Rassegna stampa 13 agosto

 

Giustizia: il coprifuoco delle idee per l’Italia "da marciapiede"

di Giovanni Valentini

 

La Repubblica, 13 agosto 2008

 

Torni in Italia da qualche giorno di vacanza all’estero e ti viene subito da chiedere: sono tuttora ammessi nel nostro beneamato Paese il dissenso, il diritto d’opinione e di critica? Oppure è stata instaurata la censura o è scattato il coprifuoco delle idee e delle parole?

È una preoccupante manifestazione d’intolleranza quella con cui ministri e parlamentari del centrodestra hanno reagito malamente all’editoriale di Famiglia Cristiana - intitolato "Il presidente spazzino nel paese da marciapiede" - che criticava di nuovo il governo sul trattamento riservato ai poveri e sull’impiego dei soldati nelle strade delle nostre città.

E colpisce che l’episodio sia stato ignorato o trascurato ieri da molti quotidiani, mentre è destinato certamente a riscuotere un’audience maggiore l’articolo del settimanale americano Newsweek che accredita addirittura "un miracolo" al governo Berlusconi per aver messo ordine in un Paese ingovernabile: o sarebbe meglio dire un mezzo miracolo, visto che secondo lo stesso servizio ciò che gli italiani chiedono e aspettano ancora è la stabilità economica.

Può essere più o meno fondato allora l’attacco del giornale cattolico, il settimo in cento giorni di governo, ma le repliche appaiono francamente indecorose. Piuttosto che rispondere nel merito, come pure sarebbe loro diritto e loro dovere, i corifei della maggioranza non resistono alla tentazione d’intonare il salmo del pregiudizio ideologico, tacciando il giornale dei Paolini - già molto severo in passato anche con il centrosinistra - di pericolose tendenze socialiste, come se questo fosse un delitto; o addirittura di "cripto comunismo", com’è arrivato a dire il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, nella sua ossessione manichea. Anche chi comunista non è mai stato, può misurare così la faziosità e la strumentalizzazione di questa polemica di mezza estate.

Avrà pure esagerato Famiglia Cristiana, definendo "buffonate" quelle del premier con la ramazza in mano a Napoli e stigmatizzando "l’inutile gioco dei soldatini nelle città", fatto sta che - piaccia o non piaccia ai signori del governo - perfino questo rientra nei confini legittimi della libertà di stampa in un regime democratico. E per quanto possano sorprendere sulle pagine di un giornale cattolico, sono giudizi condivisibili e anzi largamente condivisi nell’opinione pubblica nazionale, nonostante il superficiale e generoso trionfalismo di Newsweek. Operazioni d’immagine o di facciata, utili per fare propaganda ed esportare fumo "made in Italy" anche Oltreoceano, non certo per risolvere definitivamente la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti o la lotta alla criminalità, come dimostrano purtroppo gli ultimi dati: una cosa è aumentare effettivamente la sicurezza, un’altra è ridurre la "percezione" del problema da parte della gente.

In tono apparentemente più pacato, il pio ministro Gianfranco Rotondi si arroga il diritto di giudicare il prossimo rimproverando al settimanale paolino un linguaggio "non cristiano": e cioè, in buona sostanza, di non usare mezzi termini o mezze misure; di non esercitare le virtù della moderazione e della temperanza; di non praticare, insomma, l’ipocrisia del cerchiobottismo o magari la "doppia morale" a cui sono devoti tanti esponenti del centrodestra. Ma non fu proprio Cristo, di fronte allo scempio consumato sotto gli occhi di tutti, a cacciare i mercanti dal tempio? E non spetta forse ai cattolici il dovere della testimonianza, il dovere di denunciare con forza le ingiustizie, le violenze, gli abusi e i soprusi, tanto più quando sono commessi dai poteri costituiti?

La verità è che, sull’onda di questa campagna mediatica che scavalca perfino l’Atlantico, nella società italiana si va rapidamente sgretolando il senso della solidarietà e della responsabilità. Con un governo fondato ufficialmente sulla tv, e ormai da ben quindici anni a questa parte, non c’è poi tanto da meravigliarsi che la maggior parte dei ragazzi aspirino a fare i calciatori e delle ragazze a diventare veline. I valori o disvalori proposti da questa dottrina sono quelli del consumismo esasperato, dell’individualismo, dell’edonismo, dell’affarismo e dell’arrivismo. E chi non si integra, rischia la scomunica come Famiglia Cristiana; oppure di essere bollato come socialista e criptocomunista.

Ne è purtroppo un esempio e una conseguenza diretta l’esplosione di creatività repressiva innescata negli ultimi giorni dai sindaci italiani, da un capo all’altro della Penisola. In forza di un aumento e decentramento dei poteri, all’insegna della Pulizia e della Sicurezza, a colpi di ramazza e di moschetto, c’è quello pugliese di Adelfia che vuole espellere dal suo Comune poveri, accattoni, prostitute, immigrati e malavitosi, per contrastare la faida dei clan; quello di Roma che vorrebbe vietare di rovistare nei cassonetti della spazzatura; quello di Genova che proibisce di passeggiare nei carruggi del centro storico con una bottiglia o lattina di bevande alcoliche in mano; quello di Novara che interdice la sosta a più di due persone nei parchi e nei giardini pubblici; e naturalmente, tutti quelli che vogliono multare i clienti affezionati delle "lucciole". Un bailamme di ordinanze che minaccia d’instaurare una legge speciale per ogni campanile, per cui occorrerà prima o poi un Testo Unico o un Codice delle norme locali per andare da una città all’altra e regolarsi di conseguenza.

E mentre tutto questo accade, l’opposizione si arrabatta a invocare il dialogo con la maggioranza da una parte e a promuovere nel contempo una petizione contro il governo dall’altra. L’Italia non sarà un "Paese da marciapiede", come predica Famiglia Cristiana, ma è certo che si trova già in mezzo a una strada. In attesa dei miracoli, forse basterebbe qualche opera buona.

Giustizia: detenuto morto per fame, i commenti e le polemiche

 

Il Centro, 13 agosto 2008

 

Si lascia morire facendo lo sciopero della fame, perché ritiene la sua condanna a un anno e tre mesi, emessa dal tribunale di Milano per tentata rapina, "un’ingiustizia". Il pesante "testamento" lo lascia un detenuto iracheno, di 40 anni, Alì Jubury, dal carcere Le Costarelle dell’Aquila, dove era stato trasferito il 20 maggio scorso dalla Casa Circondariale Torre Sinello di Vasto e dove, appunto, aveva cominciato lo sciopero della fame.

Alì Jubury è morto domenica mattina, nel reparto di psichiatria dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, dove era ricoverato dal 28 maggio scorso. "Lo avevano trasferito nel nostro istituto di pena", dice il direttore del carcere Le Costarelle, Tullio Scarsella, "perché lo sciopero della fame aveva ridotto il povero Ali in uno stato di debilitazione abbastanza grave. Da noi c’è un’ottima assistenza medica e, infatti, lo abbiamo sottoposto a cure intensive da subito. Ma dopo una settimana siamo stati costretti a richiedere il Tso (Trattamento sanitario obbligatorio), perché nonostante i colloqui con i nostri psicologi, nonostante gli parlassi anch’io molto spesso, lui prima si convinceva, poi rifiutava il cibo e aveva cominciato anche a staccarsi le flebo. A quel punto sono stato costretto a rivolgermi alle strutture della Asl".

