Rassegna stampa 5 settembre

 

Ancona: morte sospetta di un detenuto, la famiglia vuole verità

 

Corriere Adriatico, 5 settembre 2007

 

Ieri, dopo cinque giorni di ricovero nella rianimazione dell’ospedale di Ancona un detenuto marocchino di 25 anni, R.D., è deceduto. L’uomo sarebbe stato colpito da un’intossicazione, dovuta probabilmente all’assunzione di farmaci, nel carcere di Montacuto in cui era rinchiuso per reati comuni. Sconvolti, il fratello e la sorella chiedono che la magistratura faccia luce sull’accaduto, e tramite l’avvocato Jacopo Casini Ropa presenteranno un esposto alla procura di Ancona. Il detenuto avrebbe dovuto essere scarcerato domenica 2 settembre scorso, dopo aver scontato una condanna a otto mesi e mezzo di carcere per il furto di un’auto. La pena iniziale di dieci mesi gli era stata ridotta, perché il giudice di sorveglianza aveva accolto un’istanza di liberazione anticipata. La scorsa settimana però, R.D. era stato sottoposto ad un ricovero d’urgenza per un malore, forse connesso a farmaci che aveva assunto in cella. A chiarire i motivi della morte sarà l’autopsia.

Milano: due morti nella "camera di sicurezza" della Questura

 

La Repubblica, 5 settembre 2007

 

S’è accasciato all’interno della cella di sicurezza dove era stato rinchiuso dopo l’arresto, è stato ritrovato già cianotico dagli agenti che erano andati a controllare perché non avevano sentito risposta all’appello ed è spirato prima dell’arrivo dei soccorsi. Antonio D’Apote, 49enne pregiudicato di origini pugliesi, è morto poco dopo le 6.30 di ieri mattina all’interno della Questura milanese. È il secondo caso nel giro di due mesi: il 10 luglio scorso era toccato a Mohammed Darid, 32 anni, marocchino, arrestato la sera prima dagli agenti della Polfer in stazione Centrale per spaccio di stupefacenti e trovato senza vita dentro la cella di sicurezza alle 9 del mattino. Non c’erano segni di violenza sul suo corpo, stabilì il medico legale. Arresto cardiocircolatorio, sancì l’autopsia.

La stessa scena si è ripetuta intorno alle 6 di ieri. D’Apote, sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno in casa, una fedina penale zeppa di precedenti per spaccio, furto e rapina, problemi di tossicodipendenza, era stato pizzicato per strada alle 3.30 da due agenti delle Volanti, mentre chiacchierava con una ragazza.

Aveva provato a reagire, prima e dopo le manette, probabilmente sotto l’effetto di stupefacenti, e aveva continuato andare in escandescenze anche dopo l’arrivo in via Fatebenefratelli e l’ingresso in cella di sicurezza. Visto anche prendere a testate il muro da alcuni testimoni, D’Apote si era poi disteso pancia a terra. Intorno alle 6.15, secondo la versione fornita dalla Questura, gli agenti di sorveglianza lo hanno chiamato una prima volta, pensando che dormisse, per andare a firmare il verbale d’arresto. Poi una seconda, non sentendo risposta. Alla terza sono entrati ma l’uomo già non respirava più. La chiamata al 118 è partita alle 6.35: quando i soccorritori sono arrivati, però, D’Apote era, già morto. Arresto cardiocircolatorio, è il primo responso.

La cella è stata immediatamente messa sotto sequestro dalla stessa polizia e messa a disposizione del pm di turno, Laura Pedio. "Abbiamo immediatamente avvisato la magistratura - spiega il questore di Milano Vincenzo Indoli - vogliamo fugare qualsiasi dubbio. E un fatto sicuramente non piacevole, che

ci angoscia. Ma ogni notte entrano nelle nostre celle di sicurezza 10-15 persone, e capita che alcuni di loro non siano in buone condizioni di salute, o tossicodipendenti, come in questo caso o quello del cittadino marocchino. Le celle sono state ristrutturate da poco, e visitate pure da ispettori della Ue: e tengo a precisare che la permanenza dei detenuti è solo per poche ore", il nuovo caso in meno di 50 giorni inquieta anche i palazzi della politica milanese. "Si può pensare a una visita medica per i detenuti - osserva il presidente del consiglio comunale, Manfredi Palmeri, di Forza Italia - o a un sistema di video sorveglianza". Favorevoli al presidio medico ma contrari alle telecamere Marco Granelli e Giovanni Occhi, del centrosinistra.

Sicurezza: il "piano" del governo sarà pronto in tre settimane

 

La Repubblica, 5 settembre 2007

 

Un disegno di legge ad hoc per combattere la criminalità organizzata e l’illegalità verrà messo a punto dal governo entro tre settimane. Lo assicura Palazzo Chigi, in una nota sull’incontro che si è svolto nel pomeriggio tra il premier Romano Prodi ed i ministri Amato, Mastella, Parisi e Pollastrini, il viceministro Minniti ed il sottosegretario Micheli.

Il ddl del governo verrà perfezionato definitivamente dopo l’esame domani in Consiglio dei ministri e "previo confronto con la Conferenza Stato-Città previsto per il 18 settembre prossimo". Il testo "prevederà iniziative per combattere la criminalità organizzata e l’illegalità diffusa, soprattutto nelle aree metropolitane, con particolare attenzione per la prevenzione e il contrasto delle molestie e delle violenze nei confronti delle donne".

Il disegno di legge del governo anticipato da Repubblica dovrebbe contenere anche norme sulla custodia cautelare obbligatoria per chi è sospettato di aver commesso rapine e furti di particolare violenza, processi accelerati a fronte di prove schiaccianti contro chi è stato arrestato, un giro di vite sull’affidamento nel caso di crimini che rappresentano un grave allarme sociale. Ma fondamentale sarà l’istituzione di un codice nazionale unico, a cui dovranno attenersi i sindaci. Tra le nuove norme non mancheranno provvedimenti antimafia, misure più severe sulla prostituzione e contro chi guida ubriaco.

Palazzo Chigi sottolinea l’importanza di agire sul fronte della sicurezza velocemente e bene. L’esecutivo vuole dare un segnale forte di presenza sul territorio, attraverso un disegno di legge ad hoc ma anche provvedimenti da inserire in Finanziaria: la presidenza del Consiglio evidenzia l’opportunità della riunione allargata di questo pomeriggio per mettere a punto il ddl sulla sicurezza, che punta molto sulla collaborazione tra i diversi ministeri.

Una riunione utile, dunque, nonostante il piano sulla sicurezza fosse già stato in linea di massima impostato e il Guardasigilli Clemente Mastella e il ministro dell’Interno Giuliano Amato siano arrivati con le idee abbastanza chiare all’appuntamento. Ma al tavolo odierno mancavano interlocutori sicuramente interessati come il ministro per la Solidarietà sociale Paolo Ferrero, di Rifondazione comunista.

"Io alla riunione non sono stato invitato - spiega Ferrero -. Si discute di sicurezza delle città con il ministro della difesa, ma senza chiamare il ministro della Solidarietà sociale: questo è già un punto da rilevare". Ferrero sostiene che sulla microcriminalità l’impostazione è sbagliata "su due piani: da un lato si inverte la causa e l’effetto, questi fenomeni vanno affrontati con la logica dell’integrazione, in secondo luogo si sceglie una gerarchia insolita, si parte dai graffitari, che sarebbero più pericolosi degli speculatori".

Reazioni. "L’esecutivo ha ragione - ha detto Walter Veltroni -, il principio dell’effettività della pena è il principio guida del mantenimento delle istituzioni". Secondo il candidato leader del Pd "la sicurezza dei cittadini va difesa in ogni momento e poi va fatta una politica di integrazione sociale nei confronti dell’immigrazione".

Sergio Cofferati giudica "molto positivamente" il pacchetto sicurezza su cui sta lavorando l’esecutivo, "perché credo sia importante - ha spiegato in un’intervista al Tg3 il primo cittadino di Bologna - che il governo si doti di strumenti più efficaci. È sempre molto importante che ne fornisca anche ai sindaci". Alla domanda sulla definizione di sindaco-sceriffo di sinistra che, polemicamente, gli era stata affibbiata in passato, Cofferati ha risposto che "i problemi che ho affrontato sono i problemi che ci sono oggi in tutte le città italiane e anche in centri medio-piccoli".

