Rassegna stampa 15 ottobre

 

Giustizia: il pacchetto sicurezza? inaccettabile ed inquietante

di Giovanni Russo Spena (Capogruppo Prc-Se al Senato)

 

Liberazione, 15 ottobre 2007

 

Nella forma attuale il pacchetto sicurezza che il governo si prepara ad approvare è inaccettabile. Non solo, infatti, non configura una politica della sicurezza innovativa, come è lecito aspettarsi da un governo di centrosinistra, ma registra invece dei drastici passi indietro rispetto al livello di civiltà giuridica raggiunto dal nostro paese, al punto di autorizzare il dubbio di anticostituzionalità. E questo, a mio parere, senza neppure riuscire ad affrontare seriamente, con efficacia invece che propagandisticamente, il nodo della sicurezza.

Nel ddl, in realtà, ci sono anche alcuni (pochi) elementi positivi. È un bene, prima di tutto, che si tratti appunto di un disegno di legge e non di un decreto, come chiedevano le destre. Vi sarà, così, possibilità di un serio confronto in Parlamento.

È positiva, inoltre, la previsione di una accelerazione delle procedure concernenti la confisca dei beni mafiosi e la loro consegna agli enti pubblici per una nuova destinazione sociale. Si interviene, finalmente, come Don Ciotti e "Libera" hanno sempre chiesto, su una legge importantissima che Berlusconi aveva depotenziato gravemente. Giusta è anche l’equiparazione dei familiari delle vittime della mafia a quelli delle vittime del terrorismo (anche questa è sempre stata una richiesta delle associazioni antimafia, ed è infine del tutto apprezzabile il rafforzamento degli uffici giudiziari, soprattutto nel Sud.

Ma qui finiscono gli esili dati positivi. Per il resto la legge non presenta aspetti condivisibili, e alcune norme, se confermeranno quanto sinora annunziato sono anzi inaudita gravità. L’ipotesi di estendere l’obbligo di custodia cautelare ai reati considerati "di massimo allarme sociale", indipendentemente dalla gravità oggettiva del reato in questione, si configura a mio parere come una plateale violazione dell’art. 13 della Costituzione.

Anche per reati in sé minori come ad esempio lo scippo, in nome del "massimo allarme sociale", non sarebbe più prevista alcuna sospensione della pena in attesa di giudizio. È il caso di segnalare che una misura simile va ben oltre la stessa richiesta di "certezza della pena", formula che anche nella sua formula più restrittiva non significa affatto rendere obbligatorie le misure cautelari oltre i casi previsti tassativamente dall’ordinamento…

È, in secondo luogo, un incivile stravolgimento delle regole il cosiddetto "provvedimento anti-Rom"; in base al quale i prefetti potranno aver mano libera nell’espellere anche i cittadini comunitari. Senza nessun controllo né provvedimento giurisdizionale; e, si badi, non solo per sospetto di terrorismo, ma anche per motivi di "ordine e sicurezza pubblica". Una formula, come si vede, che rende la discrezionalità prefettizia massima, i controlli minimi, le garanzie per i soggetti inesistenti.

È infine grave il provvedimento che riguarda l’estensione dei poteri dei sindaci. Il comma 3 dell’articolo 54 del testo unico degli enti locali parla soltanto di poteri di intervento per "gravi pericoli che minacciano l’incolumità". Ora si introduce il principio di "sicurezza urbana dei cittadini e di gravi pericoli che recano pregiudizio al decoro urbano".

Con queste modifiche si ampliano a dismisura i poteri dei sindaci sul terreno proprio delle forze dell’ordine. Per chi disegna sui muri è prevista la procedibilità d’ufficio per i reati di danneggiamento. Avete letto bene: per i ragazzi che disegnano sui muri è prevista la "procedibilità d’ufficio". Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo.

Aldilà dei suoi specifici, e già di per sé pericolosissimi, contenuti è l’identità di fondo del provvedimento a essere pessima e assai inquietante. Si tratta infatti della metafora di una lotta alla povertà che diventa subito, per tanta parte del centrosinistra, lotta contro i poveri. Come ha segnalato Marco Revelli siamo di fronte ad una vera e propria "pedagogia del disumano". Sarà contento Beppe Grillo, che nei Rom vede "una bomba a tempo; va disinnescata".

Per opporsi alla deriva di cui questo provvedimento è frutto e insieme sintomo, credo che ci si debba misurare con un dato di fondo: non si può continuare a legiferare sotto il peso dell’emergenza, in una sorta di "stato di eccezione permanente" come capita da tempo immemorabile e ora di nuovo, con i lavavetri e i Rom nella parte del nemico emergenziale di turno. L’esigenza di sicurezza è sacrosanta, ma va assicurata entro le regole dello stato di diritto e del sistema delle garanzie. Altrimenti diventa sicuritarismo, "caccia al diverso", creazione del "nemico", una pratica iniqua e oltretutto inefficace.

La sicurezza, infatti, passa per la costruzione di presidi democratici sul territorio e per l’incentivazione degli elementi di socializzazione, non per l’autoritarismo xenofobo e per il razzismo istituzionale. La più grande sciocchezza ripetuta in questi giorni è che la "sicurezza non è né di destra né di sinistra". Il modo in cui si combatte l’insicurezza sociale è, al contrario, il grande discrimine tra destra e sinistra, dentro e contro la globalizzazione liberista.