"Devo sottolineare che siamo stati in contatto giornaliero con l’ospedale aquilano e gli operatori sanitari, e dobbiamo essere orgogliosi per le forze e il tempo speso per una persona che può essere definita, con tutto il rispetto, un "povero Cristo". Ali aveva soltanto la madre, in Iraq, ed è irrintracciabile telefonicamente", conclude il direttore Scarsella, "come ci ha detto l’ambasciata irachena a Roma, e quindi non sappiamo neppure dove seppellirlo".

"In ospedale ha ricevuto tutte le cure possibili, ma era molto debilitato, era anoressico e continuava a rifiutare il cibo. Una persona si può alimentare con flebo, sondini gastrici, come è stato fatto, ma, soprattutto su un paziente già molto provato e con il fisico così debilitato, non è la stessa cosa come ingerire cibo per bocca", sostiene il direttore generale della Asl dell’Aquila, Roberto Marzetti.

"Lo abbiamo ricoverato in psichiatria, poi in rianimazione e ci sono stati dei sensibili miglioramenti; poi in pneumologia, in lungodegenza post-acuzie. Sembrava si stesse riprendendo, invece, come mi hanno riferito i medici, nella notte tra sabato e domenica ha avuto una crisi e il povero Ali non ce l’ha fatta. Era diventato il beniamino dell’ospedale e tutti facevano il "tifo" per lui. Avevamo chiesto anche al giudice il permesso di farlo assistere 24 ore su 24 da volontari: hanno risposto in diciotto e il giudice ha dato l’assenso". Ali Jubury avrebbe finito di scontare la pena tra sei mesi.

 

Giulio Petrilli (Rc): istituire un Garante

 

"Dobbiamo tutti interrogarci sulla morte di un giovane detenuto iracheno, Alì Jubury, ricoverato nell’ospedale dell’Aquila e in sciopero della fame da due mesi, per denunciare la sua spropositata condanna e l’incredibile ingiustizia nel non vedersi concessa la libertà condizionale, che da incensurato e per il furto di un telefonino e dopo dieci mesi di carcere gli è stata negata. Lui che veniva dalla guerra, dai disastri che essa aveva provocato e provoca".

Ad intervenire è l’esponente di Rifondazione comunista ed ex segretario del partito Giulio Petrilli.

"Questa morte osserva - deve farci riflettere su due drammi molto simili, che si avvicinano e si congiungono: il carcere e la guerra. Sì è così entrambi possono distruggere la personalità di un individuo. Ali , le ha vissute tutte e due queste condizioni ed ha preferito lasciarsi morire, a differenza di altri ha scelto la via di un suicidio lento, ma ha cercato con lo sciopero della fame anche di comunicare con l’esterno, ha cercato un aiuto, un grido disperato persosi nel silenzio. Se ci fossero stati consiglieri regionali o assessori, che applicano la loro possibilità di girare nelle carceri, se ci fosse stato il garante regionale dei detenuti, se ci fosse stato il garante comunale, se ci fosse stato un minimo di attenzione al pianeta carcere da parte della classe politica o della società di fuori, ora - afferma Petrilli - avremmo salvato Ali. Faccio appello a tutti i consiglieri regionali e assessori a rispettare il mandato che prevede la necessità di verificare le condizioni di vita e i diritti dei detenuti, e quindi di girare nelle carceri abruzzesi. Immediatamente la Regione ed anche il Comune de L’Aquila istituiscano la figura del garante dei detenuti", conclude Giulio Petrilli.

 

Radicali: interrogazione urgente al Governo

 

I deputati Radicali eletti nelle liste del Pd Rita Bernardini e Maurizio Turco hanno presentato un’interrogazione urgente ai Ministri della Giustizia, dell’Interno e degli Esteri sulla morte del cittadino iracheno Alì Jubury, detenuto nel carcere dell’Aquila e deceduto a seguito di un lungo sciopero della fame che aveva intrapreso perché riteneva ingiusta la condanna inflittagli dal tribunale di Milano.

I due deputati radicali chiedono innanzitutto di chiarire, dal punto di vista processuale, quale sia stato effettivamente il reato imputatogli e l’entità della pena perché c’è una notevole discordanza fra le notizie diffuse dai mezzi di informazione. Per alcuni, infatti, Alì Jubury sarebbe stato condannato a un anno e tre mesi per tentata rapina mentre, per altri, la condanna sarebbe stata a tre anni di reclusione per il furto di un telefonino cellulare. I radicali chiedono inoltre di sapere se nei tre lunghi mesi di sciopero della fame il cittadino iracheno sia stato adeguatamente seguito dai sanitari dal punto di vista fisico e psicologico e se, con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, sia stato prestato il soccorso necessario che avrebbe potuto evitarne il decesso.

Rita Bernardini e Maurizio Turco hanno annunciato la loro iniziativa parlamentare con queste parole: "Le carte di Alì Juburi erano in regola solo per morire. Contadino, povero, extracomunitario, iracheno, carcerato, solo. Abbiamo chiesto chiarimenti ai ministri per sapere come siano andate effettivamente le cose, ma alcuni indizi più che parlarci di Alì Jubury, ci parlano di noi, di ciò che realmente stiamo divenendo come cittadini italiani e di cosa effettivamente oggi rappresentino le istituzioni ad ogni livello".

 

Franco Corbelli (Movimento Diritti Civili): Alfano intervenga

 

Sul detenuto iracheno morto a seguito di uno sciopero della fame nel carcere dell’Aquila intervenga il ministro della Giustizia Angelino Alfano. A chiederlo è il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli. Alì Jubury, 40 anni, aveva iniziato lo sciopero della fame per gridare a tutti la sua innocenza ed è deceduto nei giorni scorsi. La notizia è stata riportata dai giornali locali. Il giovane immigrato era stato condannato ad un anno di reclusione dal Tribunale di Milano per tentata rapina.

A L’Aquila era giunto dopo una prima detenzione a Vasto (Chieti). Corbelli chiede l’apertura di una immediata inchiesta per "accertare eventuali responsabilità" a tutti i livelli per quanto accaduto e per acclarare perché il giovane iracheno continuasse a restare in carcere e non godesse dei benefici previsti per condanne inferiori ai tre anni e perché nonostante lo sciopero della fame, iniziato per gridare la sua innocenza, nessuno lo ha ascoltato ed è intervenuto". "Un detenuto che muore in carcere non fa più notizia, Se poi si tratta di un immigrato, non interessa a nessuno. Su questo drammatico caso - afferma Franco Corbelli - non deve invece calare il silenzio. Chiedo verità e giustizia per questa morte".

Giustizia: Sappe; in Finanziaria stanziare fondi per il carcere

 

Il Velino, 13 agosto 2008

 

Sono oltre 55mila i detenuti presenti nei 205 penitenziari italiani (Case Circondariali, di Reclusione, Istituti per le misure di sicurezza) a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti. E sul fronte Personale che lavora nelle carceri i dati sono altrettanto allarmanti.

La differenza tra il Personale di Polizia Penitenziaria effettivamente in forza e quello previsto registra una carenza di 4.694 Agenti uomini e 352 Agenti donne. È utile fare un raffronto: alla data del 31 luglio 2006, prima dell’approvazione dell’indulto, avevamo negli oltre 200 istituti penitenziari italiani 60.710 detenuti a fronte di una capienza regolamentare pari a 43.213 posti. Approvato l’indulto (Legge n. 241 del 31 luglio 2006), esattamente un mese, e cioè il 31 agosto 2006, il numero dei detenuti presenti in carcere era drasticamente sceso a 38.847 unità.

