Rassegna stampa 24 settembre

 

Giustizia: l’indulto o il medioevo… sfida all’onda securitaria

di Graziella Mascia (Deputato di Rifondazione Comunista)

 

Liberazione, 24 settembre 2007

 

La legge sull’indulto è stata certamente l’ultimo atto (e il primo dopo tanti anni) di pietas umana deciso dal parlamento italiano. Non è necessario essere veggenti per sapere che se non l’avessimo fatto immediatamente, all’inizio della legislatura, non si sarebbe mai più votato. In quel momento, ancora non si erano spenti gli echi degli appelli del pontefice Giovanni Paolo II, a Rebibbia e nell’aula di Montecitorio, e le condizioni disumane delle carceri italiane, anche a causa del sovraffollamento, non potevano essere ignorate. Si è aggiunta la determinazione del presidente Bertinotti. Dopo pochi mesi, invece, è iniziata la corsa nel prendere le distanze, anzi, si sono addebitate all’indulto tutte le cause degli allarmi sociali e di insicurezza dei cittadini.

Ma questo fa parte dell’ipocrisia della politica italiana, che è una delle ragioni principali della sua crisi di credibilità. Bisognerebbe stabilire che la prima vera riforma, per affrontare la crisi della politica, è quella di dire la verità. E dire la verità, oggi, significa il contrario di quanto hanno detto e fatto Veltroni, Cofferati, Dominici, Amato, etc..

Significa andare in direzione contraria rispetto al senso comune maggioritario fra i cittadini, di quanto viene sparato dai titoli dei giornali, e dimostrare che ogni esperienza internazionale conferma che i problemi del degrado urbano e dell’esclusione sociale, e delle paure che ne derivano, non si risolvono con repressione e galera, ma con capacità progettuale ed efficacia politica - amministrativa.

Diversamente, davvero pensiamo di far sparire i fantasmi, tornando all’epoca tardo medievale, quando si perseguiva la marginalità, come condizione da condannare o nascondere, attraverso fustigazioni, carcere, patibolo o viaggi transoceanici nelle nuove terre?

Il sovraffollamento delle carceri parla di nuove povertà e di migrazioni di massa, e i governanti devono avere la capacità e la responsabilità di fermarsi a leggere i fenomeni, studiare, per poi indicare le corrette soluzioni.

I dati forniti dal ministro Mastella e dal capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dicono che: il 38% dei detenuti sono extracomunitari, e la maggior parte di questi finisce in carcere per effetto della Bossi - Fini, che costringe gli immigrati alla clandestinità e al lavoro nero; un altro 30% di popolazione carceraria è l’effetto di leggi proibizioniste sulle droghe, come la Fini-Giovanardi, e di reati legati alle tossicodipendenze; la carcerazione legata a piccoli reati determina un turn-over che rende difficile qualsiasi attività trattamentale.

Dunque, bisogna avere il coraggio di ribadire alcune cose:

- che il provvedimento di indulto approvato dal parlamento, raggiungendo per la prima volta dopo 16 anni la maggioranza dei 2/3 degli aventi diritto al voto, rappresenta un atto di grande umanità, perché, se non ci fosse stato, oggi i detenuti sarebbero 70 mila;

- che sarebbe stato opportuno, per aiutare il funzionamento della giustizia italiana, anch’essa ingolfata, di accompagnarlo con un provvedimento di amnistia, come è sempre avvenuto nella storia, ma sono mancate le condizioni politiche;

- che l’indulto da solo non interrompe il meccanismo dell’affollamento e che per questo servono interventi legislativi strutturali, come, appunto una nuova legge sull’immigrazione e quella sulle droghe;

- che il tasso di recidiva dopo l’indulto è diminuito, ma che la società esterna non è in grado di accogliere e reinserire chi ha scontato una pena in carcere;

- che i dati raccontano che chi ha scontato pene in strutture alternative al carcere più difficilmente torna a delinquere;

- che la costruzione di nuovi istituti penitenziari si traduce solo in affari per chi li costruisce, come dimostrano le "carceri d’oro" degli anni ‘90, che "fanno acqua" da tutte le parti, nel vero senso della parola .

Se poi, dallo scaricabarile sull’indulto si arriva a mettere in discussione la legge Simeone, che è figlia di una cultura che considera il carcere extrema-ratio e per reati di effettiva pericolosità sociale, significa che bisogna ricominciare da capo.

E, infatti, se alle ordinanze contro i lavavetri e alle domande di nuovi poteri ai sindaci sceriffi ci siamo opposti in tanti, intellettuali, politici, giornalisti e cittadini comuni, è comunque evidente che l’ondata securitaria non si fermata e, in Italia, coinvolge amministratori, ministri ed esponenti politici di centro-sinistra. L’indulto è perciò solo l’occasione per contrapporsi a un’onda che rischia di travolgere diritti di civiltà, aprendo varchi a fenomeni e pratiche razzisti, come sta avvenendo in questi giorni. Quand’anche non si producessero danni sul piano legislativo o amministrativo, i danni culturali nel bilancio della sinistra sono già drammatici.

Il ministro Mastella difende con coraggio l’indulto e lo apprezziamo. Forse lo fa solo per difendere l’operato del suo ministero, ma lo apprezziamo lo stesso, perché non si accoda agli ipocriti che disconoscono il proprio voto. Vorremmo però chiedergli di andare oltre, e, quale vero democristiano che è, unirsi a noi in una battaglia culturale di lungo respiro.

