Rassegna stampa 7 settembre

 

Giustizia: Napolitano; carceri siano luogo di speranza e recupero

 

Apcom, 7 settembre 2007

 

"Il XII Congresso Mondiale della Commissione Internazionale per la Pastorale Cattolica nelle Prigioni costituisce una importante occasione di approfondimento dei problemi connessi allo stato di detenzione. Da luogo di sofferenza, il carcere può divenire luogo di speranza quando la espiazione della pena avviene nel rispetto della dignità e dei diritti fondamentali dell’uomo, favorendo l’evoluzione delle coscienze e permettendo di recuperare alla società civile coloro che hanno sbagliato".

Lo afferma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un messaggio inviato in occasione del XII Congresso Internazionale della Commissione Cattolica Internazionale dei Cappellani di Prigione, in corso a Roma, a monsignor Giorgio Caniato, membro della Commissione e Ispettore Generale dei Cappellani.

"In questo contesto - ricorda Napolitano - il ruolo dei Ministri di Culto è fondamentale, perché essi partecipano all’opera di risocializzazione dei detenuti e alla loro rieducazione umana e spirituale sia attraverso il servizio pastorale, sia venendo incontro ad esigenze personali che le strutture possono non essere in grado di soddisfare. L’impegno quotidianamente e generosamente profuso nelle carceri dai Ministri di Culto è ancora più prezioso per i giovani venuti in contatto con il mondo della devianza: il percorso di recupero della consapevolezza del valore delle regole richiede infatti per essi una particolare, costante attenzione". "Nelle certezza che dalla discussione emergeranno contributi di rilievo anche per una sempre più efficiente collaborazione tra tutti coloro che operano all’interno degli Istituti penitenziari, formulo i più fervidi auguri di buon lavoro a Lei, al Presidente del Congresso e a tutti i partecipanti", conclude il capo dello Stato.

Giustizia: Papa; anche in carcere la dignità umana chiede spazio

 

Avvenire, 7 settembre 2007

 

Il carcere non come perdizione e condanna, ma anzi come "luogo che facilita il passaggio dalla disperazione alla speranza". Perché "sopraffatti da isolamento, vergogna e rifiuto", i detenuti smettono di sperare, e senza prospettive qualsiasi esistenza finisce. Nessuna utopia nelle parole forti del Papa, rivolte ieri in udienza ai partecipanti all’incontro internazionale dei cappellani delle carceri, ma l’invito a porsi l’eterno problema della dignità della vita, di ogni vita in quanto tale, anche la più colpevole e abietta. La pena - si evince dal discorso del Papa - è un male necessario, inevitabile per preservare la società dal delitto, ma anche (e nell’ottica dei cappellani delle carceri soprattutto) per ricondurre quel fratello smarrito alla dignità perduta e a un progetto di vita che comprenda nel suo vocabolario la parola "futuro". Se gli si nega la possibilità, anche la più remota, di redenzione, lo si condanna a morte interiore. Nessuna teoria astratta, anzi, il Papa va avanti ammonendo: "Quando le condizioni delle prigioni non tendono alla riconquista del senso della dignità", se cioè viene meno il percorso riabilitativo del condannato, "le istituzioni falliscono in uno dei loro fini essenziali". E tutti noi sappiamo quanto questo avvenga, per carenze strutturali ormai croniche e "disattenzioni" nei confronti di un’umanità considerata minore.

Le parole di Benedetto XVI sollevano dunque una questione "calda" e fanno chiarezza nella grande confusione che oggi regna, tra chi vorrebbe chiudere la cella e buttar via la chiave e il garantismo tanto buonista quanto incosciente del "liberi tutti", tra la comprensibile paura degli italiani di fronte a delitti efferati come l’assassinio dei coniugi seviziati e uccisi a Treviso e provvedimenti discussi come l’indulto. Certezza della pena, chiedono tutti, maggioranza e opposizione, mentre il governo pensa di riscrivere alcune norme (vigenti ma non applicate) dopo l’orrendo caso della giovane uccisa a Sanremo dal fidanzato, già indagato per un simile omicidio eppure libero. A tutto c’è una risposta, nelle parole del Papa, tanto lontane dai garantismi quanto attente alle garanzie, di tutti: della società che intende tutelare la propria sicurezza, e del criminale che fino all’ultimo istante di vita ha il diritto-dovere di pentirsi e salvarsi. Certezza della pena, dunque, ma anche della sua utilità: "Le istituzioni giudiziarie e penali - ha osservato il Papa - giocano un ruolo fondamentale nel proteggere i cittadini e salvaguardare il bene comune", ma il cristiano non può dimenticare che di quel bene comune fa parte anche l’assassino, così "le stesse istituzioni devono nello stesso tempo contribuire alla riabilitazione di chi ha sbagliato".

