Rassegna stampa 7 aprile

 

Giustizia: indulto a "effetto zero" entro la fine dell’anno

di Andrea Maria Candidi

 

Il Sole 24 Ore, 7 aprile 2008

 

Svanito l’effetto indulto le carceri tornano a riempirsi. Ed è di nuovo emergenza: secondo il ministero della Giustizia si è già raggiunta la soglia dei 52mila detenuti. Ben oltre il livello di massima capienza, con una media di 113 presenze per 100 posti. Con questo ritmo, alla fine dell’anno ci ritroveremo al punto di partenza: alla vigilia dell’approvazione della legge sull’indulto, quando le carceri scoppiavano con 60 mila reclusi. A mandare in tilt i penitenziari anche i recidivi: un terzo dei detenuti che hanno avuto lo sconto di pena (oltre 8.500) è di nuovo in ceppi. E tra le strutture più grandi, in affanno il San Vittore di Milano e Bologna Dozza.

Indulto a effetto zero entro fine anno. Secondo le cifre raccolte dal ministero della Giustizia, già oggi l’affollamento nelle carceri ha superato il livello di pareggio tra posti disponibili e numero di "ospiti", con una media di 113 detenuti presenti per 100 letti. E se il trend non si modifica, a dicembre si tornerà ai livelli pre-indulto con i 139 reclusi per 100 posti di fine 2005. Dati i numeri, il Parlamento fu quasi "costretto" a intervenire per svuotare gli istituti penitenziari al limite del collasso, approvando la contestatissima legge che, da un giorno all’altro, ha ridotto di tre anni le pene ai condannati per tutta una serie di reati.

Oltre alle polemiche di allora l’indulto ha comunque lasciato il segno. Soprattutto nei molti "scottati" in prima persona dal ritorno al crimine di chi ha beneficiato del provvedimento di clemenza. È infatti drammaticamente alto il numero di detenuti usciti dal carcere grazie alla legge del 2006 che sono immediatamente rientrati perché hanno commesso nuovi reati. Più o meno un terzo secondo le ultime stime: oltre 8.500 recidivi su poco più di 27mila condannati usciti di galera. Migliaia di ex detenuti, dunque, che non solo hanno velocemente di monticato le pessime condizioni di vivibilità appena lasciate dietro le sbarre, ma che ora sommano pena a pena. Non va infatti dimenticato che chi commette nuovamente reati nei cinque anni successivi all’applicazione dell’indulto, aggiunge alla punizione per il nuovo crimine quella che lo sconto aveva "abbuonato".

Il fenomeno dei recidivi ha un grande peso nel saldo finale. Guardando ai numeri, infatti, tra il 2006 (quando più si è fatto sentire l’effetto dell’indulto) e il 2007 le presenze negli istituti sono passate da 39.005 a 48.693. Un aumento di circa 10mila detenuti, buona parte dei quali erano da poco tornati in libertà grazie allo sconto di pena.

E, allarme sicurezza a parte, il massiccio reingresso nelle carceri spinge a una riflessione sul carattere (anche) rieducativo della pena. Come infatti dimostrato da una recente ricerca (la sintesi è riportata nell’articolo qui sotto), la qualità della condizione di detenzione vissuta non sembra scoraggiare in alcun modo la propensione a delinquere di nuovo. Cancellando così l’equazione "tanto peggiore è stata la mia esperienza, tanto più tardi vorrò ripeterla".

Costretto a dimenticarsi in fretta dell’indulto sarà invece l’esecutivo che uscirà dalle urne del 13 e 14 aprile. Svanito l’effetto svuotamento, è come se le lancette del tempo fossero tornate indietro. Con la questione della capacità delle carceri di assorbire l’esercito dei condannati che torna in primo piano, tra le priorità da affrontare.

Il Governo uscente lascia comunque traccia di qualche eredità. Con uno dei suoi programmi esecutivi di azione, infatti, il Ministero della Giustizia ha dato il via alla predisposizione di un piano triennale di interventi di risanamento e di adeguamento degli istituti penitenziari.

Presupposto di questo piano è l’indagine conoscitiva quasi completata, dicono al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - tra i vari istituti carcerari (205 in tutta Italia). L’obiettivo dell’inchiesta è quello di conoscere le condizioni strutturali e, soprattutto, gli spazi a disposizione nell’ottica del potenziamento della capienza. È un punto di partenza anche se ancora assai lontano dall’affrontare il nodo cruciale, quello cioè dell’edilizia penitenziaria. Su questo fronte aver goduto, seppure per breve tempo, dei benefici derivanti dall’indulto ha cancellato dall’agenda delle priorità il capitolo degli investimenti. Che saranno invece necessari nell’immediato futuro. Anche per non dover assistere, dopo la stagione dei condoni, anche a quella degli indulti.

Giustizia: ricerca; il "carcere duro" incrementa la recidiva

di Francesco Drago*, Roberto Galbiati**, Pietro Vertova***

 

Il Sole 24 Ore, 7 aprile 2008

 

Il carcere alimenta se stesso. E le condizioni di vita dei detenuti, generalmente in ambienti sovraffollati e in istituti di pena anche fisicamente isolati dalla società civile, non mostrano di ridurre la propensione alla recidiva. Nel senso che non costituiscono un deterrente. Neppure per i detenuti usciti nei mesi scorsi grazie alle norme sull’indulto. A confermarlo è una ricerca che indaga sulla tendenza alla recidività dei detenuti scarcerati grazie alla legge dell’estate 2006: il grado di sovraffollamento e l’isolamento dell’istituto di pena (distanza dal capoluogo di Provincia più vicino) in cui si è vissuta l’esperienza carceraria non incidono sulla propensione a delinquere di nuovo. Un risultato che pone seri interrogativi sulla funzione rieducativa della pena detentiva.

