Rassegna stampa 12 agosto

 

Giustizia: questa lunga estate calda delle carceri dimenticate

di Milò Bertolotto (Provincia di Genova, Assessore con delega alle Carceri)

 

La Repubblica, 12 agosto 2008

 

Era il 29 luglio 2006. Il Parlamento con un’ampia maggioranza trasversale approvò la legge 241, l’indulto. Una misura chiesta a gran voce da tutti quanti, ben conoscendo lo stato delle strutture carcerarie del nostro Paese, pensavano che fosse ineludibile un alleggerimento di quella situazione esplosiva. Anche il Pontefice Giovanni Paolo II in un discorso alle Camere riunite aveva invocato un gesto di clemenza. Sono passati due anni, siamo ancora in estate e la situazione delle carceri è immutata, quando non peggiorata.

D’estate vengono quasi del tutto sospese le attività trattamentali, il personale di polizia penitenziaria va in ferie e gli organici sono ridotti all’osso. Anche il volontariato - una risorsa preziosa - è in vacanza. Le carceri scompaiono, salvo aggiudicarsi l’onore delle prime pagine se, com’è accaduto poco tempo fa, un giovane detenuto muore inalando gas da una bomboletta, o se un altro detenuto aggredisce un agente di guardia.

Tutto sembra sopito dal caldo, dal clima di ferie, dall’indifferenza. Eppure in quelle strutture le persone detenute e gli operatori penitenziari vivono d’estate una condizione ancora più drammatica che nel resto dell’anno. La realtà è che delle carceri la politica e le istituzioni si occupano ben poco. Tema impopolare. Delle condizioni di vita e di lavoro di chi vi soggiorna (per detenzione o professione) si parla solo in rare occasioni. Un bel progetto di laboratorio teatrale, una mostra di lavori artigianali, una sfilata di moda... queste le notizie, oltre alla cronaca nera, che sembrano meritare l’attenzione dell’opinione pubblica.

Della quotidianità, delle prospettive di futuro per i detenuti, dell’applicazione delle leggi che pure ci sono e consentirebbero di diminuire i costi sociali ed economici del sistema carcerario non se ne parla. Dell’impegno delicato e sottopagato degli agenti, niente. Però si fa un gran blaterare di sicurezza! Questo governo ci sta propinando dosi da cavallo di insicurezza per poi proporre soluzioni "rassicuranti" che alimentano paura e razzismo.

Troppi immigrati? Giro di vite sulle norme e apriamo tanti bei Cpt. Scippi, furti e violenze? I militari nelle città. La gente ha paura? Basta con gli articoli 21, le misure alternative, l’art. 27 della Costituzione. I detenuti devono stare in galera e buttiamo via la chiave… a meno che non si tratti di casi particolari e privilegiati. Quando cominceremo a ragionare seriamente sul fatto che una comunità deve farsi carico anche dei soggetti più deboli e svantaggiati?

A quando le Istituzioni tutte assieme, ognuna per la sua parte, lavoreranno per favorire il reinserimento dei detenuti ammissibili alle misure alternative e migliorare le condizioni di lavoro del personale? Ormai da anni la Provincia di Genova ha avviato una serie di progetti ed interventi nelle carceri in collaborazione con il Dap e le Direzioni degli Istituti. La Provincia chiama. Governo, Regione e Comuni risponderanno?

Giustizia: Mantovano; meno benefici per reati gravi e recidivi

di Alessandro Farruggia

 

La Nazione, 12 agosto 2008

 

"Approvare l’indulto è stato un errore. E la politica dovrebbe impegnarsi a non ripetere esperienze così negative". Parla chiaro il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, che all’indulto già a suo tempo (con i colleghi di An e Lega) votò contro, a differenza di Forza Italia, dell’Udc e della maggioranza del Governo Prodi (Idv esclusa, il Pdci si astenne).

 

Nel testo del disegno di legge sulla sicurezza il Governo aveva promesso che sarebbero stati puniti "con pena aumentato da un terzo alla metà" i reati contro minorati e anziani. Ma nel testo dell’articolo 2 sono però spariti i anziani…

"La formulazione del testo, ovvero: a danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, è una dizione così ampia da comprendere gli anziani. Non è scomparsa".

 

Davanti al Parlamento il capo della polizia ha detto che in Italia "c’è una situazione di indulto quotidiano e la pena è quanto di più incerto esista": non è urgente mettervi mano, per tutelare vittime come la signora di Desio?

"I danni dell’indulto purtroppo continueranno a farsi sentire per anni: aver compreso reati fino al maggio 2006, e aver dato una estensione così ampia, lo rende applicabile per tantissimi processi pendenti. E questo è un danno irreparabile. Sul piano più generale, dopo i primi interventi sulla sicurezza dai noi ritenuti più urgenti, bisognerà intervenire sulla esecuzione della pena. Non per cancellare la legge Gozzini ma per far sì che, una volta definitiva, non sia resa virtuale da un insieme di norme sparse nel Codice Penale, di procedura penale e nell’ordinamento penitenziario. Bisogna razionalizzare. Chi gode dei riti alternativi non deve fruire di ulteriori sconti. E per i reati più gravi si potrebbe diminuire l’entità del beneficio mano a mano che aumenta la recidiva".

 

Soldati nelle città, a fronte dei vuoti nell’organico delle forze dell’ordine. E i militari non sono schierati nelle città medie e piccole….

"I militari, appena tremila, tamponano un vuoto di organico pari a 25mila unità: un primo passo, in attesa che entro l’anno si possano immettere in servizio 2000 tra poliziotti e carabinieri. E comunque il decreto sulla sicurezza urbana dà nuovi poteri ai sindaci. Dateci tempo".

Giustizia: Barbagli; i cittadini hanno ragione ad avere paura

di Mario Baudino

 

La Stampa, 12 agosto 2008

 

Dalle vite violente di alcuni, di troppi, alla nostra vita minacciata dalla violenza. Come se ci fosse un volano di enfatizzazione e paura. È davvero così o nella percezione collettiva del fenomeno si finisce fatalmente con l’esagerare?

No, i cittadini non si sbagliano, risponde il sociologo Marzio Barbagli, autorevole studioso dei problemi legati alla sicurezza e all’integrazione (fra i suoi lavori, Prevenire la criminalità, scritto con Umberto Gatti) e docente all’Università di Bologna. "In generale - spiega - il senso di insicurezza corrisponde abbastanza bene ai livelli che assume la criminalità predatoria, quella dei furti, degli scippi e delle rapine. Per non parlare del degrado. L’idea che si ingigantiscano i fatti non è vera".