Gli ultimi dati, riferiti al 31 luglio 2008, attestano la presenza di 55.250 detenuti presenti (ben oltre la capienza regolamentare pari a 42.991 posti), dei quali il 54% imputati, il 44% condannati ed il 2% internati. Nello stesso mese dello scorso anno, 31 luglio 2007, erano 44.447. Non bisogna dimenticare che i detenuti che materialmente uscirono dal carcere per effetto dell’indulto sono stati circa 27mila, a cui bisogna aggiungere quelli che ne hanno beneficiato pur non essendo fisicamente in un penitenziario: circa 6.800 che fruivano di una misura alternativa alla detenzione, circa 200 già usciti dal carcere per l’indultino del 2003 e 250 minori.

E sul fronte Personale i dati sono altrettanto allarmanti. La differenza tra il Personale di Polizia Penitenziaria effettivamente in forza e quello previsto registra una carenza di 4.694 Agenti uomini e 352 Agenti donne. Le carenze di Baschi Azzurri più consistenti si registrano in Lombardia (circa 1.200 unità), Piemonte (900) Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Liguria, Lazio e Sicilia, ma mancano poliziotti in tutte le Regioni d’Italia. Anche il Personale amministrativo e tecnico è fortemente sotto organico di ben 2.300 unita!"

È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione della Categoria, che rivolge il suo appello al Ministro della Giustizia Angelino Alfano ed al Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta.

Credo che il Ministro Alfano dovrebbe mettere in evidenza, nella prossima riunione del Consiglio dei Ministri, queste gravissime criticità, sollecitando quindi l’intero Governo Berlusconi a riservare appositi fondi nella prossima Finanziaria per il "sistema carcere". Non solo. Ritengo debba essere l’intero Parlamento a porre la questione penitenziaria tra le priorità d’intervento, prevedendo tra l’altro una modifica del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando però a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale.

Prevedendo che coloro che hanno pene breve da scontarsi siano impiegati in lavori socialmente utili all’esterno del carcere, senza cioè la loro presenza fisica in carcere ma - con l’introduzione del sistema di controllo del braccialetto elettronico in dotazione al Corpo di Polizia penitenziaria - nel circuito dell’area penale esterna. Si deve incrementare il grado di attuazione della norma che prevede l’applicazione della misura alternativa dell’espulsione per i detenuti extracomunitari i quali debbano scontare una pena, anche residua, inferiore ai due anni, potere che la legge affidata alla Magistratura di Sorveglianza. Il Ministro Alfano potrebbe richiamare le Magistrature di Sorveglianza a percorrere tale strada.

Infine, il nuovo Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta dovrebbe definitivamente completare alcune importanti e strutturali riforme che riguardano il Corpo di Polizia Penitenziaria, messe in cantiere nel recente passato. Ci riferiamo, in particolare, ai progetti che prevedono l’affidamento al Corpo dei controlli sulle misure alternative alla detenzione e sull’esecuzione penale esterna, le riforme del Gruppo Operativo Mobile e dell’Ufficio per la Sicurezza Personale e per la Vigilanza (Uspev) oltre ad una serie di interventi mirati per quanto concerne il potenziamento degli organici del Corpo e per arrivare ad istituire finalmente la Direzione generale del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria.

Giustizia: unificare le forze dell’ordine, per tutelare i cittadini

di Giorgio Pagano (Anci)

 

Secolo XIX, 13 agosto 2008

 

Il governo ha ampliato i poteri dei sindaci perché provvedano alla sicurezza del territorio: possono emanare ordinanze per le situazioni di pericolo per la popolazione, il decoro urbano, la pubblica decenza. La sicurezza è un bene primario, ed è giusto, in una visione federalista, che i sindaci abbiano più poteri anche in questa materia.

Nel 1999 ci fu un passo in avanti, quando i sindaci dei capoluoghi furono inseriti nei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza. Ma fu una riforma incompiuta: il Comitato è infatti un organo di mera consulenza del prefetto e i sindaci svolgono una funzione secondaria.

Ora il loro ruolo comincia a essere riconosciuto, a scapito - non potrebbe essere diversamente - dei prefetti. Ma ai prefetti rimane il ruolo principale, il coordinamento delle forze dell’ordine. I rischi di conflitto istituzionale sono quindi nelle cose. Per evitarli è fondamentale la distinzione tra sindaci e polizie municipali da un lato, e prefetti e forze dell’ordine dall’altro; così come la forte collaborazione tra queste due realtà. Molto dipenderà dalla capacità di lavorare assieme delle singole persone.

La vera alternativa, coerentemente federalista, è la costituzione di un unico corpo di polizia per il territorio che unifichi tutti i corpi esistenti, alle dipendenze del sindaco, e che sia del tutto distinto da una sorta di Fbi alle dipendenze dello Stato, con competenza in materia di grande criminalità. Sarebbe, tra l’altro, una misura di forte riduzione della spesa pubblica: quindi, oggi, coerentemente riformista.

Il decreto spinge i sindaci alla "creatività": ne sortiranno atti utili e altri molto meno, come quello novarese che impedisce di essere più di due nei parchi di notte. Ma il federalismo nasce anche per responsabilizzare una classe dirigente: saranno i cittadini, alla fine, a giudicare.

Ci sono poi altri due seri problemi. Il primo: all’attribuzione di nuovi poteri non fa seguito la copertura finanziaria, perché vengono tagliate ingenti risorse alle forze dell’ordine.

Il secondo: le istituzioni devono dare una risposta ai cittadini insicuri ma anche a chi arriva da noi, lavora onestamente e chiede integrazione e riconoscimento dei diritti. Abbiamo un obbligo morale verso la nostra comunità e verso lo straniero, l’altro, il diverso. Dobbiamo combinare etica della sicurezza e etica dell’accoglienza. È l’esperienza europea a dirci che la sicurezza aumenta la capacità di accoglienza, e viceversa. I governi più repressivi non hanno avuto risultati confortanti nella lotta alla criminalità: la delinquenza minorile rappresenta in Inghilterra il 20% del crimine. Mentre nel Nord, dove è sopravvissuto il modello che unisce integrazione sociale e repressione, la percentuale scende al 5%, come in Norvegia. Ma i tagli ai Comuni contenuti nella finanziaria non aiutano l’inclusione sociale, a favore dei minori stranieri o dei nuovi poveri.

Preoccupa, più in generale, la filosofia della politica di sicurezza del governo. Accanto a misure giuste ce ne sono altre ispirate a principi pericolosi: le impronte alle minoranze etniche e i trattamenti speciali della giustizia per i reati commessi dagli immigrati clandestini. Gli individui che commettono un crimine vanno puniti, ma senza riproporre lo stereotipo della colpa collettiva di un popolo. Così come una persona non può essere giudicata diversamente per il fatto di essere immigrato clandestino. Né convince l’uso dell’esercito nelle città: un ruolo improprio, che mortifica quello delle forze dell’ordine.

Il programma è chiaro: mantenere alta la febbre dell’insicurezza, alimentare la paura per conquistare consenso. Ma come potrà esserci una riduzione dei crimini? Con quale organizzazione? Con magistrati, poliziotti, carabinieri senza risorse? Con carceri in cui i detenuti sono il 30% in più della capienza, senza che ci siano investimenti per un sistema penitenziario da paese civile? Con i tagli al welfare integrativo? Alla fine la paura suscitata ad arte potrebbe rivelarsi un boomerang e scatenare, di fronte all’inefficacia dello Stato, ondate di "rondismo" e di ripulisti "fai da te".

