Rassegna stampa 29 ottobre

 

Prato: suicida detenuto 48enne, era in carcere da maggio

di Francesca Gori e Cristina Orsini 

 

Il Tirreno, 29 ottobre 2007

 

Aveva passato questi ultimi sei mesi, i più terribili e oscuri della sua vita, come detenuto modello. Non una sbavatura, una parola, un gesto fuori dalle regole imposte di quel mondo parallelo. Eppure ieri tra le 18 e le 18,20 ha terminato la sua vita appeso a una corda di fortuna fatta con i lacci delle scarpe. Una brutta storia, finita nel più doloroso dei modi, quella di Giorgio (il nome è di fantasia), 48 anni, massese, accusato di un crimine infamante: atti di libidine su una figliastra, rinchiuso alla Dogaia da maggio.

La verità resterà chiusa in quella cella del reparto super blindato destinato ai “sex offender”: stupratori, pedofili, la feccia. Forse Giorgio (lui che si era sempre protestato innocente) non credeva di esserlo. Forse ha sopportato fin che ha potuto, poi senza una parola, un rimpianto o le scuse, si è lasciato andare. Ha scelto altro.

Una vita al limite quella dell’uomo accusato, nel 1998 dalla figlia di una delle sue tante donne, di essere un molestatore. Ha una prima moglie, poi una seconda, infine una terza, fa cinque figli, il più piccolo ancora minorenne. Si barcamena Giorgio, tra una crisi familiare e l’altra, fino a quando incappa nelle rete stretta della giustizia. Viene accusato di aver molestato sua figlia ma viene prosciolto. Cosa che non accade, invece, per la denuncia della ragazza, all’epoca sedicenne, figlia della sua seconda moglie. L’inchiesta procede: atti di libidine violenta. Passa interrogatori, udienze preliminari, processi. Ma resta a piede libero. Fino a sei mesi fa quando la Cassazione dice l’ultima parola: condanna definitiva, sei anni di reclusione. Si aprono le porte del carcere. E’ la svolta, il buco nero.

Giorgio alla Dogaia conduce, in apparenza, un’esistenza serena, per quel che può. Viene messo nella sezione 7, quella più protetta, più isolata, più chiusa. Una misura di prevenzione, perche i crimini sessuali sono puniti e duramente anche dalla giustizia sommaria del carcere. Entra in una cella che ha già un occupante ma i giorni scorrono. Senza traumi. Almeno così si mormora. Pasti, ora d’aria, attività nel pomeriggio, visite dei parenti, mogli e figli, che - garantiscono - continuano fitte, fitte e fino all’ultimo.

Ma non ieri, iniziata come una giornata qualsiasi. Con un’unica nota stonata, però. Giorgio rientra in cella un po’ prima del suo compagno. Sono le 18. Le attività pomeridiane stanno finendo. Alle 18,20 c’è il cambio degli agenti che controllano le sezioni, poi c’è il turno della cena e bisogna che i detenuti siano già nelle celle. Il compagno di Giorgio rientra, si dirige verso la porta del minuscolo bagno e fa per aprirla. E’ bloccata. La forza, ma qualcosa impedisce, fa resistenza. Chiama le guardie. In due riescono a scostarla di qualche centimetro. E diventa tutto chiaro. E’ il corpo di Giorgio che preme. E’ attaccato lassù con i lacci delle sue scarpe. Non c’è più nulla da fare. Se non le indagini per capire la verità.

 

Papà si è tolto la vita perché era innocente

 

La telefonata dal carcere di Prato è arrivata verso le 22.30 di sabato: “Pronto, volevamo avvertirvi che il signor... si è tolto la vita”. A ricevere la notizia Mirco, uno dei figli dell’uomo che si è impiccato dopo essere finito dietro le sbarre con l’accusa di aver avuto delle attenzioni particolari verso la figlia della sua nuova compagna, all’epoca appena tredicenne. Era il 1998 e dopo nove anni di tribolazioni giudiziarie per il cinquantenne massese si sono aperte le porte del carcere. Una pena di sei anni che non riusciva a comprendere e ad accettare perché si riteneva innocente.

“Mio papà lo aveva detto: io qui non resisto, aspetto un po’ di tempo e se non mi danno l’indulto mi tolgo la vita. Io quella ragazzina la trattavo come una figlia (in realtà la tredicenne aveva un altro papà), ma quando mi ha accusato di aver fatto quelle cose mi ha fatto crollare il mondo sotto i piedi”. Mirco, 26 anni, ha gli occhi ancora gonfi dalle lacrime che ha versato da quando ha saputo che suo padre ha deciso di togliersi la vita: “Le guardie mi hanno detto che si è ucciso nel bagno. Una scena raccapricciante: con la cintura dell’accappatoio ha bloccato la porta e poi con i lacci delle scarpe ha fatto un cappio che ha appeso a uno stipite. Mi vengono i brividi se penso che due settimane fa sono stato l’ultimo a parlargli e lo avevo visto particolarmente affranto, sfiduciato”.