L’estensione dell’uso della pena carceraria nella maggior parte dei Paesi avanzati chiama gli scienziati sociali a un ulteriore sforzo di analisi circa gli effetti del carcere. Diversi studiosi hanno evidenziato limine contraddizioni della funzione riabilitativa e deterrente. Ad esempio, usando dati sui detenuti americani, Jesse Shapiro e Keith Chen in un lavoro pubblicato su American and Economics Review, mostrano che il carcere duro misurato dal grado di isolamento in cella aumenta la recidività.

Sul Sole 24 Ore del 23 luglio 2007 abbiamo riportato i risultati di un lavoro (pubblicato dal Center for Economie Policy and Research di Londra) che, a partire dalle caratteristiche degli ex-detenuti che hanno beneficiato dell’indulto, mostrava come una più lunga permanenza in carcere non rafforza ma indebolisce la sensibilità alla minaccia di pene future, esponendoli maggiormente alla recidiva.

In un secondo lavoro, a partire dagli stessi dati analizziamo gli effetti sulla recidività dei condannati di altre due dimensioni del carcere: le condizioni di vivibilità e il grado di isolamento. Due le variabili utilizzate: il grado di sovraffollamento carcerario e i decessi in carcere durante la permanenza.

Come indice del grado di isolamento utilizziamo invece la distanza del carcere dal capoluogo di Provincia più vicino. L’assunzione base, confermata dal fatto che presso le carceri più lontane accedono meno volontari e associazioni, è quella per cui maggiore è la distanza dai centri popolosi, più deboli sono i legami sociali tra reclusi e resto della società civile.

La strategia usata è semplice: si estrapola dai dati sui rientri in carcere nei mesi successivi all’entrata in vigore dell’indulto se i condannati che hanno trascorso la pena in una struttura con minor vivibilità abbiano commesso una maggiore o una minore recidiva. Per aggirare alcuni effetti distorsivi si è ristretta l’analisi al sotto-campione degli indultati che scontano la pena in una struttura al di fuori dalla Provincia di residenza (circa la metà del campione).

Rompendo il legame tra situazione carceraria e contesto in cui potenzialmente opera l’ex-recluso. I risultati sono i seguenti. Primo, non troviamo alcun effetto delle condizioni carcerarie sulla propensione alla recidiva. In altri termini, rendere le condizioni carcerarie più dure non facilita il reintegro sociale dei condannati.

Secondo, troviamo una relazione positiva tra grado di isolamento e propensione alla recidiva. Questo vuoi dire che più i condannati sono isolati dal resto della società, più probabilmente ricommetteranno un reato una volta usciti dal carcere. Questo risultato merita una riflessione. L’isolamento è la cifra principale del meccanismo carcerario.

Nella prospettiva dei teorici moderni, l’isolamento produce solitudine e attraverso di essa può svolgersi la "correzione morale" del condannato. In un famoso discorso del 1845 Tocqueville valutava la solitudine come uno strumento positivo di riforma: "Gettato nella solitudine, il condannato riflette. Posto solo, in presenza del suo crimine, impara ad odiarlo, e se la sua anima non è ancora rovinata dal male, è nell’isolamento che il rimorso verrà ad assalirlo".

D’altro canto, come osserva Michel Foucault in "Sorvegliare e punire", l’isolamento dei condannati garantisce che si possa esercitare su di loro un potere che non sarà bilanciato da nessun’altra influenza: la solitudine come condizione prima della sottomissione. Una sottomissione che dovrebbe portare al recupero del condannato alle regole sociali.

Eppure i nostri risultati evidenziano l’effetto opposto: quanto più il carcere è efficace nel porre i condannati in un contesto di solitudine, tanto meno lo è nel ridurne il potenziale di recidività. Il risultato dell’isolamento non sembra quindi essere la rieducazione del condannato, quanto semmai un’ulteriore mortificazione che riduce la capacità di reintegrarsi.

Questi risultati pongono seri interrogativi circa l’efficacia del carcere come strumento di rieducazione dei condannati. Come dal precedente lavoro, emerge anche da questa analisi una tendenza della prigione a creare la propria materia prima.

Per concludere, vale la pena di menzionare quanto affermava Cesare Beccaria in "Dei diritti e delle pene": "In generale il peso della pena e la conseguenza di un delitto deve essere la più efficace per gli altri e la meno dura che sia possibile per chi la soffre, perché non si può chiamare legittima società quella dove non sia principio infallibile che gli uomini si siano voluti assoggettare ai minori mali possibili".

 

*Università di Napoli Parthenope

**Università dell’Insubria e Università Bocconi

***Università di Bergamo

Giustizia: solo lo sviluppo associativo riduce la criminalità

di Paolo Buonanno* e Paolo Vanin**

 

Il Sole 24 Ore, 7 aprile 2008

 

Sepolta prima dalle montagne di rifiuti campani, poi dalla crisi di Governo e ora dalla campagna elettorale, giace l’emergenza criminalità. Un paio di mesi fa troneggiava in prima pagina: fonte di paura e di insicurezza per i cittadini, che sembravano invocare "tolleranza zero", e primo cruccio del Governo, che rispondeva all’omicidio di Giovanna Reggiani con il decreto sulle espulsioni.