Unificare le forze di polizia e utilizzare le risorse così ottenute perché ci sia quell’efficacia che tuteli i cittadini senza comprimere i diritti: potrebbe essere questa la nuova via di una politica federalista e riformista.

Giustizia: Concutelli aveva pezzo di "fumo", torna in carcere

 

Corriere della Sera, 13 agosto 2008

 

Visto, identificato e scoperto con un po’ di droga. Concutelli è stato tradito dalla sua fiducia anni 70 nel valore terapeutico della cannabis: aveva un pezzo di "fumo" oltre la quantità consentita, in tasca. E a dispetto delle sue spiegazioni, sull’intento di utilizzarla ad uso personale per combattere la pressione alta, è stato immediatamente riaccompagnato in cella a Rebibbia e messo temporaneamente fuori dal programma di benefici penitenziari. Spetterà al giudice delle indagini preliminari la decisione sulla revoca o la conferma del provvedimento.

Si apre così un capitolo nuovo della parabola amara del terrorista che uccise con una mitraglietta un giudice, Vittorio Occorsio, e con un filo di nylon strangolò due "spie", i suoi camerati Ermanno Buzzi e Carmine Palladino. Un passato dal quale non si è mai dissociato, nè pentito. Ma che, ha detto più volte, si è ormai buttato dietro le spalle dopo aver imparato in carcere il valore della tolleranza e della convivenza ("me lo hanno insegnato a calci nel c..., il miglior modo per imparare "). Del feroce neonazista di allora è rimasta solo la barba, meno folta di un tempo e quasi tutta bianca. Ora si autodefinisce al più "laziofascista". L’uomo che persino dai tetti delle carceri gettò bombe a mano, ora è un sessantaquattrenne provato dalla "sconfitta" e dai problemi di prostata. È colpa proprio di quella impellenza, che non concedeva rinvii, se l’ex comandante dei terroristi neri è incappato nelle maglie di un controllo. Ed ecco spuntare dalle sue tasche l’occorrente per le "canne".

L’unica passione che aveva condiviso con gli eversori di sinistra. A parte le ragazze e la voglia di uccidere in nome della rivoluzione. Gli era rimasto l’amore per il fumo, dopo 24 anni di galera ininterrotta, dalla quale era uscito per la prima volta nel luglio del 2001, grazie al lavoro esterno ottenuto in una cooperativa di ex detenuti, Br compresi: tutti a strappare erbacce e curare i giardini nei cimiteri romani del Verano e di Prima Porta.

Accendeva una sigaretta dopo l’altra, malgrado un’ischemia, anche durante le ultime interviste concesse a primavera in occasione dell’uscita della sua autobiografia, "Io, l’uomo nero", nella quale respinge la qualifica di terrorista. "Io sono un assassino", scrive, marcando la differenza con quanti uccidevano cittadini "non schierati", categoria che escludeva l’inerme giudice Occorsio colpito perché ritenuto "braccio armato della Dc" a causa delle sue indagini su Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Tra una sigaretta e l’altra, qualche grappa. E qualche canna, ha spiegato, per tenere a freno gli sbalzi della pressione. Rimedio un po’ al di fuori dei protocolli medici, e sicuramente in contrasto con il regolamento dei benefici penitenziari, dai quali è stato escluso subito d’ufficio.

Proprio lui che, spiegano in carcere, rispettava sempre gli orari, tornando anche un paio d’ore prima, rispetto al termine concesso. Forse perché fuori dal carcere non sa che cosa fare, forse perché sente Rebibbia come la sua casa. "Da quanto ho capito è una piccola cosa. Lui non è di quei detenuti che in semilibertà cominciano a compiere nuovi reati. Non è proprio il tipo" lo difende il suo avvocato storico Emilio Siviero. Le parole all’ex killer nero non sono mai mancate. Ne ha spese sul suo passato: "Ho fatto cose terribili.

Quando ho ucciso un giudice ho fatto la cosa peggiore del mondo: mi sono fatto giudice". E sui suoi errori: "Ci eravamo messi in marcia per conto del popolo senza prima neppure telefonargli, al popolo. C’era chi scriveva "Viva il Duce" e chi "Viva Pol Pot". Str... Eravamo tutti fuori della realtà ". Alcune anche per i parenti delle vittime: "Se chiedono vendetta commettono il nostro stesso errore". Poche per gettare luce nello scenario di trame in cui i terroristi si muovevano: "Si sentiva il tanfo dei servizi segreti. Ma se ne avessimo beccato uno, noi l’avremmo fucilato".

Sulla sua solitudine ha scritto in cella dei versi, descrivendosi come un naufrago in attesa di una donna capace di riconoscere "l’uomo fra scogli e spuma e l’apprezzi per colui che è. Anche scalcinato, incrostato di salso piagato e sciupato " e di amare "i segni acquisiti sul cassero, al comando, e quelli della pena al remo".

Della sua scelta di non avere figli ha parlato di recente: "Sono stato un cattivo esempio, ho iniziato tanti giovani alla lotta armata, ma non ho voluto figli, sarebbe stata una scelta criminale". E solo, con i suoi acciacchi, i denti mangiati, i reumatismi e i problemi di prostata, l’ultimo irriducibile del terrorismo nero, con quattro ergastoli sulle spalle, è stato fermato e costretto ad attendere il nuovo verdetto.

Genova: nel carcere di Marassi, l’affollamento e pochi agenti

 

Il Velino, 13 agosto 2008

 

"A meno di due mesi dalla mia visita a Marassi voglio ancora una volta lanciare un grido d’allarme sulla gravissima situazione del carcere genovese". Lo dichiara Roberto Cassinelli, membro della Commissione Giustizia della Camera. Dopo i recenti fatti di cronaca avvenuti nel carcere, il parlamentare ligure annuncia una interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Angelino Alfano per richiamare l’attenzione sulla grave situazione di organici, sicurezza e strutturale del penitenziario.

"Le vacanze estive - sottolinea - non devono farci distogliere lo sguardo da ciò che sta succedendo: tre risse in poche ore, un tentativo di evasione sventato dalla bravura del personale penitenziario ed il grido d’allarme del segretario del Sappe sulla cronica carenza di organici, meritano un doveroso ed urgente approfondimento".

Per queste ragioni il deputato genovese del Pdl ha deciso di presentare una interrogazione al ministro Alfano per chiedere quali provvedimenti il governo intenda mettere in atto per risolvere il problema del sovraffollamento del carcere. "Risulta inoltre - aggiunge Cassinelli - che dei 450 agenti previsti, lavorino nel carcere soltanto 220 persone. Mi pare abbastanza per chiedere l’intervento del ministero della Giustizia".

Alla ripresa dei lavori parlamentari, Cassinelli solleciterà anche un incontro con il ministro Alfano e si farà promotore di iniziative a vario livello, anche all’interno della commissione Giustizia di Montecitorio. "Nel corso della mia recente visita - continua il deputato del Pdl - ho potuto constatare di persona ciò che sapevo da tempo: il sovraffollamento crea seri problemi di gestione del carcere e gravi menomazioni alla qualità della vita di detenuti e personale carcerario.

Per non parlare dei problemi che pone alla città, alla sua sicurezza e al suo decoro, una struttura così vicina allo stadio e quindi in una zona altamente trafficata di Genova. L’auspicio - conclude Cassinelli - è che il tema sia al centro dell’attenzione del vertice sulla sicurezza che, alla presenza del sottosegretario agli Interni, avrà luogo in Prefettura nei prossimi giorni". Non più tardi di due mesi fa, Cassinelli aveva invocato con forza la creazione di "corsie preferenziali" per l’edilizia carceraria per evitare di "aspettare per anni miglioramenti strutturali necessari ed oramai indifferibili".

