Rassegna stampa 25 settembre

 

Giustizia: Amato; essenziale rafforzare la certezza della pena

 

Agi, 25 settembre 2007

 

Rafforzamento delle misure cautelari e restrittive, con la possibilità di prevedere l’arresto in flagranza anche per reati puniti con pene inferiori ai tre anni, ma soprattutto riaffermazione della certezza della pena.

È "essenziale" procedere ad un "rafforzamento sul tema che chiamiamo della certezza della pena. Sulla possibilità di adottare misure cautelari restrittive, bisognerà ampliare le possibilità esistenti, fermi restando i presupposti costituzionali". Lo ha detto il ministro dell’Interno Giuliano Amato, intervenuto in Commissione Affari costituzionali al Senato, riferendosi alle "misure cautelari restrittive che oggi possono risultare insufficienti", come ad esempio per quanto riguarda "i reati con pena inferiore ai tre anni. Davanti all’esorbitanza delle tifoserie, uno attiva strumenti di cui dispone per prevenire l’azione teppistica e poi - ha rilevato Amato - ti accorgi che non può fermare neanche quelli che hanno zaini con dentro i machete perché, trattandosi di reati puniti sotto i tre anni, non si può fare".

 

Per fronteggiare la criminalità, soprattutto quella proveniente da rom e nomadi, si devono introdurre nell’ordinamento disposizioni che rendano più semplici le espulsioni, anche dei cittadini comunitari.

"È in atto un vero e proprio esodo di rom dalla Romania per condizioni di non-vita nelle quali hanno finito per ritrovarsi" - ha detto Amato introducendo il tema delle espulsioni - "sono convinto che il decreto legislativo del febbraio scorso, che attua la direttiva sullo stabilimento dei cittadini comunitari contenga un errore tecnico che ha ridotto la possibilità delle espulsioni", ha aggiunto il ministro. "La direttiva prevede le espulsioni per gravi motivi di ordine pubblico e di sicurezza pubblica e dice che la condanna penale non comporta di per sé l’espulsione".

Il titolare del Viminale sollecita quindi dei chiarimenti rispetto all’attuazione di tale direttiva in Italia. "Se la condanna penale non comporta di per sé l’espulsione, bisogna altresì precisare che per espellere non è necessaria una condanna penale".

Il secondo punto del decreto attuativo della direttiva, ha spiegato il titolare del Viminale, attribuisce al ministro dell’Interno il potere di espellere uno straniero per motivi di ordine e sicurezza pubblica. "Ritengo che sia il caso di attribuire questo potere al prefetto per i casi di sicurezza pubblica, lasciando al solo ministro la decisione sull’espulsione per i casi in cui la sicurezza pubblica incida sulla sicurezza dello stato, come è altresì previsto dalla legge Bossi Fini", ha aggiunto Amato. Questo in modo da rendere più snelli i procedimenti.

Il ministro è impegnato nella stesura di un pacchetto di norme anti-criminalità più volte annunciato nelle scorse settimane. Amato ha avvertito che sta valutando alcuni cambiamenti di normativa sulla pubblica sicurezza, ma che il tema centrale nel fronteggiare la criminalità rimane quello della certezza della pena, che ricade nella responsabilità del Ministero della Giustizia.

 

Contro la prostituzione multe "non conciliabili" per i clienti, con il verbale fatto arrivare a casa.

"I sindaci - ha spiegato Amato - sono sensibili al problema della prostituzione, ma è un tema in cui non penso ad una disciplina con un articolo proibitivo. Penso ad un divieto con sanzione amministrativa applicabile dai vigili urbani per l’esercizio di quell’attività in strade frequentate da minori o vicino a luoghi di culto. E per i clienti multe non conciliabili, con il verbale che deve arrivare a casa". Le associazioni come la Caritas, ha proseguito, "hanno perplessità su questo tipo di soluzione, perché temono che la prostituzione dalla strada si trasferisca così in luoghi incontrollabili o che finisca al chiuso dove loro non possono controllare cosa succede alle donne coinvolte". Tuttavia il ministro ritiene quella da lui indicata una strada decisamente percorribile.

 

Nel "comparto sicurezza" serve gente nuova, perché l’età media delle forze dell’ordine continua a salire.

Amato ha poi parlato della questione sicurezza nel suo complesso, evidenziando che "le risorse contano più delle norme e questo è un compito che spetta alla Finanziaria. Da parte nostra noi cerchiamo di rendere disponibili il più possibile uomini attraverso una mobilità sia interna che esterna". Ad esempio, ha riferito, "2-3.000 unità si possono tirar fuori facendo fare al personale civile le pratiche che ora vengono svolti dai poliziotti.

Ma si può anche ricorrere alla mobilità esterna, prendendo 700 persone tra civili della Difesa ed alcuni marescialli - ce ne sono 25.0000 in esubero - in modo da riempire i vuoti dei ruoli tecnici". Ma, ha sottolineato il ministro, "serve gente nuova, perché l’età media delle forze dell’ordine continua a salire. La legge sull’esercito professionale - ha poi aggiunto - rischia di perdere uno dei suoi capisaldi e cioè che dopo la ferma i volontari si possano ricollocare nei ruoli di polizia, carabinieri e finanzieri. Almeno 4.000-4.500 unità possono entrare così, per dare a noi sangue fresco".