Un’emergenza oggettiva, certo. Dati alla mano (il Sole 24 Ore del 5 novembre 2007), nel 2006 sono aumentati tutti i tipi di reati e in particolare borseggi e scippi (+24%), furti in abitazione (+18%) e rapine (+10%). Ma ancor di più una questione cavalcata emotivamente da politici e mezzi d’informazione, fra urla di paura e risposte forti improvvisate.

Il problema delle misure repressive d’emergenza è che pretendono di svuotare la vasca della criminalità schiacciando l’acqua con una mano. Senza sapere che poi toma al suo posto quando si toglie la mano. Senza capire che, se si vuole ottenere una riduzione permanente del crimine, bisogna analizzarne e contrastarne le cause, non basta alzare la voce.

Ma quali sono le cause del crimine? Come si può agire in modo duraturo su di esse? Senza pretendere di dare una risposta esaustiva, qui vogliamo soffermarci sull’importanza di alcuni fattori, di natura socio-culturale, che abbiamo avuto modo di studiare a fondo di recente. Partiamo da una premessa: il modo più efficace ed economico di contrastare il crimine è convincere ciascuno a non commetterlo.

La minaccia della repressione dello Stato è necessaria, la lotta agli incentivi economici a diventare criminali anche, ma per quanto perfetti possano essere lo Stato e il mercato, esisterà sempre la tentazione di infrangerne le regole e di lanciarsi su guadagni più facili e veloci.

La capacità di resistere alle tentazioni criminose, la moralità e il senso civico sono allora altrettanto importanti. O per lo meno questa sembra un’idea plausibile. Ma come si fa a essere sicuri che ci sia davvero un rapporto fra senso civico e crimine in Italia? Semplice: basta chiederlo ai dati. È quanto abbiamo fatto in una ricerca sulle determinanti dei crimini contro la proprietà nel nostro Paese ("Does social capitai reduce crime?"), i cui risultati sono di prossima pubblicazione sul Journal of Law and Economics, la più prestigiosa rivista internazionale in materia di diritto ed economia.

Abbiamo misurato diversi aspetti, più o meno collegati al senso civico, come le donazioni di sangue e le reti associative sul territorio, e li abbiamo messi in relazione ai dati sul crimine. Il risultato è chiaro: dove il senso civico e la partecipazione civica sono più alti, il crimine è più basso. Ma si tratta di una relazione di causa-effetto? Potrebbe infatti darsi che sia proprio il crimine a erodere la partecipazione civica. In tal caso i nostri risultati rifletterebbero una descrizione di causalità inversa.

Per affrontare questo problema, abbiamo sfruttato il fatto che il senso civico in Italia è molto persistente nel corso della storia. Tale fatto, messo inizialmente m luce dal politologo di Harvard Robert Putnam ("Making democracy work", trad. it. "La tradizione civica nelle regioni italiane", 1993), è stato recentemente confermato da tre dei maggiori economisti italiani, Guiso, Sapienza e Zingales ("Long Term Persistence", 2007), i quali addirittura ne fanno risalire indietro di un millennio le origini storielle. Noi ci siamo concentrati sulla storia d’Italia più recente, dall’unità al fascismo.

Su questa base abbiamo costruito una misura storica della densità associativa, che non è influenzata dai tassi di crimine recenti. E abbiamo visto che la relazione trovata in precedenza è confermata quando usiamo questa nuova misura. Conclusione: il senso civico e la presenza di una densa rete associativa sul territorio riducono i crimini in modo significativo.

Dunque l’effetto c’è, è forte, è comparabile per entità a quello delle politiche di repressione e riflette effettivamente un rapporto di causa-effetto. Che implicazioni hanno questi risultati? Almeno tre. Primo, politiche di promozione del senso civico e della partecipazione civica, se efficaci, possono avere importanti effetti di riduzione della criminalità. Secondo, alla luce della persistenza storica, da un lato non è scontato che tali politiche siano efficaci, ma dall’altro, se lo sono, esse rappresentano certamente una soluzione duratura. Terzo, a livello più generale, sembra di poter dire che nel breve periodo la battaglia contro il crimine si può vincere con la repressione, ma che nel lungo periodo la guerra alla criminalità si vince soltanto se si riesce a instaurare una cultura della legalità.

 

*Università di Bergamo

**Università di Padova

Giustizia: pensionati ladri per fame, nemici dei supermarket

 

La Repubblica, 7 aprile 2008

 

Per rubare grammi 300 di grana padano, costo euro 4.75, l’anziano con il gabardine impiega 12 minuti. Ecco, si avvicina allo scaffale. Prende in mano il pezzo di formaggio, si mette gli occhiali, legge il prezzo al chilo (13.50 euro), la scadenza, il nome del caseificio... Sembra proprio un cliente come tutti gli altri. "Fanno tenerezza, i nostri ladri pensionati", dice Stefano Lavagna, direttore dell’Iper Leclerc Conad alla periferia di Bologna.

Per portare via una busta di prosciutto o una confezione di formaggio - continua il direttore dell’Iper Leclerc Conad impiegano fra i dieci minuti e il quarto d’ora. Ecco, adesso fa la faccia un po’ arrabbiata, come se dicesse: "guarda che prezzi". Rimette il grana al suo posto. Fa un giro, va allo scaffale del parmigiano reggiano. Anche qui guarda i prezzi.