Il giovane vuole sfogarsi per ridare dignità a un genitore che ha sentito particolarmente vicino, anche dopo la disgrazia che lo aveva colpito: “Per me e i miei fratelli è stato un padre modello, mi dispiace che sia finito in carcere per la denuncia di una ragazzina che evidentemente aveva dei problemi. Per me, nonostante la condanna, resta un uomo innocente finito in cella senza un motivo. Gli altri sono liberi di credere quello che vogliono, la sua famiglia la pensa così. E del resto se la sua seconda moglie (la mamma della ragazza che ha denunciato la violenza) ha deciso di restare con lui evidentemente anche lei era convinta della sua innocenza”.

La ragazza, adesso maggiorenne, vive al nord e si è fatta una vita propria. Ma secondo Mirco non ha voluto tagliare i ponti con quel padre che aveva mandato in carcere: “Sono confuso, è meglio che non dica niente per il bene di tutti. Quello che mi dispiace è che mio padre si sia impiccato in una cella lontano dai suoi cari e dopo nove lunghi anni di processi si sia visto ammanettare per una storia che lui credeva passata”.

L’inchiesta sul suicidio è già terminata. L’uomo aveva passato gli ultimi sei mesi, i più terribili e oscuri della sua vita, come detenuto modello. Non una sbavatura, una parola, un gesto fuori dalle regole imposte di quel mondo parallelo. Se era colpevole o meno non si potrà mai sapere, per la giustizia in ogni caso la risposta è sì. La verità resterà chiusa in quella cella del reparto super blindato destinato ai”sex offender”: stupratori, pedofili. Lui non credeva di essere così. E il figlio lo conferma: “Non ce la faceva a stare così - dice Mirco -.

Anche qualche secondino mi ha detto che non era come gli altri che si era sempre comportato come uno che in quel carcere c’era finito per caso”. La sua vita però era cambiata nove anni fa, quando nel 1998 la figlia della sua seconda moglie lo aveva accusato di essere un molestatore. L’inchiesta procede: atti di libidine violenta. Passa interrogatori, udienze preliminari, processi. Ma resta a piede libero. Fino a sei mesi fa, quando la Cassazione dice l’ultima parola: condanna definitiva, sei anni di reclusione.

La minima per i casi di violenza su minori, ma pur sempre una condanna a sei anni e con un marchio infamante. Per giunta confermato da tre gradi di giudizio. Colpevole e basta, colpevole senza possibilità di ritorno. E si aprono le porte del carcere. È maggio: è la svolta, il buco nero. L’uomo nel carcere della Dogaia conduce, in apparenza, un’esistenza serena, per quel che può. Viene messo nella sezione 7, quella più protetta, più isolata, più chiusa.

Una misura di prevenzione, perché i crimini sessuali sono puniti e duramente anche dalla giustizia sommaria del carcere. Entra in una cella che ha già un occupante ma i giorni scorrono. Senza traumi. Almeno così si mormora. Pasti, ora d’aria, attività nel pomeriggio, visite dei parenti, mogli e figli, che - garantiscono - continuano fitte, fitte e fino all’ultimo. Colloqui dove lui ammetteva di essere al limite della sopportazione: “Sei anni qui non li faccio”. Sabato sembrava una giornata come le altre, con gli stessi ritmi: alle 18 rientra in cella un po’ prima del suo compagno. E si toglie la vita. Oggi pomeriggio alle 15 nella chiesa di Turano si terranno i funerali.

Giustizia: il "pacchetto sicurezza" verso un nuovo rinvio?

di Carlo Mercuri

 

Il Messaggero, 29 ottobre 2007

 

C’è il rischio concreto che il "pacchetto-sicurezza" non venga approvato neanche domani dal Consiglio dei ministri. L’escamotage del falso in bilancio, tirato fuori dalla sinistra radicale per riequilibrare la "distribuzione sociale" delle pene (reati da "colletti bianchi" contro reati da drop out) pare che sia durato lo spazio di un mattino e che i pareri sulle misure di sicurezza da adottare siano tornati a divergere.