Se, nel corso degli anni, le storie comuniste, socialiste e cattoliche si sono spesso incrociate nel difendere i deboli, lo si deve al fatto che, pur partendo da letture diverse della società e da culture dei diritti differenti, almeno si può convenire su un’umana pietas che il cinismo di certi politicanti ha cancellato.

Un uomo come Mastella può insegnare a certi colleghi che la storia cristiana ha sempre avuto bisogno dei poveri, perché, solo attraverso atti di carità verso i poveri, i ricchi si potevano guadagnare il paradiso. Se non vogliamo ragionare di diritto, di garanzie e di culture della sinistra, ricominciamo almeno dalla paura dell’inferno.

Giustizia: gli sbagli della politica e quelli della magistratura

di Roberto Martinelli

 

Il Messaggero, 24 settembre 2007

 

C’è una grande questione che tocca ogni giorno di più la coscienza dei cittadini. Si chiama sicurezza. L’intolleranza di oggi, soprattutto nelle grandi città, con Roma in prima fila, è un sentimento che affonda le sue radici nella sottovalutazione del fenomeno da parte di chi ha avuto e continua ad avere il potere di applicare le leggi e non lo fa o minimizza.

Il patto per la sicurezza tra Stato e cittadini esige uomini di governo, a livello territoriale e centrale, in grado di esercitare davvero il potere e la responsabilità di decidere. Ma c’è un’altra grande questione, quella della giustizia che non decide, che concorre non poco a determinare le ansie e le paure che emergono, purtroppo, in modo sempre più diffuso nella comunità dei cittadini. Cominciamo da un fatto dì cronaca.

Venerdì della settimana scorsa, una piccola folla si era presentata nell’aula della Corte di Assise di Parma per assistere al processo per l’assassinio del piccolo Tommaso Onofri, il bimbo rapito e ucciso a Casalbaroncolo un anno e mezzo fa. Quella piccola folla sperava di vedere come la Corte avrebbe giudicato l’uomo accusato di un così terribile delitto.

Invece nulla, perché l’imputato aveva scelto di non venire in aula e il verdetto è stato rinviato alle calende greche. Si è ripetuto in quella aula il rituale di sempre che caratterizza la giustizia italiana, costretta dalla procedura, dalla prassi, dalla triste consuetudine che, con la complicità e la rassegnazione degli addetti ai lavori, regna sovrana nei palazzi della legge.

Ecco perché le norme che l’ennesimo "pacchetto sicurezza", che si sta tentando di mettere a punto per combattere un certo tipo di criminalità, non serviranno a nulla se saranno applicate con la stesso metodo e la medesima mentalità. Così come non sono serviti a nulla i provvedimenti precedenti, buon ultimo quello di qualche anno fa approvato con una larghissima maggioranza trasversale.

Cosa fare allora? Un rimedio immediato e sicuro non esiste e, purtroppo, al punto in cui sono giunte le cose, non basta più neppure invocare come soluzione determinante la certezza della pena. Ciò anche se il nostro sistema giudiziario è infettato dal principio opposto che è quello della virtualità delle condanne.

Basti pensare al dato scandaloso e sconcertante reso noto dal Ministero della Giustizia. Su 89.859 persone arrestate o condannate nel 2005 soltanto 3.959 sono ancora in carcere e molte altre sono sul punto di tornare in libertà. Rifletta il cittadino onesto su questo dato e tragga le sue conclusioni.

Le alternative sono due: la prima, assai poco credibile, è che la giustizia abbia preso un’incredibile serie di cantonate e che, sia pure in ritardo, abbia finito per ricredersi. La seconda, molto più concreta e realistica, è che il sistema giustizia è decotto ed allora non resta che arrendersi all’evidenza e mettere mano a riforme strutturali vere e non ai soliti pannicelli caldi chiamati di volta in volta pacchetti sicurezza o amenità d’altro tipo. Non serve a nulla prevedere l’arresto obbligatorio per ladri e scippatori se poi l’indagato non viene processato nell’immediatezza del reato.

D’altra parte non può esservi né certezza, né effettività della pena, se non vi è prima ancora, certezza ed effettività del processo penale. L’episodio di quella piccola folla che a Parma aspettava di assistere ad un processo ed invece ha subito l’umiliazione di verificare l’impotenza della giustizia nel giudicare un imputato non è solo emblematico ma denuncia una situazione paradossale di un imputato che può scegliere di non presentarsi in Corte di Assise e restarsene in cella in attesa di tempi migliori.

Con ciò facendo esattamente quello che fanno tutti gli imputati i quali, con la complicità di un sistema giudiziario non più adeguato ai tempi moderni, si appigliano alle mille eccezioni procedurali per neutralizzare gli effetti di una giustizia rapida, capace di svolgere quella funzione deterrente propria della legge penale.

E se ciò non bastasse c’è da dire, purtroppo, che certezza della pena non significa scontare fino all’ultimo giorno gli anni di reclusione inflitti dal tribunale. E ciò per una serie di ragioni: la Costituzione dice a chiare lettere che il carcere deve avere come obiettivo la riabilitazione e la rieducazione del condannato. Ed in questa ottica l’ordinamento prevede che sulla pena influiscono anche i benefici di legge e le misure alternative. Per cui occorre tenere conto di queste "variabili" quando si parla di certezza della pena.