Troppo caro: 422 grammi costano 7.05 euro, 16.70 al chilo. Può sembrare strano, ma l’anziano che ha deciso di rubare sceglie quasi sempre il prodotto che costa meno, per fare meno danni al supermercato e anche permettersi in pace la coscienza. Ecco, torna al grana padano. Sempre lo stesso pezzo, ormai lo ha battezzato.

Lo prende in mano, lo tiene in bella mostra. Dieci metri dopo lo mette nella tasca del gabardine ma lo tira fuori quasi subito, lo abbandona su un altro scaffale. Pochi passi ancora e torna indietro, riprende il formaggio e lo riporta nel suo scaffale.

"Poveretti, questi poveri ladri. Ci mettono tanto tempo che li becchiamo quasi tutti". Provocano angoscia, i film a colori che raccontano i furti dei vecchi. Film che per fortuna spariscono ogni sera, quando l’ipermercato viene chiuso e le registrazioni delle tante telecamere vengono cancellate.

"Ecco, l’uomo ha trovato il coraggio. Non c’è nessuno intorno, mette il grana padano in tasca, si avvia verso la cassa. Ha comprato anche due rosette di pane, un pacco di pasta e le mele. Mentre è in fila alla cassa, si vede che ha paura. Si agita, si guarda intorno. Ma ormai è fatta. Tanti ci ripensano all’ultimo momento, tornano indietro e abbandonano la refurtiva dove capita, il salame fra le merendine e la carne fra le fette biscottate".

L’uomo arriva davanti alla cassiera, mette sul bancone le cose che vuole pagare. Ma la telecamera ha seguito l’uomo che ha rubato il grana padano e, pochi metri dopo la casa, c’è Antonella che aspetta. "È lei - dice Stefano Lavagna - che ferma gli anziani che hanno rubato.

Abbiamo messo una donna, così i ladri hanno meno paura. Ci sono cartelli che annunciano che, per tutti, dopo il pagamento alla cassa ci può essere un "controllo scontrino" e chi viene fermato non viene subito bollato come ladro dagli altri clienti". Valentina è una ragazza gentile. "Scusi, dovremmo controllare lo scontrino. Sa, a volte anche le cassiere si sbagliano.

Può seguirmi?". Poche decine di passi verso una stanza usata come infermeria. "Signore, si è dimenticato di pagare qualcosa? E qui l’anziano confessa. Tira fuori il grana o il prosciutto, chiede scusa, spesso si mette a piangere. Dice che è solo, con l’affitto e le bollette da pagare, che i figli non si fanno mai vivi. Antonella spiega che non si può rubare al supermercato, che il Conad ogni giorno manda tanti prodotti vicino alla scadenza alle mense e alle associazioni di carità che così possono distribuire alimenti e 21.000 pasti all’anno. Chi ruba per fame, se non è recidivo, non viene denunciato. Facciamo pagare ciò che è stato sottratto e spieghiamo che non sarà perdonato una seconda volta".

Il Conad di via Larga è lo stesso dove, 4 anni fa, "nonno T." andava a rubare i mandarini e, pieno di vergogna, accettava di parlarne con Repubblica. Erano quasi mosche bianche, allora, gli anziani accusati di furto. "Da allora - dice il direttore le cose sono cambiate, in peggio. I "nonni T." si sono moltiplicati. Rispetto a quattro anni fa - e il picco è stabile già da due anni - gli anziani che rubano sono aumentati del 40 - 50%".

Guardi qui, sui monitor della nostra sicurezza. I reparti dove sono si usano le telecamere più sofisticate, che permettono di seguire una persona molto da vicino, sono puntate sul reparto ortofrutta e sui cibi freschi. Sorvegliamo soprattutto il cibo perché è il prodotto più a rischio. Questo vuol dire che ci sono molte persone che, se non soffrono la fame, quantomeno non possono permettersi cibi ai quali si erano abituati. Vengono rubati infatti la busta di prosciutto crudo, la confezione con due bistecche, il formaggio per una grattugiata sulla pasta. E c’è chi mangia direttamente fra gli scaffali. In questa stagione l’uva viene spesso consumata sul posto, c’è chi svuota una confezione di merendine.

Un Iper è una città. Qui gli anziani sono di casa, al caldo d’inverno e al fresco d’estate. In gran parte per fortuna non rubano. Fanno il giro delle degustazioni. Un caffè gratis lo trovano ogni giorno, e spesso una fetta di salame o di prosciutto. Tanti ormai "vivono" qui. Chiedono ai commessi di "spegnere tutta quella musica" sugli schermi del reparto tv. "Fateci vedere invece il giro d’Italia".

C’è un buon rapporto, con loro. E io continuo a mandare messaggi, a dire che siamo qui per vendere ma possiamo dare una mano a chi abbia davvero bisogno. Noi stiamo male, quando dobbiamo chiedere a un vecchio se "ha dimenticato di pagare qualcosa". Nei loro occhi vedi il terrore: gente che ha lavorato una vita e si trova a vivere così male gli ultimi anni. Ma i ladri con tanti anni e tanta paura addosso sono aumentati e noi non possiamo spegnere le telecamere".

A Udine, nella strada che dalla città porta verso Tolmezzo, c’è la più alta concentrazione di Iper e supermercati d’Europa. "Anche qui, in quattro anni dice il tenente Fabio Pasquariello, Comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri - i furti commessi dagli anziani sono aumentati del 40%. Per affrontare il problema, ho incontrato anche i direttori e responsabili sicurezza di questi centri commerciali.