 

Ma allora siamo in una situazione disperata…

"No. Se parliamo di senso di insicurezza, quella che in sociologia si chiama "fear of crime", paura del crimine, le informazioni che colpiscono maggiormente i cittadini provengono dalla loro esperienza o da quella di parenti, amici e conoscenti. In Italia un terzo delle famiglie afferma di vivere in zone molto o abbastanza insicure. Siamo vicini alla media europea. Le donne si dichiarano più insicure da giovani, mentre per i maschi è l’opposto. Gli abitanti dell’Emilia Romagna, per esempio, si sentono meno sicuri dei siciliani. Queste situazioni mutano lentamente".

 

Non risentono dei mezzi d’informazione?

"I media influenzano assai poco il "fear of crime", che si misura prima di tutto chiedendo all’intervistato se ha paura o meno a girare di notte per il suo quartiere. Sono invece importanti per il "concept about crime", cioè l’idea che ci si fa del crimine. Può variare molto in base a eventi clamorosi, che magari si addensano in pochi giorni: una serie di rapine gravi o di violenze selvagge. Per poi essere dimenticati".

 

O metabolizzati. È esagerato quindi dire che viviamo nella paura?

"Questo non si può dire. Che però la sicurezza sia un problema molto sentito è fuor di dubbio. Il governo con le ultime decisioni in proposito ha certamente interpretato una domanda effettiva".

 

Pensa all’esercito per le strade?

"Non serve quasi a nulla. È una prima risposta simbolica, ma non è efficace. Sarà più interessante vedere gli effetti dei decreti sull’immigrazione. Diciamo che il governo ci sta provando, su un terreno dove la sinistra ha sempre avuto grandi difficoltà".

Giustizia: Famiglia Cristiana; basta finti problemi di sicurezza

 

La Repubblica, 12 agosto 2008

 

"Il governo smetta di giocare ai soldatini e risponda della grave situazione economica in cui versa il paese": Famiglia Cristiana attacca il Governo, e senza prenderla larga. Secondo le anticipazioni, con l’editoriale in uscita mercoledì, la rivista dei Paolini torna a usare toni duri col governo Berlusconi, stavolta sul tema sicurezza.

"Neanche fossimo in Angola" - scrive Famiglia Cristiana a proposito dei militari in strada - e prosegue: "La verità è che il Paese da marciapiede i segni del disagio li offre (e in abbondanza) da tempo, ma la politica li toglie dai titoli di testa, sviando l’attenzione con le immagini del Presidente spazzino, l’inutile gioco dei soldatini nelle città, i finti problemi di sicurezza, la lotta al fannullone".

Il cuore della critica del settimanale cattolico è chiaro: il governo svia l’attenzione dai problemi economici in cui versa il paese inscenando un farsesco far west urbano. "C’è il rischio di provocare una guerra fra poveri, se questa battaglia non la si riconduce ai giusti termini, con serietà e senza le buffonate, che servono solo a riempire pagine di giornali".

E il giornale fornisce i dati, sottolineando che a una crescita delle imprese corrisponde una diffusione del disagio tra le famiglie: "Alla fine della settimana scorsa sono comparse le stime sul nostro prodotto interno lordo e, insieme, gli indici che misurano la salute delle imprese italiane. Il Pil è allo zero, ma le nostre imprese godono di salute strepitosa, mostrando profitti che non si registravano da decenni. L’impresa cresce, l’Italia retrocede. Mentre c’è chi accumula profitti, mangiare fuori costa il 141% in più rispetto al 2001, ma i buoni mensa sono fermi da anni".

Prosegue Famiglia Cristiana: "L’industria vola, ma sui precari e i contratti è refrattaria. La ricchezza c’è, ma per le famiglie è solo un miraggio. Un sondaggio sul tesoretto dei pensionati che sarà pubblicata su Club 3 dice che gli anziani non ce la fanno più ad aiutare i figli, o lo fanno con fatica: da risorsa sono diventati un peso". Di qui la domanda dei cattolici: "È troppo chiedere al governo di fugare il sospetto che quando governa la destra la forbice si allarga, così che i ricchi si impinguano e le famiglie si impoveriscono?"

La reazione del Governo. È Isabella Bertolini, componente del direttivo del Pdl alla Camera dei deputati a parlare: "Il colpo di calore ha fatto la propria vittima anche quest’anno. Questa volta a farne le spese Famiglia Cristiana che, con incomprensibile livore, non esita a lanciarsi in una serie di invettive contro il governo del centrodestra".

Accuse che Bertolini "scarica" sulla congiuntura, rivendicando la "liberazione" di Napoli. "Sui problemi dell’economia mondiale, che hanno inevitabili ripercussioni anche in Italia, il governo, in soli 100 giorni, non ha aumentato le tasse, ha invece abolito l’Ici, detassato gli straordinari, varato la social card, tassato banche, assicurazioni e società petrolifere, cioè i ricchi. Infine - conclude la deputata Pdl - forse la cosa più significativa: il governo ha restituito Napoli all’Italia, liberandola da quei rifiuti che ci hanno resi inaffidabili di fronte al mondo intero, con ripercussioni gravissime per l’economia".

Duro anche il ministro per l’Attuazione del programma Gianfranco Rotondi, che ha richiamato lo "stile" usato dal giornale: "usino un linguaggio cristiano, se non democristiano". E reagisce male anche Gasparri. Il presidente dei senatori del Pdl, criticato dal giornale per aver fatto il doppio gioco - chiedere un gesto forte agli atleti e al tempo stesso non prendersi alcuna vera responsabilità politica - ha dichiarato che Famiglia Cristiana è "criptocomunista": "Il settimanale è cristiano solo di nome".

Giustizia: le scelte del Pd al tempo della politica della paura

di Pierfrancesco Majorino (Capogruppo PD del Comune di Milano)

 

L’Unità, 12 agosto 2008

 

Sarà che sono fatto in modo strano ma a me le divise militari in giro per le nostre metropoli mettono profonda tristezza. Se fossi l’assessore al Turismo di Milano, poi, sarei incavolato nero: chi scende dal treno o giunge dall’aereo e si becca la visione di mimetiche e mitragliatori si domanderà in quale città è sbarcato. Detto questo è l’estate dei militari in città. E dunque amen, mi tengo la mia tristezza. Quel che invece mi preoccupa e m’indigna è la cornice ideologica nella quale sono inseriti inutili interventi del genere. È quel mix di cultura cinica e razzista di cui si fa portatore il governo. Anzi, a dirla tutta, è quel mix di culture della paura che ha contribuito a generarlo, il governo.