La riforma penitenziaria rivista e corretta nel 1986 dalla legge Gozzini, ha previsto tutta una serie di misure per favorire la concessione di permessi per coloro che in carcere tengono una condotta esemplare: l’affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare, l’istituto della semilibertà ed altre misure destinate anche ad alleggerire il fenomeno del sovraffollamento.

Ma l’esperienza ha dimostrato che non sempre la magistratura di sorveglianza è stata in grado dì valutare se e quando ricorrono le condizioni per concedere o meno questi benefici. Spesso è accaduto anzi il contrario perché hanno ottenuto tali benefici detenuti che non ne avevano certamente diritto.

Ecco allora la riprova che accanto ai "pacchetti sicurezza" occorre far ben altro. In primo luogo far sì che siano eliminati ritardi e manchevolezze del sistema giudiziario modificando dalle fondamenta la sua struttura. E poi controllando con più determinazione l’efficienza e l’operosità di tutti gli addetti ai lavori: magistrati, cancellieri, ufficiali e segretari giudiziari. Si cominci a verificare, ufficio per ufficio, assenze, ritardi, carenze e quant’altro incide nel rendere insicure le nostre città, le nostre strade, le nostre case.

Giustizia: "pacchetto sicurezza" del Governo domani al Senato

 

Giornale di Sicilia, 24 settembre 2007

 

Quella che si apre oggi è una settimana importante peri il "pacchetto sicurezza" che il governo sta mettendo a punto. Domani il ministro dell’Interno Giuliano Amato ne parlerà in Commissione Affari Istituzionali del Senato, mentre giovedì è in programma il consiglio nazionale dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani. I sindaci si riuniranno per discutere i temi della Finanziaria, ma è possibile che il dibattito si allarghi ai temi della sicurezza e ai nuovi poteri che i primi cittadini sollecitano.

La definizione precisa del pacchetto, tuttavia, avverrà "nelle prossime settimane", secondo quanto ha affermato lo stesso ministro Amato, sabato, a Firenze. Ma qualcosa è già trapelato, e tra i punti che sembrano da ora al centro dell’iniziativa del governo ci sono quelli del contrasto alla microcriminalità - con la proposta di modificare il Codice di procedura penale e l’estensione dell’arresto obbligatorio anche a reati come furti, scippi e rapine - così come alle mafie, e l’assicurazione della certezza della pena.

Si punta così ad un giro di vite sull’esecuzione penale, in modo da evitare le scarcerazioni facili anche per i reati di diffuso allarme sociale, come il furto o la rapina, e di impedire la concessione di benefici ai recidivi; nonché sulle misure patrimoniali, con l’ipotesi di rendere automatici il sequestro e la confisca dei beni nel caso di reati di mafia ed ad impedire il patteggiamento in appello per questi reati.

Per quanto riguarda la lotta all’illegalità diffusa, sulla quale i riflettori si sono accesi soprattutto dopo le ordinanze del Comune di Firenze sui lavavetri, si pensa ad estendere i casi di danneggiamento da perseguire penalmente, alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, a multe per possesso di bombolette spray, all’istituzione di "zone di pregio" nelle città d’arte, in cui vigeranno divieti totali e sarà potenziata la presenza degli agenti della polizia municipale.

Tra i temi più controversi, quello del contrasto alla prostituzione: certo l’incremento delle pene per quanto riguarda gli sfruttatori, si discute della possibilità di vietare la strada alle "lucciole", come chiedono alcuni sindaci, in testa la milanese Letizia Moratti. Un’ipotesi bocciata dal deputato del Prc Wladimir Luxuria, per il quale "è ingiusta l’ipotesi di un indiscriminato divieto di prostituirsi per strada per chi lo fa cosciente di farlo, senza essere costretta... voglio ricordare al ministro Amato che il modo migliore per evitare svolte fasciste della società è non imitare le leggi del regime". Ce n’è abbastanza per ipotizzare che anche sulla sicurezza il dibattito si farà bollente.

Giustizia: Gasparri (An); separare i "recuperabili" dai recidivi

 

Il Mattino, 24 settembre 2007

 

Alleanza Nazionale sceglie Napoli, per lanciare la manifestazione nazionale del 13 ottobre a Roma, come simbolo di una situazione che reclamerebbe la "tolleranza zero". Maurizio Gasparri, già ministro delle Comunicazioni nel governo Berlusconi, e il coordinatore provinciale di An Luigi Bobbio, hanno annunciato ieri il lancio di tre leggi di iniziativa popolare che siano, spiegano, il "manifesto" ideologico del 13 ottobre: fra i temi della giornata romana ci sarà anche l’insofferenza per le tasse ma il tasto sul quale Bobbio e Gasparri battono è soprattutto l’ordine pubblico. E la "sterzata" ideologica sulla sicurezza, dicono, è raffigurata nelle tre proposte di legge. La prima chiede l’imputabilità dei ragazzini dodicenni. La seconda vuole introdurre nel codice la possibilità di togliere ai genitori i figli quando questi siano denunciati più volte per atti di bullismo o reati di gruppo. La terza, infine, per equiparare il porto di coltello a quello di pistola. Non solo. Nell’invitare gli italiani ("non solo i militanti di An") a sfilare, Gasparri ha aggiunto altri tasselli al "piano sicurezza" che, dice, "siamo venuti a lanciare in questa città".