Ho spiegato che il furto semplice si persegue solo su querela, mentre chi fa danni - ad esempio strappando una confezione - può essere accusato di furto aggravato e non serve querela. Ho anche detto che, se il direttore ci chiama, noi non possiamo fare da pacieri: dobbiamo denunciare chi ha commesso il reato. Per questo tanti direttori, quando trovano l’anziano che ha rubato, si limitano a fargli pagare la merce e a dirgli di non presentarsi mai più nel supermercato. L’anziano che ha rubato per fame, quando ci vede arrivare in divisa, resta di ghiaccio. Non riesce nemmeno a parlare. Sono strani ladri, i vecchi. Rubano la confezione di tonno che costa meno, o il prosciutto cotto in offerta speciale.

Ma la fame è brutta. Noi Carabinieri vediamo la povertà anche dentro le case, quando entriamo perché ci sono stati maltrattamenti o liti. Trovi famiglie che hanno la Tv al plasma e niente in frigorifero. Gli addetti alla sicurezza dei supermercati dicono che gli anziani sono la categoria più a rischio: rubano più dei ragazzi in cerca di dvd o cd e degli extracomunitari. Secondo le mie informazioni, extracomunitari e pensionati sono alla pari, ma solo perché questa è una zona di confine e gli extracomunitari residenti e soprattutto di passaggio sono tanti. Con le bande di ladri professionisti riusciamo a ottenere successi.

Abbiamo individuato una banda di croati che organizzava viaggi in Italia e costringeva altri croati che dovevano pagare debiti agli usurai a compiere furti. Li abbiamo messi in galera. Ma contro il vecchio che quando ci vede resta quasi paralizzato, che puoi fare?".

I titolari dei supermercati in questo pezzo di Nordest, non vogliono i loro nomi sui giornali. "Ci sono anche gli anziani onesti e non vogliamo perdere clienti". Raccontano però che anche le tecniche si sono affinate. "Non solo aggiungono frutta al sacchetto già pesato: lo tengono sollevato al momento della pesata, così lo scontrino è più leggero". "Il ladro più abile? Un anziano che veniva tutte le mattine a comprare una pagnotta. Un giorno l’abbiamo fermato a addosso aveva 80 euro di cibi vari". "Nel mio piccolo market di paese, dopo trent’anni di attività, tre mesi fa ho dovuto assumere un addetto all’anti taccheggio".

"Ai vecchi noi non facciamo mettere l’acqua minerale sul bancone della cassa. La lasciano sul carrello, così non fanno sforzi. E c’è chi se ne approfitta e fra due confezioni ben strette l’una all’altra infila una busta di bresaola o di salmone".

"Il furto più piccolo? C’è una signora che quasi ogni giorno si ruba un ovetto Kinder, e non ha nipoti. L’altro giorno un anziano è stato trovato mentre rubava una cioccolata da 1,05 euro". "Ormai, quando li fermi, senti la stessa litania: non riesco ad arrivare a fine mese, ieri ho pagato la luce e sono rimasto senza soldi...". Ma ci sono anche parole commosse. "Quando li fermi, i vecchi, ti fanno stare male. Appena riescono a riprendere fiato ti chiedono solo una cosa: "per carità, non ditelo ai miei figli".

Bologna: Dozza 1° carcere affollato d’Italia, 2° San Vittore

 

Quotidiano Nazionale, 7 aprile 2008

 

Il carcere di Bologna è il più affollato d’Italia. A fine dicembre dello scorso anno, i detenuti alla Dozza erano 1.056, su 483 posti disponibili, più del doppio. L’indice di affollamento è infatti cresciuto enormemente dal 2006, anno in cui è stato varato l’indulto. I detenuti sono infatti passati da 163 ogni cento posti effettivi a 219, spropositati dunque rispetto alla media italiana di 113 su 100 nel 2007 (91 nel 2006).

A diffondere i dati dell’affollamento delle carceri é il Sole 24 Ore del lunedì, su una rielaborazione di dati del ministero della Giustizia (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria). Il dato è appunto quello dell’indice di affollamento, cioè del numero di detenuti ogni 100 posti effettivi presenti in carcere. "Stiamo raggiungendo la situazione pre-indulto. Abbiamo registrato un trend in aumento di nuovi detenuti e si sta raggiungendo una condizione di sovraffollamento critica che si riverbera sulla situazione igienica e sulla vivibilità". È quanto afferma, a margine di un incontro a Milano, il direttore del carcere San Vittore Gloria Manzelli, che ricorda come il numero di detenuti nella struttura sia arrivato a quota 1.410 su 874 posti disponibili.

L’allarme è stato lanciato anche dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Luigi Pagano che ha definito la situazione di San Vittore "grave". "Siamo tornati alla situazione pre-indulto. In Lombardia ci sono 7.800 detenuti per una capienza, nei 18 istituti regionali, di 7.000 posti - ha spiegato Pagano -. Il problema sono le case circondariali di vecchia costruzione come San Vittore, che tra l’altro ha due sezioni chiuse per lavori, e Brescia. Le nuove costruzioni, invece, come Bollate e Opera, hanno una situazione migliore e più gestibile".

Viene riportata inoltre la cifra assoluta di chi sta dietro le sbarre. Si scopre così che il penitenziario di Bologna guida la graduatoria nazionale, seguito da Milano San Vittore, Firenze Sollicciano, Santa Maria Capua Vetere e Lecce. E si scopre anche che entro la fine dell’anno l’effetto indulto potrebbe del tutto annullarsi. È molto alto infatti il numero di detenuti recidivi che dopo la scarcerazione hanno commesso nuovi reati e sono tornati "dentro". In dettaglio, sono oltre 8.500 i recidivi, su poco più di 27 mila detenuti che erano stati scarcerati, più o meno un terzo. Negli istituti penitenziari si é ormai raggiunta la soglia dei 50 mila detenuti, ed entro la fine dell’anno si potrebbe sfiorare quota 60 mila, con una media italiana di 139 detenuti ogni 100 posti effettivi, e un sovraffollamento mai visto prima.