Così invece di confrontarsi, come si dovrebbe fare, con fermezza e lucidità su come rendere più efficace l’azione repressiva - tema che esiste, con buona pace delle sinistre più radicali - la destra gioca all’estremizzazione del sentimento dell’insicurezza e si diverte a ricercare nemici semplici, di matrice etnica, ed interventi facili.

Dunque il risultato è sotto i nostri occhi: mentre si tagliano migliaia di poliziotti (solo a Milano, laddove il Sindaco Moratti manifestò contro il governo Prodi, la bellezza di settecento) si favorisce l’odio come generatore di tranquillità. Si cacciano non più i mercanti dal tempio ma, questo sì, i credenti dalle moschee.

Si va a un millimetro dal prendere le impronte solo per i bimbi Rom e si sostiene - come viene fatto quotidianamente dai leghisti - una sorta di diversità etica e morale dei migranti rispetto a "noi" (laddove quel "noi" confesso che è, per me, spaesante: se devo scegliere tra i migranti e certi leghisti ritengo di scegliere più probabilmente i primi, anche se non votano). In altre parole si monta un orrendo clima culturale a cui non possiamo rispondere confidando nel fatto che un giorno cresca il vento di un tempo nuovo.

Noi, che siamo il partito "Democratico", se questa parola ha un senso, dobbiamo sfidare senza alcun timore, prima di tutto sul terreno dell’idea di società, questa vulgata. E dobbiamo farlo smettendola di avere timori e spiegando, prima di tutto a noi stessi, che non si può passare dal tempo in cui colpevolmente la sinistra rimuoveva il bisogno di "sicurezza" a quello nel quale solo la destra frequenta il campo delle paure promuovendo la propria idea di patria chiusa.

La società del "rancore" (a proposito: diffonderei se fossi un dirigente nazionale nei circoli del PD il saggio di Aldo Bonomi sul tema) deve vederci immersi in un bagno di piena iniziativa politica. Quello fatto della militanza di quartiere, della generazione di reti solidali e inclusive, del sostegno alle tante case della carità che in giro per l’Italia contrastano spesso da sole l’esclusione che finisce nell’illegalità, della denuncia puntuale sui ritardi del governo in relazione alle azioni di contrasto dei fenomeni criminali.

Quello che non si fa incantare dal canto delle sirene della paura e smette di ritenere che potendo scimmiottare gli altri si possa vincere questo o quel passaggio elettorale in ambito "locale". Quello, per dirla tutta, molto più faticoso dei confronti tra oligarchie su come spartirsi quattro posti in segreteria ma molto più urgente per contribuire, definendo il nostro profilo identitario senza alcuna mediazione sul tema, ad una società più giusta.

Se il PD nei prossimi mesi sceglierà questa strada porterà un contributo utile al tempo nel quale siamo e dunque anche a se stesso.

Giustizia: La Russa; militari nei cantieri contro morti bianche

di Fulvio Milone

 

La Stampa, 12 agosto 2008

 

Il ministro: è un progetto, ma l’utilizzo dell’esercito sul posto di lavoro sarà deciso solo se tutte le forze politiche saranno d’accordo La Russa: "militari anche nei cantieri, più controlli contro le morti bianche". La Cgil: faccia piuttosto applicare la legge.

Il piano è già pronto nelle gradi linee. Obiettivo, estremamente ambizioso: eliminare la piaga delle "morti bianche", 1.170 lo scorso anno. Le armi da mettere in campo: più carabinieri, e probabilmente anche i soldati per controllare con blitz a sorpresa i luoghi di lavoro.

La ricetta per spezzare questa lunga catena di morte l’ha illustrata il ministro della Difesa Ignazio La Russa che dalla Sicilia, dove si trova in vacanza, spiega come "il Governo intenda raccogliere gli appelli lanciati più volte su questo tema drammatico dal Presidente della Repubblica, al quale sottoporrò il progetto appena rientrerò a Roma".

L’Italia, come ha rilevato una settimana fa il Censis, è di gran lunga il Paese Europeo dove si muore di più sul lavoro: uno stillicidio di infortuni che, spiega La Russa, l’esecutivo "sta già contrastando con alcuni provvedi- menti". Il primo riguarda l’impiego di 60 carabinieri che in questi giorni andranno a dare manforte ai 470 (divisi in 102 nuclei) già alle dipendenze del ministero del Welfare, che di suo ha 3.500 ispettori con l’incarico di vigilare sulle norme di sicurezza. I carabinieri saranno dislocati principalmente in quattro grandi città: Milano, Roma, Palermo e Torino. Altamente specializzati, verranno affiancati dai loro colleghi "territoriali", cioè quelli normalmente impiegati per compiti di ordine pubblico e polizia giudiziaria.

Più complesso è il capitolo dedicato ai soldati, il cui impiego nella lotta agli infortuni sul lavoro è possibile solo con un provvedimento legislativo, come un disegno di legge che potrebbe essere presentato già a settembre. Su questo tema, però, il ministro La Russa si tiene sul vago: "L’utilizzo dell’esercito da affiancare all’Arma per vigilare sulla sicurezza nei luoghi di lavoro è un’ipotesi che non scarto affatto, ma che troverà concretezza solo se ci sarà il consenso unanime delle forze politiche".

Insomma, dopo il presidio nelle discariche dei rifiuti in Campania, dopo i servizi di pattugliamento accanto alle forze dell’ordine nelle città, i soldati potrebbero essere impiegati anche nei cantieri per scongiurare l’escalation delle "morti bianche". "Contribuirebbero alla sorveglianza nelle zone più calde dove partiranno grandi opere pubbliche come, ad esempio, il Ponte sullo Stretto", aggiunge La Russa.

La sortita del ministro della Difesa, però, non piace affatto a Cesare Damiano, ministro del lavoro con il Governo Prodi: "Il Governo da un lato annuncia l’invio di carabinieri e soldati nei cantieri, dall’altro riduce le tutele contenute nel Testo Unico sulla sicurezza e taglia le risorse per le ispezioni".