Giustizia: l’Unione si è fermata al semaforo

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Il Manifesto, 25 settembre 2007

 

Fermi al semaforo. Di questo si è parlato per settimane, come si trattasse di un’emergenza mondiale. Pochi lavavetri da arrestare agli incroci delle nostre città, in un dibattito scomposto perfino sotto il profilo giuridico. Fermi al semaforo. È lì che sono i componenti del centrosinistra che quel dibattito hanno con superficialità inventato.

Un semaforo culturale, che sbarra la strada al percorso di costruzione o rafforzamento di una società coesa, solidale, affettuosa, vendendolo sull’altare di una momentanea manciata di labilissimi voti. Un semaforo politico, che sbarra la strada a un progetto organico e razionale, dove il provvedimento di indulto non poteva essere altro che un’azione preliminare e improcrastinabile di un cammino inevitabilmente più lento. L’indulto doveva tendere verso una riduzione dei numeri della detenzione che fosse strutturale e non posticcia, al fine di gettare le fondamenta in una liberazione dalla necessità del crimine ovunque questo fosse possibile, riservando le galere solo a quei casi dove l’intervento dello stato non può essere a monte ma inevitabilmente solo a valle. Il ministro Mastella ieri ci ha ricordato che l’indulto ha costituito una misura eccezionale votata dalla stragrande maggioranza del parlamento. Lo votò Forza Italia, lo votarono Ds e Dl, il futuro Pd.

Il presidente Napolitano, presente ieri alla festa della polizia penitenziaria, all’indomani dell’approvazione dell’indulto spiegava alle forze politiche che lo avevano votato quanto fosse ora importante dar vita a un programma di riforme che impedisse il ripristinarsi delle tragiche condizioni di affollamento penitenziario per far fronte alle quali il provvedimento era stato adottato. La più importante di tali riforme non poteva che essere la riscrittura del codice penale, nonché le abrogazioni delle leggi dell’era Berlusconi su immigrazione, droghe, recidiva, generatrici di percentuali altissime di popolazione detenuta. Quando il capo dello Stato spiegava che dopo un atto di clemenza sarebbero state necessarie riforme strutturali, certo non si riferiva a quelle misure preannunciate come l’ultimo dei pacchetti sicurezza.

Siamo dunque alla schizofrenia politica. Fu votato l’indulto a maggioranza bulgara e a maggioranza bulgara fu scaricato al primo detenuto uscito e poi rientrato.

Ora, invece di far finta di voler perseguire dannosissime riforme che tutti sanno non esserci il tempo di approvare, il centrosinistra potrebbe piuttosto badare a due leggi che in altri tempi si sarebbero sperate iscritte nel suo Dna.

Due leggi vicine all’approvazione definitiva e pendenti in senato. La previsione del crimine di tortura e l’istituzione di un organismo indipendente di controllo dei luoghi di detenzione. Chiediamo a Guido Calvi, Anna Finocchiaro, Massimo Brutti, Cesare Salvi, Giovanni Russo Spena, Luisa Boccia, di fare quanto è loro possibile per approvare due leggi di sinistra. Ciò potrebbe aiutare a ricostruire un tessuto comunitario coeso dopo il terremoto culturale di quest’estate.

Giustizia: 97% arrestati esce in un anno anche senza indulto

 

Il Mattino di Padova, 25 settembre 2007

 

Dimenticate, se possibile, l’indulto. E ignorate per un momento la questione pur drammatica di 50mila posti per detenuti a fronte di una popolazione carceraria media di 65mila. Sapete in tempi normali, in uno qualsiasi degli ultimi anni, quanti entrano in carcere? Ottantamila persone. E sapete quante di queste, senza nessun provvedimento di clemenza, sono ancora dietro le sbarre dodici mesi dopo? Circa 2.500, più o meno il 3% degli arrestati si fa un anno di galera, gli altri 97 escono prima. Ottantamila persone sono tante, 2.500 sono pochissime: in carcere si entra con la pala e si esce a valanga.

È il risultato di una legislazione schizofrenica che distribuisce galera a piene mani quasi sempre prima della sentenza e regala libertà dopo la condanna. Legislazione due volte sbagliata che segue e ricalca gli umori della "gente" forcaiola e perdonista a giorni alterni. La magistratura? Non lima ma moltiplica i difetti delle leggi. Si può fare qualcosa? Onestamente, credo di no. Da quando ero bambino sento di riforme del Codice ogni volta risolutive. Ognuna accentua invece il difetto, ora l’uno, ora l’altro: è questo l’unico movimento.

Giustizia: su indultati siglata convenzione Italia Lavoro - Agci 

 

Vita, 25 settembre 2007

 

Siglata a Roma la convenzione tra Italia Lavoro e Agci, l’Associazione Generale Cooperative Italiane, che ha l’obiettivo di incrementare le opportunità occupazionali per gli ex detenuti beneficiari dell’indulto, che aderiscono al progetto "Lavoro nell’inclusione sociale degli ex detenuti beneficiari dell’indulto".