Torino: il carcere "fotovoltaico", stop a bollette da 14 milioni

 

Vita, 7 aprile 2008

 

Non solo per l’ambiente. Il provveditore delle carceri piemontesi Aldo Fabozzi si è visto recapitare una bolletta da 14 milioni di euro per luce, gas, riscaldamento e acqua calda utilizzati negli istituti penitenziari piemontesi. Di qui la decisione di passare al fotovoltaico, risparmiando energia non rinnovabile e anche denaro.

Fotovoltaico, quindi, almeno nella maggiore delle struttura carcerarie di Torino, il penitenziario "Lorusso Cotugno", detto anche delle Vallette. Tra qualche settimana sul tetto del carcere compariranno quindi i primi pannelli solari: "É un progetto pilota - spiega Fabozzi - l’obiettivo è quello di produrre energia elettrica da soli e risparmiare sulle bollette". I finanziamenti necessari l’opera, circa 300mila euro, provengono sia dal budget annuale dello Stato per l’amministrazione degli istituti penitenziari sia dai fondi che Regione Piemonte e Provincia di Torino hanno stanziato per interventi ecocompatibili. A installare i pannelli, inoltre, saranno una decina di detenuti, che hanno frequentato un corso di formazione ad hoc. "In questo modo otteniamo un doppio risultato - commenta il provveditore - da un lato un risparmio e nello stesso tempo interveniamo per dotare i detenuti di un patrimonio spendibile in termini di occupabilità. Offre, infatti, una formazione in un settore in crescente espansione con maggiori possibilità per il loro inserimento lavorativo". E conclude: "Il mio sogno è allargare questo progetto a tutte le strutture carcerarie del Piemonte. L’abbattimento dei costi sarebbe notevole".

Firenze: il "panneggio" per comunicare attraverso le sbarre

 

Redattore Sociale, 7 aprile 2008

 

Nel carcere di Sollicciano (Firenze), la sezione maschile e quella femminile si scambiano messaggi con uno straccio. Metodo reso possibile dalla struttura circolare dell’istituto. È una delle storie di "Scommessa Italia".

Una sventolata corrisponde alla A, due alla B, tre alla C e così via. Girare lo straccio significa cancellare quanto detto, un fazzoletto fisso appeso alla sbarra è un modo per dire che si è "impegnati" e che non si vuole essere disturbati. Si chiama "panneggiare", ed è l’alfabeto creato dai detenuti nel carcere di Sollicciano in provincia di Firenze.

Un modo del tutto originale di comunicare tra la sezione maschile e quella femminile "per placare la disperazione della solitudine" dice Marta, una delle detenute, reso possibile dalla struttura del penitenziario. Il più importante carcere della Toscana infatti è il primo e unico a essere stato pensato e costruito come una prigione "aperta", di forma circolare per non rappresentare solo una fortezza punitiva, chiusa, lontana e piena di spigoli, ma come un’arena con al centro tanto verde e alle finestre panni in movimento di tutti i colori. È una delle mille storie raccolte da Scommessa Italia, progetto delle Acli nato per valorizzare le esperienze di solidarietà di cooperative, associazioni, scuole, aziende, cittadini.

Oltre le sbarre, vedendo questo spettacolo di tinte diverse, ("Il bianco è l’amicizia - spiega Mary - il verde la speranza, il nero la rabbia, l’azzurro la perduta libertà"), si percepisce e trasmette la vita e gli stati d’animo dei 700 detenuti che "sovraffollano" la struttura. Grazie all’Associazione Pantagruel Onlus, che dal 1986 è attiva con numerose attività all’interno dell’istituto per alleviare le difficoltà della detenzione, il "panneggio" ha superato le sbarre ed è arrivato nelle case della gente attraverso un giornale, dallo stesso nome, che vuole comunicare al mondo esterno la realtà carceraria.

"Il panneggiare è una cosa ignota, è vero - confida Ivana, una delle detenute - non sai chi c’è dietro quelle sbarre che muove il panno e ti dice io mi chiamo…e tu rispondi con altrettanti movimenti quante sono le sillabe del tuo nome. Dietro un pezzo di stoffa c’è qualcuno che sta come te, soffre come te e che ti dà tanta forza".

Laura invece dice: "Quando sono arrivata qui soffrivo tanto la solitudine. Un giorno mi sono incuriosita guardando i maschi di fronte sventolare questi panni. Impossibile che stessero scrollando la polvere. Allora ho cominciato a imparare e ora non mi sento mai sola".

"Sono come i segnali delle bandiere sulle navi - scrive Roberto della sezione maschile del carcere - e sono molti quelli che si fidanzano con qualcuna dell’altro semicerchio". Oltre al giornale, l’associazione è attiva con il progetto "La poesia delle bambole" in atto dal 2001, che coinvolge dieci detenute assieme a quattro operatrici esterne che con materiali naturali costruiscono delle bambole poi vendute a Firenze.