È aspra anche la critica del segretario confederale della Cgil Paola Agnello Modica: "Le misure annunciate da La Russa sono dì pura facciata, più che di improvvisazioni o colpi a effetto sarebbe necessario ben altro, come la piena applicazione del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro". Modica è categorica: "Se davvero l’esecutivo volesse intervenire con efficacia sul dramma delle morti bianche, dovrebbe rivedere la Finanziaria in cui ha tolto gli indici di congruità negli appalti e peggiorato le norme sugli orari di lavoro e sul precariato".

Una mano tesa a La Russa giunge invece da "Articolo 21", l’associazione che proprio in questi giorni sta organizzando una "Carovana per il lavoro sicuro" alla quale hanno aderito artisti e uomini di cultura. "Non sappiamo quanto l’annuncio del ministro sarà effettivamente realizzato - commenta il portavoce dell’organizzazione, Giuseppe Giulietti -. Ma non c’è dubbio che la sua presa di posizione ha grandissima importanza perché contribuisce a strappare il velo di silenzio, omissioni e complicità che copre la piaga delle morti bianche. Certo, non vorremmo che da una parte si inviassero ì carabinieri nei cantieri e dall’altra si indebolissero i controlli ordinari".

Nuoro: un detenuto di 45 anni suicida, sì è impiccato in cella

 

La Nuova Sardegna, 12 agosto 2008

 

Era considerato un detenuto "tranquillo", tanto che si era meritato una cella singola, dove scontava il residuo di pena, per fatti di droga. Sabato sera, tuttavia, ha voluto farla finita con la sua vita: Antonio Serra, 45 anni, muratore, nativo di Aggius, si è impiccato, lasciandosi andare con uno strattone talmente forte che è morto nel giro di pochissimi istanti. Quando lo hanno trovato gli agenti di Polizia Penitenziaria, intorno alle ore 22, ormai non c’era più nulla da fare.

L’uomo era stato visto anche pochi minuti prima che si consumasse la tragedia. Antonio Serra, comunque, avrebbe lasciato uno scritto dove spiega le ragioni del suo gesto estremo. Il messaggio autografo è ora nella mani della magistratura, che ha aperto un fascicolo sul caso. Il corpo del detenuto è stato rimosso soltanto dopo l’autorizzazione del giudice di turno e intorno alle 3 della notte è stato portato all’obitorio dell’ospedale San Francesco di Nuoro, per i necessari accertamenti necroscopici. Anche l’amministrazione penitenziaria, come sempre succede in casi come questo, ha avviato una inchiesta interna.

L’Aquila: detenuto iracheno 40enne si lascia morire per fame

 

Apcom, 12 agosto 2008

 

Ali Jubury, detenuto iracheno di 40 anni, è morto domenica all’Ospedale dell’Aquila. Riteneva ingiusta la sua condanna ad un anno e tre mesi per tentata rapina, emessa dal Tribunale di Milano e così un detenuto iracheno, prima a Vasto e poi all’Aquila, ha avviato uno sciopero della fame che in poco tempo ha debilitato il suo fisico minuto, rendendo impossibile il recupero anche quando, aiutato da personale e psicologi, è tornato sulla sua decisione di lasciarsi morire. Il corpo di Ali Juburi, 40 anni, è nell’obitorio dell’ospedale dell’Aquila. Nel capoluogo di regione era stato ricoverato il 28 maggio con un trattamento sanitario obbligatorio.

Era stato necessario. Lucido, anche se debilitato, il detenuto aveva infatti rifiutato di rimanere per farsi curare. Era stato appena trasferito dal carcere di Vasto, dove 15 giorni prima aveva cominciato a digiunare. Contadino nel suo paese, la promessa di partecipare ad un corso di giardinaggio lo aveva fatto tornare a sperare.

"Abbiamo interessato l’ambasciata per vedere se vogliono rimpatriare la salma - ha detto oggi il direttore del carcere Tullio Scarsella -. In caso contrario, sarà sepolto nel cimitero aquilano a spese dell’amministrazione penitenziaria come prevede il regolamento. Stiamo anche cercando un Imam per lo svolgimento del rito funebre secondo le loro tradizioni".

Verona: una "struttura di sostegno" per chi esce dal carcere?

 

L’Arena di Verona, 12 agosto 2008

 

Una settimana dedicata a incontri e confronti con l’amministrazione comunale, quella che si è appena conclusa per l’associazione veronese "La Fraternità", che da quarant’anni si impegna per far luce sulle problematiche legate al carcere di Montorio e per trovare loro delle soluzioni.

Tra queste l’apertura di un Centro d’ascolto davanti al carcere di Montorio e l’istituzione della figura di un "Garante dei diritti delle persone private della libertà personale", discusse con l’assessore alle politiche sociali Stefano Bertacco. Un appuntamento che in un primo momento era in agenda da un paio di mesi, Tempo sufficiente per il presidente e fondatore dell’associazione, Roberto Sandrini e fra Beppe Prioli, di aggiornare le proposte e proporle all’assessore. Due i progetti che l’associazione da anni cerca vadano in porto: manca solo il sì del Comune.

"L’incontro è nato da un colloquio informale con il sindaco Tosi", racconta fra Beppe, "domenica scorsa ero in piazza Bra con alcuni detenuti in permesso e le loro famiglie. Ho visto passare il primo cittadino e non ho esitato a fermarlo".

Così fra Beppe e il presidente dell’associazione La Fraternità, sono stati ricevuti prima dal sindaco e poi dall’assessore ai servizi sociali. E a loro hanno finalmente espresso il desiderio di dare vita al Centro d’ascolto, un progetto che è fermo da più di dieci anni.

Si tratta di una struttura pensata per offrire assistenza e un servizio di informazione non solo ai detenuti in condizione di semilibertà, ma anche a chi esce dal carcere e si ritrova privo di punti di riferimento. Offrirà aiuto anche al personale penitenziario, e soprattutto ai familiari delle persone recluse. Verrebbe realizzato appena fuori dalla casa circondariale di Montorio. Assessore e sindaco hanno stabilito un successivo incontro per approfondire l’idea de La Fraternità.