Non ci sarebbe, insomma, alcuna unanimità di consensi (richiesta invece da Prodi) intorno al "pacchetto" da varare domani. E sembra che anche la spinta poderosa di Amato, il quale preme perché il "pacchetto" venga adottato il più presto possibile, stia esaurendosi. Pare che Prodi non abbia più tutta questa fretta. Altre brutte figure del Governo, sulla questione centrale della sicurezza, sarebbero infatti intollerabili. E dal tam-tam parlamentare non arrivano notizie rassicuranti. Molti sono ancora, per differenti motivi, i ministri che storcono la bocca di fronte ai provvedimenti del "pacchetto". Perfino tra i Ds serpeggerebbe più d’un dubbio.

In questo quadro, il ministro per l’Attuazione del Programma, Giulio Santagata, è l’unico che predica un certo cauto ottimismo. Dice, il ministro: "Speriamo di farcela per domani, dipende se gli uffici saranno in grado di essere pronti". Il ministro si riferisce all’inserimento nel "pacchetto" del falso in bilancio e osserva, a questo proposito, che il lavoro da fare non è poi molto, visto che, come dice, "abbiamo già fatto un gran lavoro quando eravamo all’opposizione, per cui - aggiunge - basta inserire una modifica attraverso uno dei quattro disegni di legge del pacchetto-sicurezza". Però non si sbilancia, il ministro. E alla domanda se certamente il "pacchetto" sarà all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri di domani, risponde: "Me lo auguro".

Giustizia: l'inchiesta "Why not"; Mastella indagato a Roma

 

Adnkronos, 29 ottobre 2007

 

Il Guardasigilli Clemente Mastella è stato iscritto oggi pomeriggio a Roma nel registro degli indagati per le ipotesi di reato di abuso d’ufficio, finanziamento illecito ai partiti e truffa. Si tratta delle stesse ipotesi di reato già formulate a Catanzaro dal pubblico ministero Luigi De Magistris prima che l’inchiesta gli venisse tolta con l’avocazione da parte della Procura generale di Catanzaro. Gli atti dell’inchiesta "Why not" sono arrivati oggi a Roma da Catanzaro per essere affidati alla Procura della capitale. Si tratta di una trentina di faldoni che saranno ora esaminati dalla Procura della Repubblica di Roma.

I documenti fanno riferimento alla posizione di Mastella e delle persone eventualmente a lui collegate. Non ci sono invece, secondo quanto si è appreso, gli atti relativi alla posizione di Romano Prodi. Il materiale sarà ora valutato dal procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Ferrara. Gli atti saranno poi trasferiti al Tribunale dei ministri con pareri e richieste da parte della Procura della Repubblica di Roma che assume in questa vicenda il ruolo di pubblica accusa mentre il Tribunale dei ministri svolgerà le funzioni di giudice dell’indagine preliminare.

Da parte sua Mastella, in un messaggio inviato ai magistrati di Unicost riuniti a congresso a Viareggio, ha sottolineato: "Invito ad una più serena riflessione quelli che oggi vorrebbero trasformarmi in nemico dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura". Il ministro della Giustizia ha quindi rivendicato con orgoglio "la paternità di un’importante riforma", quella dell’ordinamento giudiziario. I giudici, ha continuato Mastella, debbono rispettare la legge e i loro doveri deontologici senza cercare il "consenso della piazza perché oltre questo confine non c’è più la giustizia quale noi conosciamo e vogliamo".

In mattinata, il Guardasigilli aveva insistito sulla necessità "oggi più che mai, di abbassare i toni della polemica e dello scontro perché la vita delle Istituzioni di questo Paese possa continuare a rendere un servizio reale a tutti i cittadini". "Da parte mia - aveva aggiunto - continuerò a lavorare con serenità, determinazione e trasparenza come Guardasigilli e come esponente politico della maggioranza". Intanto, a quanto apprende l’Adnkronos, con una lettera inviata il 23 ottobre scorso il presidente del Senato, Franco Marini, avrebbe informato il senatore e ministro della Giustizia Mastella di aver scritto ai vertici della Procura di Catanzaro per verificare il rispetto delle garanzie costituzionali riguardo all’iscrizione del Guardasigilli nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta "Why not".

Marini, facendo riferimento alle prerogative costituzionali del Senato, avrebbe scritto al Procuratore generale facente funzioni di Catanzaro, Dolcino Favi (che ha avocato a sé l’inchiesta "Why Not" del pm Luigi De Magistris) al presidente della Corte d’Appello, al presidente del Tribunale e al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo calabrese. Il presidente del Senato, a quanto apprende l’Adnkronos, avrebbe informato anche il presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di palazzo Madama, Domenico Nania.