Milano: San Vittore scoppia, appello a Ministro della Giustizia

 

Ansa, 13 agosto 2008

 

Un appello al ministro della Giustizia per denunciare il sovraffollamento nelle carceri italiane e in particolare nel carcere milanese di San Vittore. Lo ha inviato stamane l’assessore provinciale Francesca Corso, con delega all’Integrazione sociale delle persone in carcere o ristrette nelle libertà. "Il drammatico sovraffollamento di San Vittore -dice Francesca Corso- è la diretta conseguenza degli effetti devastanti dei provvedimenti del Governo in materia di Giustizia. L’inasprimento delle pene causato dalla trasformazione di violazioni amministrative in reati penali e l’introduzione di nuovi reati colpiscono le fasce più povere e fanno aumentare in modo insostenibile il numero dei detenuti". Da qui l’invito al ministro di Giustizia "affinché assuma provvedimenti immediati per la umanizzazione delle pene" attraverso un decreto d’urgenza e al Parlamento a "intervenire subito prendendo atto che c’è un’emergenza".

L’assessore provinciale esprime anche la propria solidarietà al provveditore lombardo, Luigi Pagano, "costretto a gestire la drammatica emergenza attuale senza fondi né risorse". Il Garante dei detenuti della Provincia di Milano, Giorgio Bertazzini, aveva descritto come particolarmente drammatica la situazione nelle case circondariali di San Vittore e Monza: 1400 i detenuti del carcere milanese al posto degli 800 regolamentari, 800 i reclusi a Monza in uno spazio previsto per 400, con un centinaio persone costrette a dormire con il materasso sul pavimento. In tutta la provincia di Milano i reclusi sarebbero circa 4mila, la metà del totale regionale, mentre le strutture del territorio possono ospitare non più di 2500 persone.

Milano: Cem Ambiente; i detenuti, per parchi puliti in Brianza

 

Asca, 13 agosto 2008

 

Parte a Ferragosto la collaborazione sperimentale tra Ministero della Giustizia, Cem Ambiente Spa (la società di gestione del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani che raccoglie Provincia di Milano e 48 Comuni dell’Est Milanese) e Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Lombardia per l’inserimento lavorativo dei detenuti.

Un Ferragosto dunque all’insegna del lavoro per i circa 50 detenuti delle carceri milanesi, che lo trascorreranno con le loro famiglie. In un giorno di festa, lasceranno i luoghi di detenzione di Bollate, Opera e Monza per pulire i sentieri del Parco Rio Vallone, in territorio Est Milanese tra i Comuni di Ornago, Cavenago Brianza, Cambiago e Basiano. Si tratta di detenuti condannati per reati minori e in libertà vigilata, che lavoreranno monitorati dalla polizia penitenziaria, con gesti simbolici diretti a ricostruire il patto sociale interrotto con il reato.

Il progetto pilota nato dalla collaborazione tra il Ministero della Giustizia e Cem Ambiente Spa per l’inserimento lavorativo dei detenuti, vuole creare un canale favorevole per i soggetti socialmente svantaggiati, in questo caso i detenuti, anche valorizzando l’esperienza Cem, che da oltre un decennio è attiva in questo settore attraverso le convenzioni stipulate con le cooperative sociali del territorio.

Il primo passo in direzione della collaborazione tra Cem, Ministero e Provveditorato diretto dal dr. Luigi Pagano, è stato fatto a luglio con l’attivazione del servizio di pulizia dai rifiuti abbandonati su alcune strade provinciali affidato dalla Provincia di Milano a Cem Ambiente Spa e partito in via sperimentale il 10 luglio scorso. In questo caso i lavoratori utilizzati sono cittadini socialmente svantaggiati in servizio presso le cooperative sociali di tipo "B", tra cui ex detenuti in cerca di un reinserimento lavorativo e sociale. L’iniziativa di Ferragosto sarà realizzata con la collaborazione del Consorzio Parco Rio Vallone, di cui fanno parte le aree interessate dalle operazioni di pulizia.

Cem Ambiente curerà l’aspetto pratico dell’iniziativa con l’assistenza tecnica e operativa necessaria per il conferimento e lo smaltimento del materiale raccolto e metterà a disposizione per tutti un set da lavoro costituito da guanti, cappellino e maglietta con logo Cem e la preparazione del pranzo, al quale prenderanno parte anche le famiglie dei detenuti.

"Soddisfazione per il consolidamento della collaborazione fra i diversi enti in funzione di un reinserimento sociale effettivo di questa particolare categoria di cittadini" è stata espressa dalla sen. Daniela Mazzuconi, Presidente di Cem Ambiente, che ha espresso l’augurio che tali iniziative possano ulteriormente ampliarsi e consolidarsi.

Bologna: Maisto nuovo Presidente Tribunale di Sorveglianza

 

La Repubblica, 13 agosto 2008

 

Francesco Maisto sarà da settembre il nuovo presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, che ha competenza sulla Dozza e su tutti gli istituti di pena dell’Emilia Romagna. Un giudice di frontiera che viene dalla Procura generale di Milano, scrittore e conferenziere, esperto di droga e di criminologia clinica, legato non solo a molti dei processi di appello di Tangentopoli, ma soprattutto a un periodo cruciale delle carceri italiane, gli anni 80, che portò al varo della legge Gozzini, di cui Maisto è stato sostenitore già nella fase di preparazione. Dieci anni come giudice di sorveglianza a San Vittore negli anni "di fuoco" in cui, ricorda Maisto, "le Br avevano aperto il fronte delle carceri, cominciava il fenomeno della dissociazione, si diffondeva il killeraggio, i boss delle organizzazioni criminali organizzavano dall’interno sequestri di persona e omicidi e le rivolte erano all’ordine del giorno. Allora si capì che la risposta repressiva dello Stato non poteva essere solo penitenziaria".

Maisto ritorna a fare il "giudice dei detenuti" - i giudici di sorveglianza hanno la competenza su misure che vanno dai permessi premio alla libertà anticipata - come aveva già fatto da tirocinante, prima di lavorare al Tribunale dei Minori di Milano ai tempi del presidente Beria d’Argentine e poi al Tribunale di Napoli, giudice istruttore in processi come quello contro i Nap, Nuclei armati proletari.

Per lui, "la legge Gozzini è ancora attualissima e anzi è stata ingiustamente ristretta in più punti. È una legge che dà soluzione a parecchi problemi del sistema penitenziario, anche in termini di sicurezza. Chi l’attacca, spesso non sa di che parla". Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna è composto da sette magistrati, è una sede direttiva con funzioni di coordinamento dei tre uffici di sorveglianza della regione che sono a Bologna, Reggio Emilia e Modena.

Bologna: Pdl contro Desi Bruno; incompatibile con ruolo Garante

 

Il Resto del Carlino, 13 agosto 2008

 

In un’interrogazione al Sindaco il Consigliere Comunale del Pdl Lorenzo Tommasini chiede "se ritenga politicamente opportuna, per l’immagine e gli interessi del Comune di Bologna, il mantenimento della carica di Garante dei diritti dei detenuti da parte di Desi Bruno", avvocato difensore di Khalil Jarraya e di altri due dei cinque magrebini arrestati sabato scorso. Tommasini ricorda che Palazzo d’Accursio si è costituito parte civile in processi, come quello contro la banda della Uno Bianca, relativi a vicende in cui fosse messa a repentaglio "la tranquillità e l’incolumità dei cittadini".

E se anche per i presunti terroristi islamici arrestati si dovesse arrivare al rinvio a giudizio, il Comune potrebbe così trovarsi "nella situazione, che il centrodestra aveva peraltro previsto e denunciato, di agire e contrastare le tesi difensive dell’avvocato Bruno o di trattare con lei un eventuale risarcimento del danno a favore della collettività".

Lecce: situazione è "rovente", agente seda rissa tra detenuti

 

Il Velino, 13 agosto 200

 

Da solo, un agente della Polizia penitenziaria è intervenuto per sedare una rissa violenta fra detenuti, e ha evitato così un drammatico epilogo. È successo venerdì scorso a Lecce e a darne notizia è la segreteria regionale del Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria (Sappe), che invoca maggiore attenzione verso il problema delle carceri, fra sovraffollamento e mancanza di agenti della penitenziaria.

"Purtroppo - spiega il Sappe - del carcere di Lecce si sta parlando da un po’ di tempo per i ripetuti atti di aggressione ai danni dei poliziotti penitenziari, con conseguenze anche serie per questi ultimi, a cui va tutta la nostra solidarietà e riconoscenza per il sacrificio e la professionalità dimostrata in tali drammatiche situazioni, a difesa dello Stato e delle sue leggi. Però noi del Sappe a Ferragosto vogliamo parlare anche di altro. Prima di farlo vogliamo per un attimo soffermarci sul perché di tanta violenza, e per cercare di spiegare il perché di situazioni così esplosive che provocano effetti tanto devastanti.

Il Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, maggior sindacato di categoria, ritiene che uno dei problemi principali sia dovuto al sovraffollamento del penitenziario di Borgo San Nicola ritornato ultimamente ai livelli pre-indulto, con oltre 1.150 detenuti (250 stranieri circa il 50 per cento dei detenuti presenti in Puglia) a fronte di una capienza regolamentare di 650 posti, a cui fa da contraltare una cronica carenza di personale di Polizia penitenziaria che, con grandi sacrifici riesce a tenere sotto controllo la situazione, anche a scapito della sicurezza personale, poiché sempre più spesso vengono sguarniti posti di servizio di vitale importanza".

"Si fa notare - sottolinea il Sappe - che tra detenuti e poliziotti penitenziari, nel carcere di Lecce vive una comunità (oltre tremila persone al giorno compresi i familiari dei detenuti, gli avvocati,visitatori, ecc.) grande quanto un paesino del Salento. Dobbiamo segnalare poi che tutte le attività svolte in favore della rieducazione dei detenuti, cosa che riteniamo sacrosanta poiché la pena secondo i dettami costituzionali deve tendere al reinserimento sociale, rendono ancora più problematica la gestione dei detenuti sotto un profilo di sicurezza per ovvi motivi logistici che rendono ancora più drammatica la carenza di poliziotti, a cui si vanno ad assommare anche le gravi difficoltà nell’organizzazione dei servizi sanitari che si riflettono negativamente sulla popolazione detenuta.

Potremmo aggiungere poi la calura che rende roventi i luoghi di lavori e di detenzione che esasperano situazioni già al limite derivanti dalla vitale mancanza di spazi, con celle di tre metri per 1,70 pensate per un detenuto, in cui ne vengono ospitati tre. Così la violenza che è insita in tanti soggetti ed in questi contesti si amplifica, scatta per un qualsiasi motivo, per regolare conti aperti con altri detenuti prima dell’arresto, per reazione a legittimi dinieghi del personale a richieste che contrastano il regolamento penitenziario, per un ritardo nella somministrazione dei medicinali, e certe volte, per nessun motivo".

Genova: droghe per i detenuti, mamme e fidanzate a processo

 

Secolo XIX, 13 agosto 2008

 

Resa dei conti per otto persone coinvolte in un giro di droga - cocaina e eroina - che veniva spacciata nel carcere di Marassi. Sono Cirillo Biasiori, 49 anni, Stefano Andreulli, 37 anni, Giuseppe Cusenza, 37 anni, El Abidine Sahli Zine, 41 anni, Donatella Curletto, 21 anni, Maria Nitz, 68 anni, Daniele Regosa, 34 anni e Luigi Guida, 27 anni. Saranno giudicati con rito diretto; al banco dell’accusa siederà il pm Luca Scorza Azzarà.

Gli ordinativi degli stupefacenti partivano dalle Case Rosse: se ne occupava - secondo l’accusa - Biasiori, usando un cellulare alimentato da un carica-batteria artigianale collegato con il televisore della cella. Avrebbero fatto da pusher la Nitrz, madre di Regosa e anche di altre donne, fidanzate di detenuti.

Eroina e cocaina - in quantitativi modesti, 25 grammi per volta, venivano nascoste negli indumenti intimi e consegnate durante i colloqui, due o tre volte alla settimana. Il traffico venne scoperto nell’aprile scorso per caso. Erano in corso intercettazioni telefoniche nei confronti di pregiudicati e il contenuto di una conversazione allarmò gli inquirenti. I controlli furono intensificati e a poco a poco si arrivò ai committenti e ai destinatari della droga. Il giudice Vincenzo Papillo dispose l’arresto di alcune persone, per altre ordinò misure meno afflittive.

Palermo: ex detenuti e custodi abusivi della Fontana Pretoria

di Sara Scarafia

 

La Sicilia, 13 agosto 2008

 

Un cestino per raccogliere le offerte sistemato proprio in cima alla scala di ingresso. Accanto al cancello un bidone di ghiaccio pieno di bottigliette d’acqua da offrire ai visitatori. Da una settimana gli aspiranti precari di Filippo Accetta si sono trasformati in ciceroni. Abusivi.

Mercoledì scorso il presidente del Consiglio comunale Alberto Campagna ha deciso di aprire i cancelli di Fontana Pretoria che adesso è visitabile dalla decine di turisti che ogni giorno raggiungono la piazza. Custodi della fontana otto tra ex detenuti e disoccupati che fanno capo al leader delle "Sentinelle del Verde". Accetta e i suoi ogni mattina si fanno dare le chiavi della fontana dalla portineria di Palazzo delle Aquile. La ripuliscono armati di scope e poi la tengono aperta dalle 8 alle 20 controllando che i visitatori non la imbrattino e che non gettino cartacce. Davanti all’ingresso distribuiscono una fotocopia sbiadita sulla storia della fontana e raccolgono le offerte dei visitatori ai quali ieri mattina il figlio di Accetta su richiesta versava un bicchiere d’acqua fresca.

Ma chi ha dato ad Accetta l’incarico di guardiano della fontana? "È stato Alberto Campagna - dice il leader del movimento di aspiranti precari che nel 2006 prima soggiornò per mesi davanti alla Regione e poi occupò per settanta giorni gli uffici comunali del "Pallone" di via del Fante - Quando abbiamo visto che dava disposizioni per aprire la fontana gli abbiamo chiesto se potevamo renderci utili e lui ci ha detto che se non chiedevano soldi ai turisti potevamo restare a fare i guardiani. A noi piacerebbe che presto questo possa diventare il nostro lavoro. Con le offerte riusciamo a guadagnare anche cento euro al giorno". "Non ho mai dato alcuna autorizzazione - ribatte Campagna - ho solo dato disposizioni di aprire la fontana per renderla fruibile ai turisti ma ad Accetta non ho affidato proprio niente".