Lo fanno sapere in una nota congiunta Italia Lavoro e Agci. L’intesa, firmata da Natale Forlani, amministratore delegato di Italia Lavoro, e Maurizio Zaffi, presidente Agci, prevede l’impegno da parte dell’associazione cooperativa a ospitare 120 tirocini presso le proprie imprese cooperative operanti nelle 14 aree coinvolte nel progetto (Milano, Napoli, Catania, Messina, Venezia, Bari, Roma, Cagliari, Trieste, Bologna, Palermo, Genova, Torino, Firenze).

"Una concreta occasione di reinserimento lavorativo è dunque offerta ai beneficiari dell’indulto interessati ad essere inseriti in tirocini formativi", si legge nel comunicato. La durata dei tirocini può essere di 4 o 6 mesi, durante i quali i partecipanti percepiscono rispettivamente la somma di 675 o 450 euro mensili.

Le aziende che li ospiteranno potranno ricevere un contributo di 1000 euro per le attività formative, in caso di assunzione a tempo determinato di almeno 12 mesi o a tempo indeterminato. Qualora, poi, l’azienda dovesse assumere un tirocinante prima della fine del percorso formativo, i contributi mensili per i mesi di tirocinio non svolti andranno all’impresa stessa.

"È nostra convinzione - dichiara il presidente di Agci, Maurizio Zaffi - che agire per recuperare e valorizzare l’esperienza lavorativa di coloro che, usciti dal carcere, affrontano i primi passi, i più importanti, in direzione della loro occupabilità per il reinserimento nella società, è il modo - continua - con cui la nostra Organizzazione, attraverso la sua rete territoriale, offre il proprio contributo a chi vuole intraprendere questo percorso, con ciò assolvendo anche il proprio impegno ad ampliare il sentimento di sicurezza e di legalità nel nostro paese". "Questa convenzione - afferma il responsabile del progetto, Mario Conclave - va ad aumentare il numero degli accordi definiti con le parti datoriali. Intese importanti che facilitano il raggiungimento l’obiettivo principale del progetto, che è quello di offrire nuove opportunità di inserimento nel mondo del lavoro alle persone uscite dal carcere", conclude Conclave.

Giustizia: sinistra e destra unite contro le "toghe scomode"

 

Apcom, 25 settembre 2007

 

"Ora si rischia un allineamento sulla tesi della normalizzazione dei magistrati scomodi. Una voglia di normalizzazione che è stata costante in settori prevalenti del centrodestra. Questa convergenza, ovviamente, non mi fa piacere". L’esponente di Sinistra democratica Cesare Salvi denuncia, in un’intervista al Corriere della Sera, la "convergenza" tra governo e centrodestra sulle cosiddette "toghe scomode" dopo il caso Catanzaro.

"L’antipolitica cresce - è l’analisi di Salvi - perché c’è l’impressione che destra e sinistra facciano esattamente le stesse cose anche in materia di giustizia. Così dopo aver fatto le nostre battaglie contro Berlusconi diamo l’impressione di seguire la stessa strada". Cosa dovrebbe fare il nascente Pd? "Forse sarebbe meglio per tutti - conclude Salvi - se Veltroni si esprimesse in modo meno vago sulla questione morale in Italia".

Giustizia: caso Mastella - De Magistris; le ragioni delle parti

 

Quotidiano di Calabria, 25 settembre 2007

 

"Non sono né uno sciocco né un cretino, se ho agito in questo modo vuol dire che c’erano le condizioni per farlo". Così il ministro della Giustizia Clemente Mastella in merito alla vicenda del trasferimento cautelare dei due magistrati catanzaresi, Luigi de Magistris e Mariano Lombardi. "Il massimo riserbo e la serenità, in questo caso - ha detto il Guardasigilli - sono un obbligo, per lasciare lavorare in tranquillità il Csm".

"Alle accuse del Ministero della Giustizia che mi vengono notificate attraverso i media e le agenzie di stampa mentre sono al lavoro come sempre, non risponderò a mezzo stampa ma in tutte le sedi istituzionali, convinto di dimostrare non solo la correttezza del mio operato ma anche di avere sempre agito nell’interesse esclusivo della giustizia, con dedizione ed abnegazione assolute per un mestiere che amo profondamente".

Lo ha detto il sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro Luigi De Magistris, uscendo questa sera dal palazzo di giustizia, commentando le indiscrezioni sul lavoro degli ispettori del Ministero della Giustizia. "Tutelerò, con serenità ed altrettanta fermezza - ha aggiunto De Magistris - la mia serietà e dignità professionale che viene pubblicamente mortificata in queste ore attraverso dichiarazioni di appartenenti alle istituzioni e propalazione di atti provenienti dal Ministero della Giustizia a me non conosciuti".

Giustizia: Pdci; su "caso De Magistris" intervenga Napolitano

 

Asca, 25 settembre 2007

 

"La richiesta del Ministro Mastella di trasferimento di ufficio del sostituto procuratore di Catanzaro, dott. De Magistris, in uno a quello contestuale del Procuratore Lombardi, introducono nel contesto dell’attualità politica un inaccettabile salto di qualità dai contorni inquietanti". Lo si legge in una nota, diffusa dal Pcdi, a firma del responsabile settore Giustizia, Piero Granata.

"Sembra, infatti, evidente - dice Granata - che dietro il formalismo delle non meglio precisate esigenze di ordine deontologico, che avrebbero arrecato danno all’ufficio giudiziario del capoluogo calabrese, come si legge nei comunicati di via Arenula, si sia mandato all’esterno - più o meno volutamente - un segnale che travalica ogni ambito tecnico della questione per debordare nell’agone politico. Si tratta di una decisione che, nella soluzione del contrasto tra i due magistrati - secondo Granata - solo apparentemente può definirsi "pilatesca" o "salomonica", ma che al contrario produce in sostanza un unico effetto: quello di sottrarre al dott. De Magistris le delicatissime indagini che stava conducendo".

"I Comunisti Italiani chiedono, perciò, l’intervento del Presidente della Repubblica - dice Granata - tanto in veste di massima autorità del Consiglio Superiore della Magistratura quanto di primo custode dell’ordine Costituzionale, affinché tale deriva abbia a cessare e dunque siano ancora una volta salvaguardati i principi della obbligatorietà dell’azione penale e quello del giudice naturale che rappresentano i cardini su cui poggia l’ordinamento e la stessa certezza del diritto e che oggi vengono indirettamente minacciati.

La prosecuzione dell’esperienza dell’Unione, sia a livello regionale che a livello nazionale - secondo Granata - deve passare anche attraverso la concretezza di tali fondamentali passaggi e l’affermazione in concreto di tali principi. La maggioranza dei cittadini calabresi vuole che i processi vadano avanti anziché essere insabbiati e che siano la legalità e l’uguaglianza a regnare sovrani. I Comunisti Italiani perciò sono e resteranno schierati dalla loro parte".

Giustizia: sciopero della fame per l'abrogazione dell'ergastolo

di Mauro W. Giannini

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 25 settembre 2007

 

Chiedono l’abolizione dell’ergastolo e per ottenerla effettueranno uno sciopero della fame a dicembre. Sono le centinaia di ergastolani, altri detenuti e familiari di detenuti che hanno aderito all’appello proveniente dal carcere di Spoleto per l’abolizione del carcere a vita.

Allo sciopero della fame, che partirà il primo dicembre, i detenuti e l’Associazione Pantagruel Onlus chiedono la partecipazione di singoli o associazioni, anche solo per uno-due giorni, per dare risalto all’iniziativa. Una ventina di ergastolani, infatti, porterà avanti lo sciopero ad oltranza finché non vi saranno risposte politiche.

Gli ergastolani del carcere di Spoleto nel loro appello hanno spiegato le motivazioni dell’iniziativa: "L’ergastolano non può guardare in faccia il futuro può solo guardare il tempo che va via. Gli ergastolani non hanno futuro, tirano a fare sera e a fare mattino... Molti di noi se potessero scegliere preferirebbero morire subito, adesso, in questo momento, piuttosto che nel modo orribile, progressivamente e infinitamente spaventoso di morire tutti i giorni". I promotori dell’iniziativa - dal significativo titolo "Mai dire mai" - ricordano che "Rifondazione Comunista, partito che sostiene questo governo, ha presentato due disegni di legge per l’abolizione dell’ergastolo, uno alla Camera e uno al Senato, ebbene vogliamo che questi due disegni di legge siano discussi".

Lettere: detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 25 settembre 2007

 

Maurizio, dall’Opg di Aversa (CE)

"350 detenuti malati. 6 piccole palazzine per ospitarli e dentro quelle palazzine, celle con 5, 6, 8 brande. E su quelle brande i detenuti malati ammucchiati come bestie, chiusi dentro quelle celle anche per 24 ore al giorno. Sono Maurizio e scrivo a Radiocarcere da una di queste celle. Qui c’è sporcizia, disordine, tutto è vecchio e tutto puzza. Ogni tanto qualcuno di noi viene messo sui letti di contenzione. Lì legato, mani e piedi, stai per giorni e giorni. Legato puoi essere menato, oppure ti fanno potenti siringhe, che quando ti slegano non capisci più chi sei o dove sei. Nelle celle dell’Opg di Aversa c’è gente malata e abbandonata che non si lava da mesi e mesi. Magari li vedi che stanno buttati lì per terra ed è difficile ricordarsi che sono persone. Chi ha un po’ di lucidità si impicca e non sono pochi a farlo anche se non lo fanno sapere fuori. Ogni giorno vedo tanti miei compagni cadere piano piano. Cadere lì dove è più buio".