Giustizia: Mancino (Csm); maggiore riservatezza dei magistrati 

 

Apcom, 29 ottobre 2007

 

Aveva deciso di cucirsi la bocca per "dare il buon esempio" e martedì aveva apprezzato le parole di Napolitano che invitava tutti, giudici compresi, alla riservatezza, raccomandando anche ai suoi colleghi di essere "sordi e muti". Quindi silenzio, anche dopo "Annozero" con la Forleo e De Magistris. Poi il vicepresidente del Csm Nicola Mancino si è accorto, non senza "molta amarezza", che i magistrati continuavano a parlare lo stesso, incuranti di qualsiasi appello.

Per questo il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, ha deciso di raccontare in una intervista a Repubblica le proprie preoccupazioni: "chi dovrebbe essere tenuto al riserbo - dice Mancino - non vi si attiene" con l’ovvio rischio di una fibrillazione permanente. Mancino, inoltre, si mostra molto critico nei confronti dell’organo di autogoverno della magistratura. Che il Csm conti sempre meno, dice, "è ancor più di una sensazione. Quando si è discusso del nuovo ordinamento giudiziario c’è stata troppa poca attenzione alla composizione e al funzionamento della disciplinare". "Quel collegio - spiega il vicepresidente del Csm - dovrebbe essere composto diversamente: potrebbero farne parte gli ex presidenti della Consulta, o gli ex presidenti della Cassazione, o gli ex presidenti di sezione della Cassazione estratti a sorte, sempre che non abbiano svolto funzioni disciplinari. Solo così si eviterebbe il verificarsi di casi d’incompatibilità".

Infine, la critica al sistema elettorale, "padre di tutti i sistemi politici" e la proposta. "Dico da sempre, e ho anche presentato proposte in Parlamento per sistema elettorale tedesco sì ma alla tedesca-tedesca", ovvero, spiega Mancino, "senza premio di maggioranza e con una clausola di sbarramento. Dobbiamo evitare di vincere per poi non governare. La fusione o la federazione di partiti e di movimenti, in tempi di caduta delle ideologie e delle culture politiche, sono una risposta alla clausola di sbarramento e un avvio alla normalità di un Paese che scivola sempre più nell’anormalità".

Roma: nota di Gianfranco Spadaccia sul suicidio a Rebibbia 

 

Asca, 29 ottobre 2007

 

"Il suicidio di un detenuto marocchino, accaduto la settimana scorsa a Rebibbia Nuovo Complesso, conferma purtroppo la recrudescenza negli ultimi mesi del fenomeno dei suicidi in carcere, che ho avuto modo di denunciare come uno dei punti di maggiore criticità della situazione degli istituti di pena nella mia relazione al Sindaco e al Consiglio comunale. La percentuale dei suicidi in carcere è quasi dieci volte superiore a quella che si registra nel resto della società. Ci si uccide in carcere per depressione, una malattia micidiale in libertà, insopportabile in condizioni di detenzione, ci si uccide per disperazione, ci si uccide per la vergogna dell’arresto e della condanna (non si vergognano solo gli innocenti).

Il suicidio di ieri è avvenuto in un carcere dove è stato istituito dal giugno scorso un comitato di lavoro che coinvolge le associazioni dei detenuti e le diverse articolazioni del volontariato proprio per tentare di individuare i casi di particolare fragilità psicologica che possono spingere ad atti di autolesionismo o al suicidio. Lo sforzo della direzione del carcere è certamente meritorio perché non è pensabile evitare questi incidenti con la sola sorveglianza. Ma anche questo sforzo è destinato a rimanere frustrato se non si provvede a aumentare gli organici di coloro che si dovrebbero occuparsi del trattamento dei detenuti: gli educatori, ovunque sono un numero irrisorio, al Nuovo Complesso sono all’incirca uno ogni cento detenuti.

Ugualmente carente è la presenza di psicologi, di assistenti sociali e di mediatori culturali. Nessun pacchetto sicurezza si occupa purtroppo di queste carenze strutturali da cui dipendono non solo la salute psichica e fisica e la stessa vita di molti detenuti, ma dipendono anche le possibilità di recupero e di reinserimento nella legalità dei tanti reclusi".

 

Gianfranco Spadaccia

Garante dei detenuti del Comune di Roma

Bollate: grande successo per la "Notte bianca" in carcere

 

Redattore Sociale, 29 ottobre 2007

 

L’assessore Corso: "Quello che è avvenuto è una delle esperienze più avanzate a livello nazionale". I detenuti si sono impegnati in attività produttive e artistiche, realizzando "un passo essenziale verso il diritto al lavoro".