Lotta al nomadismo, chiede An, con l’applicazione della "direttiva europea del 2004 che prevede l’espulsione dal territorio nazionale delle persone prive di mezzi". Anche se sono cittadini europei come i rumeni. Riforma della legge Gozzini, prosegue Bobbio, sul reinserimento sociale dei condannati. Per il coordinatore provinciale occorre dividere i detenuti fra quelli ritenuti recuperabili e i recidivi. Gasparri, poi, torna sulla polemica per l’indulto. "Un provvedimento contro gli italiani. Noi proponiamo il risarcimento dei danni alle vittime di reati commessi da beneficiari dell’indulto".

Giustizia: Radicali; così Mastella "strangola" la magistratura

 

Agenzia Radicale, 24 settembre 2007

 

Tra Governo e magistratura associata regna la pace. Anzi, la "pax Mastelliana", che è una forma di pace che ha contagiato tutte le componenti togate. Già, perché il Ministro della Giustizia Clemente Mastella è riuscito a rendere sorprendentemente docile la magistratura organizzata.

La formula di successo, che lo mette (finora) al riparo dalle conseguenze politiche dello stato comatoso della giustizia italiana, è molto semplice: aprire le porte del Ministero a magistrati di tutte le correnti. Un sistema di lottizzazione degli incarichi che - magari perché i giudici sono ancora al riparo dai venti dell’antipolitica - pare funzionare in modo più efficace e meno rissoso della ormai sgangherata lottizzazione tra i partiti. Un circuito di potere che si alimenta da sé e che mette d’accordo alla fine tutti i Capi-corrente, i quali, proprio mentre si lanciano in dispute verbali sui massimi sistemi, convivono insieme nelle stanze dei bottoni e condividono senza traumi la gestione del potere. Anche i nominati nell’era dell’odiato Berlusconi sono stati coinvolti, con sano pragmatismo e senza troppi problemi.

A questo punto, è doveroso fare qualche esempio. Il dr. Claudio Castelli, ex componente del Csm, nonché ex segretario di Magistratura Democratica (sinistra giudiziaria), è divenuto capodipartimento dell’organizzazione giudiziaria, ed i suoi vice sono il Dr. Sergio Gallo, della corrente di Magistratura Indipendente (destra giudiziaria), e Massimo Russo, della corrente progressista del Movimento per la Giustizia. Il Dr. Ettore Ferrara, ex componente del Csm, nonché ex Presidente di Unità per la Costituzione (il centro giudiziario), è divenuto capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, affiancato al Dap da Magistrati che scelti in base ad una logica correntizia.

Il Dr. Arcibaldo Miller, esponente di spicco della corrente di Magistratura Indipendente, è Capo dell’ispettorato, voluto dal Governo di centrodestra e confermato da quello di centrosinistra, in perfetta logica bipartisan: Ispettorato che si contraddistingue per dare la "caccia" a quei pochi magistrati che ancora non si allineano alla normalizzazione; stessa musica di equilibri interni all’Ufficio di Gabinetto, mentre all’ufficio legislativo troviamo ai vertici il dr. Manzo, della corrente del Movimento per la Giustizia, il dr. Diotallevi, già al Csm, esponente di magistratura democratica e Giuseppe Creazzo di Unità per la Costituzione, il quale per il posto al Ministero ha lasciato le indagini sul delitto Fortugno, proprio mentre le stesse si trovavano in un momento topico.

Il Dr. Enirico Ferri, l’ex Ministro, esponente di Magistratura Indipendente, è ai vertici dell’ufficio di coordinamento delle attività internazionali. Un altro esponente della cosiddetta destra giudiziaria, il Dr Laudati, si trova ai vertici della Direzione della giustizia penale. La dr.ssa. Iannini, è stata voluta a capo del Dipartimento affari di Giustizia sia dall’ex Ministro Castelli che dal Ministro Mastella (vicecapo la campana dr.ssa Assunta Cardone). Il dr. Alfonso Papa, napoletano, esponente di Unità per la Costituzione, è stato chiamato ai vertici della Direzione generale della giustizia civile dal Governo di centrodestra e confermato dal Ministro Mastella.

Si potrebbe benevolmente considerare che il Ministro è interessato ad avere tra i suoi collaboratori dei magistrati che siano espressione di tutte le aree culturali. Ma se si ascolta il disappunto della base dei magistrati si comprende che è stato pagato un prezzo: quello di una magistratura organizzata sempre più omologata alle logiche di Palazzo, sempre meno preparata ad affrontare l’impressionante livello di corruzione che si "fa sistema" nel Paese, meno capace di esercitare un adeguato controllo di legalità sull’incrocio tra finanziamenti pubblici, partitocrazia e criminalità organizzata.