Bologna: alla Dozza torna fax per nomina avvocato difensore

 

La Repubblica, 12 agosto 2008

 

La direzione della Dozza ripristina la vecchia prassi di trasmettere al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati la nomina (e anche la revoca) del difensore scelto dal singolo detenuto. Dallo scorso 15 luglio l’operazione era diventata compito di ciascun recluso. Una procedura di difficile attuazione soprattutto nel caso di stranieri. Lo scorso 24 luglio la Camera Penale di Bologna, alla luce della nuova disposizione, era entrata in agitazione e aveva informato la Procura. E anche il pm Luigi Persico aveva scritto al direttore della Casa Circondariale sollecitando che venisse riportata in vigore una procedura che negli ultimi anni, almeno sette, aveva funzionato senza problemi.

Milano: Sappe; bene impiego detenuti in recupero ambientale

 

Comunicato stampa, 12 agosto 2008

 

Ogni iniziativa finalizzata a dare un senso alla detenzione in carcere è indubbiamente positiva. Salutiamo quindi favorevolmente l’iniziativa-progetto di recupero Patrimonio Ambientale "Ferragosto sui sentieri del parco", che si terrà nella giornata di Ferragosto, e che prevede l’impiego di circa 50 detenuti ammessi a lavoro esterno o in permesso premio per la pulizia dei sentieri che si snodano dal Santuario di Ornago a Cascina Sofia a Cavenago di Brianza.

L’iniziativa è certamente propizia per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica verso la professionalità del Corpo della Polizia Penitenziaria, fautrice nell’espletamento di quei molteplici compiti del perseguimento degli obiettivi istituzionali rimessi all’Amministrazione Penitenziaria e in particolare della tutela della sicurezza e della partecipazione al trattamento dei detenuti e degli internati che prenderanno parte all’iniziativa affidata al Personale del Gruppo Operativo Mobile in coordinamento con la Polizia penitenziaria milanese. Riteniamo che quella dell’impiego dei detenuti in lavori socialmente utili sia una strada da percorrere per dare un senso compiuto alla detenzione carceraria.

Di più, crediamo che Governo e Parlamento, alla ripresa dei lavori a settembre, debbano mettere in cantiere soluzioni legislative per potenziare maggiormente l’area penale esterna, avvalendosi di dispositivi di controllo come il braccialetto elettronico monitorati costantemente da Personale di Polizia Penitenziaria, destinandovi i detenuti con pene brevi da scontare i quali potrebbero essere impiegati in lavori socialmente utili e progetti di recupero ambientale come quello lombardo piuttosto che costringerli fisicamente in carcere. Oggi abbiamo nelle oltre 200 carceri italiane 55mila detenuti: bisogna trovare soluzioni urgenti per deflazionarle.

È il commento e l’auspicio di Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione più rappresentativa del Personale con 12mila iscritti, all’iniziativa in programma, in Lombardia, per il 15 agosto 2008.

Abbiamo recentemente espresso l’auspicio che il nuovo Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta concretizzi alcune importanti riforme strutturali per il sistema carcere che sono state messe in cantiere nel recente passato. Tra esse, particolare attenzione meritano i progetti che prevedono l’affidamento al Corpo dei controlli sulle misure alternative alla detenzione e sull’esecuzione penale esterna, impiegando i detenuti in lavori socialmente utili o di recupero ambientale (come quello previsto in Lombardia per Ferragosto) piuttosto che contenerli fisicamente in carcere con ciò aumentando l’affollamento delle strutture. Per pene brevi da scontare, potrebbe essere questa la soluzione. Per fare ciò si può ricorre anche all’adozione del braccialetto elettronico per il controllo dei detenuti, potenziando quindi l’area penale esterna e impiegando il Personale di Polizia Penitenziaria nei pertinenti controlli, inserendoli negli Uffici per l’Esecuzione penale esterna. Se n’è discusso nell’importante e riuscito convegno da noi organizzato a Bologna, con autorevoli e qualificati relatori, e nel recentissimo incontro dei Sindacati della Polizia penitenziaria con il ministro della Giustizia Angelino Alfano, che si è detto favorevole all’adozione di questo strumento di controllo elettronico. In questi casi, il titolare del Dicastero della Giustizia Angelino Alfano potrebbe indicare alla Magistratura di percorrere questa strada in sede di condanna per pene di breve durata piuttosto della contenzione fisica in carcere.

Il Sappe auspica infine che il ministro Alfano incontri quanto prima il Ministro dell’Interno Roberto Maroni per arrivare a definire quel decreto interministeriale Interno e Giustizia, incomprensibilmente sospeso, finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe). Ci sono già stati diversi incontri tra Amministrazione penitenziaria e Sindacati del Corpo per definire il ruolo della Polizia penitenziaria negli Uffici per l’esecuzione penale esterna, e cioè svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova. Non sappiamo perché quel decreto sia stato sospeso, ma è necessario porlo tra le priorità di intervento sul sistema carcerario del Paese. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno e sull’adozione del braccialetto elettronico, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene.

È urgente intervenire presto conclude Capece perché la situazione penitenziaria del Paese sta raggiungendo livelli davvero allarmanti, con 55mila detenuti presenti a fronte di circa 42mila posti a disposizione.

Volterra: quasi 200 persone a cena di beneficenza nel carcere

 

Il Tirreno, 12 agosto 2008

 

Galeotti furono quei paccheri con ragù di carni bianche. Vietato fotografare, oppure riprendere l’orchestra di bontà servite a tavola dai detenuti del carcere di Volterra: prima di addentrarsi nei meandri dell’imponente Maschio ognuno lascia gli effetti personali all’ingresso. Poi il metal detector ad assicurare quelle suggestioni dietro le sbarre contro qualsiasi occhio elettronico indiscreto.

Così prende il via il quarto appuntamento per le cene solidali a cura dei detenuti, diretto dal maestro-chef Fabrizio Innocenti del ristorante fiorentino "Grand Hotel Incanto". Quasi duecento commensali gustano piatti d’autore ed emozioni medievali all’ombra del torrione, nel cortile esterno. Di bianco e nero vestiti i carcerati servono e si raccontano.

Un antipasto di crema di melone, panzanella con anelli di cipolla rossa in crema di tempure: i piatti arrivano. Così come le storie e i sorrisi di tutti quei volti, solitamente all’ombra di reati vecchi e nuovi. Una parola, una battuta: le telecamere della tv satellitare Al Jazeera riprendono il convivio by night.