Un "grande successo" la partecipazione lo scorso 27 ottobre alla "notte bianca" dei detenuti del carcere di Bollate. Francesca Corso, assessore della provincia di Milano all’integrazione sociale per le persone in carcere o ristrette nelle libertà, ha commentato. "È stata un grande successo, che va a merito della direttrice, dottoressa Lucia Castellano. Grazie alla sua lungimiranza, oltre che alla passione del Provveditorato regionale, della polizia penitenziaria, delle educatrici, del terzo settore, si è realizzato nel carcere di Bollate un fatto straordinario: tutti i detenuti si sono impegnati in attività produttive e artistiche, realizzando così un passo essenziale verso il diritto al lavoro e l’umanizzazione della pena.

Ne abbiamo visto i risultati proprio durate la "notte bianca". Ho trovato di tutto: opere di pittura, di ceramica, di lavorazione del vetro, prodotti di serre florovivaistiche, come pomodori, aromi, fiori, prodotti delle cucine locali, straniere o regionali italiane, per non parlare degli spettacoli teatrali e musicali, rappresentati da detenuti".

"Quello che è avvenuto nel carcere di Bollate – ha concluso - è una delle esperienze più avanzate a livello nazionale. Mi pare che, grazie alle capacità della dottoressa Castellano, si stia concretizzando l’impegno del Comune, della Provincia, della Regione per una vera riforma della vita negli istituti di detenzione. Aggiungo che questo è stato possibile grazie al profondo mutamento del ruolo della polizia penitenziaria, che oggi opera in primo luogo sulle attività trattamentali".

Reggio Emilia: il teatro arriva nel carcere di Castelfranco

 

Sesto Potere, 29 ottobre 2007

 

La Casa di Reclusione di Castelfranco si apre alla città con lo spettacolo teatrale "Donne e Resistenza. Creature d’Azione" che andrà in scena da martedì 13 a domenica 18 novembre a ingresso gratuito e con prenotazione obbligatoria. Per motivi organizzativi, lo spettacolo si svolge in una stanza chiusa con un massimo di 25 spettatori per ognuna delle sei serate, e per le autorizzazioni all’ingresso in carcere le prenotazioni si chiuderanno lunedì 5 novembre. Per informazioni: tel. 059.3091011; info@teatrodeiventi.it.

Realizzato dal Teatro dei Venti di Modena, con il patrocinio della Provincia di Modena e del Comune di Castelfranco e la collaborazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, lo spettacolo è il compimento di un percorso, iniziato un anno fa, per integrare la Casa di reclusione all’interno del tessuto urbano, rendendola sede di incontro e dialogo tra il mondo del carcerato e l’esterno. Nell’ottobre del 2006, infatti, alcuni detenuti della Casa di reclusione, che ospita tossicodipendenti in regime di custodia attenuata, hanno partecipato a un laboratorio teatrale realizzando "Frammenti" che ha concorso al Premio nazionale Ustica per il teatro.

Gli stessi detenuti partecipano all’allestimento, per la parte tecnica e scenografica, di "Donne e resistenza", storia ispirata a due staffette partigiane dell’Appennino modenese: Teresa Monari e Irma Marchiani. Lo spettacolo racconta della loro situazione di donne e partigiane e di due modi diversi di vivere un momento storico importante. La ricostruzione storica e biografica è lo spunto per trattare un argomento che appartiene a ogni tempo: la persecuzione degli uomini liberi, la lotta per non estinguere i sogni, la resistenza all’immobilità. La musica che accompagna lo spettacolo, composta da Pino Dieni, è eseguita dal vivo. Il testo è il frutto di una ricerca durata quasi tre anni, che ha usufruito della collaborazione del Centro documentazione donna di Modena e dell’Istituto storico di Modena.

La Casa di reclusione di Castelfranco Emilia è da pochi anni destinata alla custodia attenuata di detenuti tossicodipendenti. L’istituto, che ha annessa una sezione di casa di lavoro, potrà accogliere, a regime, 140 detenuti. È dotato di una struttura con venti aule-laboratori, tra le quali una falegnameria e un centro per il restauro, e di una azienda agricola che occupa 23 ettari di terreno. L’azienda produce ortaggi, per i quali si sta ottenendo il marchio biologico, e miele. Si sta inoltre impiantando un vigneto per la produzione di vino locale doc e di aceto balsamico. La Casa di reclusione è divisa in due piani ognuno dei quali dotato di sala cottura e mensa comune self service. La struttura è dotata di infermeria con possibilità di degenza.

