato civile.

Non sembrano pensarla così gli uomini del presidente George W. Bush, coloro che fino ad oggi hanno governato gli Stati Uniti, mettendo al primo posto interessi economici e rapporti di forza politici non rivolti al bene comune della nazione. A soli 36 giorni dall’insediamento di Barak Obama, il vice presidente Dick Cheney si è pronunciato contro la chiusura del carcere militare di Guantanamo. Anzi, non soddisfatto, si è permesso di prendere le difese delle controverse pratiche di interrogatorio, che, a suo dire, si sono rivelate strumenti "preziose" nella guerra al terrore. Primo tra tutte, il waterboarding, giudicato dalle organizzazione per la difesa dei diritti umani una tecnica di tortura ordinariamente applicata nel centro di detenzione illegale.

In un’intervista alla Abc, il numero due di Bush ha definito "irresponsabile" la decisione del neopresidente di chiudere Guantanamo, anche a fronte del fatto che non è stata ancora trovata una destinazione ai circa 250 prigionieri lì detenuti. "Una volta che si cattura un manipolo di terroristi, come è stato fatto in Afghanistan ed altrove, dovete pur metterli da qualche parte. Se rimanessero negli Stati Uniti e fossero sottoposti a giudizio dei tribunali ordinari, beneficerebbero tutti dei diritti che si applicano solo ai cittadini americani. Non si dimentichi che non sono altro che nemici combattenti", ha ribadito Cheney all’emittente conservatrice.

Dure le critiche verso la linea buonista del leader democratico che si appresta ad insediarsi alla Casa Bianca da parte di chi rivendica, orgogliosamente e a pieno titolo, il ruolo di architetto e vero ispiratore di una politica giocata sul limite della legalità. "Ero al corrente di questi programmi e coinvolto nell’aiutarli ad avere le necessarie autorizzazioni", ha tenuto a precisare Cheney, avvallando la legittima esistenza di un carcere speciale dove i prigionieri vengono tenuti a tempo indefinito e senza alcuna incriminazione formale. Dopo l’11 settembre gli americani avevano bisogno di risposte forti e risolutive, di parole d’ordine chiare ed inequivocabili, di uomini capaci di assumersi oneri ed onori, anche di decisioni scomode se necessario. In gioco c’era, e c’è tuttora, la sicurezza nazionale, il benessere di tutti, e la legittimità del potere politico sta proprio nella capacità di garantirli. Costi quel che costi.

È con senso di responsabilità l’amministrazione Bush, in toto, ha applicato la strategia del fine che giustifica i mezzi. E per il bene degli Stati Uniti, nel senso più strumentalmente patriottico, sono state benedette guerre e varate leggi speciali che sospendono diritti, limitano libertà e violano la privacy. Anche questa è la democrazia americana.

Ma di tutto questo non si parla sulla stampa ufficiale italiana, quella padronale, dei grandi gruppi editoriali. Vige il monopolio del silenzio. Nessun accenno, nessun giudizio, men che mai una critica, affinché notizie di questo genere rimangano sotto traccia, senza suscitare indecoroso clamore. D’altronde, anche questa è informazione.

 

 

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