Rassegna stampa 26 settembre

 

Giustizia: quanto costa la "sicurezza" ai contribuenti italiani

 

Il Messaggero, 26 settembre 2007

 

Sono quasi 350 mila gli uomini che garantiscono l’ordine pubblico in Italia, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia, polizia penitenziaria, guardie forestali. Ma alcuni di loro si occupano di tutto tranne che di combattere la criminalità. Sono gli addetti alle cosiddette "attività di funzionamento": quelli che lavorano negli uffici, quelli che stanno nelle cucine, quelli che fanno le pulizie, gli autisti che vanno a prendere a casa i colonnelli, i camerieri dei circoli ufficiali, gli uscieri, i piantoni. Nessuno sa dire di preciso quanti siano gli uomini destinati a questi compiti non sempre essenziali. Tempo fa si calcolò che il personale impiegato nelle attività di funzionamento è il 30% del totale, ma gli interessati contestano la stima perché sbagliata per eccesso mentre il Tesoro la considera errata per difetto.

Forze armate e forze dell’ordine sono il solo comparto della pubblica amministrazione che continua a incrementare gli organici. Fra il 2002 e il 2006 le "unità di personale" nei corpi militari sono cresciute del 9,38%, nei corpi di polizia del 3,91%. Complessivamente, sono quasi 25 mila uomini guadagnati in appena quattro anni, mentre il resto dello Stato ha dovuto fare i conti con il blocco delle assunzioni.

Nel periodo preso in considerazione, il comparto sicurezza ha assorbito il 75 per cento delle assunzioni statali, e più o meno lo stesso era avvenuto nel quinquennio precedente. Tutti i governi, di centrodestra e di centrosinistra, hanno favorito polizia e forze armate a scapito delle altre amministrazioni, per una precisa scelta politica: si è cercato così di rispondere alla sempre maggiore domanda di sicurezza che arriva dai cittadini.

Eppure l’Italia spende già molto rispetto agli altri paesi europei. Basta leggere i dati dell’Eurostat: solo gli inglesi destinano all’ordine pubblico una percentuale di Pil superiore alla nostra; francesi, tedeschi e spagnoli invece danno meno. E stiamo parlando di ordine pubblico in senso stretto, perché alla voce "difesa" il nostro paese è, al contrario, perfettamente in linea con la media dell’Ue.

Destiniamo alla sicurezza il 2% della ricchezza nazionale, pari a circa 480 euro per ogni cittadino, contro i 390 euro dei francesi (che pure hanno un reddito pro-capite più alto del nostro). A ogni Finanziaria si ripropone lo scontro fra ministro dell’Economia e ministro dell’Interno. Uno vorrebbe risparmiare, l’altro chiede più risorse. Lo schema si sta riproponendo anche quest’anno. A legislazione vigente, il comparto sicurezza può già prevedere per il 2008 un numero di assunzioni sufficiente a coprire quasi tutti i posti lasciati liberi da chi va in pensione. Ma questi uomini non bastano, e Giuliano Amato ha chiesto al collega Padoa-Schioppa un potenziamento degli organici che costerebbe allo Stato circa mezzo miliardo di euro l’anno.

Come se ne esce? Il rimedio si potrebbe trovare in un migliore utilizzo del personale. Per esempio, ci sono decine di migliaia di esuberi fra i sottufficiali di Esercito, Aeronautica, Marina. Invece di essere spediti in pensione anticipata, potrebbero essere trasferiti a compiti di ordine pubblico. Quelli che proprio non possono andare in strada sarebbero comunque in grado di dedicarsi alle funzioni amministrative, liberando agenti e carabinieri dalle loro scrivanie. Pare che il governo ci stia ragionando.

Giustizia: in Campania i Sindaci vanno alla scuola di Polizia

 

Il Denaro, 26 settembre 2007

 

Al via a Ponticelli il primo seminario della Scuola regionale di polizia nell’ambito delle iniziative di Polis (Politiche integrate di sicurezza), il progetto promosso dalla Regione. I presidenti delle municipalità e i sindaci dei comuni della provincia (che a luglio hanno siglato con Prefettura e Regione l’intesa per la sicurezza) sono entrati in aula per capire come prevenire il crimine usufruendo della collaborazione di enti locali, associazioni di categoria e di volontariato, cittadini.

"Ridurre le opportunità di delinquere". L’espressione, pronunciata dal prefetto di Napoli Alessandro Pansa, rende bene l’idea degli obiettivi del "progetto di analisi delle esigenze per la prevenzione del crimine e per il risanamento delle aree urbane di Napoli e provincia". In poche parole, un seminario della Scuola regionale di polizia locale inserito nell’ambito delle iniziative di Polis, le politiche integrate di sicurezza promosse dalla Regione Campania.

Ieri, nella sede della Scuola di polizia di Ponticelli, i presidenti delle municipalità di Napoli e i sindaci dei comuni della provincia (che a luglio hanno sottoscritto con Prefettura e Regione il Protocollo di intesa per la sicurezza) sono entrati in aula per capire come prevenire il crimine usufruendo della collaborazione di enti locali, associazioni di categoria e di volontariato e, in generale, dei cittadini.

"Il senso di questi seminari - spiega l’assessore alla Sicurezza delle città della Regione Campania, Andrea Abbamonte - è quello di capire che dobbiamo classificare i fenomeni criminali, abbinando a ogni quartiere le diverse tipologie di crimine che lì si svolgono". Interventi mirati della polizia locale, dunque, che sappia già nei confronti di quale crimine operare "sfruttando anche la collaborazione delle diverse realtà presenti sul territorio, come le parrocchie e le associazioni", aggiunge l’assessore comunale Bruno Terracciano, nella veste di coordinatore delle municipalità, e "formati grazie allo scambio di saperi", come precisa l’assessore alle Risorse strategiche della Provincia, Guglielmo Allodi.

L’iniziativa della Scuola, salutata positivamente dal suo direttore, Ugo Barbieri, ha un "valore strategico enorme" per il prefetto Pansa, secondo il quale "a volte è facile analizzare le cause della criminalità e non vedere come si sviluppa e si evolve il crimine". "Non dobbiamo capire come si comportano i rapinatori in assoluto - aggiunge Pansa - ma come questi si comportano nel mio quartiere e nella mia strada".