Immigrazione: in calo gli sbarchi, ma aumentano le vittime

 

La Repubblica, 29 ottobre 2007

 

Sbarchi in calo ma morti in aumento: è questo il drammatico quadro sull’immigrazione clandestina che interessa l’Italia. Secondo i dati del Viminale, nei primi otto mesi dell’anno sono approdati nel nostro paese 12.419 immigrati irregolari contro i 14.511 dello stesso periodo del 2006, quando già si era rilevata una leggera flessione rispetto all’anno precedente. Si tratta di flussi che segnalano un aumento di sbarchi in Sardegna, anche se contenuti (960 nel 2007), rispetto alla rotta principale che resta quella dalla Libia verso Lampedusa.

Tuttavia, a fronte di questa diminuzione, seppur significativa, gli arrivi via mare continuano a registrare un aumento del numero delle vittime. Il rapporto Fortress Europe, che monitorizza gli arrivi nel Mediterraneo, ha stimato che in Sicilia nel 2007 sono morti già 500 migranti, contro i 302 dell’intero 2006. Nel complesso, secondo il rapporto Fortress, nell’anno in corso sono stimate 1.096 vittime nei viaggi verso le coste europee; 99 solo nello scorso mese di settembre.

Nel dettaglio, 43 vittime alle Canarie; 19 al largo di Mayotte; 11 tra Algeria e Andalusia; 13 nel Canale di Sicilia e 10 in Grecia. Tre bambine cecene assiderate mentre attraversano con la madre la frontiera Ucraina - Polonia a piedi. Ma agosto è considerato il mese peggiore visto che le vittime accertate nel Mediterraneo sono state 243, 161 solo nello stretto di Sicilia. Una strage favorita - a parere dell’associazione - anche da alcuni cambiamenti in atto nel business dell’immigrazione clandestina: barche più piccole e meno sicure, la mancanza di scafisti per lasciare a viaggiatori inesperti ogni responsabilità, rotte più lunghe.

Dal 1998 si contano 10 mila immigrati morti per raggiungere l’Europa. Un terzo di questi è disperso. Nel canale di Sicilia - sempre secondo il rapporto europeo - tra la Libia, l’Egitto, la Tunisia, Malta e l’Italia sono 2.260 gli immigrati deceduti; di questi, oltre la metà (1.365) quelli di cui non si sono recuperati i corpi. Altri 64 sono morti navigando dall’Africa verso la Sardegna. Nelle tratte che vanno verso la Spagna da Marocco e Algeria, passando dalle Canarie o attraverso lo stretto di Gibilterra, si contano 3.196 immigrati deceduti. Nel mar Egeo, tra la Turchia e la Grecia, sono 696 gli immigrati morti. Ed infine, gli immigrati affogati nel mare Adriatico risultano 553, di cui la metà dispersi.

Immigrazione: manager va a passeggio, arrestato in retata

di Roberto Fiori

 

La Stampa, 29 ottobre 2007

 

Era ospite al Salone del Vino di Torino, si è ritrovato nella cella comune di una caserma. Aveva trascorso la giornata tra i calici di rosso, ha dovuto passare la notte in mezzo ai clandestini, senza neppure un bicchier d’acqua. Il dramma di Aman Sharma, responsabile "Food and Beverage" del gruppo Taj, la più importante catena alberghiera indiana, inizia venerdì alle 22,30. Aveva passato il pomeriggio incontrando un gruppo di produttori vinicoli, poi è tornato in albergo, l’Hotel Genio, un tre stelle a fianco della stazione Porta Nuova, a due passi dal centro, ma anche al confine con San Salvano, il quartiere degli immigrati torinesi.

Sharma si infila un paio di jeans, un pullover e una giacca ed esce per andare a cena. È un manager continuamente in viaggio, parla perfettamente inglese ma neppure una parola di italiano e non è mai stato a Torino. L’unica sua "colpa" è aver sbagliato direzione: scegliendo di fare due passi, si è ritrovato nel cuore del quartiere multietnico. E al momento sbagliato: improvvisamente si accendono gli abbaglianti della polizia e scatta una retata.

Sharma spiega che il suo passaporto è in albergo. Mostra la patente indiana e le carte di credito, cercando di spiegarsi in inglese con gli agenti. Ma qualcuno gli dice: "Se proprio vuoi stare in questo Paese, è meglio che impari l’italiano". Arrivano i carabinieri, caricano il "buyer" indiano e gli altri extracomunitari sulle auto e portano tutti in caserma.