"Educare con gli asini" è invece la nuova esperienza attuata durante il 2007 per animare "il giardino degli incontri" dove le donne giocano con i loro bimbi. Gli asini vogliono essere inoltre uno strumento-ponte con l’esterno. "Stiamo pensando - racconta Giuliano Capecchi, responsabile dell’associazione - di essere presenti nel mercato di Scandicci, in alcune feste della zona e incontrare con gli asili le persone, interessarli al mondo del carcere così sconosciuto, andare nelle scuole elementari. Il tutto ruota intorno alla rivalutazione dell’asino, dei suoi significati culturali, promovendo il recupero di questo importante animale. La creazione di un circuito di asinerie sulle colline della provincia di Firenze diventerà il momento strategico del progetto".

Droghe: elezioni; Programmi "stupefacenti" e smemorati…

di Valerio Di Paola

 

www.rivistaonline.com, 7 aprile 2008

 

Nella confusione che precede il voto, tra schede mal disegnate e cordate imprenditoriali a sorpresa, non è facile individuare i punti qualificanti dei programmi dei partiti candidati alla guida del paese. Tra gli illustri scomparsi nei poco voluminosi pamphlet elettorali c’è la politica sugli stupefacenti: spesso bisogna spulciare nei blog dei singoli candidati, denuncia il Mensile Fuoriluogo, per trovarne traccia.

I partiti più vicini all’attuale governo, quello Democratico e l’Italia dei Valori, semplicemente hanno espunto dai propri programmi l’argomento: dopo aver fatto della revisione dell’attuale legge sulle droghe una promessa nella scorse elezioni, oggi Walter Veltroni non comunica ai suoi elettori cosa intende fare di milioni di consumatori di stupefacenti, più o meno occasionali, che oggi in Italia rischiano il carcere. A voler trarre comunque qualche informazione, il partito di Antonio Di Pietro propone la non eleggibilità per chi è stato condannato dalla magistratura: senza toccare la legge attuale, per essere forzatamente fuori dalla "cosa pubblica" basterà qualche spinello.

A destra la difesa della legge attuale, firmata dagli ex ministri Gianfranco Fini e Carlo Giovanardi, è scontata: "Attuazione della legge - si legge nel programma del Partito delle Libertà - e potenziamento dei presidi pubblici e privati di prevenzione e recupero dalle tossicodipendenze". Il potenziamento delle strutture private e il pagamento statale della "retta" per i tossicodipendenti condannati che scelgono di assolvere la pena in comunità invece che in carcere, occupa parte della sezione "salute" del programma, insieme alla proposta di revisione della legge Basaglia, quella che chiuse i manicomi. Quanto al carcere per i consumatori di droga, il programma del Pdl promette la costruzione di numerosi nuovi penitenziari. "Ergastolo per i grandi spacciatori", fa eco il programma de La Destra: il partito di Francesco Storace però non fornisce strumenti per distinguere il grande dal piccolo spacciatore e non si sofferma troppo sulle attività di recupero di tossicodipendenti ed emarginati. Nel programma della Lega Nord, a parte il potenziamento delle carceri e il rimpatrio immediato dei detenuti stranieri per far posto ai locali, non ci sono riferimenti alla questione stupefacenti: solo un non meglio specificato "test antidroga per tutti" tra le proposte del Carroccio.

Più a sinistra l’antiproibizionismo è come sempre un cavallo di battaglia: "Ci battiamo per la legalizzazione delle droghe leggere e per la legalizzazione delle altre", scrive Sinistra Critica, mentre il programma della Sinistra Arcobaleno indica la necessità di riformare urgentemente la legge Fini-Giovanardi "superando in una prospettiva non proibizionista la normativa vigente". Candidandosi a leader dell’opposizione a sinistra, Bertinotti ha rilasciato all’Ansa una lunga intervista sul tema, ricca di proposte innovative: un modello, se non olandese, almeno spagnolo, con la depenalizzazione netta del consumo e della coltivazione della cannabis per uso personale, e il via alla sperimentazione delle "stanze del consumo" per l’assunzione controllata d’eroina. Rivoluzione promessa da chi sa che sarà all’opposizione? Forse, se a dirlo è il presidente dell’attuale Camera dei Deputati che non ha neanche sfiorato la Fini-Giovanardi.

Droghe: allarme dei medici; mix di sostanze, diagnosi difficili

di Carla Massi

 

Il Messaggero, 7 aprile 2008

 

Venerdì, sabato e domenica si fanno di cocaina e alcol. Dal lunedì al giovedì preferiscono sedativi o oppiacei. Tre giorni con l’umore a mille, spinti dall’euforia. Quattro giorni down, tra sonni e sogni. Oppure un mix di: alcol e ansiolitici; cocaina e eroina; alcol, nicotina, caffeina e farmaci; cocaina, cannabis ed ecstasy. Le combinazioni sono infinite e, infinite, cominciano ad essere le nuove crisi di astinenza.

I medici hanno difficoltà a fare le diagnosi (la maggior parte dei pazienti confessa di aver preso una sola sostanza), si devono trovare cure alternative. Stiamo parlando di persone che assommano quattro o cinque dipendenze contemporaneamente. I vecchi manuali non sono più sufficienti.

"Nei libri sui quali abbiamo studiato - spiega Giovanni Serpelloni, responsabile del Dipartimento su sostanze d’abuso e dipendenze del Veneto - le dipendenze vengono descritte una ad una. Oggi ci troviamo a dover sedare e curare effetti opposti e confusi. Sulla base dell’esperienza quotidiana stiamo riorganizzando i protocolli di diagnosi e cura, direi che ormai è emergenza.