E a proposito del numero di agenti impiegati per la sicurezza delle città, il prefetto di Napoli ribadisce che "il numero degli uomini non è il problema fondamentale. Ci sono contesti nei quali la presenza delle risorse umane e delle forze dell’ordine non incide sui fenomeni criminali. Abbiamo ridotto le rapine in strada ormai del 20 per cento ma il cittadino si sente allo stesso modo insicuro perché non basta la presenza, non basta la repressione, bisogna agire di più sul senso di sicurezza dei cittadini".

Nella stessa direzione delle parole di Pansa vanno infatti i moduli del corso aperto ieri, illustrati dal coordinatore scientifico Ernesto Savona, docente di criminologia nell’università Cattolica di Milano. "Bisogna superare almeno tre tabù - spiega il professore - come quello di capire le differenze tra la sicurezza oggettiva e quella percepita, comprendere che è più utile studiare i come della criminalità piuttosto che i perché, e infine decidere quale giustizia penale vogliamo, se sia necessario liberalizzare il sistema delle pene o costruire nuovi carceri".

Giustizia: Locri; in piazza per Pm che Mastella vuole trasferire

di Beatrice Macchia

 

Liberazione, 26 settembre 2007

 

Un "trasferimento cautelare" più clamore di così non poteva suscitarlo. Da un lato il ministro di Grazia e Giustizia che vuole trasferire un Pm che indaga sugli intrecci tra criminalità, politica, appalti... accusato dagli ispettori del ministero di protagonismo, incautela, malagestione; dall’altra la piazza, come non si vedeva da tempo a difesa del giudice contro i politici. In mezzo il dubbio che si insinua, tra molti, di una "mordacchia" messa a un magistrato scomodo.

Perché Luigi De Magistris, giovane magistrato calabrese senza apparenti collegamenti politici - l’uniche apparizioni recenti sono a fianco dell’associazione Libera di Don Ciotti - da tre anni sta collezionando una serie di inchieste destinate a ribaltare la politica locale di Basilicata e Calabria. Prima con l’indagine "toghe lucane" e poi con una serie di indagini e faldoni calabresi che raccolgono dieci anni di appalti, fondi nazionali ed europei, nomine... in cui sono coinvolti dall’ex-presidente della regione Chiaravallotti (Forza Italia), a Lorenzo Cesa (segretario dell’Udc) a uomini vicini ad esponenti di An, giù fino ai Ds e a pezzi del governo attuale della Regione, fino ad alcuni stretti collaboratori di Prodi che si sarebbero interessati di fondi e aziende sotto osservazione, il tutto ben mescolato con funzionari pubblici e militari (tra cui un generale della Guardia di Finanza), imprese grandi e piccole (tra cui il re della Compagnia delle Opere in Calabria e un amministratore di Finmeccanica) e favori scambiati con personaggi in odore di ‘ndrangheta.

E allora per molti è ovvio che De Magistris sia l’uomo scomodo per tutti. Si è mosso in mezzo a mille veti, difficoltà, tranelli, in un ambiente ostile, dove non si poteva nemmeno fidare dell’usciere, come vogliono i suoi difensori, o è l’incauto magistrato giovane, in cerca di notorietà, ad ogni costo, come vorrebbero gli ispettori e i suoi detrattori?

I fatti dicono che il ministero chiede l’allontanamento per "gravi violazioni deontologiche" del procuratore capo di Catanzaro, Mariano Lombardi, e del pm Luigi De Magistris (in perenne lite tra loro). Le accuse, per il Pm vero obiettivo dell’azione disciplinare, riguardano le fughe di notizie sull’inchiesta lucana, alcune interviste ai media giudicate "inopportune" e un decreto di perquisizione contro il procuratore generale di Potenza definito "abnorme". In sostanza, a De Magistris viene contestato di aver proceduto a suon di scoop e fomentando il sensazionalismo mediatico alle sue indagini e di non aver tenuto in considerazione procedure e delicatezze nei confronti di colleghi (e altri personaggi eccellenti, come parlamentari, avvocati e il suo stesso capo procuratore di Catanzaro) negli atti d’indagine.

Lui ribatte: "Sono al lavoro come sempre, non risponderò a mezzo stampa, ma in tutte le sedi istituzionali, convinto di dimostrare non solo la correttezza del mio operato, ma anche di avere sempre agito nell’interesse esclusivo della giustizia". E maliziosamente fa notare come escano dal ministero atti e documentazione a lui sconosciuta. Attende l’8 ottobre e il giudizio del Csm, anche se in magistratura non gode dell’appoggio di tutti i colleghi. Non a caso il segretario generale di Magistratura Indipendente, Carlo Coco definisce l’intervento del ministro della giustizia "dovuto e non ulteriormente dilazionabile". Anche per lui De Magistris ha fatto troppo il magistrato "star" ed è stato molto incauto.

Non la pensano, di certo così gli oltre duecento che ieri si sono ritrovati per esprimere solidarietà al Pm sotto le finestre del palazzo di giustizia di Catanzaro con striscioni con scritto: "E adesso trasferiteci tutti!". Oltre a una manciata di deputati (Sdi e Italia dei Valori) i promotori della piazza erano i "ragazzi di Locri", il responsabile calabrese di Legacoop Sociali, Quirino Ledda, il leader del movimento Diritti Civili, Franco Corbelli.

Hanno cominciato una raccolta di firme da portare al Csm. E Catanzaro non è sola, sabato ci sarà un’altra manifestazione in Basilicata promossa dal Comitato "Cittadini Attivi". Mentre impazza sui blog dell’universo Grillo e della società civile una montante indignazione. L’ex-sindaco di Cosenza, Pietro Mancini esprime al Pm "la solidarietà dei calabresi onesti", la Cgil regionale giudica la richiesta di trasferimento "un errore che sarebbe meglio per tutti evitare" e chiede di lasciare lavorare il Pm nell’interesse di tutti, anche degli indagati.

Giustizia: Perugini (Digos); a Bolzaneto non ho visto violenze

 

Agi, 26 settembre 2007

 

"Non ho mai assistito a violenze, né ho mai sentito persone che si lamentavano all’interno della caserma". Lo ha detto Alessandro Perugini, vice capo della Digos durante il G8 del 2001, accusato di abuso d’ufficio, abuso d’autorità contro detenuti o arrestati e di non aver impedito che alcuni manifestanti venissero picchiati o maltrattati nell’ambito del processo per gli abusi e le violenze avvenute all’interno della caserma di Bolzaneto.

Questa mattina a palazzo di Giustizia di Genova sono iniziati gli interrogatori dei 45 imputati, tra poliziotti, medici e infermieri. Perugini è stato il primo a comparire davanti al collegio giudicante, presieduto da Renato Delucchi, perché era più alto in grado per la polizia di Stato a Bolzaneto. L’interrogatorio da parte del pm Patrizia Petruzziello è iniziato intorno alle 11.30 ed è durato poco più di due ore durante le quali Perugini ha risposto a tutte le domande. "All’inizio non era previsto un servizio di vigilanza dei fermati - ha spiegato l’imputato nel corso dell’udienza -.

Nelle prime ore del venerdì pomeriggio (20 luglio 2001) arrivò una disposizione dell’ufficio di Gabinetto che ordinava agli agenti che accompagnavano i fermati anche di sorvegliarli. Sabato (21 luglio 2001) un contingente di carabinieri venne deputato alla sorveglianza e nella notte, quando andai via, non mi interessai più della questione". Perugini ha aggiunto che, durante le giornate trascorse a Bolzaneto, "in due circostanze ho avuto accesso alle celle" e che, in entrambe le occasioni, "ho visto all’interno di ciascuna cella una decina di persone, con il volto e le mani rivolte verso il muro.

Non ricordo di aver visto donne. Non mi sono chiesto il perché stessero in quella posizione, non mi ha colpito quella circostanza". Quando il pubblico ministero gli ha mostrato alcune foto di fermati, Perugini ne ha ricordato alcuni: "Fournasier mi chiese se si poteva sapere qualcosa circa la sua posizione e gli risposi che non potevo fare nulla per lui" e ancora "un fermato di Spezia voleva chiamare il padre e io provai a telefonare con il mio cellulare".

Alla domanda se avesse visto o sentito qualcuno che si sentiva male, Perugini ha risposto: "Andai nelle celle anche sabato perché alcuni fermati lamentavano irritazioni agli occhi, provocata probabilmente da gas urticante che qualcuno aveva spruzzato da fuori. Suggerii di mettere un carabiniere all’esterno per evitare che si ripetesse e chiesi se qualcuno aveva bisogno dell’infermeria.

Non feci alcuna nota riguardo l’episodio - ha ammesso Perugini - all’esterno transitavano centinaia di poliziotti ed era impossibile accertare chi avesse spruzzato il gas. Il clima era teso". Perugini ha quindi sottolineato che "c’era un continuo afflusso di fermati e all’esterno c’era la coda per quelli che dovevano fare le foto segnaletiche. Sabato notai nel cortile un assembramento di poliziotti, forse della Digos ma anche di altri reparti, e ordinai di sgomberare: era una situazione di potenziale pericolo". In merito alla visita dell’allora ministro di Giustizia Roberto Castelli, Perugini ha detto: "È arrivato nella tarda serata di sabato. L’ho visto passare davanti al mio ufficio, ma non l’ho accompagnato. Si fermò pochissimo, mi pare una decina di minuti".

Giustizia: delitto di Garlasco; arrestato il fidanzato di Chiara

di Andrea Galli

 

Corriere della Sera, 26 settembre 2007

 

Più pallido del solito pallore, e "fisicamente sto bene". Chiede di vedere la mamma, e rifiuta la telefonata concessa per chiamare a casa. Legge dei fumetti, e preferirebbe tanto avere davanti "i miei libri di testo universitari ". Tiene le mani giunte, si gira e rigira i pollici, avanti e nel verso contrario, nel verso contrario ed avanti, e alle domande "ti serve qualcosa?", "hai bisogno di qualcosa?" dice di no, che va bene così. A parte due favori, appelli, pretese. Una per lui: "Portatemi la fotografia di Chiara". Una per lui, per lei e per un terzo: "Io non c’entro. L’assassino è là, fuori".

Ha mangiato un piatto di risotto, ha bevuto acqua dal bicchiere di plastica, ha parlato con l’avvocato e lo psicologo. E nel primo giorno di carcere, per la prima volta non ha avuto attorno chi (s)parlasse di lui. Niente schermo e nessun giornale sul tavolo - troppo piccolo per questa tovaglia rosa - nella cella di Alberto Stasi. La cella è al primo piano. Quattro metri per due. Un detenuto soltanto. Un privilegio. Per una necessità. L’istituto ha una capienza regolamentare di 236 carcerati, ne ospita 380, e la regola di vita della direzione è metterne insieme anche tre, quattro, e amen se non ci si vive. Ma di Alberto, che addosso ha gli stessi pantaloni chiari e la stessa maglietta azzurrina del fermo di lunedì, non si fidano.

È guardato a vista da un gruppo scelto di agenti, i più esperti e - raccontano - i meno chiacchieroni (coi colleghi e dunque con l’esterno). È guardato a vista, Alberto Stasi, sia mai compia gesti inconsulti, e però lui non guarda nessuno. Al consigliere regionale che nel pomeriggio l’ha incontrato per una decina di minuti, ha detto "sono emotivamente uno straccio, davvero uno straccio" e intanto lo fissava negli occhi, e fissava il muro, e fissava le sbarre, sempre fissando il vuoto.

È un ragazzo solo, Alberto Stasi, pure nell’ora d’aria. Se vuol camminare, che cammini per i fatti suoi, lontano dagli altri detenuti. Se vuol chiacchierare, che provi a farlo con se stesso. Se vuol fare tutto il resto, non c’è problema: per adesso non piange, non urla, non rifiuta il cibo, non si nasconde sotto le coperte. Non dà problemi.

Dicono di lui, ed è lo stesso che dicevano prima del carcere: "È controllato nelle emozioni. È tranquillo. Freddo. Glaciale". Quasi immoto, se non immobile. Quasi non ci fosse. Così com’era il 13 agosto, com’è stato fino a domenica, com’era dai carabinieri, in caserma, per il fermo, prima di salire sull’auto per il trasferimento nel carcere, così lontano da Garlasco, non fosse altro per i campi, e per l’aria e le immagini - le balle di fieno - di campagna.

Il carcere è stato aperto nel 1993, ha i soliti problemi di sovraffollamento che si cerca d’arginare con laboratori, campi di calcio, aule di studio, insomma inventandosi attività per il recupero sociale e vincere la noia. Ha un unico corpo strutturale e celle con finestre di un metro d’altezza e uno di larghezza, alcune delle quali dotate di zanzariere. Nella cella ci sono tre spazi delimitati dal bagnetto, il letto e il tavolino.

Non è un posto da grandi delinquenti: ci passano ragazzini-balordi, travestiti beccati in retate, commercianti cocainomani, ragionieri corrotti, rapinatori di villette e ladri di polli. Pochi nomi noti e ora, di colpo, Alberto Stasi. Che cosa dirà agli inquirenti che lo ascolteranno nelle prossime ore? Li aveva lasciati con quel "io non c’entro, l’assassino è là, fuori". Lo ripeterà, forse. E forse insisterà con la richiesta di avere una foto di Chiara. Le pareti della cella son bianche, nude, fredde, e fissare il vuoto potrebbe finire, piano piano, velocemente, per ingrandirle.

Piemonte: la Regione per il reinserimento degli ex detenuti

 

www.asgmedia.it, 26 settembre 2007

 

Sono numerosi gli interventi messi in campo dalla Regione Piemonte per contrastare la devianza e favorire il reinserimento sociale e lavorativo degli ex detenuti. Le azioni realizzate sono state illustrate oggi, nella seduta straordinaria del Consiglio Regionale convocata sul tema dell’indulto, dall’assessore al Welfare, Teresa Angela Migliasso, che ha fornito anche un quadro statistico della situazione in Piemonte."

Prima dell’indulto, al 31 luglio 2006, - ha precisato Migliasso - risultavano presenti negli istituti penitenziari della regione 4.783 detenuti, di cui 2349 sono stati scarcerati con il provvedimento di clemenza disposto dal Governo. Sulla base dei dati forniti dall’Ufficio Statistico del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, nel 2006, in Piemonte, sono state scarcerate 2.349 persone, di cui 455 sono rientrate in carcere, con una percentuale pari al 19,36%, di due punti inferiore alla recidiva nazionale".

"La Regione Piemonte, - ha sottolineato Migliasso - che già da tempo è impegnata in numerosi progetti finalizzati al contrasto della devianza e della criminalità e a favore delle persone in esecuzione penale ed ex detenuti, per affrontare le problematiche connesse alla concessione dell’indulto ha promosso il confronto ed il coordinamento con gli enti locali, la Prefettura e il privato sociale, al fine di approntare ulteriori interventi". In particolare, accanto ai progetti di inserimento sociale e lavorativo di persone detenute ed ex detenute e ai progetti realizzati all’interno degli Istituti penitenziari, finanziati annualmente, sono state predisposte specifiche misure che hanno riguardato la creazione o il potenziamento di punti di accoglienza, informazione e orientamento ai servizi per le persone dimesse a seguito dell’indulto. A Torino, ad esempio, lo sportello informativo Sp.In, nato all’interno dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna nel 2004, realizzato dal Consorzio Abele Lavoro e finanziato dalla Regione Piemonte, con l’emanazione del provvedimento di indulto è diventato uno dei punti nevralgici del territorio per l’accoglienza e la costruzione di percorsi di inclusione sociale. Per rispondere al maggior afflusso sono state potenziate le giornate di apertura e i servizi ad esso collegati. Le persone che si sono rivolte allo sportello nel periodo 11 aprile 2006 - 10 aprile 2007 sono state 185, di cui il 55% aveva beneficiato dell’indulto.

Il finanziamento, nell’agosto 2006, di interventi per rispondere alle prime esigenze dei soggetti più vulnerabili, mirati all’accoglienza e all’accompagnamento delle persone dimesse dal carcere (accoglienza abitativa, mensa, trasporti ecc.) Sono stati finanziati 5 progetti realizzati da Enti del privato sociale relativi alle aree di competenza degli Uffici dell’Esecuzione Penale Esterna. Il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, in collaborazione con Italia Lavoro, ha finanziato degli interventi volti all’inserimento lavorativo delle persone scarcerate a seguito dell’indulto per la Provincia di Torino.

La Regione Piemonte ha predisposto le "Linee Guida" per la gestione di interventi integrati per il reinserimento lavorativo, con l’intento di favorire la costruzione di percorsi individualizzati che garantiscano ai beneficiari la presa in carico "globale" dei problemi, per rispondere in modo complessivo ed adeguato alle loro esigenze, anche attraverso un coordinamento tra istituzioni e servizi diversi e con il coinvolgimento del sistema imprenditoriale.

A marzo 2007 si è avviata la sperimentazione dei tirocini formativi: su 62 indultati 32 sono già stati inseriti in tirocinio e si prevedono a breve altri 19 inserimenti. Il Ministero della Solidarietà Sociale, inoltre, ha messo a disposizione un fondo per finanziare progetti rivolti a persone scarcerate con l’indulto con problemi di tossicodipendenza e alcol-dipendenza. L’Assessorato al Welfare e Lavoro ha aderito in qualità di partner ai progetti presentati dalla Provincia di Alessandria e dalla Provincia di Cuneo.

Sicilia: 550 indultati recidivi; va meglio con misure alternative

 

Agi, 26 settembre 2007

 

Approda a Catania la "Progettazione integrata tra autorità pubbliche e privato sociale-Nap Italia". Dopo l’applicazione dell’indulto (30 giugno 2006) i detenuti che hanno lasciato le carceri di Catania e provincia sono stati circa 307: la più alta percentuale di "fruitori" del provvedimento sono stati i detenuti di Giarre (136) e Catania, Piazza Lanza (115) seguiti a pari merito da Bicocca con 28 scarcerati. Gli indultati da misura alternativa al 31 dicembre 2006 sono 281.

Questa è la fotografia di Catania e provincia, scattata dal dipartimento amministrazione penitenziaria, tra detenuti ex detenuti usciti con l’indulto, tossicodipendenti ed ex tossicodipendenti, a cui si rivolge la ‘"Progettazione integrata tra autorità pubbliche e privato sociale - Nap Italia". Un dato interessante è quello relativo ai recidivi: 554 su un totale di 2.812 detenuti nelle carceri siciliane e oltre 6 mila della media italiana. Di questi 359 sono i recidivi colti in flagranza di reato, quasi 200 per provvedimenti vari dell’autorità giudiziaria.

"Sono dei dati che fanno riflettere - dice Maria Annunziata Riccioli, dirigente ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) di Palermo in rappresentanza del provveditorato regionale per la Sicilia - mentre sono stabili i dati relativi ai casi di affidamento a misure alternative le carceri stanno avviandosi sempre più verso un’altra inesorabile sovraffollamento. Non a caso anche le previsioni della comunità europea confermano questo trend.

Un altro dato da non sottovalutare è la minore percentuale di recidivi provenienti da detenzione alternative Uepe rispetto agli ex carcerati. Questo vuol dire che le misure alternative funzionano per la maggiore valenza rieducativa e che la chiave di svolta è accompagnare l’ex detenuto nel suo percorso di inclusione sociale".

Il progetto Nap prevede l’attivazione nell’arco del 2007, in tutte le province siciliane di seminari con cadenza mensile aperti a operatori penitenziari in cui sarà illustrata la strategia europea di "Inclusione sociale". I seminari nelle province saranno gestiti da almeno cinque rappresentanti di enti pubblici e del privato sociale locale che da anni lavorano nel settore.

Alla fine sarà stilato un report finale, che sarà consegnato a rappresentanti della Comunità europea, sulla base del quale definire le misure e le azioni da applicare in Sicilia e all’assegnazione dei fondi 2007-2013. "Per quanto riguarda reati legati alla tossicodipendenza, non ci sono dati particolarmente allarmanti - dice Vincenza Speranza, direttore ufficio di servizio sociale per i minorenni di Catania - sono più diffusi anche tra i minorenni i reati contro il patrimonio, rapine e furti aggravati con un abbassamento dell’età anche ai 13 anni: i cosiddetti primari".

Padova: la pasticceria del Due Palazzi va a "Squisito 2007"

 

Comunicato stampa, 26 settembre 2007

 

Si dice San Patrignano e si pensa immediatamente al più grande centro antidroga del nostro continente, fondato nel 1978 da Vincenzo Muccioli. Ma di questa realtà non si conoscono aspetti altrettanto e forse più importanti.

Uno di questi si chiama "Squisito": un contenitore poliedrico in cui confluiscono workshop mirati, esperienze sensoriali particolari, gustosi assaggi e degustazioni di prodotti eccellenti. Una vera e propria festa del palato condotta dai più grandi esperti del settore e gestita con cura e passione dalla comunità di San Patrignano sotto l’egida niente meno che dell’Onu.

A Squisito 2007, che si terrà da venerdì 28 a domenica 30 settembre, parteciperà per la prima volta anche una realtà padovana, la pasticceria del carcere Due Palazzi gestita dal consorzio Rebus, a cui fanno capo le cooperative sociali Giotto, Punto d’incontro, Cusl e Work crossing. Un esordio certamente non in sordina, visto che, oltre a San Patrignano stessa e alla torinese Piazza dei mestieri, il consorzio Rebus sarà l’unica realtà italiana presente nella centralissima area goodFOOD della manifestazione.

"GoodFOOD", spiegano gli organizzatori della manifestazione, "ospita realtà di imprenditoria sociale che, come San Patrignano, non cessano di ribadire quanto sia vitale nell’ambito di progetti di reinserimento sociale far imparare un mestiere e beneficiare di attività di formazione professionale. Il Consorzio di cooperative sociali Rebus di Padova risponde in pieno a queste caratteristiche".

Sarà la cooperativa Giotto, capofila del Consorzio, a portare alla manifestazione riminese i prodotti del lavoro dei detenuti della casa di reclusione della città veneta, il "Due Palazzi". Pasticceria artigianale (premiata di recente con il Piatto d’argento dell’Accademia italiana della cucina), cartotecnica (scatole e altri oggetti di pregio) di raffinata eleganza e ceramiche (formelle) che riproducono le magnifiche scene giottesche della Cappella degli Scrovegni; questi i prodotti che testimonieranno l’impegno e il successo del consorzio di cooperative sociali nato alla fine del 2004.

Un consorzio tra l’altro che sta riscuotendo interesse anche al di là dei confini nazionali. Nelle scorse settimane l’esperienza di Rebus è stata oggetto di reportage della Tv svizzera ed ha ricevuto le visite di giudici della Corte di giustizia australiana, del responsabile delle attività lavorative in carcere del Cile e di rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria tedesca.

"Siamo orgogliosi di essere presenti a Squisito", dichiara Nicola Boscoletto, presidente del consorzio padovano, "una manifestazione che risponde in pieno ai nostri requisiti: operare nel sociale, puntare sul lavoro come mezzo di recupero delle persone e proporre prodotti che puntano alla massima qualità per competere sul mercato, senza assistenzialismi e ben lontani da una concezione residuale del non-profit. Una volta tanto Padova passa agli onori della cronaca per un’eccellenza, non per un fatto con connotazioni negative. Ed è singolare che questa eccellenza nasca tra le mura del carcere". Nel carcere di Padova, intanto, si comincia già a pensare alla produzione natalizia, con molte novità in arrivo. Oltre al panettone classico, saranno presentate le versioni senza uvetta, senza uvetta e canditi, con gocce di cioccolato, con cioccolato e caffè e con cioccolato e fichi.

Treviso: 65enne maltrattato dalla nuora, si rifugia in carcere

di Sabrina Tomè

 

La Tribuna di Treviso, 26 settembre 2007

 

Evade dai domiciliari e si presenta ai carabinieri con le valige: arrestatemi Condannato a tre anni e mezzo da scontare ai domiciliari in casa del figlio, fugge e si presenta ai carabinieri con le valige in mano: "Portatemi in carcere: meglio la cella che quella vipera di mia nuora", ha detto l’uomo agli stupefatti militari. Lui è un sessantacinquenne pugliese, Giovanni Olivieri, che ha preferito Santa Bona alla detenzione nell’abitazione del figlio e della di lui moglie: "Era un inferno, lei mi maltrattava e insultava", ha spiegato il pensionato.

Lo scorso febbraio Giovanni Olivieri viene condannato a tre anni e mezzo di reclusione dal tribunale di Foggia per minacce e lesioni nei confronti della moglie. L’uomo, che si è difeso sostenendo di aver perso la testa dopo aver scoperto la donna a letto con l’amante, ottiene gli arresti domiciliari da scontare in casa del figlio, residente a Treviso con moglie e figlie. Olivieri arriva così nella Marca; trascorrono pochi mesi e l’uomo telefona ai carabinieri: "Mia nuora mi maltratta - racconta disperato ai militari - Mi nasconde persino il latte per fare la prima colazione". La situazione non migliora con il passare del tempo, tanto che l’uomo chiama nuovamente in caserma: "Voglio andare in carcere", dice. I carabinieri gli spiegano che non è possibile: il giudice ha disposto per lui la misura dei domiciliari e l’arresto scatterebbe solo in caso di evasione.