Gli svuotano le tasche e lo mettono dietro le sbarre, in una cella comune. Ad Aman Sharma basterebbe una telefonata per sciogliere l’equivoco, ma dice che non gliel’hanno concessa. Chiede un bicchiere d’acqua: "Questo non è mica un hotel a cinque stelle", è la risposta. Sconcertato e spaventato, non può far altro che arrendersi, trascorrendo la notte in mezzo agli spacciatori senza chiudere occhio.

"Una storia assurda, uno sbaglio colossale", dice Subhash Arora, presidente dell’Indian Wine Academy, che ha guidato la delegazione a Torino. "Sabato mattina non abbiamo visto Aman arrivare agli appuntamenti e abbiamo iniziato a preoccuparci. All’albergo non sapevano nulla, il telefono era muto, eravamo sul punto di iniziare a setacciare gli ospedali della città: pensavamo avesse avuto un malore".

L’incubo kafkiano inizia a svanire in tarda mattinata, quando qualcuno finalmente decide di occuparsi di quell’uomo così "fuori posto" dietro le sbarre. "Lui è un gentleman, un professionista tra i più importanti di tutta l’India nel mondo del vino - spiega Arora -.

Alle 11, dopo che è riuscito a parlare con un addetto dei servizio immigrati, gli agenti sono andati all’hotel, hanno fatto un controllo e poco dopo l’hanno rilasciato. Ci ha detto che non gli hanno neppure consegnato un verbale. Ha preso un taxi ed è tornato in albergo".

La storia si diffonde subito tra gli stand del Salone, anche se Aman Sharma preferisce tenere un profilo basso: non chiama l’ambasciata, non denuncia pubblicamente l’episodio. Anzi, tenta di reagire, si presenta accigliato agli appuntamenti di lavoro cercando di dimenticare. "Ci siamo subito messi in contatto con lui, gli abbiamo espresso tutto il nostro rammarico. Stiamo cercando di capire cosa sia successo esattamente, ma, se fosse tutto confermato, sarebbe opportuno presentare delle scuse", dicono dalla direzione del Salone del Vino.

Subhash Arora parla un italiano stentato, ma le sue parole pesano: "È stata violata la dignità umana, il mio connazionale ha subito un trattamento inspiegabile. Ottenere un visto d’ingresso per l’Italia è già complicato, ma questa volta è stato superato il limite.

Amo il vostro Paese, siete un popolo straordinario e ricco di cose belle, ma non oso immaginare le reazioni se questa storia dovesse finire sui giornali indiani. È un vero peccato, proprio adesso che i rapporti tra le due nazioni vanno così bene. E poi è paradossale che tutto ciò sia successo proprio a Torino, la città dove è cresciuta Sonia Gandhi".

Droghe: ragazzine 14-16enni consumano cocaina e alcol

 

Notiziario Aduc, 29 ottobre 2007

 

Le ragazzine fra i 14 e i 16 anni hanno scoperto la cocaina e la usano insieme all’alcol per potenziarne gli effetti: l’allarme, che conferma e aggrava i dati della Relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze di quest’anno, giunge oggi dal Congresso di Federserd, la federazione nazionale dei servizi pubblici per le dipendenze, che ha aperto i suoi lavori a Sorrento alla presenza di 750 delegati provenienti da tutta Italia.

Una trasgressione in più, forse la più grave, dopo alcool, marijuana e psicofarmaci sottratti dall’armadietto di casa. Sono ragazzine che fanno parte di famiglie normali, integrate. Si conferma che le donne si avvicinano alla cocaina molto prima dei maschi, che usano questa droga dopo i 24 anni. Per quanto riguarda l’età della prima assunzione delle droghe, il limite rimane ancora intorno ai 13-14 anni, mentre è più basso per quanto riguarda l’alcool.

Ma questa non è l’unica notizia preoccupante che danno gli operatori dei Sert, che a Sorrento studiano una strategia di responsabilizzazione che coinvolga chi si droga, chi cura il tossicodipendente, chi fa le leggi. L’altro allarme è che un giovane su tre assume droghe: dalla marijuana, all’eroina, alla cocaina. E uno su due confessa che è spesso avvicinato da gente che gli offre la droga. Ma non basta: un tossicodipendente su tre oggi in Italia ha problemi psichici, dalla paranoia all’ossessività, all’aggressività. E così diventa responsabile di atti di violenza, in casa e per strada, e questa violenza si scatena anche quando non è alla ricerca di droga.

Dal Congresso giunge quindi un preciso atto di accusa: "siamo davanti ad una clamorosa insufficienza delle politiche contro la droga - dice Alfio Lucchini presidente della Federserd - sia a livello di Governo che delle Regioni e delle altre istituzioni. Vengono ignorate e talvolta emarginati gli operatori dei Ser.T. che ogni giorno, quasi ogni ora, monitorizzano sul campo il calore della situazione".