Come Radicali abbiamo da sempre denunciato la partecipazione della magistratura organizzata alla sistematica violazione dello Stato di diritto da parte del regime italiano. D’altra parte non abbiamo alcuna nostalgia per il protagonismo politico della corporazione giudiziaria e la strumentalizzazione delle inchieste. Il rischio è che ormai siano cancellate del tutto le contraddizioni interne e i residui spazi di contraddittorio, rendendo la vita ancor più difficile a chi vorrebbe fare il proprio lavoro al di là delle dinamiche corporative e degli equilibri tra correnti. Già negli anni ‘80 e ‘90 avevamo proposto a più riprese, anche per via referendaria, l’abolizione degli incarichi extra-giudiziari per i magistrati. La soluzione è oggi ancora più necessaria, per togliere il coperchio della calma apparente, prima scoppi la pentola di una società che non ha più accesso alla giustizia e di professionisti seri che vedono il proprio lavoro speso sul tavolo della lottizzazione togata.

Una lottizzazione gestita da magistrati che non fanno più i magistrati, nel contesto di un circuito carrieristico, di potere (e denaro, se consideriamogli emolumenti dei Direttori generali e Capi-dipartimento), dove magistrati che hanno ricoperto il ruolo di componenti presso il CSM, che hanno rivestito cariche apicali all’interno dell’Associazione nazionale Magistrati, si trovano ai vertici del Ministero della Giustizia.

Il dr. Rossi, Segretario nazionale dell’Associazione magistrati, si preoccupa, non senza ragioni, del pericolo per l’autonomia della Magistratura in Francia nei confronti del potere politico. Dovrebbe però occuparsi immediatamente di ciò che di molto più grave accade a casa sua e nostra. Arrivati al punto in cui l’Associazione nazionale magistrati integra strutturalmente il potere politico e la correntocrazia giudiziaria si impadronisce indirettamente delle responsabilità chiave nel governo della giustizia, l’"autonomia" diviene un obiettivo strutturalmente impossibile. C’è soltanto da augurarsi che siano ancora magistrati indisponibili a mettersi il cuore in pace, o in "pax mastelliana".

 

Marco Cappato, Maurizio Turco, Maurizio Bolognetti

Como: strage Erba; busta con due proiettili per i coniugi killer

 

La Repubblica, 24 settembre 2007

 

Due proiettili in busta chiusa accompagnati dal disegno della morte con la falce in mano e il messaggio "Questi sono per la nanerottola". Ancora minacce di morte per i coniugi Olindo Romano e Angela Rosa Bazzi, detenuti nel carcere del Bassone di Como per aver confessato di essere gli autori della Strage di Erba e per la quale dovranno comparire davanti al Giudice dell’Indagine Preliminare di Como, Luciano Storaci, il dieci ottobre prossimo.

Come accaduto in precedenza, la lettera è anonima ed è ora a disposizione del pool di magistrati che indagò su uno dei più feroci e sconcertanti fatti di cronaca degli ultimi tempi. In passato erano state recapitate lettere con soli messaggi minatori, in un caso nella busta era stata messa della polverina urticante che aveva investito al volto uno degli agenti di Polizia penitenziaria incaricati di controllare meticolosamente ogni corrispondenza destinata ai due coniugi killer.

Proprio alla luce delle pesanti minacce giunte in questi mesi, in occasione dell’udienza preliminare di ottobre al Palagiustizia di Como si stanno studiando ferree misure di sicurezza non solo per tenere lontana la prevedibile mole di giornalisti che arriveranno in Largo Spallino quel giorno, ma soprattutto per tutelare l’incolumità del netturbino erbese e della consorte maniaca delle pulizie. Intanto si è appreso che il Prof. Massimo Picozzi, uno dei più noti criminologi italiani, ha rinunciato all’incarico conferitogli dalla difesa dei due coniugi per effettuare la perizia psichiatrica utile a trovare qualche labile margine per convincere i giudici ad essere "clementi" e ad infliggere una condanna diversa dai quattro prevedibili ergastoli.

Viterbo: firmato accordo per "raccolta differenziata" in carcere

 

Vita, 24 settembre 2007

 

La Provincia e una cooperativa sociale locale assieme nella realizzazione del progetto. Verranno divisi e pressati acciaio, alluminio, carta e cartone.

Firmata stamattina dalla Provincia di Viterbo e la cooperativa sociale Zaffa la convenzione per la realizzazione del progetto "Il carcere di Viterbo fa la differenziata". Presenti alla conferenza stampa l’assessore all’Ambiente Tolmino Piazzai, insieme a Leandro Salotti e Stefano Battisti della Zaffa. "Questa iniziativa - spiega l’assessore all’Ambiente Tolmino Piazzai - ha tre requisiti: civico, economico ambientale e sociale. Che danno la misura di quanto questa progetto sia importante per i detenuti e per la società". Il progetto pilota "Il carcere di Viterbo fa la differenziata" è rivolto ai detenuti della casa circondariale e prevede, oltre alla raccolta differenziata di acciaio, alluminio, carta e cartone all’interno del Mammagialla, anche la realizzazione di una struttura idonea per l’espletamento delle attività di selezione e pressatura. Queste attività, come da convenzione, saranno svolte da un’unità lavorativa full-time e due part-time, individuate all’interno del carcere. "Nelle case circondariali - spiega Leandro Salotti della cooperativa Zaffa - c’è gente che vuole ricominciare ma spesso non trova, una volta fuori, il modo perché sopraffatto dalle difficoltà. Con questo progetto intendiamo quindi offrire opportunità lavorative. Per noi è una scommessa perché è difficile lavorare con la disciplina delle carceri e con orari particolari, ma ci crediamo e la sensibilizzazione che stiamo portando avanti ha già dato i suoi frutti".