 

 

Enrico, dal carcere di Carinola (CE)

"Caro Arena sono detenuto da 2 anni ed ora aspetto la decisione della corte di Appello. Sarei uno di quelli che sta in carcere prima della sentenza definitiva. Purtroppo anche mia moglie è detenuta e sta in un carcere vicino al mio. Ora io ho fatto diverse richieste al Ministero della Giustizia per ottenere la possibilità di fare un solo colloquio con mia moglie, ma non ho ricevuto nessuna risposta. Tengo a precisare che anche il magistrato ha dato parere favorevole al mio incontro con mia moglie. È ovvio che il problema è tutto all’interno dell’organizzazione penitenziaria. Vi chiedo cosa posso fare oltre a quello che ho già fatto? In fondo chiedo solo di poter incontrare per mia moglie che non vedo da anni. Grazie a Radio Carcere!".

 

El Enin, dal carcere di Cremona

"Caro Arena, anche se il mio nome è straniero sono cittadino italiano. Sono in carcere da 7 anni e 6 mesi e mi mancano solo 14 mesi al fine pena. Le scrivo perché ho fatto due richieste al Tribunale di Sorveglianza di Brescia, tutte e due rigettate. La prima era un differimento della pena per motivi di salute. Ho un rene di meno e 4 bypass, in più la mia circolazione sanguigna peggiora tanto che ho i piedi gonfi che non riesco a camminare. Purtroppo per il medico del carcere scoppio di salute e non potendo io pagare un mio medico, la sua parola a prevalso sul mio diritto ad essere curato. Poi ho fatto anche un’istanza di affidamento ai servizi sociali, ma anche questa mi è stata rigettata. Strano, anche perché la relazione degli educatori era ottima e raccontava bene il mio percorso in carcere. Inoltre avevo anche documentato un lavoro esterno e una casa fuori. Purtroppo non è bastato. Il tribunale ha detto che ho precedenti penali e poco importa se si tratta di una denuncia per lesioni del 1980. Inoltre mi hanno detto che non avrei casa dove andare, anche se io l’ho indicate nella richiesta. Infine mi dicono che non ho accettato la condanna, non mi sono pentito , ma scusa: se io mi professo innocente che devo fare oltre a pagare il carcere per quello che non ho fatto? Vede caro Arena, la mia è solo una storia di un piccolo uomo… da sola conta poco, ma può essere utile per far capire quante difficoltà un detenuto senza soldi deve affrontare per ottenere quello che la legge prevede. Ovvero un graduale reinserimento. È strana questa Italia: si vede uno come Pribke, che ha sterminato tanta gente, uscire in affidamento e uno come me resta a marcire in cella, è proprio vero noi poveracci dobbiamo farci il carcere e basta. La saluto con una forte stretta di mano e grazie".

 

Modestino, dal carcere di Lecce

"Caro Riccardo ti racconto l’ultima. Devi sapere che 20 giorni fa all’improvviso non vedevo più da un occhio. Puoi immaginare lo spavento. Ho temuto di rimanere cieco. Ho chiesto la visita di un oculista che si è presentato dopo una quindicina di giorni. Gli ho raccontato l’episodio, mi sono anche ricordato che mi era già successo anni fa. Beh, lui mi da un’occhiata superficiale e alla fine mi dice: "Va beh Modestino, se ti ricapita fammelo sapere!". Io sono rimasto senza parole…ma perché non poteva farmi fare delle analisi? E se c’è qualcosa che non va e la prossima volta è tropo tardi per guarirmi che faccio? Caro Riccardo, questo è solo un esempio di come veniamo considerati. Sperando nel frattempo di non diventare cieco in carcere, ti saluto con tanta stima".

 

Vitale e Nunzio dal carcere Opera (MI)

"Cara Radio Carcere, siamo due detenuti del carcere di Opera. Due detenuti che occupano una piccolissima cella, grande 6 mq, fatta per una sola persona dove ci stiamo in tre. Qui nel carcere di Opera l’effetto indulto è finito da tempo e le celle sono tornate ad essere sovraffollate come prima. Come se non bastasse i beni che possiamo comprare in carcere costano molto di più che fuori e questo non è giusto. Inoltre anche se stiamo in carcere da 5 o 7 anni ancora non ci hanno concluso la sintesi comportamentale e senza sintesi non possiamo chiedere le misure alternative. Questo è un grave problema che riguarda tantissimi detenuti, ma loro se ne fregano. Speriamo tanto che radio carcere pubblichi la nostra lettera".

Bologna: la Dozza scoppia, ci sono 945 detenuti invece di 480

 

Il Resto del Carlino, 25 settembre 2007

 

Il carcere della Dozza vive una situazione di grave sovraffollamento: ha una capienza regolamentare di 483 persone ma al 31 agosto ce ne erano ben 945, di cui 887 uomini e 58 donne (a oggi il numero è pressoché’ identico con una lieve flessione delle donne, 49, e aumento delle presenze maschili). I dati sono contenuti in una nota di Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune, in cui si fa esplicito riferimento "alle perduranti polemiche sul provvedimento di indulto".

Gli stranieri sono 582 uomini e 34 donne, oltre il 60% delle presenze. Le persone in espiazione di pena definitiva al 31 agosto sono 176 uomini e 13 donne (su 945 presenze), neppure un quarto della popolazione carceraria, mentre gli imputati sono 711

uomini e 45 donne. Dati che - secondo l’avvocato Bruno-"impongono una riflessione seria sulla durata dei processi con persone detenute e sull’uso della custodia cautelare, soprattutto con riferimento alla legge sull’immigrazione e a quella sugli stupefacenti, che aveva l’obiettivo di sostituire il carcere con la comunità terapeutica o con programmi terapeutici territoriali". "La Dozza, anche a seguito dell’indulto - aggiunge Bruno - non è mai scesa sotto le 700 presenze, per il numero sempre alto di nuovi arrivi, non identificabili con persone che hanno beneficiato dell’indulto e rientrate in carcere. Come ha rilevato anche l’Usi nel rapporto del marzo scorso, il sovraffollamento comporta la presenza di tre persone in 10 mq, il che contrasta con gli standard di vivibilità".

"A fronte di questi dati, e all’acuirsi dei problemi legati alla mancanza di personale e di risorse - è la conclusione del Garante - la polemica sull’indulto sembra utile solo a non affrontare i temi veri per una riduzione delle presenze in carcere, senza danni alla sicurezza: riforma del testo unico dell’immigrazione, della legge sulle droghe, abolizione della legge sulla recidiva, riforma del codice penale, risorse per l’adeguamento dei penitenziari al regolamento 230/2000, assicurando condizioni di vita dignitose a chi è detenuto in carcere e a chi lavora in carcere, aumento, formazione e razionalizzazione del persone, incremento dell’impegno sulle misure alternative".

Palermo: uccise la moglie… solo due giorni di carcere?

 

La Repubblica, 25 settembre 2007

 

Quattro anni fa, aveva ucciso la moglie con due colpi di coltello, al culmine dell’ennesima lite familiare. Ora, dopo la condanna a sei anni di reclusione per omicidio volontario, forse riuscirà a cavarsela con due soli giorni di carcere, grazie a una serie di benefici di legge.

I fatti. Il protagonista della vicenda è Renato Di Felice, un impiegato palermitano che oggi ha 57 anni. Il 24 ottobre del 2003 assassinò la moglie, Maria Concetta Pitasi, 49 anni, ginecologa, durante un litigio nella loro abitazione di Palermo, in via Generale Streva. Il delitto avvenne sotto gli occhi della figlia, all’epoca sedicenne, che difese il padre sostenendo che la madre lo umiliava continuamente.

Secondo quanto ricostruito dalla polizia, la ginecologa aveva un carattere particolarmente duro e avrebbe sottoposto marito e figlia a una serie di vessazioni, ricorrendo anche, in qualche caso, alla violenza fisica. Durante l’ennesima lite della donna con la ragazza, Di Felice, esasperato, impugnò un coltello a serramanico e sferrò due colpi alla cieca, colpendo la moglie al fianco e al torace. La figlia per proteggere il padre, lanciò l’arma del delitto da una finestra; gli investigatori recuperarono poi il coltello nel pozzo luce del palazzo.

Di Felice si consegnò subito agli agenti, ammettendo l’omicidio. Alle forze dell’ordine disse con un filo di voce: "È stata una liberazione". Dopo due giorni di carcere il giudice Vincenzina Massa lo rimise in libertà in quanto "non socialmente pericoloso".

La sentenza. Questa mattina il gup Marco Mazzeo ha condannato Di Felice a sei anni di reclusione, tre dei quali risultano coperti dall’indulto, e gli ha concesso sia le attenuanti generiche sia quelle per la provocazione subita e per il risarcimento danni (circa 20 mila euro più i beni mobili della casa coniugale versati dall’imputato alla sorella della vittima). In più c’è la diminuzione prevista dal rito abbreviato.

Il Gup riconoscendo tutte le possibili attenuanti, ha affermato implicitamente la fondatezza della tesi difensiva, secondo cui l’uomo era oggetto di vessazioni da parte della moglie. Così come lo era la figlia. Mentre il pm Francesco Bettini, pur riconoscendo le attenuanti generiche, aveva chiesto la condanna a 14 anni di reclusione.

L’uxoricida ha scontato finora soltanto due giorni di detenzione. Ora, fanno notare i suoi difensori, Di Felice potrebbe godere anche delle misure alternative, essendo il residuo di pena (dimezzato dalla copertura dell’indulto) inferiore ai tre anni, proprio per i due giorni di carcere già scontati. E in base a questi benefici potrebbe dunque evitare il carcere.

Sulmona: Roberto Benigni porta Dante dietro le sbarre

 

Il Tempo, 25 settembre 2007

 

Tutto perfetto. Occhio di bue puntato; un leggio quasi per timore di dimenticare qualcosa, "perché dopo aver letto Dante ogni persona diventa il depositario di un mistero eterno". Così Roberto Benigni sulle note di Piovani ha fatto il suo ingresso nel penitenziario sulmonese alla presenza di circa 500 persone che hanno assistito entusiaste allo spettacolo. La prima parte dell’esibizione è stata interamente dedicata alla satira politica, la seconda, invece, ha riguardato soltanto il V canto della Divina Commedia.

Benigni ha raccontato diversi aneddoti e situazioni paradossali legate alle ultime vicende politiche, tirando in ballo tutti i leader di partito e facendo riferimento anche a "festini con cocaina" e alle intercettazioni. Ha inoltre parlato dell’esiguità dei numeri che la maggioranza ha in Senato e ha descritto Prodi come un "premuroso dottore che ogni mattina fa il giro dei senatori a vita con la borsa carica di medicine, preoccupandosi dello stato di salute di ognuno di loro".

Ma la carica dell’artista toscano impegnato nella solidarietà ha spinto il ministro alla Giustizia, Clemente Mastella, a proporre la nomina di Benigni a senatore a vita proprio come lo fu Eduardo De Filippo perché "un comico ci sta sempre bene in Parlamento". L’annuncio è stato dato dal Guardasigilli a margine dello spettacolo del comico fiorentino nel carcere di Sulmona.

"Un uomo che dimostra solidarietà, porta calore in carcere e dà il senso pedagogico e costituzionale - ha sottolineato Mastella - per cui bisogna rieducare per evitare che semplici delinquenti diventino criminali veri. Per quanto attiene la comicità di Benigni - ha concluso - posso affermare con certezza che ne abbiamo bisogno sia dentro che fuori le carceri". Il ministro si è detto non preoccupato delle liste civiche ispirate dal comico Beppe Grillo e con una battuta ha commentato che le liste sono "ispirate a nomi di animali".

Immigrazione: Cpt; bambina intossicata dai lacrimogeni

di Marco Visintin

 

Melting Pot, 25 settembre 2007

 

Nuova rivolta al Cpt di Gradisca d’Isonzo, la terza in neppure trenta giorni, e naturalmente nuovo tentativo di fuga da parte dei migranti, fuga questa volta placata brutalmente con l’uso della forza da parte della polizia e dei carabinieri.

Domenica 23 settembre, intorno le 21.30, alcuni migranti detenuti all’interno della struttura sono saliti sui tetti del Cpt di Gradisca per cercare di scappare oltre le alte reti che circondano quella che doveva essere una struttura modello. La polizia è intervenuta in forze, manganelli alla mano, ma questa volta è stato immediato il lancio di un fitto numero di lacrimogeni, una pioggia durata quindici minuti. I candelotti sono stati lanciati anche dentro l’edificio, alcuni sono finiti perfino oltre il muro di recinzione lungo la strada che scorre davanti ai cancelli, innescando un principio d’incendio. Solo l’arrivo dei vigili del fuoco ha evitato che le fiamme si espandessero, mentre all’interno della struttura un centinaio di migranti venivano fermati con la forza.

Alcuni testimoni riferiscono di aver visto alzarsi, sopra il Cpt, un’enorme nube bianca e, tutto attorno, espandersi l’odore acre e irrespirabile dei gas, mentre dall’interno provenivano urla, rumori , grida.

La sommossa è durata fino a mezzanotte, solo a quel punto l’ambulanza è potuta entrare ed il risultato della repressione di questa rivolta sono una decina di migranti contusi. Ma la cosa più allarmante è che fra le vittime di questa repressione inaudita c’è una bambina, una piccola bambina di appena otto mesi che assieme alla madre sembra fosse nell’area della struttura adibita a centro d’accoglienza per richiedenti asilo.

Le circostanze non sono ancora chiare, le due infatti si trovavano bloccate nella loro stanza chiusa a chiave senza possibilità di fuga, mentre il gas dei lacrimogeni invadeva l’edificio. Verso mezzanotte la bambina è stata portata nella vicina struttura ospedaliera di Gorizia per un principio di soffocamento.

Scene simili in un Cpt non si erano mai viste e ci auguriamo di non rivederle mai più, è inaccettabile pensare che una bambina di appena otto mesi finisca in ospedale intossicata dai lacrimogeni in una struttura che viene descritta come "un modello di accoglienza".

Due domande sorgono spontanee: è questo il modello di sicurezza che il Ministro Amato intende applicare? In nome della sicurezza può una bambina di otto mesi rimanere intossicata dai gas lacrimogeni?

Possiamo solo immaginare il dolore di una madre intrappolata in una stanza piena di fumo con in braccio sua figlia in lacrime per il dolore, possiamo solo immaginare come il sogno di un futuro migliore si infranga brutalmente dentro una stanza satura di gas. Fatti come questi non dovrebbero accadere, e non possiamo pensare che ciò che è successo a Gradisca rientri nella normale gestione dei Cpt. Ciò che è accaduto auspichiamo possa servire per riaprire la discussione sulla necessità di chiudere queste strutture.