Un invito ai governi a superare le differenze ideologiche e a considerare la tossicodipendenza semplicemente come una malattia è giunto oggi da Antonio Maria Costa, direttore esecutivo dell’Ufficio sulla droga e il crimine delle Nazioni unite (Unodc) di Vienna. Intervenendo con un videomessaggio all’apertura dei lavori del Congresso di Federserd, Costa ha insistito sul concetto di malattia riguardo alla tossicodipendenza: "Per la cura del cancro o della tubercolosi non ci sono divisioni politiche tra destra e sinistra, perché sulla droga sì? È una malattia, riconosciamolo!". Il direttore dell’Unodc ha quindi reso noto che le Nazioni unite stanno proponendo all’Organizzazione mondiale della sanità una "vasta iniziativa congiunta sulla prevenzione e il trattamento delle dipendenze".

Il suo ufficio intende promuovere, insieme all’Oms, la creazione di una rete "per gestire programmi appropriati". E sarà necessaria, ha aggiunto Costa, una campagna contro lo stigma del tossicodipendente. Inoltre, intende sviluppare insieme all’Oms "pratiche basate sulla scienza e sulla conoscenza". L’obiettivo, ha concluso, è quello di "creare un partenariato globale per la cura delle tossicodipendenze" ma per farlo "occorre la volontà politica degli Stati membri".

Droghe: Veneto; cani antidroga entrano anche nelle classi

 

Notiziario Aduc, 29 ottobre 2007

 

 

Cani antidroga anche dentro le aule scolastiche in Veneto, se i controlli dei finanzieri rilevano la necessità di ispezioni più approfondite. Se il cane antidroga fiuta qualcosa di sospetto al passaggio degli studenti, il controllo di prevenzione può portare gli uomini delle fiamme gialle anche fino dentro gli istituti. È accaduto per esempio a Vicenza, scrive oggi il Gazzettino, dove un cane antidroga della guardia di finanza berica allertato da una scia cannabinoide ha indotto i militari, in accordo con il preside, a fare un controllo in aula, fino al banco di due "sospetti". L’hashish, com’è noto, lascia una traccia olfattiva per diversi giorni.

Il controllo dei finanzieri, rilevano al Comando Regionale del corpo, è svolto però soprattutto a difesa dei ragazzi e viene attuato prevalentemente all’esterno delle scuole. I cani non sono spinti ad annusare gli studenti, ma sono presenti nei controlli per fini preventivi. Se a Vicenza le operazioni interessano la città, a Treviso i finanzieri operano in tutta la provincia, alternando due scuole diverse alla settimana.

Anche qui vige la regola della prevenzione, con i militari che operano all’esterno degli istituti, con accertamenti che possono arrivare fin nei bagni e nelle aree "comuni", come il cortile, ma quando non sono presenti gli studenti. In due occasioni è stato recuperato dell’hashish ad altrettanti ragazzi che stavano entrando nel plesso scolastico.

Belgio: due detenuti riescono a evadere con un elicottero

 

Apcom, 29 ottobre 2007

 

Un rapinatore recidivo e un altro carcerato sono evasi ieri da un supercarcere belga con l’aiuto di complici che hanno creato una diversione costringendo un elicottero ad atterrare nel cortile del carcere, situato a sud di Bruxelles, secondo i media. L’emittente televisiva belga Vrt ha riferito che Nordine Benallal e un altro detenuto sono evasi dal carcere di Ittre, il più sicuro del paese, prendendo in ostaggio un agente di custodia e rubando un’automobile, approfittando della confusione che regnava dopo che un complice ha costretto un pilota di elicottero a atterrare nel cortile del carcere quando i prigionieri vi effettuavano la loro uscita della sera.

Secondo i media belgi, anche il pilota dell’elicottero è stato preso in ostaggio e costretto ad atterrare. I due evasi sono fuggiti a bordo di una Golf Volkswagen, che sarebbe stata munita di un girofaro blu, simile a quelli dei veicoli della polizia. L’auto è stata ritrovata due ore più tardi in un campo vicino alla città di Braine-le-Chateau.

Non è la prima spettacolare evasione di Benallal. Condannato nel giugno 2004 a 27 anni per diverse rapine violente e furti con scasso, era riuscito a fuggire due mesi dopo grazie a una scala di corda lanciatagli dai complici. Pochi giorni dopo, Benallal aveva ferito due poliziotti sparandogli addosso mentre tentavano di arrestarlo. Per questo fatto, lo hanno condannato a una ulteriore pena di dodici anni di carcere.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva