Rassegna stampa 6 settembre

 

Giustizia: sul "pacchetto-sicurezza" l’aut-aut della sinistra

 

La Repubblica, 6 settembre 2007

 

Il piano sulla sicurezza rischia di svanire prima ancora di prendere forma. Di sicuro apre un nuovo fronte di tensione nella maggioranza. Un altro, di cui il governo non ha certo bisogno, dopo quelli bollenti legati alle riforme del welfare e alle scelte di politica fiscale. La miccia questa volta è l’intervista del ministro dell’Interno Giuliano Amato a Repubblica. Il titolare del Viminale avvisa gli alleati: "Basta con le filosofie a sinistra e con le posizioni burattinesche e irresponsabili".

Un altolà che da una parte non è piaciuto a leader e ministri della sinistra radicale e dall’altra serve all’opposizione su un vassoio d’argento l’occasione per attaccare e parlare di "bluff", "propaganda" e "apprendisti stregoni".

Il primo ad aprire le ostilità è il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero (Rifondazione) che solleva un problema di metodo e di sostanza. Sul metodo aveva già avuto da ridire martedì sera, dopo il vertice a Palazzo Chigi a cui, si è lamentato, "non sono stato invitato. Una scelta che la dice lunga su come si affronta la sicurezza in questo paese: repressione e nessuno sforzo di integrazione". Oggi il ministro ha ribadito il concetto: "In questo tipo di scelte serve più collegialità e il Presidente del Consiglio ha parlato della necessità che tutti siano coinvolti in queste scelte". Il più esplicito è Cesare Salvi, presidente della Commissione Giustizia al Senato e leader, con Mussi, di Sinistra democratica: "Il ministro dell’Interno dovrà avere i voti della sinistra per far passare le sue norme in Parlamento". Se non fosse chiaro, rincara la dose Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione a palazzo Madama, un giudizio netto e senza appello: "Il ministro travisa e banalizza problemi e soluzioni". La replica di Prodi arriva poco dopo a gettare acqua sul fuoco: "La sicurezza è un tema delicato e molto importante, quindi tutti i ministri saranno coinvolti nella fase di elaborazione delle proposte".

In mezzo a questi due interventi che suonano come veri e propri stop al pacchetto sicurezza, tutta la sinistra radicale affila le lame contro i suoi alleati e la Casa delle Libertà cerca di rimettere le mani sul fronte della sicurezza - tradizionalmente di destra - che le è stato scippato - a sorpresa - dall’Unione.

Questo pacchetto che mette insieme mafiosi e writers non piace neppure nella sua sostanza. Per Ferrero "è necessario tenere distinte la lotta alla criminalità, come la n’drangheta calabrese e i delinquenti che vanno in giro a rapinare le ville, e i problemi sociali come lavavetri e writers. Non si possono tenere insieme cose che non c’entrano nulla. Confondere i due piani - insiste il ministro - vuol dire alzare un polverone".

Rizzo (Comunisti italiani) dice basta perché "la sinistra deve smettere di copiare la destra". Manuela Palermi, capogruppo al Senato di Comunisti italiani e Verdi, boccia "in quanto sbagliato", l’approccio "alla Giuliani" a questo tipo di questioni. Al ministro Mussi non va giù questo rincorrere la tolleranza zero. E al verde Bonelli non piacciono "le misure repressive senza il bilanciamento con altre di tipo sociale".

Mentre la maggioranza si straccia le vesti e continua a farsi del male, l’opposizione ingrassa. Il leghista Roberto Calderoli definisce il pacchetto "pura propaganda". Il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa parla di "pacchetto fumoso e contraddittorio". Bertolini e Schifani (Fi) e Gasparri (An), tutti pezzi grossi dello stato maggiore della Cdl, spiegano che "il piano sarà un boomerang per il governo perché non sarà in grado di mantenere le promesse". Misure che sanno di "bluff da apprendisti stregoni".

Come può infatti un governo - è il loro ragionamento - prima approvare l’indulto e rimettere in libertà 25 mila detenuti e un anno dopo chiedere certezza della pena e il carcere obbligatorio per reati come scippo e furto? "Non è credibile" ribadiscono. Per il Polo adesso è primario rimettere le mani sul tema della sicurezza che in questi anni è stato tradizionalmente - sbagliando - un territorio della destra. Così Forza Italia lancia il Legality day, copia sbiadita delle vecchie edizioni del Security day. E a fine ottobre chiama tutti in piazza contro degrado, illegalità diffusa e questue moleste. Chissà se per quella data il pacchetto del governo avrà visto la luce.

Giustizia: il musical della sicurezza, di A. Boraschi e L. Manconi

 

L’Unità, 6 settembre 2007

 

Da qualche tempo, nei supermercati di Roma e di molte altre città, si è diffusa una nuova "figura professionale". È costituita in prevalenza da immigrati che aiutano gli acquirenti a riporre la spesa nelle buste, nelle sporte ed eventualmente nel bagagliaio delle auto. Qualcuno, poi, prende in consegna il carrello e spera così di ottenere come mancia i 50 centesimi o l’euro di "caparra" (ripone il carrello, sblocca la "chiavetta" e intasca la moneta). Quello che segue è un dialogo possibile tra un italiano zelante e uno straniero impegnato in quella attività lavorativa. Chiameremo il primo Edmondo (da qui in avanti semplicemente "Ed") e il secondo Samir (d’ora in poi "Sam").

Location: la cassa di un supermercato di una grande città. Ed: Buongiorno. Scusa, dico a te... (agli immigrati è superfluo, e snob, dare del "lei": non capirebbero, ndr). Lo sai che qui non puoi stare? Lo sai che quello che fai è illegale? Sam: - Cosa illegale? Ed: - Questa specie di lavoro che fai, se lavoro si può chiamare. Sei come quelli che lavano i vetri ai semafori. Uguale uguale. Sei un abusivo; e magari fai parte di un racket. Magari ti controlla qualcuno, qualcuno che comanda te e altri cento come te: uno al quale, a fine giornata, devi dare i soldi. O magari minacci le persone per ottenere la mancia, mentre i clienti dei supermercati sarebbero ben felici di tenerseli in tasca, quegli spiccioli, e di imbustarsi la spesa da soli. Te ne devi andare di qui. Sam: - Cosa vuoi? Io aiuta gente...

"Cavoli", pensa Edmondo, "ma perché gli immigrati non imparano a declinare i verbi? O mi sta prendendo per il sedere o questo è appena uscito da un film sulla "Capanna dello zio Tom"!". Ed: - Non mi sono spiegato. Tu non aiuti nessuno. Da sempre gli italiani ripongono la spesa nelle buste da soli. E lavano i vetri delle macchine da soli. Senza bisogno di essere assillati da stranieri che vogliono solo la mancia. Ieri, da casa al lavoro, in quattro mi volevano lavare il parabrezza! E oggi non posso più fare la spesa in santa pace? Sam: - Tu fai spesa come vuoi. Io può darsi che aiuta te. Se vuoi tu dai centesimi, se non vuoi dai nulla. Ed: - Certo, certo. Però alla vecchietta mica dici così, vero? Da quella la mancia la pretendi, vero? Sam: - Signora vecchia cinquecento.

Ed: - Cinquecento cosa? Sam: - Cinquecento soldi al mese di pensione. Solo pasta, riso e patate lei. Ed: - E che c’entra? Cosa c’entra? Tu quanti ne fai di soldi, piuttosto? Eh? Sam: - Io 30 al giorno. Ed: - Ah! Tutto in nero... non paghi un euro di contributi... lo sai cosa sono le tasse? C’è gente che guadagna meno di te, in questo paese, e paga le tasse... Sam: - Io vive in otto in casa piccola. Paga trecento mese. Poi direttore mercato vuole dieci al giorno per stare io qui a fare busta. Io mica ricco. Ed: - Sì, e poi un’altra metà la darai a qualche malavitoso, così finanzi pure la mafia e il narcotraffico... droga, riciclaggio, prostituzione... Sam: - Io mando soldi a casa. Ed: - Certo, tutti dei santi siete... Senti, a me non interessa dove mandi i soldi. Guarda che io mica sono razzista.

Anzi, se capisci cosa vuol dire, io sono di sinistra. Chiaro? Però è questione di legalità. E la legge va rispettata, sempre. Quella non ha colore, non è bianca e non è nera, non è di destra né di sinistra. Ci sono delle regole, qui da noi: e se volete vivere in Italia, dovete rispettarle. A questo punto, come in ogni musical che si rispetti, un coro di clienti intona uno stacchetto: "La legalità non è di destra / non è di sinistra", concluso da un assolo di Samir: "Ma i metodi per farla rispettare / quelli non sono tutti uguali. Oh yeheee...".

A questo punto, Edmondo e Samir si osservano, entrambi un po’ stralunati (ed esausti per la fatica di interpretare due stereotipi e, tuttavia, decisi ad andare fino in fondo. Sono pagati per questo, dopo tutto). Sam: - Io non faccio male. Io solo aiuto. E se aiuto bene italiani buoni aiuta me. Ed: - Ma sei abusivo. Ed è questo che conta. Da dietro la cassa la voce di una donna anziana si rivolge all’immigrato: "Samir, buongiorno.

Oggi non mi dai una mano?" Sam (parlando a Ed): - Lei cinquecento al mese. Poi si china sulla merce della donna, la ripone nella busta e la porta fuori dal supermercato. L’anziana donna si appoggia a lui, mentre cammina incerta e lenta (e un po’ affaticata anche lei dalla parte interpretata su nostra richiesta). Lo saluta sorridente e gli porge venti centesimi. Lieto fine. Edificante al punto giusto. (Applausi o fischi, a vostro piacere).

Giustizia: Mantini (Ulivo); proporrò revisione Simeone-Saraceni

 

Ansa, 6 settembre 2007

 

"Il pacchetto sulla sicurezza del governo va nella direzione giusta e sono assurde le critiche sul presunto leghismo di Penati a Milano. Anche io sono stato accusato da settori del centrosinistra per aver partecipato a Milano alla manifestazione per la sicurezza promossa da commercianti e artigiani e strumentalizzata dalla destra".

Lo ha dichiarato Pierluigi Mantini, deputato dell’Ulivo e membro della commissione Giustizia alla Camera dei Deputati. "I ritardi e le omissioni - ha proseguito - devono essere superati sulla base del principio: duri contro il crimine, duri contro le cause del crimine. Le politiche per l’integrazione sociale devono accompagnare, non sostituire, quelle per la repressione e il contrasto del crimine. Il senso di impunità avvertito dai cittadini merita risposte concrete. Da parte mia presenterò al più presto un disegno di legge per la revisione della legge Simeone-Saraceni".

Giustizia: Mastella; l'indulto non centra con omicidi di Treviso

 

www.giustizia.it, 6 settembre 2007

 

Il Ministero della Giustizia smentisce che il provvedimento dell’indulto, votato dai due terzi del Parlamento, abbia a che vedere con la morte dei due coniugi di Gorgo al Monticano, barbaramente assassinati lo scorso 21 agosto, da due albanesi. Come risulta dalle verifiche effettuate dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, uno dei due immigrati, Naim Stafa, non ha in alcun modo beneficiato del provvedimento di clemenza.

L’altro, accusato di violenza sessuale, ha ottenuto l’indulto dopo aver già espiato tutta la pena cui era stato condannato per questo reato e, in carcere per altri delitti contemplati dalla legge sull’indulto approvata dalle Camere, è stato consegnato, all’uscita dalla prigione, direttamente all’ufficio immigrazione di Palermo per l’espulsione verso l’Albania.

Gorgo come Erba, dunque: la caccia alle streghe degli indultati sembra ripetersi ogni qualvolta un grave ed efferato fatto di cronaca accade. Le strumentalizzazioni mediatiche di una legge voluta dalla maggioranza qualificata del Parlamento non servono né alla sicurezza dei cittadini né al buon funzionamento della giustizia in un Paese basato su un sistema democratico.

Giustizia: luci e ombre del nuovo Ordinamento Giudiziario

 

www.radiocarcere.com, 6 settembre 2007

 

Con la legge n. 111 del 30 luglio 2007, pubblicata lo stesso giorno sulla G.U. suppl. ord. n. 171/L, si è conclusa la seconda fase degli interventi della nuova maggioranza parlamentare sulla Riforma dell’Ordinamento giudiziario uscita dalla precedente Legislatura. Con la legge 269 del 24 ottobre 2006 erano state introdotte modifiche significative al sistema disciplinare e modifiche minimali al decreto sull’organizzazione degli uffici di procura; era poi stata sospesa fino al 31 luglio di quest’anno l’efficacia delle norme che riorganizzavano la carriera dei magistrati. La legge 111 modifica radicalmente la disciplina della carriera, intervenendo pure in particolare sulla nuova Scuola per la magistratura e sui consigli giudiziari, articolazione locale del governo autonomo della magistratura.

Era stato giustamente osservato che la Riforma del ministro Castelli era caratterizzata da una vigorosa marcia indietro nell’assetto costituzionale della magistratura, tale da reintrodurre principi e norme che caratterizzavano l’Ordinamento giudiziario vigente prima dell’entrata in vigore della Costituzione. Ciò, contro la settima disposizione transitoria della Carta costituzionale che invece imponeva che il nuovo Ordinamento giudiziario si conformasse ai diversi principi posti dalla nuova Costituzione, in particolare quelli della diversità tra i magistrati solo in relazione alla differente funzione esercitata e quello dell’attribuzione al Csm - nella sua composizione integrata con i componenti eletti dal Parlamento, previsione volta ad escludere l’autoreferenzialità della corporazione della magistratura - dei poteri di deliberazione in materia di organizzazione degli uffici, carriera e aspetti disciplinari.

Ciò aveva imposto, è bene non dimenticarlo, il rinvio alle Camere da parte del presidente della Repubblica per numerosi e gravi rilievi di palese incostituzionalità. È doveroso chiedersi allora se le modifiche ora introdotte rispondano ad un’organica e diversa filosofia, dalla quale emerga l’immagine della nuova’magistratura perseguita dal diverso Legislatore. La risposta per ora non può essere integralmente positiva.

Vi sono infatti interventi profondamente innovativi come quello sulla carriera, che abbandona la dichiarata aspirazione ad una magistratura nuovamente caratterizzata da vincoli, di diritto o di fatto, gerarchici - e che da un lato vedeva nella Corte di cassazione non più solo l’ultimo giudice del singolo processo ma il vertice della stessa magistratura e in un certo senso il selettore dei giudici destinati a far carriera, e dall’altro negava ogni possibilità di accedere ad incarichi direttivi per il bravo giudice del primo grado (quasi che l’interesse del cittadino non fosse ad avere da subito un giudice adeguato) -, ed introduce il sistema di generali valutazioni quadriennali di professionalità, che prescindono dal mutamento della funzione "verso l’alto".

E questo è senz’altro un intervento importante per ricondurre il sistema alla conformità con la Costituzione. Ma purtroppo risultano confermate scelte ‘pesanti’ della precedente impostazione, come quella che attribuisce alla discrezionalità del procuratore della Repubblica una serie di poteri il cui esercizio è tendenzialmente insuscettibile di tempestivo controllo e correzione da parte del Csm tali da incidere pesantemente sull’effettivo esercizio dell’azione penale secondo il principio di concreta parità di trattamento tra i cittadini e sulla stessa autonomia dei suoi sostituti.

Lo stralcio, poi, di parti importanti della disciplina complessiva (come quelle sul ripristino del numero dei componenti del Csm - ridotti dal precedente Governo - e sulla cosiddetta dirigenza degli uffici - nel rapporto tra magistrato capo dell’ufficio e dirigente amministrativo -) non può che imporre l’attesa delle speriamo vicine scelte legislative.

È evidente infatti che un sistema che prevede circa 2000 valutazioni di professionalità all’anno, se non vuole risolversi nell’ennesimo inutile turbinio di carte non significanti, deve prevedere strutture e risorse umane che siano in grado di svolgere accuratamente le verifiche loro demandate. Allo stesso modo, che ad avere l’ultima parola sulla destinazione del personale per l’assistenza in udienza piuttosto che per altro servizio sia il magistrato capo dell’ufficio piuttosto che il dirigente amministrativo può, nel caso di contrasto tra i due, avere conseguenze nient’affatto indifferenti per la concreta possibilità dello stesso esercizio quotidiano della giurisdizione: così come è stato sempre osservato che non serve ad alcunché un giudice indipendente se il Pm è controllato o controllabile e filtra il lavoro che arriva a quel giudice, altrettanto può dirsi del giudice indipendente che però non sia messo nelle condizioni di lavorare perché manca il personale per trattare i processi. Insomma, aver imposto una valutazione ravvicinata e seria del lavoro del singolo magistrato è positivo, ma quel magistrato deve essere posto nelle condizioni di poter lavorare, altrimenti o la valutazione diviene fittizia o sul magistrato che ha più lavoro si scaricano le disfunzioni e le carenze del sistema, che da lui non dipendono.

L’ingresso in magistratura, con l’impossibilità dell’accesso diretto dall’università anche per i più preparati; una disciplina irrazionale del mutamento di funzioni, giudicante - requirente (compromesso tra scelte alternative che rende illogica la soluzione), l’insufficiente apertura a contributi seri dell’avvocatura, dell’accademia e degli enti territoriali, l’eccessiva invadenza del ministro nella Scuola, sono ulteriori punti che rendono perplessa la valutazione attuale.

Giustizia: l’Anm è gestito davvero in maniera democratica?

 

www.radiocarcere.com, 6 settembre 2007

 

Metto le mani avanti e dico subito che questo scritto non vuole avere il sapore di un’accusa, ma, se mai, intende essere il grido di chi cerca di capire dove e come le buone intenzioni iniziali (quelle proprie delle "correnti" sul loro nascere) abbiano finito per lastricare una strada per l’inferno (un Csm dominato dalla regola dell’appartenenza). Giuste o sbagliate che siano le mie considerazioni, esse sono innanzitutto un’autocritica - assai più che un’accusa a qualcuno - essendo io convinto che numerosissimi siano i magistrati desiderosi di un profondo rinnovamento.

Non so se sia vero che Maria Antonietta - appreso che il popolo rumoreggiava e saputo che ciò accadeva perché il pane scarseggiava - ebbe a rispondere: "Allora date loro delle brioche". L’aneddoto - vero o inventato che sia - ci dà la misura dell’alienazione in cui, passo dopo passo, si può cadere, quando ci si chiude nel proprio microsistema e nei propri vantaggi: chiuso in un sistema di comodo, l’egocentrico finisce per scambiare il mondo con se stesso.

Il sistema ci "acceca", ci rende egoisti e ci spinge a non vedere ciò che è. Dobbiamo dunque aprire gli occhi e porre a noi stessi una domanda tanto impietosa quanto necessaria: impietosa, perché spiace ammettere che tanta passione civile sia stata involontariamente distorta; necessaria, perché errare humanum est, perseverare diabolicum. Questa la domanda: "Le correnti hanno finito per dar vita a un regime?".

Proverò dunque a ragionare a voce alta su un parola che viene impiegata anche con riferimento al nostro assetto socio-politico generale: regime.

Direi, in prima approssimazione, che "regime" è quell’assetto in cui il potere rende sì ossequio ai principi formali della democrazia (in ciò distinguendosi dalla dittatura), ma adotta una serie di accorgimenti che rendono meramente teorica la possibilità di perdere il potere. Insomma il regime è, per un pessimista, una dittatura incompiuta; per un ottimista invece è una democrazia imperfetta: questione, come sempre, di punti di vista. Pur atteggiandosi in modi assai diversi tra loro, i regimi hanno tratti comuni che mi azzardo a individuare.

Il primo tratto caratteristico di un regime è la forte distanza tra realtà e facciata: la trasparenza è la prima arma della democrazia, la menzogna manipolativa lo strumento principe dei regimi.(Corollario: nelle scelte di regime la "motivazione" dichiarata diverge spessissimo dalla motivazione reale)

In secondo luogo la democrazia fa propria una cultura improntata al bene comune; il regime, invece, distorce e diffonde pratiche per dir così "corruttrici", tali cioè da saldare gli interessi particolari dei singoli con gli interessi di coloro che sono a capo del regime. In tal modo detti interessi particolari - che simul stant simul cadunt con gli interessi facenti capo agli oligarchi del regime - divengono uno dei punti di forza del regime.

In terzo luogo il regime è nemico di una diffusa partecipazione. La c.d. "base" ben può essere chiamata a raccolta (per essere manipolata), ma alle decisione reali presiede una ben individuata oligarchia: la democrazia spinge verso la partecipazione generalizzata, il regime verso gli "apparati".

In quarto luogo la democrazia è ricambio, là dove tutti i regimi tendono a cristallizzare gli assetti di potere o al più dar vita a una sorta di gioco dei quattro cantoni ove gli oligarchi si scambiano le poltrone, così mantenendo nella sostanza immutato il loro potere personale.

In quinto luogo il regime riduce la democrazia all’esercizio del voto (un voto peraltro spesso "imbastardito" da controlli e interferenze indebiti). Ovviamente i candidati sono scelti dagli oligarchi.

La democrazia alimenta gli entusiasmi, suscita speranze di miglioramento, accende l’inventiva, individua problemi ed escogita soluzioni, promuove la pari dignità dei cittadini e la tutela del bene comune. Il regime si nutre di liturgie auto celebrative, ignora i problemi reali, è rigido nel trovare soluzioni, spinge verso la rassegnazione, coltiva nel seno la "casta" di quelli che contano, alimenta negli individui il gretto perseguimento del proprio interesse "particolare", giustificato con un pessimismo qualunquista che travolge ogni valore.

La domanda che ho posto all’inizio attende una risposta che non può essere solo mia: ciascuno è chiamato a rispondere dopo attenta meditazione (la democrazia è anche diffusa riflessione sui problemi comuni). Se mai la risposta dovesse essere affermativa, ci troveremmo di fronte a un fatto grave, essendo indubbio che poteri incidenti sull’esercizio della giurisdizione non possono essere esercitati nell’interesse di pochi.

Giustizia: Papa; carceri debbono contribuire a riabilitazione

 

Agi, 6 settembre 2007

 

Le carceri "devono contribuire alla riabilitazione dei colpevoli, facilitando il loro passaggio dalla disperazione alla speranza e dall'inaffidabilità all'affidabilità". Lo chiede Benedetto XVI nel discorso alla Commissione Cattolica Internazionale per la pastorale dei carcerati, ricevuta oggi a Castelgandolfo.

"Quando le condizioni delle carceri e delle prigioni non tendono al processo di riconquista del senso della dignità, con i doveri ad essa correlati, le istituzioni mancano di perseguire uno dei loro fini essenziali", ha ammonito il Papa esortando le "autorità pubbliche" a "essere vigilanti, evitando ogni mezzo di punizione o correzione che indebolisca o degradi la dignità umana dei prigionieri". In proposito il Pontefice ha ricordato il "divieto" del ricorso alla tortura, "a cui non si deve contravvenire in ogni circostanza", come sancisce il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa.

"Le istituzioni giudiziarie e penali - ha detto Benedetto XVI - giocano un ruolo fondamentale nel proteggere i cittadini e nel salvaguardare il bene comune", e nello stesso tempo hanno il compito di ricostruire "le relazioni sociali distrutte dall'atto criminale commesso". "I carcerati - ha proseguito il Papa - sono facilmente oppressi da sentimenti di isolamento, vergogna e rifiuto che finiscono per frantumare le loro speranze e aspirazioni per il futuro". In questo contesto, i cappellani e i loro collaboratori "sono chiamati ad essere messaggeri dell'infinita compassione e perdono di Dio".

"In collaborazione con le autorità civili", l'appello del Papa, i cappellani e gli operatori pastorali delle carceri sono chiamati al "difficile compito di aiutare i carcerati a riscoprire una motivazione di senso in modo che, con la grazia divina, possano ricostruire le proprie vite, riconciliarsi con le loro famiglie e, nei limiti del possibile, assumere le responsabilità e i doveri che li rendano capaci di condurre vite rette e oneste all'interno della società".

Secondo Papa Ratzinger, infine, "pazienza" e "perseveranza" anche nelle "frequenti delusioni e frustrazioni" sono le doti richieste a chi si impegna in tale ambito pastorale, dove un valido aiuto è rappresentato dalla "partecipazione regolare" dei detenuti all'Eucaristia e al sacramento della penitenza. Da parte sua, ha concluso, la Santa Sede incoraggia gli "sforzi" dei cappellani e dei loro collaboratori, esortandoli a "promuovere un maggior rispetto della dignità dei condannati".

Giustizia: Franco Marini; dai Cappellani un servizio insostituibile

 

Agi, 6 settembre 2007

 

"I responsabili per la pastorale carceraria e i cappellani delle carceri compiono un’importante e preziosa opera di assistenza, prestando un significativo e insostituibile servizio nei confronti dei detenuti". Con queste parole il presidente del Senato, Franco Marini, ha augurato buon lavoro al XII congresso mondiale della Commissione internazionale per la Pastorale cattolica nelle prigioni. Nel messaggio inviato all’ispettore generale dei cappellani, monsignor Giorgio Caniato, il presidente Marini si è detto "certo che il congresso costituirà un’occasione per riflettere sulle condizioni, spesso molto difficili, delle persone che vivono in detenzione nei diversi paesi del mondo e sulle iniziative a dar loro il sostegno necessario, anche nell’ottica della rieducazione e del reinserimento sociale".

Lettere: detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 6 settembre 2007

 

Biagio dal carcere di Sulmona

Caro Riccardo seguo sempre Radio Carcere con molto interesse. Ci tenevo a dire ai cittadini liberi che spesso le richieste dei detenuti sono travisate. Molti, moltissimi di noi non chiedono licenze per delinquere, ma solo condizioni di vita dignitose dove scontare la pena. Altri, e giustamente, chiedono un processo più equo. Non mi sembra che siano richieste insensate o incomprensibili. Il futuro che ci aspetta anche con il nuovo governo non è roseo. Niente riforme, niente civiltà nelle carceri. Ma sai come si dice che vive sperando. Un caro saluto e grazie.

 

Angelo dal carcere di Prato

Cara Radio Carcere, mi trovo in carcere dal 2002 e il mio fine pena era 2008. Dico era perché risultava quello il mio fine pena finché non ho chiesto l’indulto. Speravo tanto, a breve, di e poter riabbracciare mia moglie e i miei figli e invece nulla. Da un foglio che mi hanno consegnato in carcere risulta che io dovevo ancora scontare delle pene che però io in effetti avevo già scontato. Si tratta, inoltre di fatto risalenti al 1980, 1982, ripeto condanne che io ho già pagato e che oggi mi chiedono di ripagare. Per questo motivo sono in sciopero della fame da 11 giorni e non so più a chi rivolgermi. Vi invio l’originale della mia posizione giuridica così potete controllare. Parlate di me. Grazie.

 

 

21 persone detenute nel reparto A.S. del carcere di Civitavecchia

Cara Radio Carcere, caro arena, vi scriviamo per farvi conoscere le difficoltà in cui siamo costretti a vivere anche dopo l’indulto, di cui noi non abbiamo beneficiato. Sono infatti circa tre settimane che per mancanza di personale non possiamo ricevere il pacco che la famiglia ci può consegnare. Pacco che molto spesso contiene generi alimentari o biancheria pulita. Gli agenti sono talmente pochi che rischiamo anche di saltare il colloquio con le nostre mogli. Qui nel carcere di Civitavecchia siamo lasciati isolati da tutto, senza educatore, senza poter parlare con il direttore o con il comandante delle guardie. Per noi non esiste alcuna rieducazione. Non possiamo fare corsi scolastici ne imparare ad usare il computer. Rimaniamo in cella per 22 ore al giorno e, come se non bastasse, ci hanno ridotto il tempo per fare la famosa ora d’aria. Qui nel carcere di Civitavecchia, reparto A.S., gli effetti dell’indulto non si sono sentiti per nulla. Eravamo e siamo rimasti sovraffollati. Così in celle fatte per un solo detenuto ci stiamo in tre. Aiutateci! Grazie.

 

Giancarlo dal carcere Rebibbia di Roma

Cara Radio Carcere, sono stato condannato solo a 8 mesi di detenzione e ora mi trovo nel carcere di Rebibbia. Poco tempo fa ero in detenzione domiciliare. Una notte sono arrivati i carabinieri per i soliti controlli, ma purtroppo io mi ero addormentato e non ho sentito suonare alla porta. Sta di fatto che quando mi sono svegliato e sono andato ad aprire era troppo tardi. Per me era già pronto un rapporto in cui si diceva che non risultavo essere casa. E così dalla detenzione domiciliare mi sono ritrovato in galera. Io sono disperato e non so a chi rivolgermi. Stando qui a Rebibbia mi sono anche reso conto che non sono pochi i detenuti che si sono trovati in una situazione simile alla mia. Forse, solo chi ha vissuto l’esperienza della detenzione domiciliare e dei controlli a notte fonda può capire quello che dico.

 

Giuseppe dal carcere di Belluno

Sto rinchiuso nel piccolo e vecchio carcere Baldenich di Belluno. Qui ci sono 20 celle. 5 sono piccole e 15 un po’ più grandi. Dentro ogni cella: un cessetto con una turca, tutta piena di ruggine e quant’altro. In queste celle ci stanno chiuse 5 o 6 persone per un totale di 93 detenuti, tutti belli stipati uno su l’altro. Il pavimento delle celle è tipo una vecchia strada piena di buche e se provi a lavarlo ti ritrovi con le pozzanghere! Tutto è sporco e pieno di cattivi odori. Anche i materassi e le brande sono vecchie e puzzano. Questa non è pena per un reato fatto, è molto di più. È perdita di dignità! Non a caso ogni giorno qui sono tanti i detenuti che provano ad ammazzarsi e qualcuno ci riesce pure.

Piemonte: dalla Regione 1 milione di euro per il reinserimento

 

Comunicato Prap Piemonte, 6 settembre 2007

 

Si porta a conoscenza che anche per l’anno 2007 la Regione Piemonte ha offerto ai Comuni, Province e Comunità Montane la possibilità di presentare progetti per la valorizzazione del verde pubblico e per lavori socialmente utili riservati a detenuti (in art. 21) e a persone in misura alternativa attraverso l’attivazione di cantieri lavoro.

L’impegno finanziario previsto dalla Regione è di € 980.000, a cui gli Enti Locali prevedono un impegno integrativo (per trasporti, servizio mensa, attrezzatura lavorativa e materiali) di circa 235.000 euro. Sono stati presentati 48 progetti. Si prevede che, con lo sforzo congiunto delle Amministrazioni coinvolte e col supporto del terzo settore e dei volontari, 99 persone (italiane e straniere) potranno essere impiegate in lavori socialmente utili, della durata da 5 a 12 mesi, per favorire un futuro reinserimento sociale. I progetti prevedono formazione professionale specifica al settore interessato e azioni di accompagnamento alla ricerca di un inserimento lavorativo stabile a fine cantiere.

Cagliari: Caligaris (Sdi); appello per un detenuto con il cancro

 

Ags Media, 6 settembre 2007

 

"Antonio Pagliero, affetto da cancro al colon, detenuto in attesa di giudizio per omicidio, non può restare in carcere. Le sue condizioni sono considerate dai medici della Casa circondariale non compatibili con la detenzione in carcere. Del resto è sufficiente incontrarlo e parlargli per rendersi conto dello stato in cui si trova".

Lo afferma la consigliera socialista Maria Grazia Caligaris (Sdi-Rnp), segretaria della Commissione Diritti Civili che, questa mattina, ha visitato in carcere Antonio Pagliero e si è intrattenuta a lungo a colloquio con i medici e con il Direttore Gianfranco Pala."Antonio Pagliero - ha sottolineato Caligaris - è costantemente monitorato e nei prossimi giorni verrà sottoposto a una tac il cui esito sarà rappresentato, con un’apposita relazione, al Magistrato. Il ricorso agli specialisti esterni è una prassi consolidata del centro clinico di Buoncammino e ho potuto verificare che il detenuto era stato sottoposto a un esame diagnostico toracico fin dall’ottobre 2006. In quella circostanza però non risultò alcun elemento che potesse far prevedere una malattia. Un successivo esame diagnostico effettuato all’ospedale "Brotzu" non ha evidenziato alcuna patologia. Evidentemente c’è stata una evoluzione imprevedibile del carcinoma con effetti devastanti".

"L’incompatibilità alla permanenza in carcere di Pagliero - ha detto infine Caligaris che si è intrattenuta con il direttore sanitario Matteo Papoff - è in sintonia con quanto verificato per numerosi altri analoghi casi ed è suggerita dallo stato di prostrazione del paziente e dalla necessità di essere sottoposto a terapie debilitative e spesso con effetti negativi sia sotto il profilo fisico che psichico. Pagliero insomma ha bisogno di un ambiente adeguato, di nutrirsi con maggior cura e del sostegno dei familiari. Certo non può stare in un carcere".

Savona: i detenuti sempre più giovani e mancano le attività

 

Secolo XIX, 6 settembre 2007

 

All’inizio della settimana è stato effettuato un sopralluogo al carcere savonese. Attualmente è l’unica struttura di detenzione della città ma presto dovrebbe sorgerne una seconda nella zona ovest della città. I problemi del Sant’Agostino riscontrati dalle autorità competenti sono i classici di queste strutture: sovraffollamento e mancanza di attività. L’ultimo sopralluogo era stato effettuato in primavera, rispetto a tale data è stato riscontrato un aumento del numero di ragazzi molto giovani, che potrebbero invece scontare la loro pena in programmi di recupero molto più idonei alla loro età e al reato commesso.

La parola è stata data anche ai detenuti stessi, che si sono lamentati della poca organizzazione della struttura che aggiunge al problema della mancanza di attività di recupero la difficoltà di fruire delle pause all’esterno della cella: "Succede spesso che si trascorra l’intera giornata chiusi in celle" dichiarano all’unisono i detenuti.

La situazione del carcere savonese non è comunque certo fra le peggiori in Italia, con il suo 10% in più di detenuti è certamente sotto la media nazionale, mentre la supera per il numero di detenuti stranieri: a Savona ben il 60% degli ospiti della struttura non sono italiani.

 

 

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