Uno scopo che non viene raggiunto se il carcere è un inferno sulla terra senza spiragli né mani tese, ma anche se le sue porte vengono spalancate e il colpevole è libero prima ancora di aver maturato una coscienza del suo delitto. Libero di reiterarlo. Dare al reo la possibilità di es-piare, (dal latino "tornare puro") non è un optional, è un dovere che qualsiasi società civile ha nei confronti dei suoi cittadini detenuti, tanto più una società cristiana, consapevole che a tutti noi, finché abbiamo respiro, è concessa un’ultima possibilità. Anche attraverso l’azione salvifica della pena. Non a caso il Papa cita un passo del Catechismo che tutti dovrebbero tenere presente quando si discute di delitto e castigo: "La pena - è scritto - oltre che a difendere l’ordine pubblico mira a uno scopo medicinale: nella misura del possibile deve contribuire alla correzione del colpevole". Infatti "quando è volontariamente accettata, assume valore di espiazione".

Nell’alternarsi di cadute e speranze che cadenzano il tempo eterno delle carceri c’è la metafora dell’intera umanità: l’ultima chance hanno i carcerati, l’ultima chance abbiamo tutti noi esseri umani, portati a sbagliare e a peccare, ma tutti attesi sul limitare di una soglia estrema per la riconciliazione, grande novità del messaggio cristiano.

Giustizia: il sociologo Enrico Pugliese; chi sparge l’insicurezza?

 

Aprile on-line, 7 settembre 2007

 

Intervista al sociologo Enrico Pugliese. Caccia ai lavavetri e sindaci aspiranti sceriffi, ma il pericolo vero può venire da chi occupa posizioni di responsabilità politica e tenta di cavalcare l’onda per ragioni elettorali.

L’ultima è l’uscita dei sindaci Pd di Bologna e Firenze, Sergio Cofferati e Leonardo Domenici, che parlano di poteri di polizia giudiziaria per i primi cittadini. C’era stata l’ordinanza anti - lavavetri nel capoluogo toscano, il piano sicurezza del ministro dell’Interno Giuliano Amato che ha paventato, salvo pronte reazioni del centrosinistra, una svolta fascista nel nostro paese. Quanto è autentica l’emergenza sicurezza in Italia? Ne abbiamo parlato con il sociologo Enrico Pugliese, direttore dell’"Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali" del Cnr.

 

Professor Pugliese, hanno già destato scalpore le dichiarazioni di Cofferati e Domenici, che pare non vedano di cattivo occhio la possibilità di vedersi affidati poteri di polizia giudiziaria. Che ne pensa?

"Non vedo che bisogno ci sia di modificare le leggi dello Stato in questo ambito. Esiste una questione di sostanza: provvedimenti di questo genere - che io non condivido - andrebbero presi in condizioni di serenità e non emotive come quella attuale. Dissento, ovviamente, dalla richiesta come cittadino. Come studioso ho da dire che si sta procedendo a una pericolosissima rappresentazione negativa degli immigrati che per fortuna non ha una base reale".

 

L’allarme, su cui fa leva il dibattito degli ultimi giorni, è quindi secondo lei ingiustificato?

"Assolutamente ingiustificato. La frase più stupida che ho sentito in questo periodo è la seguente: la sicurezza non è né di destra né di sinistra. Questa frase è al contempo lapalissiana e banale, la frase giusta dovrebbe essere: l’ossessione della sicurezza è di destra, il tentativo di capire cosa sta succedendo e la valutazione serena dei fatti sono di sinistra. Ho l’impressione, quindi, che questa ondata porti a destra. D’altra parte è stata una pessima idea creare questa clima perché nel lungo periodo si rischia di trovarsi di fronte a fenomeni del genere profezie che si auto-verificano. Mi spiego: se si cominciano a trattare le persone come delinquenti, si finisce per spingerle obiettivamente nella delinquenza. Dai miei studi, tra l’altro, non mi risulta l’esistenza di racket di lavavetri. Semplicemente si susseguono gruppi di persone, di etnie e nazionalità diverse. Altro problema, naturalmente, è quello della delinquenza. Che ci sia delinquenza tra gli immigrati, come in qualunque altro paese, è ovvio. Ma bisogna applicare le leggi dello Stato. C’è poi, nel dibattito, un elemento provinciale, e qui smetto di parlare da studioso. Possibile che in Italia non ci si renda conto che la tolleranza zero è passata di moda, in America, da almeno due anni? Giuliani e persino la destra ormai parlano di altro, di criteri articolati di repressione, la tolleranza zero è diventata un luogo comune".

 

Ma si è detto che non è importante solo la sicurezza in quanto tale, ma la percezione che ne hanno i cittadini. E si è parlato di un diffuso senso di insicurezza.

"Non so cosa sia, ma conosco, ad esempio, il senso di insicurezza di chi arriva in Italia senza una casa e un lavoro. Si mi si parla di insicurezza, in realtà, non so di cosa si sta parlando. Le questioni, i pericoli vengono da un’altra parte. Mi spiego meglio. Ci sono due tipi di atteggiamenti contro gli immigrati. Il primo è dovuto fondamentalmente al razzismo. Siamo tutti un po’ razzisti, riusciamo ad esserlo di meno quando la cultura e le informazioni sugli altri ci permettono di farlo. Penso che il razzista, tutto sommato, sia più giustificabile perché è mosso da un’emozione sincera, naturale. Mi sembra invece orrendamente cinico il secondo tipo di atteggiamento, proprio di chi pensa di cavalcare l’onda e lancia un messaggio di forza, repressione per assicurarsi una porzione maggiore di elettorato. Non so se il senso di insicurezza si può misurare, ma se si potesse misurare sicuramente aumenterebbe se chi svolge un compito istituzionale e di riferimento sparge allarmismo".

 

Le istituzioni di cui parla, allora, come dovrebbero comportarsi?

"Bisogna muoversi con consapevolezza, capire esattamente quello di cui si parla. Faccio un esempio: crediamo che nei Cpt ci siano dei delinquenti, ma per i delinquenti c’è sempre stata la galera, nei Cpt ci vanno a finire quelli senza permesso di soggiorno, che commettono una contravvenzione e non un delitto. Le istituzioni non ce l’hanno insegnato e ci hanno trasmesso un’altra visione, ma i Cpt si potrebbero chiudere mantenendo, naturalmente, la galera per i criminali. Da queste cose se ne esce non con un dibattito incentrato sulla dicotomia sicurezza - insicurezza, ma attraverso una conoscenza approfondita della condizione degli immigrati. Senza la distinzione forzata tra "immigrato onesto" e "immigrato disonesto", che mi ricorda quella tra "povero onesto" e "povero disonesto", inventata dalla borghesia vittoriana per il togliere il sussidio ai disoccupati, con il pretesto della disonestà. Gli immigrati sono gli immigrati, in quanto persone, poi è chiaro che esattamente come gli italiani devono rispettare le leggi dello stato, ma cominciare con le distinzioni è già di per sé discriminatorio".

Giustizia: misure razziste che ci riportano indietro di due secoli

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Il Manifesto, 7 settembre 2007

 

"In Inghilterra le case di correzione vennero istituite per rinchiudere e confinare la schiera di persone "senza padrone" gettate sulla strada in seguito alla dissoluzione del sistema caritativo dei monasteri cattolici (...). Istituzioni simili furono fondate anche in altre parti d’Europa: la più famosa fu la Rasp House di Amsterdam, costituita (...) intorno al 1550 per confinarvi l’orda di vagabondi (...).

Fu questo il periodo (...) della Mint di Bristol, un’enorme casa di lavoro fondata nel 1701 dai mercanti della città per confinarvi i poveri vagabondi, e delle proposte di John Locke per case di lavoro penali quale mezzo per ridurre il carico delle parrocchie nel mantenimento dei poveri non reclusi (...). Oltre a dare ai magistrati il potere di far fustigare o imprigionare mendicanti, attori girovaghi o giocatori d’azzardo, zingari, venditori ambulanti, e "tutti coloro che rifiutavano di lavorare per i salari usuali e comuni", il Vagrancy Act li autorizzava a incarcerare i pazzi vagabondi e "tutte le persone che giravano qua e là e alloggiavano in birrerie, granai e case o all’aria aperta, senza poterne rendere conto" (...)

Il parlamento autorizzò nel 1752 i magistrati a ricompensare le guardie per l’arresto di vagabondi (...). Secondo alcuni commentatori del provvedimento questo sforzo di trasformare in un affare le vessazioni contro i poveri aumentava il rigore dell’applicazione delle leggi (...). La magistratura introdusse anche la ruota a pedali.

I detenuti salivano i gradini della ruota, facendola girare con i piedi mentre si reggevano a una sbarra per tenersi diritti (...). I giudici espressero per la ruota un entusiasmo senza limiti. Uno di loro osservò che essa costituiva "la punizione più tediosa, angosciosa e salutare che fosse mai stata escogitata dall’ingegno umano" (...). Nel loro entusiasmo, i magistrati non risparmiarono nessuno, costringendo alla ruota donne incinte, vagabondi storpi con gambe in cattivo stato e operai con l’ernia".

La ruota a pedali resta fortunatamente ancora solo un futuribile scenario di orizzonte. Ma, per tutto il resto, l’ordinanza del Comune di Firenze contro i lavavetri e il piano del governo contro vagabondi e prostitute sono ben sintetizzati dalla lunga citazione che precede. Tristemente, essa si ambienta a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo. Il gioco estivo alla raccolta di consenso di amministratori fiorentini, romani, bolognesi getta a mare 250 anni di civiltà giuridica. Michael Ignatieff ne "Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale inglese 1750-1850", raccontava così la nascita del sistema della repressione agli albori del capitalismo.

Il Corriere della Sera di ieri preannunciava il nuovo reato di "questua molesta" voluto dal ministro Amato. Ieri il ministro degli Interni rettificava sostenendo che c’è già la possibilità di punire i mendicanti con le norme attualmente presenti nel nostro codice penale che, ricordiamo, è del 1930. Forse però il ministro non ricorda che un legislatore meno preoccupato di inseguire i turbinii dell’opinione pubblica estiva aveva depenalizzato sin dal 1981 il reato di "esercizio abusivo di mestieri girovaghi" (tale è il mestiere dei lavavetri, così definito proprio dalla circolare fiorentina) e abrogato nel 1999 il reato di "mendicità". Lo aveva fatto un altro governo di centrosinistra.

Le misure proposte da sindaci e ministri dell’Unione contro mendicanti, lavavetri, prostitute sono misure indecenti. Ci fanno tornare velocemente e tragicamente indietro di due secoli e mezzo. Mettono sullo stesso piano criminali e poveri, sfruttati e sfruttatori. Ci fanno fare un passo culturale, giuridico, sociale e politico indietro nel passato carcerario violento e inumano di cui Ignatieff e Foucault hanno raccontato le origini.

In Italia però in questi due secoli e mezzo ci sono stati Cesare Beccaria, il liberalismo penale, il codice Zanardelli, l’antifascismo, la Costituzione repubblicana. Solo la parentesi fascista con le leggi razziali aveva osato tanto. Le misure contro i vagabondi di oggi sono misure dirette contro gli immigrati, in particolare contro i nomadi. Per questo sono misure razziste.

Siamo partiti da una inventata nuova emergenza - quella dei lavavetri - per poi arrivare a proporre modifiche in peggio delle norme sulla custodia cautelare e sulla sospensione condizionale della pena.

Il centrosinistra rischia di diventare vittima di se stesso e della propria mania di inseguire la destra sulla sicurezza e l’ordine pubblico. I sindaci - autoproclamatisi governatori - si trasformano in novelli prefetti e questori. Un comandante di polizia municipale a Roma racconta orgoglioso alla stampa di avere raccolto in un autobus giovani prostitute da lui arrestate. Neanche fosse Serpico o l’ispettore Callaghan. Il tutto mentre a Roma il traffico impazzisce. Cari Veltroni, Domenici, Cofferati: se ci fossero nelle vostre (nostre) città meno macchine ai semafori, ci sarebbero anche meno lavavetri.

Giustizia: sulle iniziative del governo contro la micro-criminalità

di Bruno Tinti (Avvocato)

 

www.radiocarcere.com, 7 settembre 2007

 

Le iniziative governative su microcriminalità, lavavetri, posteggiatori etc. inducono ad alcune riflessioni.

1) Già con un decreto legge di agosto è stato ripristinato il reato di guida senza patente che, prima della sua abrogazione, significava, a Torino, un ventina di denuncie al giorno; adesso, sembra, ci sarà qualche reato nuovo per lavavetri e posteggiatori abusivi e qualche integrazione legislativa ai già esistenti reati di guida in stato di ebbrezza e sotto l’influsso di stupefacenti.

Mi pare che qualcuno dovrebbe spiegare a ministri tanto attivi che, a norma di codice di procedura penale:

a) una richiesta di decreto penale fatta dal Pm (Pubblico Ministero) per questo genere di reati arriva al Gip (Giudice per le Indagini Preliminari) circa 6 mesi dopo il fatto, perché (a Torino) tanto ci mettono gli uffici a registrare la notizia di reato e fascicolate il tutto; e il trend è in aumento. Il Gip emette il decreto dopo altri 6 mesi circa e attende le notifiche per circa 1 anno. Sicché la strabiliante pena pecuniaria propria di questo genere di reati (tra 1.000 e 2.000 euro) può essere richiesta all’imputato a distanza minima di due anni dal fatto. Poiché l’imputato ha ancora diritto ad opposizione al decreto penale, giudizio di 1° grado, appello e cassazione, è ovvio che questa strabiliante pena non potrà essere effettiva per via della sicura prescrizione nel frattempo maturata.

b) nel caso di vero e proprio processo, riservato ai casi più gravi (recidiva, incidenti provocati in stato di ebbrezza etc.), il provvedimento del Pm sarà notificato all’indagato dopo 3 anni e mezzo circa dal fatto (sempre a Torino), scontando sia i tempi necessari per la registrazione e la fascicolazione sia quelli per le notifiche; il Tribunale fisserà l’udienza a distanza di 2 anni circa dalla richiesta, per via della massa di processi in attesa; sicché anche in questo caso la prescrizione è garantita.

c) qualsiasi altro futuro reato nei confronti di lavavetri e posteggiatori farebbe la stessa fine, che comunque è quella di tutti i reati per i quali la legge non consente l’arresto (che sono oltre il 90 % del totale).

d) questa situazione dipende esclusivamente dal dissennato sistema processuale italiano e non può essere sanata con aumenti di personale, giudiziario, amministrativo, di polizia che sia: ricordo, tra le tante idiozie, la nuova normativa che ha impedito alla PG di procedere a notifiche, naturalmente non accompagnata da nessuna iniziativa volta a semplificarne il regime o ad aumentare il numero degli ufficiali giudiziari.

e) nemmeno si può procedere al sequestro delle autovetture (che costituirebbe un buon deterrente per i reati di guida senza patente, in stato di ebbrezza etc.) perché non ci sono soldi per pagarne la custodia; e la procedura di vendita è talmente lunga e dispendiosa che alla fine tutto il ricavato serve per pagare il custode.

Le grida manzoniane di Mastella, Amato e compagnia servono dunque solo per far credere ai cittadini che possono stare tranquilli perché loro sono lì e vigilano; in realtà queste disordinate iniziative, se verranno realizzate, renderanno ancora più caotica e inefficiente la giustizia penale italiana e non aumenteranno di una virgola l’inesistente repressione penale.

2) Accanto alle strombazzate iniziative per lavavetri, posteggiatori e ubriachi, ci è stata propinata la notizia di un imminente piano del Ministro della Giustizia (uno nuovo, che fine ha fatto quell’altro per cui il processo doveva durare 5 anni e non un giorno di più?) mirato all’efficiente repressione di furti e rapine. Non si sa molto delle caratteristiche di questo nuovo progetto; dai giornali si apprende che sarebbe facilitata la carcerazione, resa più difficile la scarcerazione, forse abolito l’appello e non so che altro. Ho letto perfino di una futura norma che affiderebbe la scarcerazione (e la carcerazione no?) a tre giudici e non più ad uno; tanto lo sanno tutti che i giudici nascono nell’orto di ogni Tribunale e che basta una semina oggi per raccoglierne una messe tra tre mesi.

Ma al di là dell’insipienza tecnica di queste iniziative, per le quali valgono le osservazioni di cui sub 1 (ma possibile che nessuno gliele spieghi ai nostri politici queste cose che sa anche l’ultimo dei giudici e l’ultimo degli avvocati?), la cosa che mi intriga è la seguente: com’è che l’allarme criminalità e le conseguenti affannate attivazioni della politica sorgono solo per questo tipo di reati? Perché, quando si parla di corruzioni diffuse, di bancarotte miliardarie, di insider trading ed aggiotaggi, di abusi di ufficio e in genere di tutto il panorama delinquenziale delle classi dirigenti, nessun ministro si scandalizza per la sostanziale inefficacia della repressione penale e non propone analoghe norme di recupero di efficienza ed effettività della pena? E perché questo Governo così sollecito su lavavetri e posteggiatori, composto da quella stessa gente che ha ululato per anni contro le leggi vergogna in materia di falso in bilancio e reati connessi, non ha avuto nemmeno una modesta iniziativa per l’abrogazione di queste leggi?

Condivido le critiche rivolte alla sinistra che si oppone al prospettato giro di vite nei confronti della criminalità comune; sempre di criminalità si tratta e come tale va repressa. Ma mi chiedo perché nessuna iniziativa viene adottata per garantire analoga efficiente repressione per corruzioni, reati societari, fiscali, fallimentari etc.

Tanto più che le chiacchiere non costano niente; ma sarebbero almeno un buon segnale: se carcerazioni più facili, scarcerazioni più difficili, effettività della pena dopo il primo grado di giudizio e quant’altro costituisce l’arsenale da mettere in campo per battere la criminalità comune sono strumenti idonei per una repressione penale migliore, allora perché non adottare gli stessi strumenti per tutti i reati, ivi compresi quelli delle classi dirigenti?

Sarà che la strategia politica (come è sempre stato finora) è quella per cui i reati degli ultimi vanno repressi mentre con i delinquenti di alto bordo si deve trovare un accordo? Del resto già ci è stato spiegato che con la mafia bisogna convivere; e che non si può strozzare l’economia del Paese con tasse inique, ragion per cui l’evasione fiscale è difesa legittima.

Giustizia: l’arma segreta di Amato, espellere anche i cittadini Ue

 

www.radiocarcere.com, 7 settembre 2007

 

"L’arma segreta che Giuliano Amato sta per scagliare sulla testa di mendicanti, prostitute e lavavetri che vengano dall’Est europeo è nascosta tra le pieghe di una direttiva europea del 2004. Il ministro dell’Interno ha già dato ordine alla polizia di prepararsi a verificare: trasferirsi in Italia, prendendo la residenza da noi, non è un diritto indiscriminato. Tutt’altro. È subordinato alla dimostrazione di un reddito.

La direttiva 38, al riguardo, è molto precisa: il cittadino dell’Unione ha diritto a trasferirsi dovunque voglia in Europa, ma "a condizione di disporre, per se stesso o per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante".

Ecco dunque lo strumento che mancava. Ora servirà soltanto un decreto ministeriale per stabilire quale sia la soglia delle fatidiche "risorse economiche sufficienti". Poi si potrà procedere a una verifica delle liste anagrafiche dei recenti acquisti provenienti da Romania e Polonia. Ma anche dei rom, ai quali la direttiva si può applicare, e che in massa rivendicano la cittadinanza rumena per accreditarsi come cittadini comunitari, o tante giovanissime prostitute che sostengono di venire da Bucarest, a quel punto potranno essere espulsi verso la Romania.

Quanto alle ordinanze comunali, non soltanto si cercherà di armonizzarle tra loro ("Firenze deve dialogare con Prato, sennò è tutto inutile", si dice al Viminale) e di dargli una veste giuridica più robusta, ma è previsto anche che nascano pattuglie miste tra agenti di polizia e vigili urbani. La polizia, da parte sua, predisporrà un reparto speciale mobile, con 600 agenti e 600 carabinieri, da scaraventare di volta in volta in campagne contro la prostituzione in una data città e poi in un’altra. In serata alla Festa della Margherita di Amato è tornato sull’argomento: "Se fossimo così incoscienti da pensare che la sicurezza non è un nostro problema, creeremmo le condizioni per una svolta reazionaria e fascista nel nostro Paese".

Polizia Penitenziaria e Uepe: pronto Decreto Interministeriale

 

Comunicato Sappe, 7 settembre 2007

 

È stato trasmesso oggi al Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione più rappresentativa della Categoria con 12mila iscritti, ed alle altre Organizzazioni Sindacali della Giustizia lo schema di decreto interministeriale del Ministro della Giustizia di concerto con quello dell’Interno finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe).

Lo schema di decreto sarà discusso dal Sappe e dagli altri sindacati con i vertici dell’Amministrazione Penitenziaria in una riunione già fissata a Roma per il prossimo 13 settembre alle ore 14.30.

Nello schema del decreto interministeriale è indicato, a differenza dell’ipotesi progettuale precedentemente sottoposta al confronto sindacale, un ampliamento nazionale della sperimentazione, atteso che il progetto partirà a livello locale nelle città di Napoli, Roma, Genova, Milano, Torino, Taranto, Palermo e Verona mentre a livello provinciale a Reggio Emilia, Bari, Cagliari, Catania, Firenze e Padova.

"Il decreto prevede molto chiaramente quale sarà il ruolo della Polizia Penitenziaria negli Uffici per l’esecuzione penale esterna, e cioè svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova" commenta la Segreteria Generale del Sappe, che valuta molto favorevolmente questo sviluppo operativo e professionale dei compiti del Corpo.

"Ora auspichiamo che il Governo, prima di adottare le iniziative in materia di criminalità del c.d. "Pacchetto Legalità", realizzi un momento di confronto con il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria e le altre Organizzazioni del Comparto Sicurezza e delle Forze di Polizia perché riteniamo che rappresentando le donne e gli uomini delle Forze dell’Ordine - quotidianamente impegnati, giorno e notte, in prima linea contro la delinquenza nelle carceri e nelle strade - possiamo fornire utili spunti nell’ottica di una riorganizzazione sanzionatoria contro la criminalità diffusa.

Per altro, dipendendo noi dal Ministero della Giustizia, riteniamo che un incontro con il Guardasigilli Clemente Mastella sia necessario per definire il ruolo e l’operatività del Corpo di Polizia Penitenziaria alla luce delle modifiche dei Codici penale e di procedura penale ipotizzate dalle Commissioni Riccio e Pisapia. Sarebbe infatti troppo semplicistico invocare, nel c.d. "Pacchetto Legalità" più carcere senza tenere nel debito conto l’attuali delle nostre carceri, in cui oggi sono ristretti circa 46mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 43mila posti e si sono vanificati in un anno gli effetti dell’indulto del luglio 2006 per effetto del quale sono state scarcerate quasi 27mila persone.

Noi auspichiamo, per reati con pene brevi, un potenziamento dell’area penale esterna piuttosto che la detenzione in carcere e, contestualmente, la trasmigrazione delle competenze sui controlli di polizia dei soggetti in esecuzione penale esterna ai penitenziari da altri Corpi di Polizia alla Polizia penitenziaria. Ciò oltre a rappresentare la giusta attribuzione di compiti all’organo appropriato, consentirebbe il recupero di unità alla Polizia di Stato ed all’Arma dei Carabinieri permettendo una migliore razionalizzazione delle risorse umane fra tutti i Corpi di Polizia. L’istituzione di articolazioni autonome della Polizia Penitenziaria, oggi per altro finalmente dotata di proprio personale del ruolo Direttivo, eluderebbe sovrapposizioni di competenze e renderebbe giustizia al ruolo del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ed è naturalmente opportuno che si preveda un adeguamento degli organici del Corpo per espletare questi compiti fondamentali per la sicurezza del Paese".

Cosenza: per caso detenuto disabile Corbelli scrive al Papa 

 

Quotidiano di Calabria, 7 settembre 2007

 

Il leader del Movimento Diritti civili, Franco Corbelli, dopo l’appello di Papa Benedetto XVI per il rispetto dei diritti dei carcerati, ha scritto una lettera-appello al Pontefice "per sottoporre alla sua attenzione il caso di disumanità che si sta consumando nella cella di un carcere calabrese nei confronti del giovane detenuto disabile, Andrea B., di 25 anni, da quattro mesi paralizzato nel lettino di una cella del carcere di Reggio Calabria.