Stefano Battisti ha invece spiegato nel dettaglio l’idea. "Il progetto è semplice - dice - ed è partito dai dati sui rifiuti del carcere del 2005. Le stime, pari a quelle di un piccolo paese (nel carcere tra utenti e polizia e amministrazione vivono e lavorano circa 1000 persone) ci hanno fatto capire che potevamo avviare una simile attività. Si inizia con la raccolta di materiali differenziati, che vengono poi portati in un punto di smistamento all’interno del carcere e a sua volta nel capannone per lo stoccaggio e adeguamento volumetrico. Il capannone è attualmente in fase di costruzione"

Piacenza: 265 detenuti, 69 in meno rispetto a prima dell'indulto

 

Libertà, 24 settembre 2007

 

Duecentosessantacinque detenuti oggi - con una maggioranza assoluta rappresentata da quelli in custodia cautelare sulla popolazione degli ospiti definitivi - contro i 334 detenuti al 31 luglio 2006.

Ad un anno dal provvedimento di indulto - che a Piacenza rimise in libertà 136 persone - la casa circondariale piacentina delle Novate diretta da Caterina Zurlo riunisce oggi 69 persone in meno rispetto alla fase pre-indulto.

Variamente giudicato, con pareri divisi tra chi bollò il decreto come perlomeno inutile a risolvere l’emergenza dell’affollamento carcerario italiano e chi invece ravvisò in esso una provvidenziale boccata d’ossigeno per le strutture detentive d’Italia, il provvedimento, che in Italia a Ferragosto 2006 spalancò le porte del carcere a 26.762 detenuti, a Piacenza, nella struttura alle porte cittadine, ha consistentemente ridotto i numeri dei detenuti ospitati. Senza tuttavia aver avuto la forza necessaria a ribaltare la situazione: ovvero, Le Novate continua a rientrare nella lista delle strutture detentive sovraffollate. Destino analogo a quello di tante altre carceri italiane, soprattutto del nord.

La capienza regolamentare del carcere piacentino parla chiaro: 166 posti per detenuti uomini, 12 posti per le donne, per un totale di 178 posti. Un deficit dunque di 87 posti, nonostante l’indulto "svuota-carceri", logisticamente dribblato grazie unicamente all’impiego di celle doppie anziché singole.

Quanto agli ultimi dati forniti dalla direzione dell’amministrazione penitenziaria piacentina, la maggioranza degli attuali 265 ospiti delle Novate è costituita da detenuti in custodia cautelare; oltre il 50 per cento della popolazione complessiva è straniero, albanesi soprattutto, quindi marocchini e romeni, nuovo ingresso sul podio delle presenze carcerarie.

L’istituto piacentino diretto dalla Zurlo rientra tra le 13 strutture detentive emiliano-romagnole; la capienza regolamentare di tutte loro sarebbe di 2.401 unità.

Al 31 luglio 2006 i detenuti presenti invece nei 13 carceri dell’Emilia Romagna erano macroscopicamente più numerosi, pari a 4.023 persone. Scese oggi, ad un anno dal provvedimento d’indulto, a 3.399 persone. Anche nel bacino regionale, dunque, il decreto svuota-carceri entrato in vigore il primo agosto 2006 ha ridotto la popolazione complessiva ma non ha fatto rientrare l’allarme del sovraffollamento.

Mentre per la casa circondariale piacentina va diffondendosi la notizia - al momento non confermata - della possibile apertura di una nuova sezione carceraria: l’ipotesi potrebbe essere quella di allocare alle Novate un polo detentivo per carcerati a cosiddetta doppia diagnosi, aventi cioè, insieme alla pena da scontare, anche problemi di dipendenza o di carattere psichiatrico. Alcuni sopralluoghi nel carcere piacentino indirizzati a verifiche preliminari del progetto sarebbe già avvenuti.

Avellino: in un anno 2 indultati recidivi, ma 90 detenuti in più

 

Il Mattino, 24 settembre 2007

 

Gli effetti dell’indulto al carcere di Avellino stanno gradatamente svanendo. Dallo scorso anno ad oggi la popolazione carceraria nel penitenziario di Bellizzi Irpino è passata dalle 210 unità del dopo indulto ai quasi 300 detenuti attuali. Di "rientro" dal beneficio concesso dal guardasigilli Mastella, però, si contano soltanto due detenuti. Una percentuale praticamente irrisoria se messa al confronto con quella degli altri penitenziari della penisola. Per il resto i quasi 90 ospiti in più giunti a Bellizzi sono da ritenersi delle "new entry" o dei pregiudicati finiti in manette ma che non hanno beneficiato dell’indulto.

Di riflesso, l’aumento della popolazione carceraria rischia ora di riproporre anche l’emergenza legata all’utilizzo del personale in servizio che attualmente conta 250 agenti in servizio presso la casa circondariale ed altri 110 dislocati al nucleo di traduzioni. In ogni caso si tratta di numeri che, se confrontati con altre realtà della regione, confermano la struttura irpina tra i penitenziari di maggiore vivibilità. Ad Ariano Irpino, al momento dell’indulto, la popolazione carceraria ammontava a 198, oggi sono 155 i detenuti.

Le persone uscite a seguito dell’indulto sono state 42. La situazione è rimasta pressoché invariata, come si evince dal calcolo tra coloro che sono rimasti dentro e quelle fuori per indulto. Ma si tratta d’una popolazione fluttuante - fanno sapere dalla casa circondariale arianese - a seguito delle stagioni e delle presenze di napoletani e pugliesi nel circondario, soprattutto nel periodo estivo quando furti in appartamenti e altri reati legati alla microcriminalità appaiono più frequenti.

Tendenza inversa a Sant’Angelo dei Lombardi dove la casa circondariale non è altro che una sede di reclusione per condanne in via definitiva. In Alta Irpinia si registrano, allo stato, 102 posti liberi. Furono 98 i detenuti usciti a seguito dell’indulto poco più di un anno fa. Lauro, istituto di pena a custodia attenuata, soprattutto centro di rieducazione per coloro che hanno avuto a che fare con reati legati alla tossicodipendenza: sono attualmente 43 le persone detenute in carcere su una capienza complessiva di 60.

Nel luglio 2006 furono 45 le persone che usufruirono dei benefici di legge. Qui, dunque, la popolazione carceraria è aumentata sensibilmente rispetto al numero di quanti abbandonarono le carceri. dalla geografia delle presenze carcerarie in provincia di Avellino si evince che la situazione più critica è quella in città. Situazione quasi anomala a Sant’Angelo, incremento di detenuti a Lauro, stazionaria la situazione sul Tricolle.

Venezia: il teatro con l’Associazione "Balamòs" di Ferrara

 

www.estense.com, 24 settembre 2007

 

A fine settembre, presso gli Istituti maschili di Venezia, si concludono con due rappresentazioni teatrali i progetti "Passi Sospesi" dell’Associazione Culturale "Balamòs", finanziati dalla Regione Veneto, Servizio Prevenzione delle Devianze. Presso la Casa Circondariale S.A.T. Giudecca (Venezia), il 24 settembre, grazie anche alla collaborazione con la UOC Autonomia degli Adulti del Comune di Venezia e la Cooperativa Co.Ge.S., sarà presentato lo spettacolo itinerante "Storie Sconte", ispirato a Corto Maltese di Hugo Pratt, mentre presso la Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore di Venezia, il 28 settembre sarà presentato lo spettacolo di Teatro Forum "Vite parallele".

I due progetti sono stati condotti dal sociologo, attore e pedagogo teatrale Michalis Traitsis, dell’Associazione Culturale "Balamòs" di Ferrara, coordinati dagli operatori dell’area pedagogica della Casa Circondariale di Venezia, e si sono avvalsi della collaborazione scientifica di Daniele Seragnoli (docente di Storia del Teatro presso la facoltà di Lettere e Filosofia e direttore del Centro Teatro Universitario di Ferrara). Al progetto per la casa Circondariale di Santa Maria Maggiore ha collaborato Roberto Mazzini (regista e pedagogo teatrale, esponente del Teatro Forum in Italia). Al progetto per la Casa Circondariale S.A.T. Giudecca (Venezia) hanno collaborato Roberto Manuzzi (musicista) ed Elena Souchilina (danzatrice).

In entrambi i progetti hanno collaborato anche Andrea Casari (fotografo), e Marco Valentini (operatore video), ed è stata data la possibilità allo studente Nicola Zampieri di svolgere uno stage formativo a seguito di apposita convenzione con l’Azienda Regionale Diritto allo Studio Universitario, l’Università di Ferrara e il Ministero della Giustizia - Casa Circondariale di Venezia.

Il progetto per la Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore è consistito in un laboratorio teatrale di base con tecniche di drammaturgia dell’attore, elementi del metodo Stanislavskij, teoria e tecnica del Teatro Forum, mentre presso la Casa Circondariale S.A.T. della Giudecca, si è svolto un laboratorio teatrale di base con tecniche di narrazione, costruzione e utilizzo di oggetti scenici per gli spazi aperti.

Uno degli aspetti innovativi del progetto "Passi Sospesi" in quest’ultimo Istituto, è stata l’interazione con il corso per la realizzazione di un murales all’interno della struttura finanziato dalla Regione Veneto alla cooperativa Co. Ge. S. e tenuto da Carlo Tinti e Alessandro Sanna in collaborazione con la U.O.C. Autonomia degli Adulti della Direzione Politiche Sociali Partecipative e dell’Accoglienza del Comune di Venezia. In occasione della rappresentazione teatrale "Storie Sconte", che si terrà lunedì 24 settembre a partire dalle ore 15,30 presso l’Istituto S.A.T, verrà utilizzato come fondale di scena un lavoro propedeutico alla realizzazione di tale murales. Ciò è stato possibile grazie all’impegno dei detenuti che, ispirandosi a Corto Maltese di Hugo Pratt, hanno saputo lavorare contemporaneamente, sia per la sceneggiatura e la recitazione con Michalis Traitsis, che per le scenografie con Carlo Tinti.

Canada: muore detenuto italiano 32enne, aperta un'inchiesta

 

Corriere della Sera, 24 settembre 2007

 

Un italiano di 32 anni, Claudio Castagnetta, partito alcuni anni fa dalla Sicilia e residente in Canada, è morto in circostanze misteriose dopo essere stato arrestato dalla polizia del Quebec. Lo riferiscono i quotidiani canadesi Le Soleil e Media Matin Quebec nelle loro edizioni online. Secondo Le Soleil, il giovane "non aveva alcun precedente penale e il suo decesso pone diverse domande che restano ancora senza risposta". Il giornale riferisce che Castagnetta era stato arrestato martedì mentre usciva da un’autofficina. Secondo la gendarmeria del Quebec l’uomo era "aggressivo e confuso" e i poliziotti hanno usato contro di lui le maniere forti, in particolare una pistola elettrica.

Il giovane è stato poi caricato su un cellulare e condotto in centrale dove, secondo i poliziotti, sarebbe stato "agitato per tutta la notte". Mercoledì - sempre secondo Le Soleil - è stato portato in tribunale da dove, affidato ad agenti penitenziari, è stato trasferito in carcere. Da qui è uscito solo per essere portato in ospedale dove però è morto giovedì pomeriggio, apparentemente a causa di gravi ferite alla testa.

Sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta che dovrà chiarire l’origine delle ferite, dov’era Castagnetta quando è stato ferito e chi in quel momento ne era responsabile. Fonti del penitenziario hanno detto che il giovane si è ferito da solo dando testate contro un muro. Le Soleil scrive che Castagnetta era un giovane impegnato, conosciuto negli ambienti artistici del Quebec. Laureato in Italia e poi diplomato in marketing all’università di Laval in Quebec, era membro del consiglio di amministrazione della società Promotions Recto-Verso. Sempre secondo il giornale, Castagnetta era anche stato direttore esecutivo dell’ufficio del Quebec della Camera di commercio italiana in Canada. È emerso anche che era impiegato in una società, la Olympus, e si occupava di tradurre testi che contenevano segreti industriali. Il padre e la sorella dell’uomo sono subito partito per Montreal, dove sarà eseguita l’autopsia.

Svizzera: ispettori europei contro la tortura visitano le carceri

 

Swiss Info, 24 settembre 2007

 

Una delegazione europea di esperti dei diritti umani effettuerà da lunedì un’ispezione della durata di due settimane sulle condizioni di vita nelle prigioni e in altri centri di detenzione svizzeri. Membri del Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) prevedono di visitare un certo numero di luoghi di detenzione non specificati per verificare se vi sono stati dei maltrattamenti. Stando a Folco Galli, portavoce dell’Ufficio federale della giustizia, la delegazione composta da cinque persone, ha presentato preventivamente una lista di istituzioni che desidera visitare. La lista comprende prigioni, centri di detenzione per giovani e stazioni di polizia in vari cantoni.

"Il comitato potrà anche decidere di visitare altre istituzioni in altri cantoni, una volta che si troverà nel paese", ha precisato Galli. Patrick Müller, membro della segreteria del Cpt, che ha sede a Strasburgo, ha confermato che i membri del comitato hanno il potere e il mandato per visitare qualsiasi luogo di detenzione in qualsiasi momento e che gli ispettori intendono visitare anche luoghi non indicati nella lista. "Visiteranno certamente stazioni di polizia e prigioni. Forse la delegazione si recherà anche in ospedali psichiatrici o centri di detenzione per stranieri", ha detto Müller. "Verificheremo le condizioni di detenzione, la salute dei detenuti, le dimensioni delle celle, il regime delle prigioni e la possibilità di contatti fra i detenuti e i loro avvocati - tutto quanto ci sembra importante per prevenire dei maltrattamenti".

 

Reparti di sicurezza

 

È la quinta volta che la Cpt visita la Svizzera dal 1991. L’ultima visita è avvenuta quattro anni fa. In quella occasione la delegazione aveva compiuto un’ispezione "ad hoc" nel reparto di sicurezza dell’aeroporto di Zurigo, usato per la detenzione di stranieri in attesa di espulsione. Gli ispettori avevano inoltre visitato l’area di transito dell’aeroporto, dove vengono detenuti gli stranieri a cui è negato l’ingresso in Svizzera. Sebbene il Cpt non avesse trovato indizi di torture o abusi gravi, aveva tuttavia emanato una serie di raccomandazioni per migliorare la situazione dei detenuti. Lo scopo principale della visita era di verificare l’implementazione delle misure adottate dalle autorità svizzere dopo una precedente visita del Cpt nel 2001. All’epoca il comitato aveva denunciato gli aspetti "disumani e degradanti" delle procedure di rimpatrio forzato.

 

Sovraffollamento

 

Tre anni fa l’allora commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Alvaro Gil-Robles, aveva stigmatizzato il sovraffollamento delle prigioni di Ginevra e Bellinzona. All’inizio di quest’anno un gruppo di esperti aveva aspramente criticato le condizioni di detenzione nella prigione di Champ-Dollon a Ginevra, nota per essere la prigione più sovraffollata del paese. Un organismo nazionale di sorveglianza sui centri di detenzione dovrebbe essere creato in concomitanza con la ratifica del protocollo addizionale della convenzione Onu contro la tortura. Sul procedimento di ratifica la Svizzera ha tuttavia accumulato un notevole ritardo.

Il protocollo prevede visite non annunciate di ispettori nazionali e internazionali a tutti i luoghi usati a fini di detenzione, quali prigioni, stazioni di polizia, ospedali psichiatrici e centri per i richiedenti l’asilo.

 

 

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