L’abbuffata di sostanze è una moda, ormai collaudata che ha un nome: poli abuso di sostanze. Un fenomeno sempre più frequente tra i giovanissimi. Stiamo lavorando sulle tipologie dei diversi pazienti. Confrontiamo le crisi, dividiamo i vari sintomi, analizziamo gli effetti delle cure. Ma il lavoro è lungo, nascono sempre differenti mix".

In un pronto soccorso o nello studio di un qualsiasi medico, si può presentare chi ha, contemporaneamente, il tremore, l’ansia (fino all’attacco di panico) le allucinazioni (fino al delirio), la pressione alta, i segni della mancanza di alcol. E chi, alla depressione grave, associa allucinazioni olfattive ed uditive. Sono sintesi di tragedie. Per le quali non esiste una sola medicina o una sola strategia terapeutica. Spesso una annulla l’altra, spesso il paziente non fa l’elenco completo di tutto quello che ha preso, spesso anche la nicotina in un simile cocktail, diventa un killer. Spesso non si riesce neppure a far capire a chi sta male che è un autentico tossico. E, come tale, deve chiedere aiuto. "Queste persone - aggiunge Serpelloni - non hanno la percezione di essere tossicodipendenti. Pensano, piuttosto, di poter agevolmente alternare le droghe, prenderle insieme o separate secondo i propri desideri.

Usa: costo carceri è insostenibile, via alle libertà condizionali

 

www.peacereporter.net, 7 aprile 2008

 

Tra i vari primati statunitensi c’è anche quello, confermato recentemente, di avere la più grande popolazione carceraria nel mondo: un americano adulto su cento è in prigione. Ma la crisi economica che sta contagiando il Paese potrebbe dare un inaspettato aiuto ai detenuti. Almeno otto stati Usa - secondo un’inchiesta dell’Associated Press - stanno infatti considerando misure alternative al carcere per i colpevoli di reati minori, nel tentativo di ridurre i disavanzi di bilancio risparmiando sulle spese carcerarie. Decine di migliaia di detenuti potrebbero presto uscire dalle celle.

L’esigenza di spendere meno per le carceri viene innanzitutto dalla California, alle prese con un buco di bilancio di 16 miliardi di dollari. Il governatore Arnold Schwarzenegger ha proposto di rimettere in libertà 22.000 detenuti a cui rimarrebbero da scontare meno di 20 mesi di reclusione, escludendo i colpevoli di reati violenti o a sfondo sessuale: il piano consentirebbe di risparmiare 400 milioni, in uno Stato che spende per ogni detenuto oltre 46.000 di dollari all’anno.

Altri Stati studiano idee diverse, ma sempre con lo stesso obiettivo: il Mississippi vorrebbe liberare con la condizionale gli spacciatori di droga, New Jersey, South Carolina e Vermont considerano l’ipotesi di spedire i tossicodipendenti in centri di riabilitazione, piuttosto che dietro costose sbarre. Il Rhode Island ha intenzione di introdurre sconti di pena di 12 giorni per ogni mese in cui i detenuti tengono una condotta impeccabile. "Se non troviamo un modo di gestire meglio i detenuti, saremo costretti a spendere soldi per espandere il sistema carcerario, soldi che non abbiamo", ha detto un portavoce del governatore.

Il problema dei costi carcerari per i bilanci statali era stato evidenziato nei mesi scorsi da un rapporto del Pew Center, che aveva calcolato in oltre 2,3 milioni di persone il numero di detenuti negli Usa. Una situazione che "grava su Stati a corto di fondi con costi crescenti che possono a malapena permettersi, e non ha un impatto chiaro né sui criminali recidivi né sull’insieme dei reati", scriveva il Pew Center nelle conclusioni del rapporto. In tutto, per le prigioni ogni anno i cinquanta Stati spendono 49 miliardi di dollari (senza contare il denaro spesso dall’amministrazione di Washington per le carceri federali). Venti anni fa questa cifra si fermava a 11 miliardi di dollari.

Canada: senza "scambia-siringhe" i detenuti a rischio Aids

 

Associated Press, 7 aprile 2008

 

Secondo due nuove ricerche, le prigioni canadesi contribuiscono alla diffusione dell’Aids. Infatti fino al 15% dei detenuti eroinomani e cocainomani continuano a consumare le droghe. I ricercatori del B.C. Centre for Excellence in Hiv/Aids, preoccupati dei risultati, hanno rinnovato la richiesta di sostenere i programmi delle siringhe sicure nelle carceri. La condivisione delle siringhe tra detenuti è "la ricetta per il disastro", ha dichiarato il dottor Evan Wood, che ha condotto entrambe le ricerche.

La prima, pubblicata anche on-line sul Journal of Public Health dell’Università di Oxford, ha esaminato 1.247 tossicodipendenti per via intravenosa, di cui la metà ha trascorso del tempo in prigione durante i sei anni della ricerca. Circa il 15% h ammesso di aver consumato eroina e cocaina, e di aver condiviso le siringhe. La seconda ricerca, pubblicata nella Drug and Alcohol Review, ha seguito 902 tossicodipendenti, clienti del Centro Insite. Circa un terzo è stato per qualche tempo in prigione nei due anni della ricerca, e il 5% vi ha consumato droghe. "Le persone arrestate hanno maggiori probabilità di condividere le siringhe con altri soggetti, e dunque di essere infettate dal virus dell’Hiv e dall’epatite C". Per il dottore, è urgente "espandere i programmi di riduzione del danno nelle carceri municipali, provinciali e federali del Canada".

 

 

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