Rassegna stampa 30 ottobre

 

Giustizia: consiglio dei ministri vara il "pacchetto sicurezza"

 

Ansa, 30 ottobre 2007

 

Via libera del Consiglio dei Ministri al "pacchetto sicurezza". Il provvedimento si compone di cinque disegni di legge che riscrivono le norme sul falso in bilancio, sicurezza urbana, certezza della pena, criminalità organizzata, e Banca dati del Dna. Approvate inoltre due norme - contro caporalato e contraffazione - che saranno inserite in disegni di legge già all’esame delle Camere.

Il pacchetto è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri, con le astensioni dei ministri Ferrero sui ddl sulla certezza pena e la sicurezza urbana e sull’emendamento sulla contraffazione, nonché dei ministri Mussi e Pecoraro Scanio sul ddl sulla sicurezza urbana.

"Ci sono sicuramente delle novità positive e c’é stato un miglioramento su tutti e quattro i testi", sottolinea il ministro per la Ricerca, Fabio Mussi. Però "mi sono astenuto sulla parte riguardante la sicurezza urbana perché le trovo un po’ norme manifesto". "Ho trovato proposte che avevo avanzato e quindi ho dato il mio consenso", ha affermato il ministro per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Enrico Letta ha annunciato in conferenza stampa che nel Pacchetto ci sono "tre emendamenti alla legge finanziaria che riguardano: la contraffazione dei marchi, lo sfruttamento del lavoro e le tabaccherie".

 

Contrasto allo sfruttamento dei minori - Chi impiega minori di 14 anni nell’accattonaggio viene punito con la reclusione fino a tre anni. Per disincentivare il ricorso a minorenni nel compiere crimini gravi si punta a colpire i complici adulti, prevedendo per loro delle aggravanti. Sono definite anche due nuove pene accessorie: la perdita della potestà del genitore e l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente all’amministrazione di sostegno, alla tutela e alla curatela, nel caso in cui i reati di riduzione o mantenimento in schiavitù, tratta di persone e acquisto e alienazione di schiavi, siano commessi rispettivamente dal genitore o dal tutore.

 

Più poteri ai Sindaci in materia di sicurezza - Il governo punta a valorizzare il ruolo dei sindaci nel fronteggiare i pericoli per la sicurezza urbana - prostituzione, traffico di droga e immigrazione clandestina. Viene così estesa la facoltà dei sindaci di adottare "provvedimenti puntuali ed urgenti". Parallelamente il ruolo dei vigili urbani è rafforzato: potranno accedere direttamente alla banca dati dei veicoli rinvenuti e a quella dei documenti di identità rubati o smarriti, che finora erano a disposizione solo delle forze di polizia.

 

Ai Prefetti il potere di espulsione dei cittadini comunitari - Per contrastare i reati commessi da romeni - che "tra gli stranieri sono coloro che delinquono di più", dice il Viminale - la riforma attribuisce al prefetto il potere di espellere i cittadini comunitari "per motivi di pubblica sicurezza". Tuttavia, per i cittadini dell’Unione che vivono in Italia da più di 10 anni o sono minori il potere rimane in capo al ministro dell’Interno. L’espulsione è immediatamente esecutiva e la violazione del divieto di reingresso diventa un delitto punito con la reclusione fino a tre anni.

 

Pene più severe per i maltrattamenti in famiglia - Prevista una maggior tutela alle vittime di maltrattamenti, inasprendo le pene, includendo fra le persone offese anche i conviventi, con un’aggravante specifica per chi commette reato a danno di un minore di 14 anni.

 

Maggiore protezione per le donne immigrate vittime di violenza - Il governo cerca al tempo stesso di assicurare una protezione alle donne straniere che denunciano violenze in famiglia: potranno ricevere dal questore un permesso di soggiorno per motivi protezione umanitaria ed essere inserite in "un percorso di integrazione". In generale, più severità è prevista per le violenze in famiglia, quale che sia la loro nazionalità, dove la pena prevista è la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso ai danni di un under 14.

 

Fino a tre anni di carcere per chi adesca minori su internet - La reclusione da uno a tre anni è prevista per chi, "allo scopo di sedurre, abusare o sfruttare sessualmente un minore di anni 16", intrattiene con lui, anche attraverso la rete internet o altri mezzi di comunicazione, una relazione "tale da carpire la fiducia del minore". E pene fino a tre anni sono previste per chi si avvale di un minore di 14 anni per mendicare oppure permette che il minore mendichi.

 

Obbligatoria la custodia cautelare in carcere per i reati gravi - Per tutti i reati per i quali è oggi previsto l’arresto in flagranza, si prevede la possibilità di applicare misure cautelari se c’e un pericolo concreto e attuale della loro commissione, anche se si procede per altro titolo di reato. Per le fattispecie più gravi (fra questi omicidio, rapina, violenza sessuale aggravata, furto in appartamento, incendio boschivo, traffico di ingenti quantità di rifiuti), si prevede l’applicazione della sola misura di custodia in carcere, salvo che emerga l’insussistenza di esigenze cautelari.

 

Niente sospensione della pena per i reati gravi - Per i reati che provocano allarme sociale (omicidio, rapina, estorsione, incendio boschivo, violenza sessuale, ecc.) viene esclusa la possibilità di sospensione dell’esecuzione della pena, al fine di consentire al condannato la presentazione di una istanza di misura alternativa alla detenzione.

 

Pene più severe contro la contraffazione - Previsto l’inasprimento delle pene per la contraffazione, con specifica aggravante per chi falsifica ingenti quantità di merci ed a tutela del "Made in Italy". Questo va come emendamento al Ddl Bersani.

 

Sequestro delle merci contraffatte - Viene resa possibile la distruzione delle merci sequestrate non solo - come è stabilito ora - nel caso in cui queste siano deperibili, ma anche quando la custodia delle cose risulti eccessivamente onerosa o pericolosa, o solo quando "la violazione di quei divieti risulti evidente".

 

Norme anti-graffiti - Viene introdotta una norma a tutela del "decoro urbano", per cui si aggrava la pena per i reati di danneggiamento e di deturpamento e imbrattamento di immobili.

 

Fino a tre anni di carcere per i tifosi violenti - È previsto che chiunque, nei luoghi in cui si svolgono le partite, nelle loro vicinanze o nei posti di aggregazione per tifosi, è trovato in possesso di razzi, bengala, petardi e bastoni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 1.000 a 5.000 euro. La norma si applica anche nelle 24 ore precedenti o successive alla partita.

 

Fino a 10 anni di carcere per automobilisti ubriachi o drogati che uccidono - Nel ddl sulla certezza della pena sono state inserite modifiche al codice penale per inasprire le pene nei confronti degli automobilisti ubriachi o drogati. Chiunque al volante sotto l’effetto di alcol o droghe provoca un omicidio colposo è punito con la reclusione da tre a dieci anni (oggi ci sono pene da uno a cinque anni).

 

Alzate lo soglie della prescrizione - Il tempo della prescrizione viene calcolato con un riferimento esclusivo alla pena massima prevista dal codice, aumentata della metà. Si tratta di un aumento non contemplato dalla legge ex Cirielli, modificata per rendere compatibile la decorrenza della prescrizione con la durata del processo. I delitti si prescrivono in un tempo comunque non inferiore a sei anni. Le contravvenzioni in un tempo non inferiore a 4 anni. Il termine di sei anni è previsto anche per le sanzioni, diverse dai delitti e dalle contravvenzioni, stabilite dal giudice di pace. Quanto ai delitti di maggiore gravità: è previsto un termine massimo per cui essi si prescrivono dopo 30 anni. I responsabili di delitti puniti con l’ergastolo non beneficiano in alcun modo della prescrizione.

 

Più facili i sequestri di beni ai mafiosi - È introdotta la possibilità di sequestrare il patrimonio mafioso anche in caso di morte del soggetto a cui il bene è stato confiscato. Sequestro e confisca potranno essere richiesti anche nei confronti di persone giuridiche ed enti.

 

Maggiore tutela delle imprese sotto ricatto mafioso - Le imprese che denunciano l’interferenza della criminalità organizzata hanno diritto a misure di controllo e sostegno e a specifici contributi. Al contrario, la mancata denuncia comporterà il sequestro e la confisca di prevenzione, salvo che i titolari d’impresa non collaborino concretamente con la polizia.

 

Nasce la banca dati del Dna - Un disegno di legge apposito istituisce poi presso il Dipartimento della Pubblica sicurezza un archivio in cui confluiranno i profili del Dna, che saranno conservati "per 40 anni dall’ultima circostanza che ne ha determinato l’inserimento".

 

Il falso in bilancio torna reato - Il ddl sul falso in bilancio è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri e ciò dimostra "l’unità" della coalizione e il rispetto del programma elettorale. Lo ha detto il ministro della Giustizia Clemente Mastella nel corso della conferenza a Palazzo Chigi, sottolineando che quelle introdotte dal pacchetto sicurezza sono "misure per rasserenare il paese". "Non ci siamo dimenticati del nostro programma - afferma il Guardasigilli - Abbiamo eliminato una misura che lasciava un po’ perplessi" e riportato il falso in bilancio ad una "condizione che assurge a reato". Si tratta, spiega il ministro, di un "elemento innovativo che ripristina l’unità" della coalizione e "riannoda le fila con quello che era stato previsto nel programma del nostro governo". "Nel giro di sei - sette mesi riusciremo ad avere qualche migliaio di posti in più nelle carceri", ha aggiunto Mastella.

Giustizia: perché il "pacchetto sicurezza" è insostenibile

di Giuliano Pisapia (Presidente Commissione riforma del Codice penale)

 

Liberazione, 30 ottobre 2007

 

Sono ben note, ormai, le critiche al cosiddetto "pacchetto sicurezza", da molti definito, non solo propagandistico e demagogico, ma anche, e soprattutto, iniquo e inefficace. Giudizio non derivante da schemi ideologici ma fondato su dati oggettivi e sull’analisi delle politiche di prevenzione e repressione e degli strumenti utilizzati per garantire la sicurezza dei cittadini (basta citare, del resto, il totale fallimento del cd. "pacchetto sicurezza", approvato nel 2001 con la sola contrarietà della sinistra).

Già altri si sono soffermati sull’inutilità di misure che equiparano i venditori di borse contraffatte ai boss mafiosi, e sull’assurdità di proposte, tanto roboanti quanto inconsistenti, che non inciderebbero minimamente sul dovere di garantire la sicurezza (problema reale che tocca soprattutto, ma non solo, i soggetti più deboli); e che, anzi, farebbero diventare preda delle associazioni criminali chi criminale non è.

Il programma dell’Unione dava, anche su questo tema, risposte precise e concrete: ma quei programma, come ben sappiamo, è quotidianamente tradito da non pochi che sono stati eletti proprio sulla base di quel programma.

Se si prende quindi atto che, purtroppo, data la situazione politica, sono illusorie riforme complessive, diventa ineluttabile ragionare su pochi interventi, purché realmente efficaci. Perseverare in proclami, politicamente e giuridicamente inaccettabili, inficerebbe ulteriormente la credibilità del governo e dell’intero centrosinistra.

Si esca, quindi dalla "logica" che ha ispirato il cd. "pacchetto sicurezza" e ci si impegni per una rapida approvazione di poche e incisive norme, che abbiano anche capacità propulsiva per una riforma organica dell’intero sistema penale.

Per garantire la sicurezza è indispensabile una razionale politica di prevenzione e controllo del territorio (in un rapporto solidaristico con i cittadini) e che, in presenza di condotte illegali, vi siano sanzioni tempestive e proporzionate all’effettivo livello di colpevolezza.

Minacciare, come avviene oggi, pene draconiane, per lo più ineseguite e ineseguibili (oltre il 90% dei reati rimane impunito), rafforza il senso di impunità, causa principale della recidiva. Ecco perche Rifondazione condivide la proposta di "giudizio immediato" (non a scapito delle garanzie!) per chi si trova in stato di detenzione: una sentenza in tempi brevi, limita i danni per gli innocenti e, oltre a incidere positivamente sulla recidiva, restituirebbe fiducia nella giustizia, soprattutto se, con la condanna, saranno previste condotte risarcitorie e riparatone a favore delle vittime del reato.

È evidente, però, che un processo celere sarà possibile solo se diminuiranno (contrariamente a quanto vorrebbero alcuni sindaci) i fatti-reato, prevedendo immediate sanzioni amministrative per chi non lede beni giuridici che necessitano di una tutela penale.

Dimezzerebbero gli oltre 5 milioni di processi pendenti, i giudici potrebbero occuparsi dei fatti realmente gravi e diminuirebbero le sacche di impunità. Lo stesso si può dire per la proposta di estendere ai prefetti l’espulsione di stranieri per "motivi di sicurezza" (termine così vago che potrebbe includere la mera partecipazione a assemblee o manifestazioni).

Quale significato, se non propagandistico, può avere una simile proposta se non si è oggi neppure in grado di eseguire le espulsioni disposte dall’Autorità Giudiziaria, dopo un regolare processo e una motivata condanna?

Valida alternativa, e non vano esercizio muscolare, potrebbe essere quella di prevedere che la condanna sia scontata nel Paese d’origine o, per i reati non gravi, sostituire (come già oggi è possibile) la pena con l’espulsione. Per quanto concerne una efficace lotta alla mafia, bisogna accelerare i tempi di destinazione a fini sociali dei beni sequestrati (oltre il 47% non è stato ancora assegnato) e approvare le altre norme, previste nel disegno legge, tese a rafforzare la lotta alla criminalità organizzata.

Provvedimenti, però - ed è questo uno dei punti discriminanti - che l’approvazione, pure prevista nel "pacchetto" dell’obbligatorietà (di fatto) della carcerazione preventiva per reati che già oggi, in caso di pericolosità sociale, prevedono la custodia cautelare in carcere.

E che dire del fatto che circa la metà dei processi viene rinviato per errori o ritardi nelle notifiche? Perché allora - invece di parlare di "sociologia d’accatto" - non approvare subito una semplice modifica legislativa - quale quella delle notifiche anche via internet - unanimemente condivisa, da tempo all’esame del Parlamento e che porterebbe a risultati sorprendentemente positivi!

E, parallelamente, inviare in Parlamento, dove già ne è stata calendarizzata la discussione, le proposte che prevedono, per molti reati, pene diverse dal carcere (interdittive, prescrittive, risarcitorie ecc.) e introducono nel codice penale istituti che renderebbero più celeri i processi e più facile il reinserimento sociale, con conseguente diminuzione dei reati e, quindi, maggiore sicurezza per tutti.

Ragionevolezza vorrebbe, quindi che - oltre a non pensare di risolvere problemi sociali coi diritto penale - si accantonassero proposte inique, inutili e irrealizzabili e si approvassero, invece - e al più presto - poche norme, in grado però di assicurare più giustizia e più sicurezza. No, quindi, al "pacchetto" prospettato dal Governo; sì, a interventi realmente in grado di incidere sul livello, sia reale che percepito, di insicurezza dei cittadini, senza però abbandonare la prospettiva di riforme organiche e complessive. Solo così, ne sono convinto, sarà possibile recuperare quel consenso ampiamente- ma non definitivamente - perduto.

Giustizia il "pacchetto sicurezza" fa male alla Costituzione

di Adriano Ascoli, Marco Dal Toso e Giovanni Montefusco (Prc)

 

Liberazione, 30 ottobre 2007

 

La questione del pacchetto sicurezza, ormai da oltre un mese, non manca di suscitare le uscite più violente da parte di politici, opinion maker e gruppi di pressione vari. Non c’è giornata che non si prenda spunto da singoli episodi, in realtà statisticamente poco significativi, per concludere con lapidari giudizi, ora sull’operato dei giudici di sorveglianza, ora sull’impianto di quelle leggi interne all’ordinamento penitenziario che tentavano di dare risposta alla richiesta di adeguamento dei codici, in larga parte originati dalla dittatura fascista, ai principi sanciti nella nostra Costituzione.

Non serve elencare qui l’insieme un po’ goffo di misure accorpate in questo "pacchetto" sicurezza, dalla reintroduzione dei reati dei viandanti, sarà dura rivedere in giro madonnari o artisti di strada, alla sospensione dei diritti costituzionali per i cittadini comunitari e a intere categorie di indagati, cioè sospensione dei diritti e delle garanzie per tutti noi.

Vorremmo cercare di evidenziare il senso di questo impazzimento della politica, qualcosa che forse risulta evidente in queste ore più che altro a chi si trova quotidianamente a contatto con la dura realtà del carcere e dell’emarginazione sociale: le associazioni che finora inascoltate hanno tentato di porre qualche spunto di pacata riflessione sulle conseguenze di un simile operare. E certo c’è dell’irresponsabilità nel propagandare a gran voce posizioni e proposte che, se approvate, trasformerebbero il nostro Paese in qualcosa di molto più simile ad un regime che non ad una democrazia; qualcosa che certo non può trovare né il consenso né la complicità di chi continua a ritenersi e ad essere di sinistra, né l’approvazione di chi ha a cuore le sorti della democrazia.

Il pacchetto sicurezza, salvo modifiche dell’ultima ora, si proporrebbe anche di equiparare nuove categorie di detenuti in relazione all’esclusione dalle misure alternative già in vigore per determinati reati, introducendo la novità della custodia cautelare in carcere obbligatoria.

Verrebbero introdotte delle complesse commissioni composte da più giudici col compito di decidere sullo specifico di ogni richiesta di attenuazione del regime detentivo (i domiciliari per esempio), ed è facile immaginare quale intasamento e impossibilità di ottenere parere favorevole per le inevitabili lungaggini burocratiche ed organizzative. Tra rinvii e disaccordi ancora non è chiara quale sarà la versione definitiva, e ancora meno cosa si intende per processo "immediato" nei casi di reati di "pericolosità sociale": non è chiaro se si parla di riti di tipo ordinario o meno.

Il risultato immediato più dirompente sarà con certezza l’aumento vertiginoso della popolazione detenuta, quale risposta repressiva alla crescente insicurezza e precarietà sociale. Una spada di Damocle sulla testa del conflitto sociale. Ma come interpretare la fraseologia gretta, a tratti spietata, la dose di ignoranza e superficialità così in voga tra avveduti leader di ambedue gli schieramenti?

Quale considerazione può spingere un uomo di indole "bonaria" come il ministro Mastella ad abbandonarsi a frasi del tipo "non metteremo fuori più nessuno", pena anticipata (che vuol dire prima di una condanna o di una possibile assoluzione!), annunciando che dai provvedimenti allo studio per il prossimo consiglio dei ministri vi sono misure "che lasceranno un po’ stupefatti gli avvocati", e cose del genere.

Come fanno autorevoli esponenti dell’Udc (il partito di Cuffaro, recentemente rinviato a giudizio per concorso in associazione mafiosa) a chiedere la modifica in senso ancora più restrittivo dei brandelli che rimangono della legge Gozzini, quando già oggi migliaia di detenuti avrebbero le carte in regola per accedere a permessi e misure alternative e tuttavia non li ottengono per lungaggini burocratiche, ritardi dell’amministrazione, diritti negati all’interno del carcere.

Quante tragedie umane si consumano nel silenzio. In realtà gli addetti ai lavori sanno benissimo che le misure alternative non sono in alcun modo responsabili di una recrudescenza criminale, la recidiva è enormemente più bassa che per quei detenuti cui le misure alternative sono state negate.

I governanti sanno bene, ma fingono di non sapere, che loro stessi e in più occasioni, l’ultima volta nel dicembre del 2002, hanno messo mano al codice penale e di procedura, all’ordinamento penitenziario e via dicendo per aumentare le pene e per escludere determinate categorie di detenuti, raggruppati in discutibili classificazioni, dalle misure alternative previste in applicazione dell’art. 27 della Costituzione circa la finalità della pena. E da nessuna parte è scritto che pena sia sinonimo di galera.

Questo stava scritto tra l’altro nel programma elettorale dell’Unione, questo è scritto nella Costituzione italiana. Con l’art.4-bis dell’ordinamento penitenziario già oggi sono esclusi dalle misure alternative previste dalla legge Simeone e Gozzini la quasi totalità dei detenuti condannati per reati di natura associativa; l’elenco di tali esclusioni è stato aggiornato cinque anni fa con ulteriori restrizioni inserite nella legge n° 279 del dicembre 2002 comprendendo tutti i reati di natura eversiva, anche nella assenza di responsabilità concrete in atti di qualsivoglia natura (parliamo cioè di idee). In pratica, sarà forse per una svista, si salvano solo i politici accusati di concorso esterno in associazione mafiosa!

Le violazioni costituzionali e le illegalità riservate dal regime carcerario ai detenuti raggruppati per tipologia di reato nei reparti 41-bis o Eiv hanno fatto tristemente scuola, così alcuni discussi articoli del codice penale fascista mai riformato. Eppure i reparti Eiv, non regolamentati da alcuna legge, sono in contrasto anche con le direttive europee, i richiami della Corte Europea di Strasburgo e della stessa Corte Costituzionale.

Non c’è male a proposito di legalità, bisognerebbe dirlo a Cofferati... in effetti sullo sfondo di queste vicende c’è pure un’altra emergenza, quella relativa a indagini e accertamenti che coinvolgono una parte trasversale della nostra classe politica in affari poco chiari.

La campagna d’ordine e sicurezza potrebbe allora rivelarsi oltre che un maldestro tentativo di accaparrarsi e contendersi voti con la destra più estrema, anche un abile diversivo volto a concentrare l’attenzione della pubblica opinione, e perché no il lavoro della magistratura, verso argomenti che non nuociano a chi da sempre, vinca uno o l’altro schieramento, esercita o amministra il Potere.

Giustizia: la vera sicurezza? solo con un welfare adeguato

 

Il Manifesto, 30 ottobre 2007

 

Il tema della sicurezza ha assunto una crescente centralità nella discussione politica italiana e influenza sempre più scelte e orientamenti di amministrazioni pubbliche, enti locali e governi. I mezzi di informazione hanno riservato a questo tema uno spazio enorme, determinando vere e proprie campagne di allarme sociale che, partendo da singoli episodi, descrivono le nostre città come invivibili e insicure.

L’insicurezza e la paura viene quasi sempre ricondotta alla presenza di emarginati, poveri e migranti, associando in maniera discutibile i comportamenti illegali alle categorie socialmente più deboli e ai soggetti che vivono in condizioni di disagio abitativo e sociale. Siamo molto preoccupati per la tendenza a individuare nei più emarginati, rom e migranti in primo luogo, i facili capri espiatori di questo crescente sentimento di insicurezza.

Da anni le organizzazioni sociali laiche e religiose partecipano con impegno e competenza alla individuazione e alla sperimentazione di percorsi di inclusione sociale per superare in maniera positiva le tante situazioni di disagio nelle città, collaborando con le amministrazioni pubbliche e mettendo a disposizione il proprio radicamento territoriale e il lavoro di tanti operatori e di tante operatrici.

Occorre costruire opportunità e spazi di cittadinanza per tutte e tutti. Un welfare adeguato significa rendere i diritti esigibili e universali, indipendentemente dalle condizioni sociali, dai comportamenti e dalle possibilità di ogni individuo. C’è bisogno di un intervento che metta al centro le persone, con i loro percorsi e i loro diritti, senza rinunciare a dare risposte alle paure di tante e tanti nostri concittadini, ma ricercando soluzioni concrete, seppur più difficili e complesse.

La repressione di comportamenti illegali non può tradursi in persecuzione del disagio sociale. Accanto a una giusta attività di repressione, che deve però svolgersi nel rispetto dell’art. 3 della nostra Costituzione e prevedendo le giuste garanzie per le persone più deboli, va messa in campo una attività diffusa e radicata, di mediazione sociale e accompagnamento per la risoluzione dei conflitti, che impedisca la crescita di razzismo e frammentazione sociale. L’impegno straordinaria di personale di pubblica sicurezza per affrontare il disagio sociale e abitativo si traduce in minori forze impegnate contro la grande e la piccola criminalità e un progressivo intasamento del sistema giudiziario.

Chiediamo alle forze politiche, al Parlamento, al Governo e a tutti coloro che hanno responsabilità di governo del territorio di riportare la discussione sul disagio sociale e sulla sicurezza su un terreno costruttivo e di confronto che veda protagoniste tutte le forze sociali, i cittadini e le cittadine, compresi migranti e minoranze, ricercando soluzioni condivise e sostenibili che abbiano il segno della giustizia e della solidarietà. Le città aperte sono più sicure.

 

Paolo Beni (Arci), Stefano Rodotà, Don Luigi Ciotti (Gruppo Abele e Libera), Livio Pepino (Md), Lorenzo Trucco (Asgi), Sergio D’Angelo (Drom)

Giustizia: no a sospensione pena per chi dichiara nome falso

di Pierluigi Franz

 

La Stampa, 30 ottobre 2007

 

Giro di vite della Cassazione sui nomadi e stranieri, anche minorenni, che forniscono false generalità per depistare gli inquirenti e che hanno già la fedina penale sporca: devono andare in carcere senza poter beneficiare della condizionale, perché non possono invocare la loro giovane età, né patteggiare la pena. È questa la linea dura adottata ieri dalla quarta sezione penale della Suprema Corte con una sentenza, destinata a far discutere.

È stata così annullata una precedente decisione del Tribunale monocratico di Modena che nel 2004 aveva concesso il patteggiamento con il beneficio della pena sospesa ad una giovane nomade di origine slava colta più volte in flagrante a rubare in appartamenti. La ragazza aveva declinato ben cinque diversi nomi, cognomi, anni e luoghi di nascita. La nomade dovrà ora tornare sul banco degli imputati ed essere processata con rito ordinario senza più alcun beneficio.

La Cassazione ha accolto il ricorso del P.G. di Bologna che aveva contestato la decisione del Tribunale, affermando che cadono in errore quei giudici che, dopo aver dato il loro consenso alla pena patteggiata, non mandano in carcere i giovani zingari sorpresi più volte a rubare e a bluffare sul loro nome e cognome. Per il rappresentante della pubblica accusa era "illogico" concederle il patteggiamento e la sospensione della pena dal momento che "l’incertezza sull’effettiva identità dell’imputata, già condannata o denunciata con diverse generalità, si pone in insanabile dissidio con la possibilità di ritenere a ragione veduta che si asterrà dal commettere ulteriori reati".

Nella motivazione della sentenza gli "ermellini" di piazza Cavour hanno, infatti, sottolineato come nei confronti di "uh soggetto straniero che non risulti avere stabile dimora in Italia, che non sia stato compiutamente identificato e che sia già stato condannato o denunciato anche con diverse generalità" non può "essere formulato un giudizio prognostico favorevole" in base al quale concedere il patteggiamento e la condizionale.

Il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza del Comune di Milano, Riccardo De Corato, ha commentato positivamente la decisione dei supremi giudici: "è un bel segnale che dovrebbe essere preso ad esempio dal governo che si accinge a varare il pacchetto sicurezza". A suo parere "i nomadi recidivi che rubano o rapinano non possono godere di benefici come il patteggiamento o la condizionale. Significa ritrovarseli liberi e perpetuare un circolo vizioso che porta a decine, se non a centinaia, di furti".

Appena un mese fa la Suprema Corte con un’altra clamorosa sentenza aveva detto basta alla microcriminalità nelle città: i minori che rubano nelle abitazioni o che scippano per strada possono essere sottoposti, in attesa di essere processati e al pari di qualunque adulto, al carcere preventivo. In pratica anche i ragazzi non ancora diciottenni, italiani, nomadi, rom o slavi, possono essere sottoposti a custodia cautelare e quindi chiusi in carcere prima che venga celebrato il processo. Avranno, insomma, d’ora in avanti avranno lo stesso trattamento degli adulti.

Giustizia: perché il vento dell’impunità non soffi a Perugia

di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone)

 

Il Manifesto, 30 ottobre 2007

 

Se la magistratura ci confermerà che Aldo Bianzino è stato pestato a morte da alcuni agenti di polizia penitenziaria del carcere di Perugia, non vengano a dirci che si trattava di mele marce. Semplicemente, i segnali sono stati interpretati. Non dalle singole mele ma dal sistema tutto.

E i segnali mandati negli anni hanno detto che il carcere è un mondo a parte, che è chiuso, oscuro, non trasparente, che i diritti umani, lì dentro più che fuori, sono carta straccia, che le leggi penitenziarie possono venir non rispettate dallo Stato, che il reato di tortura può non essere introdotto nel nostro codice anche se le convenzioni internazionali lo richiedono, che si può arrivare ad ammazzare senza che il mondo di fuori se ne accorga più di tanto e senza che le inchieste facciano la loro.

Potrebbe partire da Aldo Bianzino una controtendenza. Il sottosegretario Luigi Manconi ha dichiarato che non ci saranno coperture di eventuali responsabili e che l’inchiesta amministrativa è già in corso. Una affermazione meritoria che non avevamo sentito quando sono successi i fatti di Bolzaneto, le violenze di massa nel carcere San Sebastiano a Sassari, la morte di Federico Aldrovandi a Ferrara.

L’istituzione statale dovrebbe sempre farsi riconoscere quale un complice di cui fidarsi piuttosto che un nemico da cui difendersi. Affinché ciò possa accadere, la lealtà nel fornire informazioni è la prima cosa da assicurare ai parenti, agli amici, alla stampa, alla società civile. È inconcepibile che di fronte a una morte avvenuta in circostanze tanto dubbie e tragiche un direttore di carcere possa negarsi al telefono o far finta di nulla. È inconcepibile che l’istituzione stessa non provi il desiderio di aprire porte e finestre per tutelare se stessa, la giustizia e la verità.

Lo spirito di corpo ha prodotto nefandezze e coperto violenze. Lo spirito di corpo, padre ignobile della teoria delle mele marce, non ha alcuna valenza positiva. Va contrastato con ogni strumento politico e culturale. Ci sono ancora carceri in giro per l’Italia dove la violenza è praticata. Ce ne sono altre - poche - dove è bandita.

Ma nella grande maggioranza essa è sopportata proprio nel nome dello spirito di corpo. Chi predica la tolleranza zero sappia che inevitabilmente la violenza carceraria sarà uno dei modi in cui verrà messa in atto. Nei giorni scorsi il Senato francese ha votato la legge istitutiva di un’autorità indipendente di controllo dei luoghi di detenzione.

La sinistra socialista e comunista si è astenuta condividendo il progetto ma ritenendo ci volesse un provvedimento ancora più incisivo a tutela delle persone detenute. "I diritti umani non sono né di destra né di sinistra", ha detto nei giorni scorsi Rachida Dati, ministro della Giustizia francese, commentando entusiasticamente l’approvazione della legge. In Italia, invece, per i sindaci del Partito Democratico, a non essere né di destra né di sinistra è la loro tanto ambita patinata sicurezza.

Giustizia: dichiarazione Manconi su morte di Aldo Bianzino

 

Ristretti Orizzonti, 30 ottobre 2007

 

Oggi a Perugia ho visitato l’istituto di Capanne dove il 14 ottobre scorso Aldo Bianzino è stato trovato morto. Ho incontrato il direttore, il comandante e il personale, che hanno assicurato la loro piena collaborazione alle indagini in corso; e ho visitato la sezione femminile, quella d’isolamento e quella dove è stato recluso il Bianzino e la cella dove ha trovato la morte. Successivamente ho incontrato, nella loro casa, la vedova e il figlio quattordicenne. E ho confermato loro che l’Amministrazione Penitenziaria sta cooperando con la Procura di Perugia, che indaga sulle cause e le eventuali responsabilità del decesso.

Quando muore una persona la cui incolumità è sotto la responsabilità dello Stato e delle sue istituzioni, la ricerca delle cause di quel decesso deve essere, se possibile, ancor più scrupolosa e meticolosa. Il Ministero della Giustizia, l’Amministrazione Penitenziaria e io personalmente riteniamo dovere istituzionale e punto d’onore irrinunciabile adoperarci perché sulla morte di Bianzino non rimanga alcun dubbio o zona d’ombra.

Livorno: detenuto 34enne muore stroncato da un infarto

 

Il Tirreno, 30 ottobre 2007

 

Steso sulla sua brandina sul fianco, con gli occhi chiusi e il volto all’ingiù sul cuscino, sembrava davvero che dormisse. E invece quel giaciglio nella sua cella, divisa con tre compagni, per Abeslam Slah, 34enne marocchino, era un letto di morte. È il terzo detenuto trovato senza vita nel carcere livornese in un mese.

"Alzati, altrimenti non fai in tempo a prendere il cambio lenzuola", gli ha detto ieri mattina un compagno di cella. Ma Slah non rispondeva. Allora, è scattato l’allarme e sul posto si sono precipitate le guardie. E guardandolo con occhio più attento, è emerso che il giovane aveva dei rigurgiti e dell’urina addosso. Evidentemente, in preda a un malore, aveva vomitato, avendo perso il controllo delle funzioni fisiologiche. In base alle prime ricostruzioni, l’uomo potrebbe essersi sentito male in nottata: lo fa pensare il fatto che ieri mattina, quando è stato trovato, il suo corpo era già irrigidito. Motivo della morte sembra un malore o un infarto, così come emerso da una prima analisi del medico legale. Il giovane è dunque morto nella notte, ma fino alla mattina nessuno si è accorto di nulla. Nemmeno i suoi compagni di stanza. Anche perché il ragazzo era amante del riposo mattutino ed era solito alzarsi tardi. Così all’ora della colazione, vedendolo apparentemente addormentato, nessuno l’ha disturbato. Dopo, all’ora del cambio delle lenzuola, i compagni l’hanno chiamato, senza avere risposta. Sono in corso indagini mediche per capire come e perché il giovane sia morto: la sera prima, infatti, aveva giocato e scherzato fino a mezzanotte con gli altri, senza alcun problema. Sembrerebbe comunque un malore: nessun indizio fa pensare ad altre motivazioni. Il giovane era nel carcere livornese da pochi giorni, trasferito da Porto Azzurro, dove era detenuto per detenzione di droga, per reati commessi a Oltrarno (Firenze). Era stato portato a Livorno poiché il primo c’era stata un’udienza del processo a Firenze e doveva essere riportato a Porto Azzurro.

Firenze: lite in cella, detenuto ricoverato in rianimazione 

 

Asca, 30 ottobre 2007

 

È ricoverato nel reparto di rianimazione dell’ospedale fiorentino di Careggi Rodolfo Bonavolta, 33 anni, di Carpi, l’agente immobiliare che il 13 ottobre, sotto l’effetto di alcol e cocaina, a San Casciano (Firenze) provocò un incidente stradale nel quale perse la vita un’anziana. L’uomo è stato ricoverato la notte scorsa dopo una lite a calci e pugni con il compagno di cella. Il garante fiorentino dei detenuti, Franco Corleone, ha spiegato che le condizioni di Bonavolta, che in un primo momento erano apparse gravi, stanno migliorando. "Bonavolta - ha spiegato Corleone - ha avuto uno scontro fisico con il compagno di cella, nel centro clinico del carcere di Sollicciano. Anche l’altro detenuto ha riportato qualche ferita".

Bonavolta è accusato di omicidio volontario. Per domani è prevista l’udienza al tribunale del riesame, che dovrà decidere sulla richiesta di scarcerazione presentata dai difensori di Bonavolta, Simone Zambelli e Massimo Conti. Riguardo quanto avvenuto la notte scorsa "immagino - ha spiegato Corleone - che sulla vicenda sarà aperta un’inchiesta amministrativa, anche per valutare l’opportunità di mettere nella stessa cella i due detenuti".

Caltanissetta: ex detenuti, qui l’inclusione sociale funziona

 

Corriere di Gela, 30 ottobre 2007

 

A Caltanissetta e provincia il sociale funziona: gli ex detenuti non sono abbandonati a loro stessi. Usciti dal carcere usufruiscono di borse lavoro tramite le quali imparano un mestiere, ricevono uno stipendio di circa cinquecento euro al mese e iniziano il processo di reinserimento sociale e professionale.

Ad accompagnarli in questo processo di inclusione sociale e professionale, l’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) che con il ministero di Grazia e giustizia, cooperative sociali, enti pubblici e privati sigla dei protocolli d’impresa con cui avviano delle Borse di lavoro in aziende affiliate in cui non è esclusa l’assunzione definitiva degli ex detenuti.

"Questa estate sono partite sei borse lavoro del progetto "Inserirete" - dice Rosamaria Miraglia, assistente sociale dell’Uepe -, di cui due a Gela, tre a Caltanissetta e una ad Enna. Ogni borsa ha la durata di sei mesi e vertono nel campo dell’edilizia e dei trasporti. Uno degli ex detenuti, che ha usufruito della borsa, sarà’ assunto definitivamente in un’azienda di autotrasporti del nisseno". C’è in cantiere, intanto, un altro progetto, siglato tra Uepe e Provincia di Caltanissetta. Si chiama "Lavorando insieme" e prevede l’assegnazione di tre Borse Lavoro tutte su Gela.

"Il settore in cui i beneficiari della borsa lavoreranno - continua Miraglia - è il verde pubblico. A Gela c’è infatti un’area molto estesa, un parco che ha bisogno di molta manutenzione. Gli ex detenuti faranno formazione sul campo, impareranno un lavoro e saranno seguiti da un tutor dell’azienda e da un operatore dell’Uepe".

Questi sono alcuni dati emersi durante la presentazione del VI seminario sulla "Progettazione integrata tra autorità pubbliche e privato sociale per il prossimo Nap Italia", a valere sulla call for proposals Vp/2006-12 (National Awareness Raising Actions On Social Inclusion And Social Protection - Piano Azione Nazionale) - finanziato dalla commissione europea che si è svolta nella sede della Provincia Regionale di Caltanissetta, (Ufficio Progetti Speciali,via Bresmes n° 48).

Al convegno hanno partecipato tra gli altri, Andrea Giostra, Presidente Fenice, Cooperativa Sociale Onlus di Palermo, rappresentanti dell’Uepe di Caltanissetta tra cui Rosamaria Miraglia e l’assessore provinciale alle Politiche sociali, Marcella Santino, Filippo Collura, presidente della Provincia Regionale di Caltanissetta e Cataldo Salerno, presidente della Provincia Regionale di Enna. Intanto la Provincia sta attivando delle Borse lavoro anche per minori.

"Fa parte dello stesso protocollo d’intesa di "Lavorando insieme" - dice l’assessore Santino - ma i beneficiari sono i minori che si trovano nel circuito penale. Le borse mirano al recupero e al reinserimento del minore e vanno da un minimo di sei mesi ad un massimo di due anni. Per quanto riguarda gli indultati "abbiamo presentato al ministero di Grazia e giustizia - continua Santino - un progetto "Sincro" che si rivolge unicamente a cento indultati di Caltanissetta e provincia. Consiste nel reinserimento professionale degli ex detenuti. Aspettiamo l’ok definitivo del Ministero e lo stanziamento di finanziamenti".

"Il Nap (Piano di azione nazionale) mira al reinserimento sociale di ex tossicodipendenti ed ex detenuti in osservanza ai dettami della "Strategia di Lisbona" e del Trattato di Amsterdam - ha detto Giostra - e a fornire linee guida alla Comunità europea sulle azioni da applicare, in Sicilia, per arginare l’emarginazione sociale degli ex detenuti e ex tossicodipendenti".

Nel corso dell’incontro sono stati affrontati diversi e interessanti argomenti. Si è discusso del meccanismo del metodo aperto di coordinamento, degli obiettivi europei e il ruolo dell’Ue nel processo di inclusione sociale, dei progetti realizzati nel territorio provinciale, del ruolo dei partenariati nell’accesso ai fondi europei, della realtà sociale di Gela, con dati attinenti ai processi di reinserimento sociale e professionale degli ex detenuti ed ex tossicodipendenti e poi ancora delle aspettative e gli scopi che tramite il progetto Nap vuole perseguire la Commissione europea ed infine della rieducazione da una concreta opportunità di lavoro con cui togliere gli ex detenuti dal pericolo di tornare a delinquere. Con questa logica la Provincia ha attivato tre diverse iniziative: la mediazione penale per minori, scolastica e familiare.

Torino: con le fiabe i detenuti dimenticano anche l’eroina

di Giovanna Favro

 

La Stampa, 30 ottobre 2007

 

Rosanna Rutigliano è una psicologa e psicoterapeuta junghiana. Per 3 anni ha curato i detenuti tossicodipendenti finiti nel carcere "Lorusso e Cutugno", aiutandoli ad uscire dalla droga, con le fiabe dei fratelli Grimm. Uno strumento sorprendente.

Ma la Rutigliano ha dimostrato che funziona. Tredici classici per l’infanzia, da "Hänsel e Gretel" a "Le tre piume", "L’oca d’oro" o "Gian Porcospino", proposti ad eroinomani e cocainomani sono diventati "fiaboterapia": le chiavi "per liberare sul piano psichico energie dirompenti, capaci di condurre alla guarigione e alla salvezza".

La psicologa racconta il suo lavoro con i carcerati in un volume, "L’uomo senza paura", in libreria tra pochi giorni per Antigone Edizioni. Tutto ruota intorno a un presupposto: "Le fiabe sono opere dell’inconscio collettivo. Seguono schemi di narrazione che si ripetono da millenni, e contengono archetipi capaci non solo di liberare contenuti emotivi, ma di trasformare la realtà, cambiando le esistenze delle persone".

Rutigliano ha 61 anni, è giudice delegato al Tribunale per i minori e opera con i detenuti dal 1995. L’esperienza de "L’uomo senza paura" è partito da un’intuizione: ha pensato di sperimentare per la prima volta sui carcerati dipendenti dalla droga la "fiaboterapia", consolidata tecnica junghiana, che insegna a un master della Scuola universitaria Rebaudengo.

Ha operato con gruppi di una trentina di carcerati alla volta, ciascuno in "fiaboterapia" per 6 mesi. Dopo la lettura di un testo ad alta voce, uno dei tossicodipendenti accetta di interpretare il protagonista, assegnando ai compagni gli altri ruoli del racconto. "Nelle fiabe c’è sempre un eroe, che a volte è sfortunato, il peggiore di tutti: il più debole, il grullo. L’eroe lotta per conquistare qualcosa, affrontando la paura. C’è sempre anche un antagonista: un personaggio, un ostacolo, una trasformazione o la morte, rispetto al quale la fiaba offre una via di salvezza".

Compaiono sempre "pure gli aiutanti dell’eroe: animali o viandanti, che lo supportano nel superamento di tre prove. Si tratta di usare perseveranza e coraggio: l’insegnamento che ne deriva è che dopo una prova ce n’è sempre un’altra, ma c’è sempre una via d’uscita. Alla fine c’è un premio: la principessa o la ricchezza, che rappresentano la conquista di sé".

Nelle varie tappe della "fiaboterapia" i detenuti "ritrovano negli archetipi delle fiabe le tappe fondamentali della loro vita". Incarnando il soldato di "Pelle d’orso", Momo ha ad esempio raccontato l’abbandono della compagna, e dispiegato "la sua modalità tossica di vivere: voleva tutto e subito, come se i suoi desideri potessero avverarsi magicamente e come se non potesse concepire una volontà diversa dalla propria". La sua esperienza con i detenuti tossicomani è conclusa, ma non ha smesso di lavorare in carcere. Oggi opera con i detenuti "sex offenders", autori di reati in cui è coinvolta la sessualità. Vorrebbe provare la fiaboterapia anche su di loro.

Vallanzasca: non chiederò più la grazia… ho aperto un blog

di Tiziano Marelli

 

Affari Italiani, 30 ottobre 2007

 

Sul rifiuto della concessione del provvedimento di grazia nei suoi confronti abbiamo rivolto alcune domande a Renato Vallanzasca, forti di una consuetudine epistolare iniziata professionalmente da tempo, e che ormai si è trasformata in sentimento di reciproca stima e indubbio rispetto. Come si potrà anche dedurre dal "botta e risposta" riportato di seguito, quello che è forse il detenuto più famoso d’Italia si dimostra una volta di più uomo franco e schietto, non nasconde la sua rabbia per l’accaduto ma si sente comunque "forte come una roccia", pieno di interessi e speranze per il futuro anche se se lo immagina forse non da uomo libero, visto che non ha intenzione di rinnovare in futuro la domanda che stavolta non è stata accolta. Tutto questo, e non solo questo dice ad Affari, fino a parlare anche del suo "strano rapporto" con l’ex questore Achille Serra. Vorrei anche segnalare una sorta di "chicca web". Come si noterà nell’intervista, Vallanzasca accenna almeno in due occasioni alla rete e alle sue peculiarità, a dimostrazione di una conoscenza di internet forse impensabile per qualcuno che non ha certamente mai avuto occasione di accedervi direttamente, in un modo o nell’altro, dalla sua… postazione fissa.

Ebbene, questa è senz’altro una notizia: da pochissimo tempo è attivo il blog www.renatovallanzasca.com. L’home page è occupata da una sua lunga lettera che spiega il perché dell’iniziativa virtuale, il resto del sito è ancora "in costruzione", ma presto (come si può dedurre dai link previsti) non mancheranno le possibilità per "interagire" con l’autore, anche se lui potrà poi intervenire - naturalmente - solo per interposta persona.

Ma questa capacità di cogliere al volo le opportunità date dagli strumenti più attuali testimonia dell’intelligenza e della creatività del personaggio: caratteristiche - del resto - che gli sono state sempre riconosciute da chi ha avuto modo di conoscerlo. Anche da questo si può ben comprendere come sia diverso il Vallanzasca di oggi dal "bel René" che scorrazzava impunemente, e non solo per le strade della Comasina, ormai tanti (tantissimi, a dire il vero) anni fa…

 

Sinceramente, ti aspettavi che la domanda di grazia fosse respinta?

Quando è iniziato l’iter, ero molto scettico che la grazia potesse essermi concessa. Poi mi arrivarono voci da persone che si definivano "bene informate" che cominciarono a farmi sperare che la cosa potesse anche concretizzarsi. Ma più o meno cinque mesi fa venni a conoscenza di un’esternazione fatta da un politico che suonava più o meno così: "Per principio non avrei nulla da ridire se fosse concessa la grazia a Vallanzasca, perché aldilà dei crimini di cui si è reso responsabile non si può negare che di galera se ne sia fatta come nessun altro, pur non essendo certo il peggiore in assoluto. Fra l’altro, non ha mai accampato scuse sociologiche o finti piagnistei. La sua sfortuna, adesso, è stata la concessione dell’indulto, le polemiche che ne sono seguite e il momento emergenziale e difficile che stiamo attraversando. Basti pensare a Vallettopoli". Quando ho letto di questo accostamento, mi sono immediatamente convinto che la grazia dovevo scordarmela.

 

Come ti senti ora?

Come si può sentire una persona a cui sembra abbiano tolto ogni speranza? Ma come ti dicevo, ero preparato al peggio, quindi dopo un attimo - ma proprio un attimo! - di smarrimento, ho ripreso a vivere la mia solita vita che, a dispetto di chi mi vorrebbe sull’orlo della pazzia, è piena di interessi al punto che vorrei che le mie giornate fossero di settantadue ore. Se si tiene presente che si tratta dell’affermazione di un ergastolano si potrebbe pensare ad una sparata paradossale, ma è la pura e semplice verità. Le sole cose stonate alla notizia che sarei rimasto ancora dentro sono state le reazioni di Antonella (Antonella D’Agostino, la sua attuale compagna, ndr) e soprattutto della mia bella mammetta: loro, nonostante da tempo cercassi di metterle in guardia sulla possibilità che la risposta fosse negativa, ci credevano davvero, e quindi è naturale che la loro delusione sia stata grande. E se adesso Antonella se n’è fatta una ragione, così non è per la mamma: lei non si è ancora ripresa, e il suo cuore malatissimo continua a fare le bizze.

 

Ti senti ancora di combattere per la tua definitiva libertà?

Assolutamente no. Combatterei alla morte - vorrei mi si credesse sulla parola - se si trattasse di qualcosa che riterrei mi spettasse di diritto. Ma io avevo chiesto un atto di clemenza. Sarebbe assurdo, adesso, accampare ancora pretese.

 

Quindi, non ripresenterai la domanda di grazia in tempi brevi?

Non se ne parla proprio. Mi sono lasciato convincere una volta, ed è stata una volta di troppo. Del resto, sono dodici anni che Renato Vallanzasca non ha più creato il benché minimo problema a nessuno. Dodici anni: non giorni, settimane o mesi… dodici anni! E voglio anche essere preciso in merito ai conteggi che mi riguardano perché i media non sono quasi mai precisi a questo proposito. In totale, fino ad ora, sono trentasette gli anni di carcere che ho scontato. Ma qui voglio parlare solo degli ultimi dodici, perché nei precedenti è indubbio che io non abbia esitato a creare ogni sorta di problema a chiunque abbia tentato di tenermi "ristretto" tra quattro mura, condizione alla quale non riuscivo in nessun modo ad adattarmi. Fughe (più tentate che riuscite), scontri, casini… Quindi, anche se la galera fatta resta senz’altro, per la domanda di grazia intendevo che si tenessero in considerazione esclusivamente gli anni nei quali mi sono comportato da detenuto quasi modello. Se questo non è stato ritenuto sufficiente dal Presidente, non posso farci nulla, io ho fatto quello che ritenevo giusto. E se anche il Presidente Napolitano ha agito convinto di essere nel giusto, la storia può finire qui: a lui non devo chiedere più niente.

 

Si può allora dire che la tua vita sia ripresa come prima. Allora, come passa le sue giornate il detenuto Vallanzasca?

Come già accennato, sono tutte decisamente impegnate ed impegnative. Mi do molto da fare e, oltre a mantenere solide (come si dice oggi) public relations con l’esterno, aggiorno le mie conoscenze informatiche leggendo libri e riviste che trattano la materia, senza contare che continuo il mio rapporto lavorativo con Saman, una Onlus che ormai da un paio d’anni è il mio datore di lavoro. Insomma, a parte qualche giornata decisamente storta, non posso certo dire di annoiarmi.

 

Hai presentato anche domanda per il lavoro esterno? In qualche modo credi a questa possibilità?

Non ho neppure la più vaga idea di quello che, a questo punto, potrebbe essere il mio futuro. Credo davvero che non farò proprio nulla e non chiederò più niente. Chi di dovere è a conoscenza di quali e quanto diano seri i miei propositi. Credo che ora tocchi ad altri farmi delle proposte, serie almeno quanto lo è stato in questi anni il mio comportamento. Se succederà bene, altrimenti marcirò qui. In fin dei conti me la sono cercata. Credo, però, che non cogliere quanto sia importante favorire il mio reinserimento sarebbe da ottusi, in una situazione giudiziaria e carceraria che va sempre più verso lo sfascio totale. Vallanzasca martirizzato e capro espiatorio: a chi giova?

 

Hai potuto usufruire di altri tipi di permessi nell’ultimo periodo?

Parlare di permessi ora, dopo il rifiuto della grazia, è assurdo. Del resto, già prima di quando si era intuito che la risposta del Presidente non sarebbe stata positiva, di benefici di qualsiasi tipo nei miei confronti non si è più parlato. Non voglio certo lamentarmi, ma fino al luglio scorso qualcosa mi era stato concesso: magari senza che mi potessi "allargare" troppo, ma non ho dovuto nemmeno patire troppo per ottenere qualcosa. Insomma, anche se lentamente, alcuni meccanismi sembravano essersi messi in moto. Poi, con la mancata grazia, è logico che questi meccanismi ne abbiano risentito. Paradossalmente, questa storia mi ha fatto fare alcuni passi indietro…

Comunque, sono corazzato e determinato a proseguire sulla strada che intrapresi al mio arrivo a Novara dall’Asinara, appunto poco più di una dozzina di anni fa. Prima o poi anche chi è meno propenso a credere che il Renato di oggi non ha più nulla a che spartire con il famigerato bandito di un tempo e che in nessun caso potrebbe mai più rappresentare un pericolo, dovrà rendersi conto che le chiacchiere sono a zero, e a contare sono solo i fatti. E. lo ripeto, i miei sono dodici anni di fatti concreti. Torno solo un attimo ai permessi solo perché questa nuova situazione mi ha creato problemi con mia madre, considerato che ormai da anni sono riuscito a vederla solo andando a trovarla, visto che le sue condizioni di salute non le permettono di muoversi. Del resto, proprio la vicinanza di Opera a lei è stata la ragione del mio trasferimento da Voghera. Dopo tutto quel che è successo nell’ultimo periodo, dall’ultima volta che sono andato a casa a trovarla sono passati tre mesi. Non devo aggiungere altro.

 

Achille Serra dice spesso che quando pensa a te pensa anche ai suoi uomini caduti per mano tua. Vuoi dire qualcosa a questo proposito?

Non discuto che, sentendo parlare di me, Serra possa ripensare ai suoi uomini caduti: sarebbe indegno per qualsiasi uomo di Stato se così non fosse. Vorrei però ricordare che lo stesso Serra, sino ad un paio di anni fa, si era sempre espresso in un certo modo su di me e su tutta la mia vicenda, anche nelle interviste. A questo proposito anticipo che, per chi avesse la memoria corta, potrei trovare il modo di metterle in rete su internet, a scanso di equivoci. Ultimamente, parlando della grazia, pur dicendo che lui me l’avrebbe concessa, Serra affermava anche che in un Paese dove sono pochi quelli che veramente pagano tanto a lungo un loro debito con la Giustizia, a uno come me (visti gli anni scontati) sarebbe stato giusto concedere un’opportunità, magari ricorrendo ad una di quelle misure alternative di cui molti usufruiscono. Parola più, parola meno. Subito si sono levate le solite proteste: fra le altre, quelle del sindacato di Polizia fino a quelle del responsabile dell’associazione delle vittime di mafia. Da quel momento in poi Achille Serra non ha perso occasione di esternare per "chiarire"al meglio la sua posizione, di fatto creandomi solo problemi.

In più, nel libro che ha scritto sulla sua "vita da poliziotto" (ed evito qualsiasi commento sull’opera dal punto di vista, diciamo così, strettamente letterario…) mi dedica circa un centinaio di pagine: quasi un terzo dell’intero volume! Allora, vista l’occasione ne ho approfittato per scrivergli e per dirgli quello che pensavo del suo "cambio di rotta" rispetto alla mia condizione detentiva, facendogli anche notare che aveva pubblicato su di me un coacervo di falsità. Ovviamente non mi ha risposto ma nemmeno denunciato, come forse poteva fare, visto il tono della mia lettera.

Anzi, a qualcuno ha avuto il coraggio di confidare: "Renato, dopo aver letto il mio libro, mi ha scritto", lasciando intendere che mi felicitassi con lui. Forse dovevo farlo davvero, vista la valanga di fango che è riuscito a rovesciarmi addosso! Ultimamente mi è pure toccato sentire che si è interessato per farmi avere un avvicinamento alla mia vecchina malata. Colgo quindi anche questa occasione per far sapere al signor Serra che né io né mia madre sentiamo il bisogno dei suoi atti umanitari. Anzi, se vuol fare cosa gradita a me e a lei, eviti in futuro - se possibile - di parlare di Renato Vallanzasca.

 

Dopo che la domanda di grazia è stata respinta, hai ricevuto attestati di solidarietà?

Sì, e molti di più di quanti me ne sarei aspettati. Invece, non mi è arrivato nemmeno un messaggio del tipo "Ti sta bene" o "Sono contento". Evidentemente erano in molti a sperare in un mio ritorno alla libertà. E qui allora ne approfitto per ringraziare di cuore tutti, anche i tanti anonimi che mi hanno scritto per dedicarmi un pensiero. E rivelo un episodio: per circa un’ora, il giorno della non-concessione della libertà si è sparsa su internet la notizia che sarei invece tornato libero. Come si può immaginare, io non posso collegarmi ad internet, ma evidentemente qualcun altro lo ha fatto, prendendo letteralmente per i fondelli la rete. La mia Antonella, che non è evidentemente dotata di senso dell’humour, mi ha detto che si è fatta un bel pianto. A me, invece, la cosa ha divertito parecchio…

 

Quindi, a conti fatti, ti sono vicini in tanti…

Con il cuore e la mente penso siano anche molti più di quanti si sono premurati di farmelo sapere scrivendomi. E quelle che "vedo" e "sento" care sono tantissime persone. Naturalmente, so benissimo di poter contare moltissimo su Antonella e sulla sua e nostra grande famiglia. Posso assicurare che se mai dovessi avere necessità di sostegno morale, grazie alla mia famiglia mi sentirò sempre forte come una roccia!

 

 

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