Decisamente più cauto il commento del capogruppo dei Verdi alla Camera Angelo Bonelli. "Siamo d’accordo con l’esigenza di contrastare il crimine, garantire la sicurezza dei cittadini e la certezza pena, ma siamo preoccupati perché non vorremmo che si commettesse l’errore di colpire gli ultimi della società confondendoli con i delinquenti".

Sicurezza: Amato; dichiariamo guerra alla micro-criminalità

 

La Repubblica, 5 settembre 2007

 

"Basta con il dibattito burattinesco che abbiamo avuto sinora. La lotta all’illegalità è una cosa seria". Giuliano Amato è appena uscito da una lunga riunione con il presidente del Consiglio Romano Prodi. È servita a definire le linee guida del disegno di legge con il quale il governo di centrosinistra vuole tentare un giro di vite contro la criminalità. Il ministro dell’Interno è soddisfatto del lavoro condotto fino ad oggi. Ma è anche molto, molto indignato per il dibattito surreale montato in queste settimane da molti colleghi politici e intellettuali della sinistra radicale, inclini a ricadere in un vizio antico: pensare che se una persona commette un reato "è sempre e comunque colpa della società".

"Non ne posso più di tutto questo - taglia corto il Dottor Sottile - e di chi ci attacca perché "ce la prendiamo con i lavavetri e non con la ‘ndrangheta". Ci sono cose che sono ritenute di sinistra, ma sono solo irresponsabili. Noi riformisti, con il Partito Democratico, dobbiamo saper essere chiari, anche su questi temi". A placare l’irritazione di Amato non basta nemmeno la buona notizia dell’arresto dei tre assassini responsabili della sanguinosa rapina in villa vicino a Treviso. "Quegli arresti - osserva - dimostrano che siamo capaci di un’azione di contrasto efficace contro questa forma di criminalità. Ma purtroppo confermano anche che la presenza di criminalità rumena, in questo momento, è uno dei problemi maggiori per la sicurezza del nostro Paese".

 

Ministro Amato, mentre voi preparate un pacchetto di misure urgenti contro la criminalità, politici e intellettuali ex o post comunisti si baloccano con Cesare Beccaria, filosofeggiano sui delitti e sulle pene, sdottoreggiano sull’uomo buono rovinato dalla società. Non le pare che ci sia un certo deficit culturale nel modo in cui la sinistra ragiona e affronta i temi della sicurezza?

"Le dico di più. Finora il dibattito di queste settimane estive mi ha fatto accapponare la pelle. Bastava leggere i titoli dei giornali, e non era certo colpa dei giornali, per rendersi conto che il dibattito era ed è burattinesco. In esso emergono, con toni vibranti, dilemmi che sono assolutamente senza senso, e che nascondono un problema non dichiarato".

 

Ci spieghi meglio questo punto. Cosa intende dire? Si riferisce alla polemica sui lavavetri?

"Intanto, chiedersi se il problema siano i lavavetri o i graffitari, o i lavavetri o la ndrangheta, è una domanda del tutto priva di senso razionale e dobbiamo chiederci per quali distorsioni culturali la si fa. È ridicolo far notare che la ndrangheta è più pericolosa dei lavavetri, a meno che non si pensi di avere davanti dei minorati psichici".

 

Addirittura?

"Ma è evidente! Facciamola finita con certe banalizzazioni sociologiche. La microcriminalità va combattuta perché è dovuto anche ad essa se i cittadini percepiscono un clima di crescente insicurezza. E se si sentono indifesi diventano ostili verso chiunque sia malvestito o diverso intorno al loro. E poi la microcriminalità va combattuta perché spesso proprio al suo interno si nasconde anche la grande illegalità".

 

Lo vada a spiegare ai politici e agli intellettuali che in questi giorni hanno accusato la sinistra riformista di inseguire una "deriva securitaria". Lo vada a spiegare agli uomini di Rifondazione e ad Asor Rosa...

"Ma se qualcuno mi viene a dire che non c’è solo il problema della microcriminalità, allora io gli rispondo che ho imparato già alle elementari che due più due fa quattro!".

 

E allora vada a spiegarlo a Giuseppe Tornatore, che pure è stato vittima di una feroce aggressione...

"Senta, ai personaggi illustri dico che punire un immigrato che deruba e picchia un cittadino non è "fare di tutt’erba un fascio tra gli immigrati e i criminali". Ma, al contrario, serve proprio a evitare che gli italiani, picchiati e derubati da criminali immigrati, facciano loro sì di tutt’erba un fascio".

 

E che risponde a chi obietta "se la prendono con i lavavetri e non con la mafia"?

"In queste osservazioni si annida quella tara culturale che affligge una parte della sinistra. Intanto, non è vero che "se la prendono con i lavavetri e non con la mafia". Proprio nei giorni in cui l’assessore di Firenze "se la prendeva" con i lavavetri, noi abbiamo fatto arrestare oltre trenta esponenti della ‘ndrangheta, come minimo legati al delitto di dicembre scorso a San Luca, che è stato l’antecedente della strage di Duisburg. Ma al di là di questo, io mi chiedo: perché mai se il destinatario di un atteggiamento severo è qualcuno che è piccolo, che non appartiene ai ceti più alti, o è colpa del racket o è colpa della società, ma non è mai colpa sua?".

 

È la originale declinazione di una certa sinistra, che considera il "debole" sempre e comunque una vittima, mai un carnefice...

"È questa la tara di cui parlavo. Ma anche qui ci dobbiamo intendere. Quando c’è di mezzo il racket noi interveniamo, e aiutiamo chi se ne vuole sottrarre. Abbiamo già previsto di estendere i benefici della clemenza a chiunque, e non solo alle schiave prostitute, sia vittima del racket. Sappiamo bene che in Italia accadono cose veramente nefande. Sappiamo di bambini addestrati attraverso il terrore ad andare a rubare e a delinquere, come avviene per i pitbull, cioè attraverso vere e proprie forme di tortura. Ma non sempre dietro l’illegalità c’è il racket. E non sempre il comportamento violento e aggressivo discende da lì. E allora va punito, e basta".

 

È una bella sfida culturale, per una forza come il Partito Democratico…

"Lo è. E dobbiamo affrontarla con coraggio e determinazione. Nella società degli individui, nella società dei diritti e dei doveri, noi non possiamo identificare la sinistra con l’arringa difensiva di quegli avvocati dell’Ottocento, che a conclusione dei processi chiedevano sempre di assolvere gli imputati perché era sempre colpa della società. È su queste basi, poi, che si arriva a sentenze, che io non condivido affatto, che si spingono fino all’assurdo di concedere attenuanti allo stupro commesso in condizioni di particolare degrado".

 

Sono aberrazioni giuridiche, che però qualcuno di voi condivide?

"E fa malissimo. La legalità e il diritto servono a educare chiunque rifiuta le regole in ragione del degrado. Questo l’ha detto Antonio Gramsci. E il vecchio Partito comunista italiano ne seppe coltivare l’eredità, preoccupandosi di formare i cittadini in qualunque condizione sociale si trovassero. Per questo io insisto: stiamo attenti a non cadere nella trappola di mirare sempre alla cupola e non colpire mai gli atti che offendono la dignità di chi li compie e la vita quotidiana dei cittadini. In più, così si nutre la tigre dell’ostilità, che può diventare razziale e razzista nei confronti dei diversi. È per questo che certe posizioni, oltre che burattinesche, finiscono per diventare irresponsabili".

 

Ma in questo modo c’è chi le obietterà che non esistono più differenze tra destra e sinistra. Lei cosa risponde?

"Rispondo che non è così. Essere di sinistra non vuol dire lasciare impunita l’illegalità. Per me essere di sinistra è organizzare una presenza civile in Italia a favore di chi non fa male a nessuno. Ed è trattare allo stesso modo gli italiani e gli immigrati, senza creare un diritto penale speciale per i poveracci o per gli extracomunitari. Ma l’illegalità no. L’illegalità non è e non sarà mai di sinistra".

 

Ma l’indulto l’avete votato voi, tutti insieme. Come è possibile che tra i tre rapinatori di Treviso ce n’era uno che era uscito proprio grazie a quella legge?

"Io di certo so che, al di là dell’indulto, troviamo troppo spesso fuori persone che devono essere dentro. Forse c’è anche questo dietro la strage di Duisburg. Anche questa esperienza deve portarci a rafforzare la certezza della pena".

 

E c’è un altro problema: gli arrestati di Treviso sono stranieri, ancora una volta dell’Est europeo. Questo riaccenderà le polemiche e rialimenterà l’ondata xenofoba, non crede?

"Certo, anche questo problema esiste. La collaborazione tra noi e i rumeni è un modello di operatività e di efficienza che ci ha permesso finora di arrestare centinaia di delinquenti sul loro e sul nostro territorio. Ma qui c’è qualcosa di più inquietante. La presenza di criminalità rumena è uno dei maggiori problemi di sicurezza nel nostro Paese in questo momento".

 

Enunciato il problema, bisognerebbe risolverlo.

"È quello che stiamo tentando di fare. Ogni cittadino comunitario può andare in un altro paese registrandosi all’anagrafe. Ma può farlo solo se ha i mezzi leciti di sostentamento. Se non li ha, viene rispedito a casa. E su questo, io ho già impartito ordini ben precisi alla polizia: accertare con grande attenzione la sussistenza di quei requisiti e di quei mezzi leciti di sostentamento. E in caso contrario procedere speditamente ai rimpatri".

 

Tolleranza zero, legge e ordine. Con questi slogan, diranno che ormai il Partito Democratico ha sposato a tutti gli effetti la dottrina Giuliani...

"Da noi tutto diventa sempre dottrina, filosofia. Basta dire facciamo come ha fatto il sindaco di New York che lottò contro la microcriminalità e la sconfisse, per sentirsi dire: abbraccia la dottrina Giuliani. Lasciamo la dottrina e la filosofia a Kant, ai filosofi, e misuriamo le politiche sulla loro efficacia".

Sicurezza: giudice Palombarini; così ci rimette solo la giustizia

 

Liberazione, 5 settembre 2007

 

È difficile definire il suo stato d’animo. C’è qualcosa di più dell’amarezza. Unita ad una sorta di disillusione - "non mi stupisce più nulla e il dramma è che non vedo nessuno in grado di contrastarli" - ma anche tanta rabbia. Certo, c’è ancora la speranza che il pacchetto di misure sulla giustizia di cui sta discutendo il "vertice" di maggioranza sia diverso, almeno un po’, da quello raccontato sui giornali. Ma nessuno si fa illusioni. "E se le anticipazioni fossero confermate, sarebbe davvero inaccettabile".

Il giudice Giovanni Palombarini, una vita passata fra incarichi di lavoro - per ultimo quello di Procuratore generale in Cassazione - e impegno civile - è uno dei più attivi in magistratura democratica - ci va giù duro. "È una discussione che mi sembra fuori da qualsiasi logica. Siamo arrivati al punto che si propone il carcere per far fronte all’allarme sociale. Inaudito".

 

Si riferisce al carcere obbligatorio per chi è sospettato di furto?

Ma, insomma, nel nostro paese c’è un codice che si basa su un presupposto piuttosto semplice: la custodia cautelare per alcuni reati può avvenire solo in caso di pericolo di fuga, perché c’è il rischio che si reiteri il reato o perché si teme un inquinamento delle prove. E da che mondo è mondo - da che giustizia è giustizia - la carcerazione preventiva è affidata alla valutazione del giudice.

 

Invece ora sarebbe una legge a prevederla…

E questo è inammissibile. Perché il nostro codice si occupa esattamente del contrario. Fissa - diciamo così, tanto per capirci - un limite, al di sotto del quale non puoi restringere la libertà personale. Per certi reati, che prevedono un "tot" di pena, non puoi arrestare l’imputato. Il resto è affidato alle valutazioni del giudice. Che valuta caso per caso, a stretto contatto con la realtà. Qui, invece, si va nella direzione opposta. Si obbliga al carcere.

 

E perché lo si fa?

Ripeto: solo ed esclusivamente per rispondere ad una spinta irrazionale, ad un allarme sociale.

 

Si parla anche di inasprimento delle pene. Che ne dice?

E dove sarebbe la novità? Ne parlano da anni, in tante parti del mondo hanno sperimentato quella che chiamano "tolleranza zero". Ne parlano ma nessuno, s’è poi mai preso la briga di fare un bilancio vero di quelle misure. Che si sono rivelate assolutamente fallimentari.

 

Anche quelle di Giuliani, il sindaco di New York che pare diventato la fonte di ispirazione di tanti nostri amministratori?

Nel giro di qualche mese quelle politiche hanno allontanato dalle strade centrali della città tutto ciò che disturbava... i "benpensanti", come si sarebbe detto una volta… diciamo i cittadini. Il bilancio nel lungo periodo però ci dice che il "miracolo" non è successo. Perché lì, praticamente ogni giorno, arriva la richiesta di costruire un nuovo carcere. A questo vogliamo arrivare? Fortunatamente, in Italia, il rapporto fra persone residenti e persone detenute è ancora lontanissimo da quello americano. Ma mi domando se è così che vogliamo finire.

 

Ora, poi, si parla anche di detenzione - di tre mesi di detenzione - per i lavavetri…

Mi piacerebbe discutere i riferimenti giuridici di chi racconta queste cose. Comunque, io so cosa accadrà davvero.

 

Cosa accadrà?

Che sui tavoli delle autorità giudiziarie, arriveranno migliaia di denunce, di contravvenzioni. E la legge prevede che, per quel reato, ci sia o l’arresto per tre mesi o l’ammenda. E qual è il giudice che darà tre mesi di carcere per un simile reato? E il tutto, naturalmente, in un sistema, quello penale, che avrebbero bisogno di smaltire, di razionalizzare la propria attività. Di sfoltire il proprio lavoro. Vanno nella direzione contraria, inseguendo quei sindaci che a loro volta inseguono un facile consenso elettorale. Ma ci rimetterà solo la giustizia.

 

Insomma?

Si torna indietro. Si regredisce.

 

Nulla da fare? Davvero?

Io vedo che la filosofia sottesa a questi provvedimenti è quella dominante in gran parte del mondo. Certo, ci vorrebbe un progetto alternativo. Quello che potrebbe elaborare chi, in questi anni, s’è battuto per la pace, contro la distruzione del territorio, chi si è battuto contro i rifiuti che sommergono Napoli. Quello che potrebbe elaborare chi è davvero garantista. E poi occorrerebbe che qualcuno fosse disposto a fare da sponda politica a queste proposte. Ci vorrebbe. Ma ad oggi non vedo un progetto, nessuno l’ha presentato.

Sicurezza: la "tolleranza zero" serve solo contro la stupidità

 

Il Manifesto, 5 settembre 2007

 

È vero, l’ordine e la sicurezza non possono essere né di destra né di sinistra. Ogni cittadino desidera vivere, come auspicava Zavattini, in una città dove "buongiorno, significhi veramente buongiorno" senza temere di essere scippato, aggredito, violentato. L’unica distinzione reale che va fatta tra coloro che sono preposti al governo della cosa pubblica è tra gli intelligenti e gli stupidi. Non c’è difficoltà dove collocare Borghezio, Gentilini, Gasparri, ecc... Il guaio è che, ad essere onesti, la lista da qualche tempo si è allungata ed è trasversale. In questa demenziale rincorsa al consenso (sperando che si tramuti in voti) dei cosiddetti benpensanti, ne stiamo leggendo di tutti i colori.

I bulli quindicenni ad esempio, non si correggono costringendoli a scrivere cento volte, "sono un cretino, sono un cretino". Tutt’al più si possono convertire se a dire loro "sei un cretino" sono i compagni di classe a condizione che questi sin dalla scuola del pre-obbligo abbiano avuto un’educazione intelligente.

In un Paese dove (come ci ricorda Tullio De Mauro) il 60% degli abitanti è analfabeta di ritorno cioè sa leggere e scrivere (una cartolina di auguri), ma non sa compitare una lettera nella quale trascrivere il proprio pensiero, c’è di che per stare allegri.

Viviamo in una realtà dove i nuovi modelli, per i giovani, sono il fotografo Corona, il quale ha recentemente firmato un’autobiografia (scritta da due giornalisti), pubblicata non a caso dal berluschino Cairo, nella quale ci rivela che il carcere (che avrebbe ingiustamente subito) gli è stato utile, perché finalmente è riuscito a leggere il primo libro della sua vita.

Viviamo nella patria delle sorelle Cappa, aspiranti veline, quelle del fotomontaggio con la cugina assassinata. Della squillo al servizio del democristiano doc (che ha regalato alla moglie, per riappacificarsi, un maxi-brillante) che spera di trarre profitto dalla sua disavventura nell’albergo romano, magari con un invito all’Isola dei famosi.

Viviamo nell’Italia dei Lele Mora, dei Briatore (anche se ha la residenza all’estero ai fini fiscali) dei Moggi, in pellegrinaggio a Lourdes in compagnia del Cardinale Ruini. Quale messaggio viene quotidianamente trasmesso alle nuove generazioni?

Nel 1976 l’Amministrazione comunale di Torino inventariò i danni provocati alla città dal vandalismo adolescenziale (circa un miliardo all’anno di vecchie lire). Per combatterlo fu istituito il "tempo pieno" nelle scuole dell’obbligo, "l’estate ragazzi", l’uso di tutte le strutture pubbliche ai fini didattici, ad esempio visite e lezioni presso la caserma dei vigili del fuoco contro gli incendi, agli studi Rai per un "consumo" diverso della televisione nella scelta dei programmi, all’acquedotto municipale per non sprecare il bene acqua...

L’obiettivo era quello di occupare, nel modo più intelligente, senza pedanteria, senza annoiare, anzi divertendo il tempo "vuoto" dei ragazzi. Quattro anni dopo, il costo dei danni per "vandalismo domestico" era stato più che dimezzato.

Buon ultimo è arrivato in questi giorni il ministro dell’interno proponendo il modello Giuliani: "Tolleranza zero". Si presume che il ministro, almeno attraverso gli uffici studi di cui dispone, sia informato. Evidentemente no. L’editore Laterza ha pubblicato lo scorso anno, un illuminante libro, di una studiosa italiana, Lucia Re, dell’università di Firenze (la città dell’assessore Cioni!), nonché redattrice del Centro di filosofia del diritto internazionale.

Scrive la Re: 1) Il tasso di detenzione degli Stati Uniti è il più alto del mondo, con 726 cittadini incarcerati ogni centomila (fra le persone residenti negli Usa, 1 ogni 138 è in carcere); 2) Il segreto del successo di New York, se di successo si deve parlare, è dovuto alle modalità operative e organizzative adottate dal New York Police Department; 3) I metodi di polizia adottati a New York hanno determinato un forte aumento delle violazioni dei diritti delle persone fermate e arrestate. Molti casi di abuso della polizia hanno condotto alla morte delle vittime; 4) Le uccisioni con armi da fuoco da parte della polizia sono aumentate del 34,8% mentre le morti di civili detenuti in custodia dalla polizia sono cresciute del 53,3%. È questo che vuole in Italia il ministro dell’interno (un tempo socialista, si fa per dire)? Si documenti per favore e mediti prima di lanciare certe campagne.

Sicurezza: Antigone; è un passo indietro… di trecento anni

 

Redattore Sociale, 5 settembre 2007

 

Per il presidente Gonnella, prevedere il reato di questua molesta "significa tornare alla persecuzione del vagabondaggio del 1700". Ma il ministro Amato precisa: "È già punita". Dal Lazio "no" alla proposta dei lavori socialmente utili.

"Le misure preannunciate dal governo per contrastare lavavetri, prostitute, mendicanti e micro-criminali (tutti insieme come se fossero la stessa cosa) ci fanno fare un passo culturale, giuridico, sociale e politico indietro di circa trecento anni. Prevedere il reato di questua molesta significa tornare alla persecuzione del vagabondaggio del 1.700.

Poi ci sono stati tre secoli di civiltà giuridica oggi gettati a mare". A dichiararlo è Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, in riferimento al disegno di legge che il Consiglio dei ministri in discussione oggi, dedicato alla questione sicurezza. In particolare, Gonnella punta l’attenzione sull’introduzione del reato di questua molesta che, come riporta oggi il Corriere della sera, è tra le 4 proposte della bozza sul "degrado urbano" redatta dal Viminale. Le altre prevedono i lavori socialmente utili per chi viene sorpreso a vendere falsi, lavare i vetri o imbrattare i muri, la distruzione delle merci contraffatte sequestrate, l’individuazione delle aree di pregio nelle città per migliorare sorveglianza e controlli.

"Siamo partiti da una assurda nuova emergenza, quella dei lavavetri - prosegue Gonnella - per poi arrivare a modificare in peggio le norme sulla custodia cautelare e sulla sospensione condizionale della pena. Il centrosinistra è vittima di se stesso e della mania di inseguire il consenso. Non esiste più un pensiero critico capace di distinguere una coalizione dall’altra. Siamo ormai alla triste politica sondaggistica. Spero che qualcuno in Consiglio dei ministri si opponga nel nome dei valori di umanità e giustizia presenti nella nostra Costituzione, nel nome della sua storia cattolica o di sinistra".

Tuttavia, proprio oggi il ministro Amato ha smentito quanto riportato dal Corriere della Sera inviando una nota al giornale. "Caro direttore - scrive Amato - in relazione all’articolo pubblicato ieri dal Corriere con il grosso titolo "Amato: la questua molesta va punita" sono costretto a precisare che io non ho alcun piano del genere e che la questua molesta è già punita".

Critiche ad Amato vengono anche dal consigliere regionale del Lazio Maria Antonietta Grosso, capogruppo del Pdci e presidente della commissione Politiche sociali, che mette in discussione la proposta di introdurre i lavori socialmente utili per gli ambulanti che violano le ordinanze dei sindaci. "Dopo l’ordinanza anti-lavavetri del comune di Firenze, imitata da altre grandi città - scrive Grosso - si è acceso un intenso dibattito tra le forze politiche come se davvero questa fosse la grande emergenza nazionale, il problema scottante risolto il quale si dà una risposta al bisogno di tranquillità e serenità dei cittadini".

"Premesso che sono ben altre le priorità, suscita sgomento la dichiarazione del ministro Giuliano Amato che ritiene una giusta e dura pena condannare chi lava i vetri ai semafori delle grandi metropoli a lavori socialmente utili, scimmiottando quanto già si fa negli Stati Uniti. Una condanna da allargare a chi imbratta i muri, a coloro che vendono merci contraffatte o agli ambulanti abusivi. Chissà quanti lavoratori socialmente utili si staranno chiedendo quale reato abbiano ma compiuto per essere stati condannati a tale duro supplizio".

"I lavori socialmente utili - aggiunge Grosso - non sono una pena, non possono esserlo, non vanno improvvisati, riguardano le persone, i bisogni, un disabile, uno svantaggiato e richiedono ben altra considerazione. Così come richiede ben altra considerazione il problema dello sfruttamento da parte di vere e proprie organizzazioni criminali di extracomunitari, emarginati, disperati costretti a lavori umilianti per sbarcare il lunario. Una proposta di buon senso, e mi impegnerò affinché se ne parli anche nella nostra Regione, per far fronte a fenomeni di degrado e degradanti, oltre a contrastare la vera delinquenza, è quella, come propone il sindaco di Torino di fare un bando per i lavavetri e comunque di ragionare nuovamente su questo nostro presente che vede ancora, per molti e in particolare per i giovani, la mancanza di un giusto lavoro, di un giusto salario contro precarietà, disoccupazione e ingiustizie. Un problema, dunque, da affrontare con fermezza e celerità è davvero quello dei lavavetri o come in un noto film diceva Benigni il traffico a Palermo?".

"Probabilmente in questi giorni gli italiani dovranno fare i conti con altre problematiche - conclude Grosso - l’aumento del costo della vita, il caro-libri, le grandi questioni del lavoro o ambientali, l’emergenza rifiuti e il contro dell’avanzare di una nuova barbarie che vede ormai compiersi sotto i nostri occhi quotidianamente atti delittuosi e violenza contro i più deboli, le donne e i minori. E per cercare risposte a tali prevalenti tematiche la commissione che presiedo continuerà ad adoperarsi per i diritti dei migranti, di un disabile, di un senza casa o senza lavoro, per il sostegno alle famiglie e per ottenere leggi che sappiano trovare soluzioni adeguate e sensate anche per un lavavetri o un lavoratore di strada costretto all’abusivismo".

Sicurezza: don Albanesi; almeno non invocate la giustizia…

 

Redattore Sociale, 5 settembre 2007

 

Il presidente della Comunità di Capodarco invita gli amministratori a non usare "il doppio passo" nei confronti dei cittadini sul tema della legalità. "Come sempre accade non avete iniziato dalla testa, ma dalla coda".

Fa discutere in questi giorni il tema della sicurezza nelle grandi città; dopo le prese di posizione di alcuni amministratori, oggi il governo discute un pacchetto di misure per liberare le strade da ambulanti e mendicanti. Il presidente della Comunità di Capodarco, don Vinicio Albanesi, ha inviato una lettera aperta ai sindaci di Roma, Torino, Bologna e Firenze, "uomini di sinistra". "Vi siete accorti dei lavavetri, della micro e macro criminalità, dell’immigrazione clandestina, delle vendite abusive, della prostituzione e avete deciso di dire basta, invocando il rispetto delle regole".

Ma secondo don Albanesi "il lato debole" delle iniziative adottate dalle amministrazioni "è il doppio passo" usato nei confronti dei cittadini. "Voi - scrive - non invocate sempre legalità, ma sopportate molte illegalità sul vostro territorio, quando esse sono a beneficio degli abitanti "doc": abusivismo nell’edilizia, nel commercio, nella pubblicità, nell’uso dei beni pubblici, nell’accoglienza etc. Non controllate, come dite, il vostro territorio, ma sopportate (e alimentate) una diffusa legale illegalità. Siete molto prudenti o assenti nei confronti dei ceti che contano: diventate severi se i livelli di illegalità "disturbano" l’equilibrio dell’illegalità nostrana".

Si parte, spiega don Albanesi, "non dalla testa, ma dalla coda". "Era più semplice sforbiciare gli estremi. - scrive - Con le vostre iniziative vi ponete nell’antica tradizione della tutela dei benestanti: avrete consensi e il pensiero unico vi accompagnerà per le prossime amministrazioni. Abbiate almeno il buon senso di non invocare giustizia, ma il diritto dei più a non essere disturbati. Così il prezzo della bottiglietta di acqua delle vostre città continuerà a salire nel prezzo; come il posto letto per lo studente fuori sede. Il costo dei parcheggi andrà alle stelle e le multe ingrasseranno le casse municipali. Gli immigrati lavoratori continueranno a vivere nelle stamberghe abbandonate e le prostitute povere avranno, finalmente, strade tutte loro. E se sono minorenni, pazienza". "Non è esattamente la politica sociale che sognavamo: - conclude la lettera - ma ogni sogno invoca speranza e a questa continuiamo ad appellarci".

Sicurezza: ricerca; i recidivi costano il doppio dei detenuti

 

Il Giornale, 5 settembre 2007

 

Indulto vuol dire sensibile aumento dei crimini, dal ‘62 a oggi è sempre stato così. E questo si traduce anche in più del raddoppio del costo per la società di un singolo detenuto che, dietro le sbarre pesa sullo Stato per 70mila euro, ma fuori ha un costo sociale di 150mila euro. Non solo. L’indulto ha un doppio effetto negativo sul mercato criminale: mette a disposizione potenziali delinquenti e diminuisce l’effetto deterrenza della detenzione, perché crea nei criminali l’aspettativa di nuovi atti di clemenza.

Sono le conclusioni di una ricerca condotta su dati Istat e Abi da due economisti italiani specializzatisi in Usa: Giovanni Mastrobuoni, assistant professor al Collegio Carlo Alberto di Torino e Alessandro Barbarino della Federal Reserve Board di Washington. Sulla base dei dati del passato si può fare una proiezione sui 25mila usciti dalle carceri grazie all’indulto del 2006: in un anno verrebbero commessi 1.348.500 reati in più. Ma sentiamo come Mastrobuoni ci spiega la sua ricerca.

 

Qual è la principale scoperta che avete fatto?

"Abbiamo studiato gli effetti dell’indulto, spesso collegato a un’amnistia, dal ‘62 ad oggi. In questi anni è stato liberato tra il 20 e il 50 per cento della popolazione carceraria e si è ogni volta registrato un significativo aumento dei reati: considerati i dati del 2004, si può dire che per ogni persona liberata si registra ogni anno lo 0,38 in più di rapine in banca (serve liquidità appena fuori), il 3,8 di furti d’auto, l’1,5 di furti di moto, il 41 di altri furti, soprattutto borseggi, il 5 di frodi, lo 0,02 di omicidi, lo 0,03 di tentati omicidi, l’1,25 di altre rapine, lo 0,6 di crimini legati alla droga. Parliamo sempre di medie e di previsioni, naturalmente, basate sull’esame degli effetti degli atti di clemenza del ‘63, ‘66, ‘70, ‘78, ‘81, ‘86, ‘90, mentre per il 2006 avevamo solo i dati dell’Abi".

 

Vuol dire che ogni atto di clemenza provoca un’impennata di criminalità?

"Sì, e quelli che vengono chiamati effetti marginali hanno dei costi sociali importanti. Si vara un indulto o un’amnistia per sfollare le carceri, considerando che ciascun detenuto costa 70mila euro l’anno. Ma i crimini che un detenuto liberato può commettere, alcuni in particolare, sono costosi per la società e, secondo il nostro studio, questo si può valutare il 150mila euro l’anno per ognuno degli interessati. Cioè, più del doppio del costo della detenzione".

 

Insomma, il rapporto costi-benefici economicamente è sfavorevole…

"Costerebbe molto meno allo Stato creare un modello da fornire ai magistrati per decidere caso per caso quali detenuti liberare, sull’esempio di quanto si fa in Usa. Si sa, per esempio, che gli anziani hanno meno probabilità di essere recidivi ( e infatti negli anni ‘70-80 è successo che per gli ultra65enni si raddoppiasse il numero di anni condonati) e così anche le donne. E poi si può valutare il tipo di crimine commesso, distinguendo tra occasionali e abituali, oltre a calcolare l’indice di costosità di ognuno. Il codice penale prevede che i criminali abituali non beneficino di atti di clemenza, ma nel ‘90 e anche nel 2006 questa eccezione non è stata fatta".

 

Una specie di indulto "ad personam"?

"Questa è la proposta che facciamo: valutare come vengono fatti oggi gli indulti e se c’è un modo per selezionare con più efficienza, in base ad una serie di variabili, gli elementi da liberare o no. Così si eviterebbero costi enormi per la collettività".

 

Quale altra lezione si può trarre dal vostro lavoro?

"Abbiamo voluto studiare l’economia del crimine, esaminando i dati dell’Istat e dell’Abi anche in relazione a quanto avviene regione per regione, per considerare le variazioni della criminalità rispetto agli atti di clemenza. E abbiamo verificato che nelle regioni in cui maggiore è il numero di liberati per indulto-amnistia la criminalità sale".

 

E che cosa comporta questo anche a livello di esempio per il resto della popolazione?

"La stima che abbiamo fatto riguarda gli effetti della detenzione sul crimine. Tra questi c’è anche l’"effetto incapacità", incapacità di delinquere naturalmente. Mettere una persona in carcere ha due effetti: 1) sottrarla al mercato criminale, 2) deterrenza per chi sta fuori e viene disincentivato a delinquere. Ma se così stanno le cose si può anche dire che l’indulto-amnistia ha un duplice effetto: 1) mettere sul mercato criminale potenziali delinquenti, 2) ridurre l’effetto deterrenza, provocando l’aspettativa di nuovi atti di clemenza. In sostanza, conviene commettere un crimine prima di un indulto, non subito dopo".

 

Queste vostre conclusioni, però, configurano anche un fallimento delle politiche di rieducazione, riabilitazione, formazione al lavoro e reinserimento nella società dei detenuti.

"Non sappiamo come sarebbe stata la situazione senza questo tipo di politiche, basate sulla pena che punta alla rieducazione. Ma, se la situazione è come emerge dalla nostra ricerca, non sembra che abbiano influito in modo determinante. Nel ‘62 ogni 100mila abitanti avevamo 700 crimini, nel ‘95 erano 4mila. E dopo l’ultimo indulto le nostre carceri sono di nuovo quasi piene".

Sicurezza: Sappe; il governo potenzi la Polizia Penitenziaria

 

Comunicato Sappe, 5 settembre 2007

 

"Se è certamente apprezzabile e opportuno che il Governo si accinga oggi a porre mano ad un provvedimento per combattere in maniera più efficiente la criminalità, deve essere valutato con altrettanta attenzione quali ricadute ciò comporterebbe sul nostro sistema penitenziario. Sarebbe troppo semplicistico invocare "più carcere" senza tenere nel debito conto l’attuali delle nostre carceri, in cui oggi sono ristretti circa 46mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 43mila posti e si sono vanificati in un anno gli effetti dell’indulto del luglio 2006 per effetto del quale sono state scarcerate quasi 27mila persone.

Noi auspichiamo, per reati con pene brevi, un potenziamento dell’area penale esterna piuttosto che la detenzione in carcere e, contestualmente, la trasmigrazione delle competenze sui controlli di polizia dei soggetti in esecuzione penale esterna ai penitenziari da altri Corpi di Polizia alla Polizia penitenziaria.

Ciò oltre a rappresentare la giusta attribuzione di compiti all’organo appropriato, consentirebbe il recupero di unità alla Polizia di Stato ed all’Arma dei Carabinieri permettendo una migliore razionalizzazione delle risorse umane fra tutti i Corpi di Polizia. In tal senso, per altro, già da qualche mese si sta lodevolmente indirizzando il Ministro della Giustizia Clemente Mastella, che ha sempre asserito di voler dar vita, in funzione di ciò, a commissariati di Polizia Penitenziaria".

A dichiararlo, in una nota, è la Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione più rappresentativa della Categoria con oltre 12mila iscritti. "L’istituzioni di articolazioni autonome della Polizia Penitenziaria, oggi per altro finalmente dotata di proprio personale del ruolo Direttivo, eluderebbe sovrapposizioni di competenze e renderebbe giustizia al ruolo del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ed è naturalmente opportuno che si preveda un adeguamento degli organici del Corpo per espletare questi compiti fondamentali per la sicurezza del Paese".

Marche: Sappe; in 8 mesi i detenuti sono aumentati del 26%

 

Agi, 5 settembre 2007

 

Sempre più affollate e sull’orlo del collasso le carceri marchigiane dove negli ultimi 8 mesi i detenuti sono aumentati di oltre il 26%, il doppio rispetto alla media nazionale. Secondo un’indagine del Sappe, il Sindacato autonomo polizia penitenziaria, al 31 dicembre 2006 la popolazione detenuta era di 622 unità, mentre al 30 agosto di 845. Al 30 giugno, invece, erano presenti 716 detenuti. La capienza regolamentare delle carceri marchigiane è di 753. "Soglia - sottolinea Aldo Di Giacomo, segretario regionale del Sappe - abbondantemente superata". Particolarmente in sofferenza il carcere di Pesaro: 140 detenuti al 31 dicembre 2006, ben 230 al 30 agosto 2007 (+39,2 per cento), per una capienza regolamentare di 170 posti. Ad Ancona erano 208 i detenuti il 31 dicembre 2006, mentre al 30 agosto 2007 le presenze sono di 267 detenuti con un aumento del 22 (capienza regolamentare 172).

Ad Ascoli Piceno erano 90 le presenze a fine dicembre 2006, salite a 114 al 30 agosto di quest’anno con un incremento di oltre il 20 (capienza regolamentare 125 detenuti). A Fermo i 20 detenuti registrati a dicembre 2006 sono passati a 45 al 30 agosto (più 55,7) rispetto a una capienza regolamentare di 36 posti.

Nel carcere di Camerino 29 detenuti al 31 dicembre, sono saliti a 39 alla fine di agosto (più 30) rispetto a una capienza 33; Fossombrone che ha una capienza regolamentare di 186 detenuti alla fine del dicembre scorso ne ospitava 126, saliti a 134 negli ultimi otto mesi (più 4,6 per cento). Alta anche percentuale di stranieri reclusi.

Secondo l’indagine del Sappe al 31 luglio a Pesaro il 52,94 dei detenuti è straniero, ad Ascoli il 25,33, ad Ancona il 48,62, a Fossombrone 19, a Fermo il 34, a Camerino il 50 per cento. Per quanto riguarda i dati sull’indulto "a oggi - evidenzia Di Giacomo - nelle Marche del provvedimento di clemenza ne hanno usufruito 360 ex detenuti, ne sono rientrati 84 pari al 23 per cento. Effetto indulto abbondantemente finito".

Roma: detenuto disabile sta facendo sciopero della fame

 

Comunicato stampa, 5 settembre 2007

 

Invalido al 100%, costretto da anni a vivere su una sedia a rotelle, un detenuto di 55 anni viene trasferito dalla Sardegna, dove risiede la famiglia, nel Centro Clinico di Rebibbia. L’uomo, in sciopero della fame, chiede di tornare in Sardegna.

Il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: "Negli ultimi mesi quest’uomo, che ha anche un figlio adolescente malato di leucemia, ha già dovuto affrontare il viaggio in Sardegna per partecipare al processo in cui è imputato. Mi chiedo se le autorità non ritengano opportuno far cessare quella che sembra una forma di accanimento".

A 55 anni e con una malattia degenerativa che dal 2003 lo costringe a vivere su una sedia a rotelle, è stato trasferito dalla Sardegna nell’infermeria di Rebibbia nonostante nelle carceri sarde siano attivi ben due infermerie. Protagonista della storia il 55enne Antonino L., che sta facendo lo sciopero della fame per chiedere di poter tornare a scontare la sua condanna in Sardegna, accanto alla sua famiglia e soprattutto al figlio di 11 anni, affetto da leucemia.

La vicenda è stata resa nota dal Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni che ha già provveduto a segnalare tre mesi fa, il 22 maggio, il caso alle autorità competenti sollecitando una soluzione.

Antonino, colpito dal 1992 da distrofia muscolare, una malattia degenerativa che lo ha reso invalido al 100%, è stato trasferito da aprile nel Centro Clinico di Rebibbia nonostante il fatto che le carceri sarde dispongano di ben due strutture sanitarie del genere. A Rebibbia l’uomo è costretto ad avere assistenza continua da parte del personale sanitario, degli agenti di polizia penitenziaria e degli altri detenuti in quanto le sue condizioni non gli consentono di essere autosufficiente. Infatti l’uomo è costretto alla immobilità dalla sua malattia.

La sua condizione è stata aggravata dallo sciopero della fame (che lo ha ridotto a pesare 45 chilogrammi) per sollecitare un suo ritorno in Sardegna, accanto ai familiari e soprattutto al figlio 11enne, anche lui colpito da una grave malattia.

"Quella che abbiamo segnalato è una vicenda triste e paradossale - ha detto il Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - La condizione di Antonino viola il principio della territorialità della pena e, soprattutto, il diritto del detenuto a poter stare vicino, nei limiti del possibile, a suo figlio gravemente malato. Inoltre, quale che sia la pena che quest’uomo deve scontare, mi chiedo se questo trattamento è teso alla sua riabilitazione o viceversa non aggiunga una pena ulteriore, viste le gravissime condizioni di salute del detenuto e del figlio. Per questo ho già contattato il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria affinché si ponga fine a tale situazione".

Nuoro: sciopero fame per presidente "detenuti non violenti"

 

Asca, 5 settembre 2007

 

Evelino Loi, presidente dell’Associazione detenuti non violenti, in carcere per non aver rispettato gli obblighi domiciliari dopo l’arresto per un grammo di cocaina, é in isolamento a "Bad’e Carros" e rifiuta il cibo per protesta contro l’arresto. L’ex bersagliere, noto per le sue battaglie civili in difesa dei detenuti e dei precari di Barisardo, il paese dell’Ogliastra dove é nato, ha chiesto, con un telegramma, di incontrare la Commissione Diritti Civili del Consiglio regionale. Lo ha reso noto, con una lettera al presidente Sandro Frau, la segretaria della Commissione Maria Grazia Caligaris, consigliera regionale dello Sdi, destinataria del telegramma. Il detenuto - ha scritto Caligaris nella lettera - ritiene di essere vittima di un accanimento da parte delle forze dell’ordine. In un esposto alla Procura Generale della Repubblica ha denunciato di essere stato arrestato dopo una violenta irruzione nella sua casa da parte delle Forze dell’Ordine durante la quale si è sentito male determinando un intervento del 118 ed il successivo ricovero in ospedale.

Milano: 100 gli avvocati disponibili per il gratuito patrocinio

 

Ansa, 5 settembre 2007

 

Ha preso il via il servizio di volontariato per assistere imputati che per le loro condizioni economiche hanno diritto ad essere ammessi al gratuito patrocinio. Cento avvocati milanesi hanno dichiarato la loro disponibilità ad assistere gratuitamente i bisognosi sia in campo penale che sul fronte civilistico.

Ieri c’è stata una riunione nel carcere di Bollate alla quale è intervenuto il giudice del Tribunale di Sorveglianza Giovanna Di Rosa, da tempo impegnata nell’assistenza anche sul piano umano dei detenuti. "Il battesimo è stato molto interessante - ha esclamato l’avvocato Cristiana Tovaglieri -, per me positivo anche sotto il profilo umanitario. Faremo il possibile per dare una mano a chi ne ha bisogno".

Savona: Rc; spazi esterni ridotti, l’ora d’aria è a rischio

 

Il Secolo XIX, 5 settembre 2007

 

Prosegue l’emergenza nel carcere Sant’Agostino di Savona. La visita di ieri mattina della delegazione di Rifondazione Comunista ha confermato lo stato di perenne emergenza dell’istituto di salita Monticello. I problemi sono noti: carenza degli spazi per i detenuti, sovraffollamento (più 10% rispetto alla capienza) e scarse condizioni di vivibilità generale.

"Diciamo che in questa visita abbiamo trovato numeri mediamente più sostenibili rispetto alla visita di marzo in termini di detenuti ma sempre in un quadro negativo e preoccupante - spiega Giorgio Barisone, responsabile carceri di Rifondazione - Sostanzialmente i detenuti hanno detto che il problema più sentito è quello degli spazi: l’ora d’aria, che in questo periodo è di 2 ore al mattino e altrettante al pomeriggio, è insufficiente e quasi sempre difficoltosa da svolgersi. Tanti detenuti finiscono per trascorrere in cella praticamente tutta la giornata. E specie in questo periodo in cui i corsi formativi sono fermi, diventa faticosissimo arrivare a fine giornata...". Con Barisone c’erano lo psicologo Fabrizio Poggi e la senatrice Haidi Giuliani.

"Dal punto di vista sociale il dato allarmante è aver constatato l’aumento degli arresti di tanti giovani e giovanissimi appena maggiorenni, stranieri ma anche tanti italiani - prosegue Barisone - È un dato che preoccupa in considerazione del fatto che spesso i reati per cui i ragazzi finiscono in cella non sono propriamente gravissimi, magari solo bravate giovanili, e basterebbero misure alternative per fargli scontare la pena e al tempo stesso alleggerire le capienze dei carceri". Positivo, invece, il rapporto tra detenuti e sorveglianti: "Qui a Savona, evidentemente per le ridotte dimensioni, il rapporto sembra buono".

Roma: detenuti di Rebibbia partecipano alla "Notte Bianca"

 

Comunicato stampa, 5 settembre 2007

 

Teatro, musica, cultura come veicoli di reinserimento sociale dei detenuti. Detenuti protagonisti e detenuti spettatori in due grandi eventi inseriti nel programma della "Notte bianca".

Venerdì 7 settembre alle ore 21,00 il gruppo World Music degli Unnaddarè terrà un concerto per gli oltre 200 detenuti della Casa di Reclusione di Rebibbia che non fruiscono di permessi premiali. Inserito nel cartellone di Aspettando la Notte Bianca, il disco debutto "Kalsa", viaggio lirico, sonoro e ritmico attraverso il Mediterraneo.

Un concerto appassionato e di confine tra il mondo acustico e quello elettronico perfettamente fusi alla tradizione e alla profondità della cultura musicale siciliana. L’evento si terrà all’interno dello spazio teatrale dell’Istituto messo a disposizione dalla direzione della casa di reclusione.

Sabato 8 settembre alle ore 23,30 la Compagnia Teatrale Stabile Assai della Casa di Reclusione di Rebibbia presenta lo spettacolo Tutti i colori della notte alla Terrazza del Gianicolo. Il gruppo teatrale è composto da detenuti e operatori sostenuti da figure dello spettacolo, professionisti che hanno influenzato la crescita musicale e le capacità espressive dei tanti reclusi che negli anni hanno fatto parte della Compagnia.

La Compagnia Stabile Assai ha ottenuto l’importante riconoscimento della Palma d’Eccellenza al Premio Cardarelli 2007 come migliore produzione di teatro sociale. Tutti i colori della Notte è un itinerario emotivo attraverso testi poetici, monologhi e brani musicali. I luoghi della memoria sono quelli dell’amore, della follia, della diversità. Il dolore di una finestra abbassata di fronte all’amore, le note struggenti di Un pianoforte di notte, rimpianti di scelte senza ritorno. Gli ospiti di un carcere che invano aspettano un Godot capace di capire, una condizione umana estesa oltre l’universo carcerario. Ma…. il cielo è sempre più blu!

Rovigo: più controlli a scuola contro il bullismo e le droghe

 

Corriere del Veneto, 5 settembre 2007

 

Vigilanza e controlli alle stazioni dei treni e delle autocorriere negli orari di entrata e di uscita da scuola, per garantire agli studenti la dovuta sicurezza. È quanto è stato deciso ieri mattina in un vertice in Prefettura in vista dell’inizio dell’anno scolastico 2007-2008 che prende il via lunedì. Oltre alle forze dell’ordine, erano presenti anche il sindaco di Rovigo Fausto Merchiori, il vicepresidente della Provincia Gino Spinello ed esponenti dei Comuni di Adria, Badia, Castelmassa, Lendinara, Occhiobello Porto Tolle, Porto Viro e Taglio di Po.

Alla riunione c’erano i presidi degli istituti e Roberto Uboldi, il nuovo dirigente dell’ufficio scolastico provinciale. È stato stabilito che una parte rilevante di vigilanza e controllo, anche riguardo a droga e alcol, sarà affidata alla polizia locale, e che le singole scuole dovranno svolgere attività di prevenzione e informazione in collaborazione con gli enti locali. A seguito della scoperta del crocifisso infranto da un alunno durante l’orario di lezione al "Bernini" di Rovigo, nel vertice di ieri si è parlato anche di bullismo. Tutti d’accordo "nell’evitare enfasi retoriche" riguardo all’argomento, ed è stato "preso atto della vigile attenzione".

Droghe: Turco; i Nas nelle scuole aiuteranno gli educatori

 

Notiziario Aduc, 5 settembre 2007

 

"L’intervento dei Nas potrebbe servire non solo a individuare la presenza di droga nelle scuole, ma anche a sostenere presidi e insegnanti nell’attività preventiva ed educativa". Lo ha detto il ministro della Salute Livia Turco intervenendo in diretta alla trasmissione "Viva Voce", in onda questa mattina su Radio24. "I Nas sono massimamente esperti del sistema sanitario nazionale - conclude il ministro - e possono dare informazioni agli studenti".

"Per la seconda volta nel giro di pochi mesi il ministro della Salute evoca la possibilità di usare le forze dell’ordine per reprimere la circolazione delle droghe proibite all’interno delle scuole". Lo sottolinea Benedetto Della Vedova, presidente dei Riformatori Liberali e deputato di Forza Italia. "Nessuna persona sensata mette in discussione l’obiettivo di ridurre la quantità di droga spacciata e consumata all’interno o all’esterno degli edifici scolastici".

E aggiunge Della Vedova: "Che a condividere questo obiettivo sia anche il ministro della salute è semplicemente scontato. Ma è al ministro della salute e al governo, a differenza che ai semplici cittadini, che tocca il compito di perseguire questo obiettivo con misure concrete e praticabili, con risultati misurabili e con costi certi".

Non ha senso, per il deputato, "evocare la militarizzazione delle scuole o ipotizzare la collaborazione didattica dei Nas in doppia veste informativa e dissuasiva. Queste cose o si fanno o non si fanno. Non si possono semplicemente annunciare o addirittura auspicare". In generale, però, aggiunge "la circolazione delle droghe legali e proibite nelle scuole può essere limitata solo responsabilizzando le istituzioni e il personale della scuola, e non scaricando sulle forze dell’ordine anche i problemi di disciplina scolastica".

E conclude Della Vedova: "Non dovrebbero servire i carabinieri per impedire di fumare sigarette o spinelli nei bagni delle scuole. Non sono necessari i Nas per spiegare ai ragazzi gli effetti delle droghe legali e proibite sull’equilibrio psico-fisico delle persone".

Droghe: i Nas come educatori? altro che Stato di polizia!

di Donatella Poretti (Deputato Radicale)

 

Notiziario Aduc, 5 settembre 2007

 

Il ministro della Salute Livia Turco oggi ne ha "sparata" una delle sue: "L’intervento dei Nas potrebbe servire non solo a individuare la presenza di droga nelle scuole, ma anche a sostenere presidi e insegnanti nell’attività preventiva ed educativa".

Altro che Stato di Polizia, il ministro catto-comunista (sua l’auto-definizione) oggi ha deciso di stupirci rivelando quali potrebbero essere i suoi sistemi educativi! Chissà, quando penserà di fare informazione sessuale a scuola potrebbe chiamare un prete o una suora! Forse sono solo parole in libertà, tipiche del periodo. Ma forse nascondono lo sbocco di una certa sinistra che vuol mettere in carcere i lavavetri, punire i clienti delle prostitute, insomma usare la mascella dura e il pugno di ferro davanti ad ogni fenomeno sociale e di emarginazione.

Leggi speciali, ordinanze, soluzioni facili ed emergenziali come toccasana per ogni problema, insomma proibire e criminalizzare invece che governare. I risultati evidentemente non interessano, la misura demagogica e populista ha altre priorità. I risultati di queste politiche sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vederli. Il consumo di cannabis continua a crescere in particolare tra i giovani e i Paesi che sperimentano politiche ancora più repressive come gli Usa, dove i cani poliziotto a scuola sono una routine, non ci sembra abbiano avuto successo! Alla ripresa dei lavori parlamentari le Commissioni Affari Sociali e Giustizia hanno deciso di calendarizzare la riforma della legge sulla droga, lavoreremo perché l’ipocrisia delle misure proibizioniste crolli davanti all’evidenza dei suoi fallimenti.

Droghe: i Nas a scuola? sono inutili, costosi e pericolosi…

di Pietro Yates Moretti (Presidente Associazione per i Diritti di Utenti e Consumatori)

 

Notiziario Aduc, 5 settembre 2007

 

È un momento di rinnovato fervore repressivo. Proibire, incarcerare, militarizzare. Queste le parole d’ordine: dai tossicodipendenti di Trastevere ai lavavetri di Firenze. Ora il ministro della Salute Livia Turco torna a proporre controlli dei Nas, con cani antidroga, nelle scuole italiane. Questo, sostiene Turco, per dare uno strumento educativo in più per presidi ed insegnanti. Ci è difficile comprendere queste motivazioni, specialmente alla luce dell’esperienza americana, dove cani antidroga inferociti e poliziotti con pistole alla mano sono ormai una consuetudine in diverse scuole. Ecco alcune ragioni per dire no ai Nas nelle scuole: 1. L’evidenza scientifica dimostra che i controlli antidroga nelle scuole non hanno alcun impatto deterrente. Secondo uno studio dell’Università del Michigan, ad esempio, non vi è differenza fra i livelli di consumo di droghe in quelle scuole dove avvengono regolarmente controlli e le altre. Questo studio di quattro anni, pubblicato sulla rivista scientifica Journal of School Health nel 2003, conclude: "I test antidroga degli studenti non sono un deterrente al consumo... I ricercatori hanno rilevato livelli di consumo di droghe praticamente identici nelle scuole che fanno controlli antidroga e quelle che non lo fanno". 2. I controlli antidroga ledono il rapporto di fiducia studente-insegnante. Diversi studi dimostrano un atteggiamento sempre più negativo degli studenti verso quelle scuole dove avvengono i controlli. 3. I controlli antidroga potrebbero spingere alcuni studenti verso l’abuso di alcol e droghe pesanti. Lo rivela uno studio della prestigiosa Joseph Rowntree Foundation. 4. Inviare migliaia di carabinieri e decine di cani antidroga nelle scuole è un’operazione che può costare centinaia di milioni di euro ogni anno. Forse converrebbe utilizzare questo denaro per assumere personale qualificato nelle scuole per educare e consigliare gli studenti, oppure per finanziare attività extracurricolari dopo l’orario scolastico per tenere gli studenti in un ambiente controllato. 5. Uno Stato di Diritto non può coesistere con uno Stato di Polizia. La cultura del "tutti sospetti" è ciò che caratterizza i regimi assolutisti, in cui il controllo del comportamento della collettività è preventivo, e non frutto di indagini mirate, individuali e controllate dalla magistratura. Prima di rinunciare alla inviolabilità della persona e della privacy semplicemente perché "studente", uno Stato di Diritto deve fornire elementi concreti che giustifichino questa straordinaria intrusione. 6. Il consumo di cannabis non è legato ad una diminuzione del rendimento scolastico, e certamente esso non impedisce agli studenti di crescere e realizzarsi. Il carcere sì.

Prima di prendere decisioni affrettate, seppur apparentemente popolari e consone alla nuova tendenza repressiva in atto, chiediamo al ministro Turco di riflettere bene sulle possibili conseguenze delle sue azioni.

Iran: 21 detenuti impiccati in un solo giorno, 189 da gennaio

 

Ansa, 5 settembre 2007

 

Ventuno detenuti sono stati impiccati in Iran in un solo giorno. Diciassette trafficanti di droga nella provincia nordorientale di Khorasan Razavi e quattro nella città meridionale di Shiraz. Non si sa se le esecuzioni abbiano avuto luogo in pubblico o nelle carceri. Dall’inizio dell’anno sono stati giustiziati finora 189 detenuti. In tutto il 2006, invece, secondo Amnesty International le condanna eseguite sono state 177. La pena di morte in Iran si applica a numerosi reati tra cui anche lo stupro e il traffico di droga.

Gran Bretagna: "PreCrimine", ecco la repressione preventiva

 

Associated Press, 5 settembre 2007

 

La polizia metropolitana di Londra ha iniziato la sperimentazione, in cinque quartieri della città, dell’utilizzo di un database di delinquenti altamente pericolosi, con l’intento di poter prevenire i delitti prima ancora che essi avvengano. Il progetto, che verrà esteso all’intera area urbana della capitale inglese qualora dimostrasse la sua reale efficacia, si basa sulla creazione di una lista dei 100 peggiori "soggetti a rischio" per la società e i cittadini londinesi: i profili, contenenti informazioni psicologiche particolareggiate, dovrebbero secondo le intenzioni servire da "mappa" dei possibili casi a rischio per i poliziotti, permettendo di agire prima ancora che gli elementi schedati decidano di colpire con il loro sordido agire.

L’idea alla base di questa sorta di PreLista è avere uno strumento di valutazione ritagliato su misura per i peggiori elementi della città, personaggi poco raccomandabili quali l’assassino seriale Ian Huntley, lo stupratore Richard Baker e criminali di simile risma da tenere costantemente sotto sorveglianza con analisi incrociate dei rapporti di salute mentale e dei delitti di cui si sono già resi protagonisti in passato. La lista serve insomma a "provare a beccare Ian Huntley prima che esca e commetta un nuovo omicidio", stando a quanto dichiara al Times la criminologa Laura Richards in forze alla Unità di Prevenzione degli Omicidi di Scotland Yard, "In questo modo potremo avere l’opportunità di fermare qualcosa prima ancora che essa si trasformi in un evento irreparabile".

L’idea non è nuova: a parte Dick e Spielberg, nella realtà ha già provato Singapore a varare una PleCrimine dagli ampi poteri previsionali, e per quanto in maniera ridotta il progetto inglese ricorda molto da vicino quel Total Information Awareness dell’ammiraglio John Poindexter, bocciato dal Congresso e tornato in auge dal buco della serratura con il nuovo nome di Tangram.

Di fatto, la PreCrimine metropolitana è una iniziativa che allarma e preoccupa le organizzazioni di difesa della privacy e delle libertà civili fondamentali: Simon Davies, direttore di Privacy International, ha espresso la propria perplessità a riguardo: "È giusto che la polizia adoperi strumenti di intelligence sui sospetti criminali, ma è osceno suggerire che dovrebbe esserci una lista di potenziali criminali".

Secondo alcuni rapporti, l’improvvisa impennata di omicidi fatti registrare nella città di questi tempi sarebbe dovuta alle liti finite in violenza e sparatorie condite con alcool e uso di sostanze stupefacenti, e non invece agli assassini seriali che la PreLista avrebbe il compito di tenere sotto controllo. Per non parlare degli omicidi passionali o quelli non premeditati, impossibili da prevedere se non usando appunto tecnologie e soggetti scaturiti dalla fantasia dei maggiori autori sci-fi del secolo scorso.

Dubbia rimane inoltre l’efficacia della pervasività degli strumenti di sorveglianza nella società inglese nel ruolo di prevenzione dei crimini. Le telecamere a circuito chiuso, piazzate per ogni dove per le strade di Londra proprio con il compito di individuare improvvise esplosioni di violenza casuale (erano 4 milioni in tutta l’Inghilterra già nel 1994), per quanto dotate di software avanzati di riconoscimento delle forme e microfoni in grado di individuare i toni di voce fuori posto, hanno finora dimostrato di non essere in grado di fare molto più di quanto i "bobby" in giro per la città non facessero già da soli: le statistiche criminali dicono che la percentuale di omicidi è rimasta sostanzialmente costante. La domanda fondamentale da porsi è quindi quanta utilità possa avere l’idea di una sorveglianza speciale nella riduzione dei crimini efferati, se già quella ordinaria ha dimostrato, finora, di non funzionare un granché.

 

 

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