Droghe: ministro Amato; i Papi sono più utili dei Capi di Stato

 

Notiziario Aduc, 25 settembre 2007

 

Sul tema della droga e sul massiccio consumo che se ne fa in Italia, "servono più i Papi che i capi di Stato". Così il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, durante il suo intervento ad un convegno sul Mezzogiorno in corso a Napoli. Il problema, secondo il ministro, è anche di natura etica e non solo politica. "A mio avviso servono più i Papi che i capi di Stato e sarebbe bene che venissero presi sul serio anche loro quando parlano di queste cose", ha detto il responsabile del Viminale. Amato dubita che "la nuova società ci aiuti di per sé a ridurre il consumo di droga che io continuo a trovare molla per noi non controllabile".

Per Amato non è "l’escluso o l’alienato", ma la "famiglia media" ad essere oggi "la consumatrice della droga e allora qui si va a risorse che vanno oltre quelle del mio ministero, oltre quelle degli altri e che investono l’etica e i principi del vivere comune".

Droghe: Mestre aperto un Centro diurno per l’accoglienza

 

Redattore Sociale, 25 settembre 2007

 

La nuova struttura, 180 metri quadri, offre, oltre alla consulenza e allo scambio di materiale sterile, nel servizi igienici, lavatrici e uno spazio con computer e televisione.

Il problema della tossicodipendenza affligge Venezia, come molte altre città venete e italiane. Tanto che, come sottolinea il sindaco Massimo Cacciari, "la situazione è fisiologica, quindi servono risposte efficaci". Una di queste vuole essere il nuovo centro diurno per l’accoglienza di consumatori di sostanze stupefacenti, che ha sede in via Giustizia a Mestre. La nuova struttura, aperta da pochi giorni, si chiama "Drop In", termine che in inglese significa "vieni dentro", a indicare un luogo di accoglienza per persone che hanno problemi di dipendenza e di abuso di sostanze.

La struttura, restaurata e riorganizzata con una spesa di 270mila euro, offre la possibilità agli ospiti di trascorrere del tempo al suo interno, in alternativa ai ritmi e ai rischi sanitari e sociali della vita di strada. Inoltre prevede servizi di informazione e orientamento, di soddisfacimento di alcuni bisogni primari, di socializzazione e di counselling rispetto alla modifica di comportamenti a rischio. "Drop in" si sviluppa su 180 metri quadri e rimarrà aperta per quattro ore ogni lunedì e giovedì mattina e ogni martedì e venerdì pomeriggio. Oltre alla consulenza e allo scambio di materiale sterile, nel nuovo centro sono disponibili servizi igienici, lavatrici e uno spazio con computer e televisione. In sede inoltre sono attivi i sei operatori di strada del servizio Riduzione del Danno.

"È un tentativo di evitare il recupero a danno avvenuto" spiega Pierangelo Spano, dirigente dell’assessorato alle Politiche sociali. E Cacciari aggiunge: "Davanti a ristrettezze finanziarie soffocanti, sia per il Comune sia per l’Ulss, rendere dei servizi è sempre più difficile, ma l’idea di poter nascondere certe problematiche è negligente e politicamente sbagliata". "Questo è un punto di riferimento importante per la dignità delle persone - conclude Delia Murer, assessore alle Politiche sociali- non offre percorsi terapeutici, ma a questi indirizza".

I dati diffusi recentemente dal Comune di Venezia raccontano di un consistente aumento del consumo di eroina, sia fumata sia iniettata, in auge anche tra i giovanissimi. "Nella fascia dai 15 ai 24 anni siamo passati dal 7% del 2002 al 45,6% del 2006 - aveva spiegato ad agosto Pierangelo Spano -, per arrivare, in questi primi mesi del 2007, al 51% delle persone da noi contattate". Di più: è in aumento, tra l’altro, anche l"uso di droga tra le ragazze, il cui dato è passato in poco tempo dal 10 al 20%. E cresce anche la quantità di immigrati, specie dai Paesi dell’Europa dell’Est. Per tentare di arginare il problema partirà a breve anche il progetto "Tips & Tricks", che prevede l’attivazione di un secondo camper itinerante con lo scopo di entrare in contatto con i consumatori di droghe sintetiche. (Giorgia Gay)

Europa: si parla di pene e strumenti alternativi al carcere

di Gabriella Mira Marq

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 25 settembre 2007

 

Un incontro sulle pene e strumenti alternativi al carcere è stato promosso a Lisbona dalla presidenza europea pro tempore per mezzo del ministero della giustizia portoghese. L’incontro, iniziato ieri alla presenza del ministro della giustizia portoghese Alberto Costa e delle massime cariche giudiziarie del Portogallo, mira a promuovere un confronto fra esperienze, idee e studi sulle pene e i mezzi alternativi alla prigione che possano fungere da contributo alla socializzazione e al reinserimento dei condannati. Implementando tali programmi, sottolineano gli organizzatori, si otterrebbe per conseguenza la riduzione dei tassi di recidiva. Fra gli altri strumenti si parlerà della vigilanza elettronica. Il simposio - che si chiuderà oggi con la presenza, fra le altre autorità, del presidente dell’ordine degli avvocati del Portogallo - è destinato ai professionisti di tutti gli Stati membri UE, e in special modo agli operatori giudiziari e agli esperti del reinserimento sociale dei detenuti.

 

 

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