Olivieri prova a resistere per qualche tempo, a rinconciliarsi con la nuora, ma non c’è nulla da fare: i dissapori non si riappianano. Tanto che, l’altra mattina, il pensionato stacca i suoi abiti dall’armadio, li infila in valigia e, con quella, esce di casa fermandosi in strada. Ad aspettare, appunto, l’arrivo dei carabinieri. Quando i militari passano per il quotidiano giro di controllo, trovano Olivieri lungo la via: "Portatemi in cella - dice loro il pensionato - Meglio il carcere che quella vipera di mia nuora".

L’uomo è stato arrestato e condotto immediatamente a Santa Bona, con l’accusa di evasione. L’altra mattina in tribunale, davanti al giudice Silvio Maras, si è tenuto il processo e il pensionato è stato condannato a 2 mesi di reclusione. Da scontare appunto dietro le sbarre. Ma il problema è tutt’altro che risolto perché rimane in piedi la condanna per minacce e lesioni per la quale sono stati previsti, appunto, i domiciliari.

Il prossimo 9 ottobre ci sarà l’udienza davanti al magistrato di sorveglianza che dovrà decidere la misura da adottare. Per questo Olivieri ha lanciato un appello ad associazioni, cooperative, parrocchie per essere da loro accolto: "Io lavorerò gratis, farò qualsiasi cosa, ma per favore prendetemi con voi e non rimandatemi da mia nuora", ha detto Olivieri. Il suo legale, l’avvocato Alessandra Nava, sta contattando in queste ore i responsabili dei diversi enti per trovare una sistemazione al pensionato e una soluzione al problema. Tra le possibilità valutate c’è quella di don Antonio Trevisol che ha accolto nella sua parrocchia molti detenuti ai domiciliari.

Lamezia Terme: un comandante donna al penitenziario

 

www.lameziaweb.it, 26 settembre 2007

 

"Vengo da Nola, conosco bene problemi ed urgenze di Napoli e dintorni. Il mio nuovo incarico non mi spaventa, visto che il territorio lametino per molti aspetti è simile a quello napoletano". A presentarsi ai giornalisti con toni pacati ma decisi è Maria Carolina De Falco, nuovo comandante del Corpo di polizia penitenziaria assegnato alla casa circondariale cittadina. Trent’anni, laureata in legge, orgogliosa delle sue origini campane, risponde volentieri alle domande dispensando sorrisi: ha le idee molto chiare su quella che da sempre è stata una professione da uomini, alla gentilezza e alla disponibilità unisce sicurezza di sé e consapevolezza di ricoprire un ruolo che finora nessun’altra donna aveva avuto alla guida del carcere lametino.

De Falco racconta brevemente la sua vita, della sua prima attività forense e del concorso di primo ruolo direttivo ordinario del Corpo di polizia penitenziaria, che l’ha portata a conoscere una realtà complessa come quella delle carceri. Il nuovo vicecommissario ricorda anche il suo lungo tirocinio a Vibo Valentia e in seguito la scelta di essere trasferita nella città della Piana.

"Lamezia mi piace - afferma - la trovo una città vivace e dinamica. Certo non mancano le situazioni difficili, ma sono abituata a vivere e ad affrontare queste realtà quotidianamente".

La presentazione ai giornalisti diventa una conversazione molto informale, ma il pensiero e l’attenzione ritornano sempre sulla vita dell’ambiente carcerario. "Una vita fatta di regole non scritte, di comportamenti da decodificare", dice. De Falco poi esprime il suo apprezzamento per la casa circondariale lametina che è una delle più antiche di tutta la regione essendo stata strutturata all’interno del seicentesco convento dei francescani, appartenente alla vicina chiesa di Santa Maria Maggiore.

Nel carcere di San Francesco, come comunemente viene chiamato, attualmente sono rinchiusi 37 detenuti, tutti uomini. Una capienza sopportabile che permette una gestione certamente agevole del penitenziario. "La mia prima impressione è stata più che positiva - commenta la giovane comandante - si può ben dire che si tratta di una realtà a dimensione umana, dove stare a capo di un reparto consente di approcciarsi in maniera più serena".

Il discorso inevitabilmente cade sull’importanza del lavoro della polizia penitenziaria, un ruolo determinante per il mantenimento dell’ordine pubblico. È chiaro l’invito a considerare gli aspetti positivi di una professione che non è certo quella che si vede nelle fiction.

Maria Carolina De Falco, al suo primo incarico da capo reparto, ammette di operare in un ambiente fatto quasi esclusivamente da uomini, ma certo tutto ciò non l’ha fatta desistere dai suoi obiettivi: "Ormai noi donne siamo in corsa in tutti i settori - commenta - perciò i signori maschi devono rassegnarsi ed abituarsi alla presenza e alla professionalità dell’universo femminile un po’ in tutti gli ambienti".

La curiosità dei giornalisti sconfina un po’ nella vita privata della giovane donna, che ama leggere e ha l’hobby della pallavolo. E incalzata dalle domande dei giornalisti dice: "È un momento forte per la mia vita - confessa - e le mie responsabilità crescono ogni giorno di più. Per il matrimonio, in particolare, dovrò fare continuamente la spola tra Lamezia e Nola. Non sarà facile, i miei prossimi weekend saranno decisamente movimentati".

Roma: partono una serie di incontri letterari per i detenuti

 

Roma One, 26 settembre 2007

 

La letteratura entra in carcere. Oltre all’incontro del 4 ottobre con Ahmara Lakhous (Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio), alla Biblioteca dell’Istituto Penale minorile Casal del Marmo l’11 ottobre tocca a Benedetta Crateri, autrice del saggio "Amanti e regine" edito da Adelphi, presentare il suo libro alle donne recluse.

Il 25 ottobre invece Igiaba Scego "somala di origine e italiana per vocazione" che si definisce scrittrice migrante di "seconda generazione" incontra i giovani della Biblioteca Istituto Penale Minorile Casal del Marmo. In ogni suo racconto e in tutti i romanzi il tentativo di superare, anche attraverso l’ironia, i luoghi comuni e gli stereotipi più insistenti sulle questioni dell’identità e della doppia appartenenza. Pino Grossi, esperto di letture animate, leggerà invece il 27 ottobre storielle e filastrocche nel giardino dell’Istituto ai bimbi che vivono in carcere con le loro mamme fino al compimento dei 3 anni. Ci saranno anche letture ad animazioni dedicate ai bimbi più grandi che una volta al mese incontrano le loro madri "all’area verde". Area verde Casa circondariale Rebibbia Femminile.