Così fa la troupe del Tg1: le cene galeotte sono un evento. Un momento di apertura che il carcere da verso l’esterno che continuerà, ogni mese fino a dicembre, progetto a scopo benefico organizzato da Unicoop Firenze, ministero di Giustizia e Casa circondariale. Ventisette i carcerati impegnati nell’organizzazione della serata e nella preparazione del menù. Dopo l’aperitivo, i partecipanti potranno degustare i piatti preparati dai detenuti e i vini serviti dai sommelier Fisar nel cortile del carcere sotto le mura del Maschio di Volterra. L’incasso è stato donato all’Arci per progetti a favore del Libano.

Livorno: danza in carcere, per una sfida ai pregiudizi razziali

 

Il Tirreno, 12 agosto 2008

 

Due opposti che si incontrano, il mondo della danza entra in contatto con quello del carcere, e così nasce "Io non sono razzista ma però", lo spettacolo organizzato dall’Arci solidarietà che sabato sera ha animato il palco di Piazza del Luogo Pio, dove una folta cornice di pubblico si è fermata a seguire i passi di un’opera che scomoda il tema del razzismo, portando un contributo in merito al rapporto che Livorno ha con chi viene da fuori.

Marco Solimano, presidente dell’Arci Livorno, apre il sipario leggendo un passo del Manifesto della Razza, che un gruppo di scienziati fascisti scrisse nel 1938 e poi il regime utilizzò come base teorica per le leggi razziali. Da lì si prende spunto per tracciare un filo storico fino al ricordo dei quattro bambini rom morti a Livorno nell’estate del 2007.

È a loro che si dedica lo spettacolo, è in nome loro che il corpo di danza dell’Atelier delle Arti ha incontrato un gruppo di detenuti, membri della compagnia teatrale della Casa Circondariale di Livorno. L’eleganza teatrale cede il passo alla crudezza dei linguaggi, per narrare una storia ispirata allo scheletro di "Edipo a Colono", la tragedia di Sofocle centrata sul tema dell’accoglienza dello straniero: un vecchio cieco arriva nella piazza del mercato di Atene dopo essere stato bandito dalla sua città ed aver vagato a lungo, scatenando tra i cittadini una discussione sull’opportunità di dargli asilo, nonostante i rischi che ciò comporta.

Sulla piazza del mercato cittadino, Edipo, un cittadino rumeno ricercato nel suo paese, vive tutta la sua parabola, incrociando la voce in apparenza accogliente delle istituzioni con quella ostile dei cittadini, e la curiosità nasce da un’inversione delle parti, "perché in questo spettacolo - spiega il regista Alessio Traversi - i detenuti, molti dei quali di origine estera, fanno la parte dei cittadini, mentre le danzatrici indossano i panni dello straniero". E così le ballerine inscenano il ballo dei lavavetri, quello dei mendicanti, e poi si fanno carico del corpo di Edipo, che dopo aver incontrato il rifiuto della città, lascia la piazza e anche la vita, "perché è meglio morire che vivere come un morto".

Uno striscione con i nomi di Mengi, Eva, Danchili e Leonuca chiude lo show nel segno dei quattro bambini morti un anno fa: "A loro come ricordo - dice Marco Solimano - e come impegno, perché dopo quel fatto la città ha mostrato la sua fragilità intorno al tema dei processi migratori". Maurzio Quintero, un detenuto colombiano che ha recitato nello show, dice invece: "Il carcere è un posto brutto, ma ci si trova gente normale, che lavora, studia e fa tante attività. Questo evento serve per lanciare un piccolo messaggio all’esterno, per dire che anche noi abbiamo un cuore".

L’Aquila: Ottaviano Del Turco arrivato agli arresti domiciliari

 

Prima, 12 agosto 2008

 

Ottaviano Del Turco è uscito dopo 28 giorni dal carcere di Sulmona. Scortato dagli agenti di polizia penitenziaria, ha varcato a piedi il cancello della struttura. Con il viso sorridente ha detto: "Sono stato trattato benissimo, bellissimo prologo che attende il processo". Alla richiesta sulle sue condizioni di salute, ha risposto: "Sono in grande forma e torno a Collelongo. Beato chi è nato a Collelongo...".

È salito sulla Volvo del figlio Guido sedendosi al fianco del conducente. Dietro la convivente, che dopo avergli stretto le mani lo ha baciato. Destinazione Collelongo. Il gip del Tribunale di Pescara, Maria Michela Di Fine, ha firmato l’ordinanza con la quale infatti dispone la fine degli arresti in carcere per Del Turco e per gli altri arrestati il 14 luglio nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte tangenti nella sanità abruzzese.

Per Del Turco è stata disposta la misura degli arresti domiciliari a Collelongo (L’Aquila), dove il governatore ha la sua casa. Oltre a Del Turco la misura degli arresti domiciliari è stata concessa a Lamberto Quarta (ex segretario generale presso la presidenza della Regione Abruzzo), Camillo Cesarone (ex capogruppo del Pd in consiglio regionale, Gianluca Zelli (ex presidente della società Humangest) e Luigi Conga (ex direttore generale della Asl di Chieti).

Per Angelo Bucciarelli - segretario dell’ex assessore alla sanità Bernardo Mazzocca - che si trovava agli arresti domiciliari, il gip ha disposto l’obbligo di dimora a Vasto. A Giancarlo Masciarelli, che si trovava agli arresti domiciliari, il gip ha respinto la richiesta dell’obbligo di dimora e dunque resta ai domiciliari; respinta anche la richiesta dell’ex assessore alla sanità, Mazzocca, di rimessa in libertà (nei suoi confronti resta in vigore la misura dell’obbligo di dimora nel suo paese, Caramanico).

Torna libero infine l’ex direttore generale dell’Agenzia sanitaria Di Stanislao. Resta ai domiciliari l’ex assessore di centrodestra Vito Domenici, l’unico che ha fatto ricorso, perdendolo, al Tribunale del riesame dell’Aquila. "Finalmente giunge una buona notizia e un atto di ragionevolezza sul caso Del Turco, con la sua scarcerazione.

Al di là del merito della vicenda, avevo considerato preoccupante e grave la scelta di arrestare Ottaviano Del Turco e addirittura, nei primi giorni, di imporgli un regime di isolamento", lo afferma Daniele Capezzone, Pdl, portavoce di Forza Italia.