"Santità - scrive Corbelli nella lettera al Papa - oggi Ella ha invitato tutti gli operatori del mondo delle carceri e della giustizia a rispettare i diritti e la dignità dei detenuti. Quello che accade nel carcere di Reggio, invece, non solo va in direzione opposta al suo lodevole appello ma calpesta letteralmente la dignità umana.

Un giovane detenuto, in attesa di giudizio, paraplegico, costretto alla sedia a rotelle non viene curato e da sette mesi aspetta di essere sottoposto ad un esame di risonanza magnetica. Un fatto indegno di un Paese civile che da oltre 10 giorni il Movimento Diritti Civili continua a denunciare nel silenzio e indifferenza delle Istituzioni italiane e dei grandi media". "È bene che Ella Santità - aggiunge Corbelli - sia a conoscenza di questa barbarie perché possa intervenire presso le autorità italiane per chiedere di porre fine a questa inaudita crudeltà.

Mandi un suo delegato, magari l’Arcivescovo di Reggio, a far visita in carcere a questo giovane detenuto disabile per verificare di persona il dramma di questo ragazzo e la disumanità che si sta consumando nei suoi confronti. Faccia quindi la Chiesa sentire forte la sua voce di condanna per questa efferatezza". Corbelli ha anche reso noto di aver appreso, oggi, di un nuovo suicidio in un carcere italiano. "Sto assumendo, in queste ore - afferma il leader di Diritti civili - tutte le informazioni necessarie per denunciare questo nuovo caso".

Droghe: ministro Ferrero; cambieremo legge Fini-Giovanardi

 

Notiziario Aduc, 7 settembre 2007

 

Il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, ha inviato alla famiglia e alla associazione degli amici di Alberto Mercuriali un messaggio nella quale ha espresso il suo dolore e la sua indignazione per l’assurda morte del ragazzo, una morte causata, secondo il ministro, da una legge sulle tossicodipendenze sbagliata e da un sistema informativo malato. Nello scorso mese di luglio, Alberto Mercuriali era stato trovato in possesso di una modica quantità di hashish e la sua storia è stata ripresa da alcuni quotidiani locali e il giorno dopo Alberto si è suicidato. Il ministro nel suo messaggio ha ribadito il suo impegno a lavorare alla modifica della legge Fini - Giovanardi, che produce drammi in quanto considera i giovani consumatori di cannabis al pari di criminali.

Droghe: la Regione Veneto vieta la vendita notturna di alcolici

 

Adnkronos, 7 settembre 2007

 

Divieto di vendere e somministrare alcolici dall’una di notte alle sei del mattino in tutti i locali, pubblici esercizi, chioschi e punti di ristoro, anche mobili, della Regione, con l’unica eccezione della notte di Capodanno per la quale viene meno ogni limite orario. È questo l’articolo più significativo della legge sulla disciplina dell’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, approvata ieri sera dal Consiglio Regionale del Veneto.

Legge che già sta facendo discutere: contrari naturalmente il Silb, il sindacato che riunisce i gestori dei locali da ballo ed anche al Fipe, la federazione dei pubblici esercizi che sostengono che l’articolo approvato metta in effettiva difficoltà gli esercenti. La legge prevede che gli esercenti che non rispetteranno tali orari siano soggetti di sanzioni variabili da un minimo di mille euro fino alla sospensione dell’attività da 30 giorni a un anno.

Per gli esercenti è previsto inoltre l’obbligo di esporre un cartello informativo che segnala ai clienti i divieti di vendita e di somministrazione nelle ore notturne. Il divieto entrerà in vigore solo se la Regione Veneto riuscirà a stipulare entro sei mesi accordi con le Regioni e le province autonome confinanti che estendano analogo divieto nei propri territori, al fine di evitare il fenomeno del nomadismo del "popolo della notte".

Nel caso in cui il Veneto non riesca a raggiungere un’intesa con le regioni e le province autonome contermini il divieto di vendere e servire alcolici e superalcolici scatta dalle 2 alle 6 del mattino. La legge lascia inoltre ai Comuni la possibilità di derogare a tali divieti, purché presentino alla Giunta regionale un programma di controlli sulla sicurezza stradale da effettuare tra l’1 e le 6 del mattino.

 

 

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