Varese: il "pallone senza barriere" che unisce guardie e ladri

 

Varese News, 26 settembre 2007

 

Non c’è lo spazio per far stare un campo da calcetto nel cortile dell’ora d’aria del carcere Miogni di Varese. Eppure, disegnate le porte sui muri, scendere in campo si può anche lì. Perché il pallone è davvero "senza barriere" tanto da avere il potere di far giocare insieme perfino agenti e detenuti. Un potere che non è sconosciuto alla Uisp - l’Unione italiana sport per tutti - che tra le sue tante iniziative ha organizzato anche un quadrangolare di calcio a cinque in collaborazione con la direzione della Casa Circondariale di Varese.

Oggi il fischio di inizio del torneo che vedrà sfidarsi squadre di detenuti contro personale e agenti della Polizia penitenziaria, educatori della Uisp e ragazzi dell’oratorio di Bobbiate gestito da Don Fiorenzo che è anche cappellano dei Miogni. "L’evento si inserisce in un progetto più ampio che la Uisp porta avanti da anni nelle carceri di Varese e di Busto Arsizio - ha spiegato dall’associazione Franco Zanellati -. Abbiamo già organizzato iniziative sportive coinvolgendo i detenuti e si sa che lo sport è un importante veicolo per la socialità. È competizione ma anche gioco dove sono presenti delle regole, quale occasione migliore per imparare a rispettarle?". Quella di Varese è un’iniziativa pilota che in futuro potrebbe essere ripetuta coinvolgendo altre realtà come quella di Busto Arsizio. "Lo sport - ha aggiunto Domenico Grieco, educatore dei Miogni - è molto importante per i detenuti che hanno già l’opportunità di frequentare una piccola palestra allestita da un paio d’anni in una cella e di partecipare ai tornei di ping pong. Ma questa occasione aggiunge un qualcosa in più". Le partite con i detenuti saranno giocate all’interno del carcere mentre le altre si disputeranno anche all’oratorio di Bobbiate per terminare, alla fine di ottobre, con la premiazione della squadra vincitrice del torneo.

Cuneo: gli agenti di polizia penitenziaria scendono in piazza

 

www.targatocn.it, 26 settembre 2007

 

Un sit-in ed un corteo che, partendo da Cerialdo, attraverserà il Ponte Nuovo, corso Soleri, piazza Galimberti per giungere in via Roma, davanti al palazzo della Prefettura. Sono queste le modalità della protesta decise dall’Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria che, a partire dalle 8 di questa mattina, manifesterà contro quelle che vengono definite "gravissime disfunzioni", giudicate da tempo in atto nella casa circondariale di Cerialdo.

Il ricorso ad una manifestazione pubblica che, oltre al sit in ed al corteo, si svolgerà anche con un presidio permanente, con un gazebo aperto ad oltranza, giorno e notte, davanti al carcere, viene definita dall’organizzazione sindacale una extrema ratio, motivata dal persistere di "un contesto organizzativo ed operativo drammatico", nonostante le richieste d’intervento più volte avanzate al Provveditore Regionale del Piemonte-Valle D’Aosta ed alle Autorità dell’Amministrazione Centrale.

Più nello specifico, ad essere messi sotto accusa sono alcuni aspetti della gestione del carcere chiamando direttamente in causa la direzione dell’istituto. A suscitare le proteste sono le modalità con cui viene concesso il congedo agli agenti, definite "insolite", che, in alcuni casi, avrebbero portato alla fruizione di un numero di giornate superiore a quanto previsto ed in altri, al contrario, alla negazione del riposo.

Il sindacato denuncia poi il reiterato stravolgimento dei turni di lavoro programmati, l’inesistenza di un resoconto delle prestazioni lavorative eseguite dagli agenti nei mesi precedenti dal quale desumere la retribuzione, il trattamento iniquo nell’assegnazione di specifici posti di servizio che non considererebbe l’anzianità di servizio né l’esperienza lavorativa. Infine, l’Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria contesta l’utilizzo del sistema del giudizio complessivo quale unica forma di governo del personale, un metodo che, secondo la sigla di categoria, determinerebbe le declassificazione repentina nelle graduatorie di un gran numero di effettivi in servizio.

A questi punti, nel loro documento, il sindacato di polizia penitenziaria associa un generale clima di disagio e prostrazione che renderebbe precaria la condizione di lavoro degli agenti.

L’intervento del Provveditore Regionale non viene giudicato sufficiente poiché avrebbe, da un lato, rilevato le disfunzioni denunciate, ma, dall’altra parte, non vi avrebbe posto rimedio con provvedimenti di carattere tassativo, ma con prescrizioni non in grado d’incidere a sufficienza. Giudicando la situazione di disagio persistente e l’istituto ormai prossimo ad una condizione d’ingovernabilità, si è optato quindi per un’iniziativa di sensibilizzazione con la quale verranno chiesti alle autorità competenti provvedimenti immediati. Tra questi viene auspicata anche la rimozione dell’attuale dirigenza dell’istituto penitenziario per la "incorretta gestione delle risorse umane".

Immigrazione: l’illegalità e il fattore "F"... come "fastidio"

di Mario Marazziti

 

Corriere della Sera, 26 settembre 2007

 

Farsi giustizia da soli. Comunque la si metta, è inaccettabile e rende la vita meno sicura a tutti. Quando diventa raid di incappucciati è raggelante, qualunque sia il disagio invocato. Perché si tratta di comportamenti criminali. Magari chili commette pensa di avere ragione perché è infastidito da qualcosa. Ma accettarlo è la premessa del Far West e dei pogrom.

I carabinieri sono stati bravi a Ponte Mammolo e uno degli autori è stato già processato. Altri 19 sono ancora a piede e a lingua libera. Forse sono tra quelli intervistati in questi giorni, che non vogliono vicino a loro quel gruppo di zingari. Abbiamo visto le immagini delle baracche. Nessuno di noi vivrebbe così. Ma ci vivono, donne, bambini, un po’ di uomini. Che alternativa hanno? Pasolini parlava di "Roma frittata".

Dopo un grande lavoro l’amministrazione Veltroni ha ridotto un po’ la frittata e c’è un po’ più Roma - comunità, oggi: anche gli immigrati sono più occupati, in media, che nel resto del Paese. Ma ci sono nodi irrisolti, da decenni, e problemi nuovi: le baracchette spontanee, i flussi dei nuovi poveri europei. Da integrare, subito, ma che rimangono troppo a lungo ai margini: perché conviene a tutti finché non arriva il conto. E c’è un problema nuovo, che non è solo romano. È il "fattore F", la crescita del "fastidio". La mancanza di sopportazione dei cittadini, un fenomeno così in crescita da diventare fattore politico.

Aumenta l’aggressività in città, per lo stile di vita, la fragilità dei rapporti umani e delle refezioni familiari, lo sballo come sale di una vita che non piace, le predicazioni rissose degli opinionisti, delle star dei talk show, della politica o dell’antipolitica.

L’incapacità di sopportare un fastidio sta diventando una malattia del nostro tempo. Perché comporta la fatica di soluzioni lunghe. Il fastidio ha mille ragioni per esistere. Ci si arrabbia per il traffico, i soldi che mancano, il lavoro che non piace. E alla fine della giornata ci stanno pure gli zingari, i mendicanti, quelli che "invadono" il nostro spazio individuale, o che toccano la nostra automobile senza autorizzazione.

Un lettore avvertito deve imparare a resistere in questi tempi alla leggenda metropolitana di una "propensione" al crimine maggiore in rom e rumeni rispetto agli altri, come sosteneva Cesare Lombroso. Occorre raffreddare i toni: ricordarsi, ad esempio, che la metà dei rom sono sempre bambini, che, quando nascono, non sono altro che bambini. Da tutelare almeno come i cuccioli di cane.

Immigrazione: Amato; prefetti abbiano facoltà di espellere

 

Notiziario Aduc, 26 settembre 2007

 

Attribuire ai prefetti il potere di espellere gli immigrati comunitari per ragioni di sicurezza pubblica, una possibilità oggi riservata solo al Ministero dell’Interno. Questa la proposta allo studio che il ministro Giuliano Amato ha illustrato ieri in un’audizione alla Commissione Affari costituzionali del Senato. Amato ha sottolineato che nel recepimento della direttiva UE è stato commesso un errore tecnico che il Governo si appresta a sanare.

"Mi sono convinto che nel decreto legislativo del governo del febbraio scorso che ha attuato la direttiva comunitaria è stato fatto un errore tecnico che ha in qualche modo ridotto le possibilità di espulsione: anche se il decreto è stato fatto pochi mesi fa, io riterrei che sia il caso di attribuire questo potere per motivi di sicurezza pubblica ai prefetti, lasciando al ministro i seri motivi di ordine pubblico che minaccino la sicurezza dello Stato", ha detto Amato ai senatori. La direttiva comunitaria "prevede che l’espulsione possa avvenire per gravi motivi di ordine pubblico e sicurezza precisando che l’esservi condanna penale non comporta di per sé la possibilità di espulsione. Questo non significa che per espellere io debba avere una sentenza penale" ha poi aggiunto il Ministro. Successivamente, il titolare del Viminale ha affermato che esiste una oggettiva difficoltà ad espellere i cittadini comunitari privi dei mezzi di sostentamento, come richiesto nei giorni scorsi dal commissario europeo Frattini e previsto dalla direttiva.

"Se io lo espello - ha detto Amato - lui può tornare il giorno dopo. Abbiamo visto in Francia come alcuni espulsi hanno detto con gioia che il giorno prima avevano ricevuto 500 euro perché se ne andassero. Se ne sono andati, hanno speso 150 euro e sono tornati con 350 euro. Quella norma presenta dunque difficoltà. La nostra polizia sta studiando le modalità migliori di applicazione, ma non è facile".

Immigrazione: la nuova emergenza è "l’invasione" dei Rom

 

Corriere della Sera, 26 settembre 2007

 

In materia di sicurezza sono sempre apparsi distanti. Divisi, soprattutto per quei che riguarda i poteri da assegnare ai sindaci e le misure per combattere ì cosiddetti "reati di strada". Ma adesso Giuliano Amato e Paolo Ferrerò si trovano concordi nel lanciare l’allarme su un possibile esodo di Rom che dal loro Paese vogliono trasferirsi in Italia. E se il ministro dell’Interno annuncia che nel disegno di legge governativo sarà inserita una norma che concede al prefetto la possibilità di espellere i cittadini stranieri comunitari - come appunto sono i rumeni - per motivi di ordine pubblico, il suo collega della Solidarietà Sociale afferma: "Se l’obiettivo è l’integrazione è assolutamente indispensabile che l’afflusso venga limitato e che si possa quindi intervenire in maniera efficace nei confronti dei 150.000 Rom che già risiedono in Italia".

Amato parla di "vero e proprio esodo". In Senato per illustrare il provvedimento che il governo dovrebbe approvare a metà ottobre, spiega di aver "detto al rappresentante del governo rumeno che azioni repressive contro i Rom servono nel loro

Paese. Da lì le persone scappano perché sono in condizioni di non vita". Le strade percorribili sono due. Quella della cooperazione che, come spiega il sottosegretario all’Interno Marcella Lucidi, "preveda programmi di rimpatrio volontario", e quella della repressione che, come sottolinea Amato, concederà poteri più ampi al prefetto.

"Nel decreto legislativo del febbraio scorso - ammette il ministro - è stato commesso un errore interpretativo di una direttiva comunitaria, di cui mi assumo la corresponsabilità, finendo con l’attribuire di fatto al solo ministro il potere di espulsione. Questo errore va corretto.

E, in particolare, il fatto che una condanna penale di per sé non comporti l’espulsione, non significa che per espellere qualcuno ci sia bisogno di una condanna. Pensiamo ai rumeni arrestati a Roma dalla polizia per aver aggredito alcune coppie. Anche se non dovessero essere condannati, io li espellerei lo stesso. E se questo potere non fosse delegato al prefetto, lo eserciterei come ministro visto che si è in presenza di un pericolo certo e reiterato".

Secondo le stime della Caritas il flusso verso l’Italia oscilla ogni anno tra le 60.000 per 105.000 persone. Il Viminale non ha cifre precise né appare in grado di fare previsioni. Ma il fatto che Amato parli di esodo e Ferrero chieda di fermare gli arrivi, sembra significare che le stesse autorità rumene abbiano confermato i timori dei rappresentanti del nostro governo.

 

 

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