Rosario Filoramo, consigliere comunale del Pd, chiede trasparenza. "Potrebbe non essere una cattiva idea quella di affidare alle cooperative di disoccupati la fontana di piazza Pretoria per custodirla durante il giorno - dice - ma va fatto attraverso un atto di affidamento ufficiale. Questa invece è violazione della legge. Dov’è il provvedimento? Di chi è la responsabilità se accade qualcosa? E perché se davvero il gruppo di Accetta ha deciso autonomamente di prendere questa iniziativa nessuno è intervenuto, nemmeno i vigili urbani che stanno davanti al Comune? È chiaro che non lo hanno fatto perché i disoccupati sono stati invece autorizzati, anche se probabilmente solo a parole".

Ascoli: maxi-rissa nel carcere, il caso arriverà in Parlamento…

 

Corriere Adriatico, 13 agosto 2008

 

Sei albanesi e 14 marocchini, protagonisti della rissa scoppiata nel carcere durante l’ora d’aria, sono stati trasferiti ad Ancona Macerata e Pesaro. Tra loro anche tre presunti killer di Petrit Keci, ucciso e poi bruciato nelle campagne di Acquaviva. Intanto restano pesanti ombre sul fatto di sangue che ha causato gravi ferite ad un africano ora fuori pericolo. Si è appreso infatti che durante lo scontro fisico fra le due fazioni, oltre a calci e pugni, sono state usate lamette da barba nascoste in bocca, componenti di macchine per il caffè e parti di sedie, occultate nei pantaloni, per colpire duramente gli avversari .

"È strano e inquietante che ciò possa essere accaduto - ha commentato l’avvocato Mauro Gionni - Per i detenuti che usufruiscono dell’ora d’aria, infatti, sono previste accurate perquisizioni personali". Gionni ha anche annunciato di avere preparato un dossier che nei prossimi giorni finirà su tavolo del responsabile della giustizia del Pd, Lanfranco Tenaglia.

"Nostra intenzione - ha spiegato ancora il legale ascolano - è quella di far preparare una dettagliata interrogazione parlamentare per chiedere spiegazioni sul caso e riaprire il dibattito sulla sicurezza nelle carceri". Sulla vicenda la Procura di Ascoli ha aperto un’inchiesta. Gli inquirenti cercheranno di scoprire chi ha sferrato il colpo all’africano, come e perchè sia scoppiata la rissa, quali siano state le modalità di intervento degli agenti di custodia. Un caso grave ed emblematico delle difficoltà che affrontano ogni giorno strutture penitenziarie troppo affollate e dove non è sempre possibile tenere separati i carcerati più pericolosi. Il Supercarcere di Ascoli comunque ospita o ha ospitato negli anni, senza che accadessero episodi di particolare gravità, anche detenuti sottoposti al carcere duro o che possono presentare alti rischi per la sicurezza. Alcune fonti hanno rivelato infine che le due fazioni si sarebbero date appuntamento per lo scontro 24 ore prima della rissa. Tutto sarebbe nato da futili motivi e per una sorta di violazione del "codice" tra detenuti. Non sarà facile comunque, attraverso successivi interrogatori, ricostruire l’ episodio di sangue che ha visto come protagonisti africani ed albanesi.

E a proposito dei tre presunti killer , coinvolti nella rissa al Marino, il sostituto procuratore Carmine Pirozzoli ha chiuso l’inchiesta sul delitto inviando agli indagati gli avvisi di conclusione delle indagini. A partire dal 15 settembre prossimo l’avvocato Maurizio Cacaci, che ha assunto la difesa del terzetto, avrà 20 giorni di tempo per presentare nuove memorie o chiedere che i propri assistiti vengano interrogati. Poi il pm valuterà se chiedere il rinvio a giudizio ed anche se le accuse, a vario titolo, debbano essere confermate.

Le persone sotto accusa sono Ervis Cela, che si consegnò ai carabinieri, il fratello Adrian Cela, arrestato a Pisa mentre cercava di fuggire in treno verso Nord, e di un terzo componente del gruppo fermato in Spagna e poi estradato. Al momento sono tutti accusati di omicidio volontario in concorso, sequestro di persona e occultamento di cadavere.

Vicenza: il Magistrato nega a detenuti la "camminata notturna"

 

Il Gazzettino, 13 agosto 2008

 

Nessun detenuto della Casa Circondariale di Vicenza per la camminata notturna dei carcerati promossa dai frati minori del Triveneto. Massiccia, in compenso, la partecipazione dei giovani vicentini delle parrocchie. Il Magistrato di Sorveglianza non ha concesso ad alcuni detenuti del San Pio X il permesso di partecipare all’iniziativa ideata dall’associazione "La Fraternità" per arginare il distacco tra territorio e carcere.

Dalle 23 di domenica e le 6 del mattino di lunedì, si è snodata tra il vicentino e Montagnana, in provincia di Padova, la lunga processione organizzata da fra Beppe Prioli. Obiettivo: offrire ad alcuni detenuti delle carceri di Verona, Vicenza e Padova, in possesso dei requisiti per beneficiare di un permesso premio, la possibilità di partecipare a questa esperienza per capire il significato della notte, partendo dalla trasgressione e da ciò che essa produce. All’iniziativa, fa sapere il frate minore, hanno partecipato tre detenuti del carcere di Verona, che hanno percorso la distanza tra Cagnano in provincia di Vicenza e Montagnana (18 chilometri) in compagnia di circa duecento persone da tutto il Triveneto, tra cui molti giovani vicentini.

Diritti: l’ira di Schifani per la prostituta maltrattata a Parma

di Stefania Parmeggiani

 

La Repubblica, 13 agosto 2008

 

"Chi intende adottare il criterio della tolleranza zero è tenuto a farlo non sottraendosi mai alla tutela della dignità della persona e della sua privacy". Il presidente del Senato, Renato Schifani, chiede chiarimenti al Prefetto di Parma: la foto di una giovane lucciola nigeriana, accasciata sul pavimento di una cella di sicurezza del comando dei vigili urbani, semi-nuda e con il corpo coperto di polvere, ha sollevato una bufera politica e un’ondata di sdegno che ha attraversato l’Italia. Nel mirino le retate anti-prostituzione, le ordinanze dei sindaci-sceriffi e il rispetto dei diritti umani.

Dopo due interrogazioni parlamentari e una regionale, l’intervento della seconda carica dello Stato. "La drammatica foto pubblicata - si legge in un comunicato di Palazzo Madama - rischia di trasmettere una immagine del nostro Paese diversa da quella che è in realtà e di quanto si sta facendo a tutela dell’ordine pubblico, ma nel rispetto dei diritti inviolabili della persona. Pertanto il Presidente del Senato auspica che venga fatta al più presto opportuna e doverosa chiarezza sull’intero accaduto".

L’assessore alla Sicurezza Costantino Monteverdi si dice pronto a tranquillizzare il Parlamento, ma precisa: "È semplice routine, non ci sarà alcuna inchiesta interna perché sappiamo benissimo come sono andate le cose. Sarà il sindaco a informare il Prefetto che a sua volta parlerà con Schifani". A suo dire i vigili si sono comportati in modo encomiabile: "Credo che questa donna non sia mai stata trattata così bene come venerdì sera". Dopo essere stata condotta in centrale e avere dato in escandescenze, la donna si sarebbe addormentata "nella cella in cui era stata rinchiusa per la sua incolumità". E una volta tranquilla, "i miei agenti le hanno offerto il caffè e la colazione", spiegandogli "la possibilità di rientrare in un programma di protezione".