Diritti: prostituta fermata e abbandonata stesa sul pavimento

 

La Repubblica, 12 agosto 2008

 

Arrabbiata, spaventata e infine esausta. Rannicchiata a terra, mezza nuda, con il corpo sporco di polvere sul pavimento di una cella dei vigili urbani. Lei è una lucciola, una giovane ragazza nigeriana fermata venerdì notte sulla via Emilia Ovest dalla polizia municipale di Parma, la città che ha lanciato la crociata sulla sicurezza dei sindaci sceriffi. Primo comandamento: lotta alla prostituzione.

A differenza delle sue colleghe, che hanno subito la trafila dell’identificazione in silenzio, ha reagito all’arrivo della pattuglia con pugni, calci, morsi, spaccando quello che poteva dentro la macchina di servizio che l’ha portata in centrale, dove ha cominciato a urlare e a piangere. Pare, secondo la versione dei vigili, che tenesse la reazione del suo sfruttatore: "Se perdo una serata si incavola".

Poi, rinchiusa nella cella di guardiola si è rannicchiata sul cemento, senza più forze. Lì è rimasta, per almeno mezz’ora. La scena si è consumata sotto gli occhi di fotografi e giornalisti, invitati a seguire il secondo blitz anti-prostituzione in tre giorni. Bilancio dell’operazione: dieci multe da cinquanta euro, due ai clienti e otto alle prostitute.

La fotografia del suo "abbandono", pubblicata sul sito di Repubblica, ha scatenato l’indignazione dei lettori e delle organizzazioni di volontariato che parlano di dignità calpestata e si scagliano contro i sindaci sceriffi, "colpevoli" di una nuova caccia alle streghe, cominciata con la Carta sulla sicurezza e proseguita con le ordinanze (applicate o solo annunciate) di molte città del nord.

L’assessore alla sicurezza Costammo Monteverdi, minaccia querele "per la foto rubata" e spiega: "Non c’è stata alcuna violenza, tutto si è svolto nel rispetto dei diritti delle persone fermate". E dire che lui stesso, presente ai controlli, si era detto perplesso su questo tipo d’interventi: "Non colpiscono lo sfruttamento". Resta quell’immagine. Da inchiesta interna. "Una donna che ha una sola colpa - commenta Carla Corso, leader storica delle prostitute - essere una indesiderata, un’emarginata, una donna che forse è vittima di una tratta e che cerca di vivere o sopravvivere con il proprio corpo".

"Le retate anti-prostituzione fanno impazzire le lucciole che scappano da una città all’altra o da un quartiere all’altro in cerca di un clima più tollerante. Trovo vergognoso quel corpo abbandonato a terra in un comando di polizia municipale. Trovo vergognoso che i nostri poliziotti, carabinieri e vigili controllino gli immigrati senza informarli dei loro diritti e che si scambi la prostituzione per un problema di sicurezza".

Marco Bufo, coordinatore dell’associazione "On the road", si dice preoccupato: "Siamo scettici nei confronti delle ordinanze dei sindaci e delle retate. Le forze dell’ordine dovrebbero essere inviate in strada non a fare multe, ma a capire i meccanismi di certi fenomeni, dovrebbero essere preparate per leggere i segnali, capire se di fronte hanno donne vittime dello sfruttamento o meno. Servirebbero soluzioni pragmatiche, ad esempio zone in cui la prostituzione possa avvenire alla luce del sole, invece di alimentare la percezione d’insicurezza dei cittadini". di alimentare la percezione d’insicurezza dei cittadini".

Immigrazione: da Ue dubbi su allontanamento dei comunitari

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 12 agosto 2008

 

In ballo ci sono gli allontanamenti dall’Italia di molti rom. Ma anche quelli dei cittadini comunitari ritenuti pericolosi per motivi di pubblica sicurezza. Soltanto a Roma, da novembre, ce ne sono stati circa 800, decisi dal prefetto Carlo Mosca.

Per ora è all’esame dell’Unione europea il decreto legislativo che rivede la disciplina della circolazione dei cittadini Ue in Italia e rende più severa la normativa italiana. A settembre ci sarà il responso. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, con una procedura imprevista e inusuale, ha proposto nell’ultimo Consiglio dei ministri, prima della pausa estiva, di mandare a Bruxelles un testo che poteva entrare subito in vigore con l’ok definitivo, a questo punto sospeso, del Governo. Adesso si attende. Non senza qualche timore.

Perché molti scommettono sulla probabilità che arrivino rilievi e censure europee. La scelta del ministro dell’Interno, in ogni caso, è stata fatta - stando alle fonti ufficiali - proprio per conoscere e rifarsi alle eventuali osservazioni. Concordata con l’opposizione, è una mossa politica intesa anche a sfatare l’idea che l’Esecutivo italiano sia in contrapposizione con l’Ue. Resta che la procedura anomala riflette la consapevolezza che in alcune parti quel decreto sia andato oltre la direttiva Ue del 2004 sulla libera circolazione.

Maroni ha mandato al vaglio dell’Unione anche gli schemi dei decreti legislativi sul diritto d’asilo e i ricongiungimenti familiari. Questi due provvedimenti, però, sono considerati quasi inattaccabili sotto il profilo del rispetto delle norme europee, vista la formulazione finale.

Più a rischio, invece, è il decreto "in attuazione della direttiva 2004/38/Ce relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri". Un testo che modifica il decreto n. 30 del 6 febbraio 2007, approvato dal precedente ministro, Giuliano Amato. H decreto Maroni, come recita la relazione illustrativa, è stato emanato per "ottimizzare il monitoraggio della presenza del cittadino dell’Unione e dei suoi familiari sul territorio e - sottolinea il testo - mira a rendere più efficaci le misure di allontanamento nei confronti di quei comunitari che abusano

del diritto di soggiorno". Il riferimento velato è soprattutto a cittadini dell’Est, come i rumeni o i bulgari, tra i quali a volte si ritrovano i criminali protagonisti dei cosiddetti "reati predatori". None un caso, insomma, se l’ultimo incontro tra il premier Silvio Berlusconi e il collega rumeno Traian Basescu è finito tra sorrisi di circostanza e frecciate: "I cittadini rumeni sono cittadini europei e come tali vanno trattati" ha polemizzato Basescu, con riferimento ai rom.

Il decreto stabilisce "per motivi di ordine e sicurezza pubblica" l’obbligo, per ogni cittadino comunitario entrato in Italia, entro i dieci giorni successivi ai primi tre mesi di soggiorno, di iscriversi all’anagrafe. Una "carta di soggiorno" è imposta, poi, ai familiari extracomunitari di cittadini Ue.

Al ministero sanno che su queste norme i tecnici della Ue nutrono forti dubbi. Anche perché la mancata iscrizione viene considerata "motivo imperativo di pubblica sicurezza" in grado di far scattare il provvedimento di allontanamento con il divieto di reingresso. Un divieto espressamente negato dalla direttiva Ue nel caso di semplice allontanamento per mancanza di mezzi di sussistenza. Non senza critiche, poi, potrebbe essere la modifica al decreto Amato, dove stabiliva che il cittadino Ue ha diritto a soggiornare oltre i tre mesi "se dispone per se stesso e i propri familiari di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato durante il periodo di soggiorno" oltre ad avere un’assicurazione sanitaria. La nuova norma stabilisce il requisito delle "risorse economiche sufficienti, derivanti da attività dimostrabili come lecite".

Un’altra indicazione dello schema di decreto legislativo considerata a rischio è quella stabilita dalla lettera i) del primo dei due articoli del decreto. Si prevede che, in caso di "ostacoli tecnici all’esecuzione di un allontanamento o di difficoltà nell’identificazione, il destinatario del provvedimento è trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione (Cie". È un trattamento, in sostanza, applicato finora solo gli extracomunitari. Senza dimenticare che il testo, invocando "il principio di parità di trattamento con il cittadino italiano", introduce l’obbligo delle impronte digitali sulla carta d’identità dei cittadini comunitari.

Droghe: Barra (Cri); momento critico per i tossicodipendenti

 

Notiziario Aduc, 12 agosto 2008

 

"D’estate così come nei periodi di festa i tossicomani rischiano di più l’overdose". Lo afferma in una nota Massimo Barra, presidente nazionale della Croce Rossa Italiana e fondatore di Villa Maraini, lanciando l’appello di non lasciare soli i tossicodipendenti durante i periodi di vacanza. "Alla droga si aggiunge la solitudine, amplificata per coloro che non conoscono ferie e vivono ai margini di una società che ad agosto chiude e va in vacanza".

"Inoltre in estate il mercato della droga si restringe mentre cresce la possibilità che l’eroina venga tagliata da mani poco esperte con sostanze pericolose o con variazioni della purezza. Ma non basta. Bisogna infatti tener presente che non è solo l’eroina ad uccidere: chi sta male nella propria pelle, nei giorni di festa sente di più il suo malessere ed è più disponibile al suicidio. Alcune overdosi sono infatti dei suicidi mascherati".

"Di qui il nostro appello ai familiari a vigilare. Non lasciate soli i vostri familiari o partner tossici. Tenete sempre a disposizione delle fiale di Naloxone, disponibili in farmacia senza ricetta medica, da iniettare in caso di overdose di eroina. Assicuratevi che il vostro congiunto sia seguito da una struttura: chi si cura rischia di morire più raramente di chi è privo di un rapporto terapeutico. Chiamatelo al telefono una semplice telefonata può salvare una vita".

Droghe: De Corato (An); Milano è la capitale dello spaccio…

 

Notiziario Aduc, 12 agosto 2008

 

"La droga è ormai la più grave emergenza a Milano in termini di sicurezza. E il fatto di sangue del Parco Solari, su cui hanno positivamente indagato i Carabinieri, è esemplare, con spacciatori che si sentono padroni del territorio e spedizioni punitive contro chi mette a rischio i loro traffici. Per non parlare della morte della signora di Desio causata dall’assurda violenza di due tossicodipendenti. E delle aggressioni da parte dei pusher ai Blue Berets in via Padova che oggi per fortuna, grazie all’arrivo dei militari, sono solo un ricordo, ma fino poche settimane fa erano realtà. E sono solo di venerdì scorso le due maxi-operazioni anti-droga che hanno portato alla luce traffici illeciti nelle zone della movida".

Così il Vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo De Corato a commento dell’arresto condotto dai Carabinieri dello spacciatore responsabile dell’imboscata al cittadino del Ghana. "Che Milano sia una delle capitali internazionali della droga non lo dicono più solo dati e statistiche, ma continue indagini delle Forze dell’Ordine e gravi fatti di cronaca. E il Comune di Milano, per quanto sarà possibile, studierà ordinanze ad hoc secondo quanto disposto dal decreto sicurezza appena firmato dal Ministro Maroni. Provvedimenti che siano in grado di contrastare spaccio e consumo, supportando l’attività investigativa delle Forze dell’ordine. Ricordo, infatti, che il traffico di stupefacenti va combattuto all’origine, oltre che sul territorio. E nessuna ordinanza comunale, per quanto efficace, potrà sostituire l’azione d’indagine della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza che ci auguriamo prosegua su questa linea. Per frenare il fiume di droga che, implacabile, continua a scorrere su Milano, portando violenza, degrado e criminalità".

Stati Uniti: protestano fan; troppi privilegi al killer di Lennon

 

Ansa, 12 agosto 2008

 

Ha suscitato scalpore tra i fan dei Beatles negli Stati Uniti la notizia, pubblicata da un tabloid di New York, secondo cui Mark David Chapman, l’assassino di John Lennon, pur essendo in carcere ha la possibilità da almeno 16 anni, sulla base di uno specifico programma di recupero, di intrattenere relazioni coniugali con sua moglie, Gloria Hiroko Chapman.

Chapman gode di un trattamento penitenziario particolare: ha diritto a stare 44 ore consecutive all’anno in una struttura confortevole che assomiglia a un appartamento messagli a disposizione dal carcere, senza telecamere o altre misure di sorveglianza. Il complesso residenziale per detenuti è all’interno di un’area recintata. Qui la signora Chapman, che risiede alle Hawaii, può far visita al marito e questo avviene una volta l’anno dal 1992.

Sono passati più di 27 anni dalla sera dell’8 dicembre 1980, quando Chapman sparò quattro colpi di pistola uccidendo John Lennon sul marciapiede davanti al Dakota, la residenza dell’artista di fronte al Central Park. Chapman ha chiesto per la quinta volta la libertà vigilata per buona condotta. Yoko Ono, vedova di Lennon, è contraria. "Ho paura che Chapman riporti il caos, la confusione e l’incubo - scrisse a suo tempo in una lettera indirizzata ai giudici - Io e i figli di John non ci sentiremmo più sicuri per il resto della nostra vita". Chapman ha avuto una condotta impeccabile dal 1994.

 

 

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