Precisazioni che non spengono l’indignazione. I radicali Marco Perduca e Donatella Poretti chiedono al ministro degli Interni, tra le altre cose, "per quali motivi l’operazione è stata preannunciata alla stampa con il coinvolgimento di giornalisti e fotografi, unitamente alla presenza dell’assessore senza che venisse adottata alcuna precauzione a garanzia e tutela delle persone fermate" e se è vero che nel comando dei vigili urbani di Parma "esiste una struttura di detenzione di sicurezza dotata di imbottiture perimetrali, tali da proteggere l’incolumità di ospiti irrequieti". Dubbi sulla professionalità dei vigili vengono avanzati anche da Enzo Letizia, segretario dell’associazione nazionale funzionari della polizia di Stato: "Quando si è davanti a una extracomunitaria, questa deve essere accompagnata presso gli uffici della Questura in cui vi sono le attrezzature e gli archivi che permettono di identificare un soggetto che può stare legalmente in Italia, oppure no".

Critici anche gli esponenti emiliano-romagnoli del Prc, Nando Mainardi e Leonardo Masella: "È la conferma che l’emergenza securitaria lanciata dal Governo, attraverso il decreto che attribuisce ai sindaci maggiori poteri in termini d’incolumità pubblica e sicurezza urbana, punta a colpire i più deboli socialmente mentre lascia inalterati i grandi e veri fattori di insicurezza che attraversano il Paese". Indignato anche Pino Sgobio del Pdci, ex capogruppo del partito alla Camera: "Non si può in alcun modo accettare che sui diritti umani l’Italia scivoli verso il baratro".

 

Messaggi di solidarietà per la ragazza nigeriana

 

"La prostituzione non è una colpa, purtroppo qualche volta è figlia della necessità e qualche volta è una violenta imposizione". "Un pensiero per la ragazza nigeriana accasciata a terra, una carezza per dirle che va tutto bene, che non tutti gli uomini sono bestie". "Le vittime scambiate per criminali" e "i diritti umani calpestati".

Centinaia di messaggi, arrivati in meno di 24 ore a Repubblica, commentano la foto della giovane nigeriana. Sono pensieri per lei "che certo non ha scelto di vendere il suo corpo", per i clienti "che la stuprano ogni notte", per chi la sfrutta, ma anche per chi "invece di tutelarla la rinchiude in una cella come fosse una pericolosa criminale".

Le parole che attraversano l’Italia, da Palermo a Milano, sono cariche di sdegno e aprono la discussione. I lettori parlano (e a volte litigano) sui temi della sicurezza, sull’operato delle forze dell’ordine, sulla prostituzione e sui vigili urbani che secondo alcuni "non sono in grado di svolgere compiti di polizia".

"L’attuale finto problema sicurezza è solo un altro modo del governo di distrarre l’attenzione da quelle che sono le vere problematiche", interviene un lettore che poi aggiunge: "Ma per colpire davvero questi fenomeni va colpito chi gestisce il business. Vanno colpite le reti di mercanti di schiave e non le vittime. Una soluzione sarebbe sicuramente riaprire le famose case chiuse. Dignità per chi sceglie il mestiere più antico del mondo e meno ipocrisia per tutti quei benpensanti che si disgustano davanti ad una prostituta salvo poi spappolarsi il cervello davanti a quiz e telenovela, mentre il marito è sulla strada a scegliere il trans di turno". E ancora: "Colpire il racket, dare dignità alle donne che scelgono di fare questa vita, fornire strumenti sociali affinché la donna in stato di bisogno possa affrancarsi". E soprattutto "basta gonfiare il falso problema della sicurezza".

Immigrazione: Roma; la Croce Rossa ha "censito" 620 nomadi

 

Ansa, 13 agosto 2008

 

Nel corso delle prime settimane di censimento nei campi nomadi, i volontari della Croce Rossa hanno identificato 620 persone appartenenti a 123 diversi nuclei familiari e 288 minori. In base a quanto stabilito d’accordo con il ministro dell’Interno Maroni, il prefetto di Roma Mosca e il sindaco Alemanno, il censimento prevede che i rom vengano identificati compilando una scheda in cui vengono indicate le generalità e le vaccinazioni effettuate.

Ai rom viene poi consegnato un tesserino che dà diritto a prestazioni sanitarie gratuite nei due ambulatori della Croce Rossa. "Il censimento sta proseguendo senza intoppi - assicura Massimo Barra, presidente della Cri - ma il livello di vaccinazione dei bambini rom è molto basso". In alcuni campi nomadi, però, si sono registrate resistenze contro il censimento. Lunedì, ad esempio, la comunità rom di via delle Cave di Pietralata, in zona Quintiliani, si è opposta all’identificazione da parte dei volontari della Croce Rossa. I circa 40 nomadi stanziati nell’accampamento hanno infatti dichiarato "di essere già stati censiti e di avere la tessera sanitaria della Cri".

Libano: in ospedale 20 dei 300 detenuti in sciopero della fame

 

Ansa, 13 agosto 2008

 

Sono stati ricoverati 20 dei quasi 300 detenuti che stanno in sciopero della fame da otto giorni nel carcere di Rumie, non lontano da Beirut. Protestano per i ritardi nell’apertura dei loro processi. I detenuti in questione sono stati arrestati durante e dopo le settimane di battaglia al campo profughi palestinese di Nahr el Bared, nel nord del Libano. Tra di loro ci sono sia civili che miliziani e religiosi. A loro sostegno ieri si sono mobilitati anche i familiari, che hanno organizzato un sit-in di fronte alla Corte Militare di Beirut. Ritengono che la maggior parte dei detenuti di Nahr el Bared sia stata arrestata per ragioni politiche e non sulla base di prove, e chiedono che vengano scarcerati prima del mese di Ramadan, che quest’anno cadrà a settembre.

Stati Uniti: 28 anni fa uccise John Lennon; no a libertà vigilata

 

Ansa, 13 agosto 2008

 

Mark David Chapman, l’assassino di John Lennon, si è visto negare per la quinta volta dalle autorità americane la richiesta di libertà vigilata.

L’uomo che la sera dell’8 dicembre 1980 sparò quattro colpi di pistola al cantante dei Beatles a Manhattan, sconta ormai da 28 anni la pena per l’omicidio di Lennon nel carcere di Attica, nello stato di New York. Chapman si è avvalso per la quinta volta in otto anni della possibilità di chiedere la libertà vigilata per buona condotta al Parole Board, una commissione incaricata di valutare il comportamento dei detenuti.

Per l’ennesima volta però il Board gli ha negato questo diritto, sostenendo che far tornare libero Chapman non è nell’interesse della comunità. In questi anni sono arrivate più di mille lettere di protesta contro un’eventuale scarcerazione del killer, che viene percepito ancora come una minaccia per la vedova, Yoko Ono, e per i figli di Lennon. Dopo che nei giorni scorsi si è diffusa la notizia che Chapman, 53 anni, mantiene relazioni coniugali con la moglie dal 1992, godendo di visite annuali e di piccoli privilegi come la disponibilità di un confortevole appartamento per 44 ore consecutive, i fan dei Beatles sono tornati a protestare e la loro indignazione può aver contribuito alla decisione sulla concessione della libertà vigilata. Chapman svolge ormai da anni in carcere lavori socialmente utili come assistente bibliotecario e facchino.

 

 

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