Giustizia: l’allarme sui presunti effetti catastrofici dell'indulto

di Davide Varì

 

Liberazione, 15 ottobre 2007

 

Sull’indulto è ormai guerra di numeri, dati e statistiche. La Stampa dell’altro ieri, tanto per dirne una, ha dedicato una pagina intera - corredata da un valanga confusa di dati - per dimostrare quanto l’indulto sia direttamente proporzionale all’aumento di furti, spaccio di droga, rapine e via discorrendo. Insomma, il solito tentativo di gonfiare ancora di più l’emergenza sicurezza e rintracciarne la causa nell’origine di tutti i mali italiani: l’indulto ovviamente.

In tutto questo, la cosa che più sorprendente, è l’assoluto silenzio sulla grande criminalità organizzata. Mentre si inseguono mendicati e writers, pubblicando intere paginate sull’arroganza dei lavavetri, si ignora del tutto il dato della camorra, della mafia e della ‘ndrangheta: la più importante organizzazione criminale del mondo. Ma tutto questo, evidentemente non fa notizia, e allora è meglio concentrarsi sui criminali "minori".

Partiamo dalle rapine in banca: nella sua lunga "inchiesta" La Stampa prende come dato di riferimento non quello del ministero dell’Interno, ma una ricerca dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana: "Prima dell’indulto - scrive il quotidiano diretto da Giulio Anselmi - il dato era del 17%, mentre nella seconda parte del 2006, dopo l’indulto, si è arrivati ad un ritmo annuo del 30%".

Nessun problema se non fosse che, proprio rispetto alle rapine in banca, il quotidiano torinese "dimentica" di citare i dati del ministero dell’interno. Ebbene, andando a spulciare tra le 450 pagine del "Rapporto sulla criminalità in Italia 2006" - comprendente dunque i primi 5 mesi di indulto - si scopre che nel 2005 le rapine in banca sono state 2.735, passate a 2.774 nel 2006. Un dato sostanzialmente invariato, ma evidente non utile a dimostrare la pericolosità sociale derivata dall’indulto.

Non solo, sempre nell’articolo pubblicato dalla Stampa si viene a sapere che truffe, tentati omicidi, delitti informatici, incendi, contraffazioni e sequestri di persona avrebbero subito una generalizzata "impennata". Anche qui sarebbe bastato dare un’occhiata al rapporto del Viminale per rendersi conto in modo dettagliato che negli ultimi 10 anni, 2006 compreso, quei reati sono rimasti generalmente invariati.

Per quanto riguarda i furti, il dato degli ultimi dieci anni riferisce infatti di un tasso medio compreso tra i 2.500 e i 2.700 l’anno. Nel 2006, l’anno dell’indulto, il tasso dei furti denunciati è stato di 2.692; perfettamente in media dunque. Sempre negli ultimi dieci anni, il tasso dei tentati omicidi si è attestato in torno al 3,1. Nel 2006 questo tasso è addirittura sceso al 2,6. Poi c’è il capitolo sui sequestri di persona: 2,8 nel 2005 e 2,7 nel 2006; quello delle estorsioni: 9,5 nel 2005 contro il 9,0 del 2006.

Insomma, a leggere i dati ufficiali del Viminale si viene a scoprire un’unica verità: l’indulto, almeno nei primi 5 mesi, non ha determinato nessun aumento dei crimini. Anzi, il più delle volte i crimini sono calati. Eppure, in tutto questo, il bisogno di sicurezza è sempre più sentito come un’urgenza, un’emergenza addirittura. Un’emergenza però che non trova alcuna giustificazione se non quella di costruirsi una carriera politica.

In effetti sulla cosiddetta sicurezza percepita, gli stesso dati del Viminale parlano chiaro: alla domanda "quanto considerate a rischio la zona in cui vivete", la risposta degli italiani non lascia dubbi di sorta: dal 1993 un italiano su tre considera molto a rischio criminalità la zona in cui vive. Un dato che si mantiene assolutamente stabile fino al 2005. A questo punto sarà interessante verificare quanto la campagna securitaria in corso influirà sul dato, ancora non disponibile, del 2006 e del 2007. E sarà altrettanto interessante comparare questo dato, che di certo sarà in crescita, con quello dei reati che, come già detto, è sostanzialmente invariato. Se come ci aspettiamo il dato sulla percezione dell’insicurezza sarà aumentato, allora il bombardamento mediatico avrà funzionato a dovere e Cofferati, Veltroni e Domenici, magari con l’appoggio di Fini e Bossi, potranno continuare a deliberare tranquillamente le loro ordinanze anti-rom, lavavetri e via discorrendo.

Anche Alessandro Margara, quarant’anni da magistrato e cinque da direttore delle carceri italiane, ha pochi dubbi: "Ultimamente - dice a Liberazione - di dati ne girano davvero troppi che arrivano dalle fonti più disparate. Per quanto mi riguarda io farei riferimento solo a quelli del ministero. Ed il ministero ultimamente è stato chiaro: dopo l’indulto non c’è stato alcun aumento di reati. Mi colpisce molto il dato sulla droga pubblicato da La Stampa: parlano di aumento, ma in realtà ad aumentare saranno state le operazioni di contrasto dovute alla legge Fini-Giovanardi, piuttosto che un reale aumento del genere di reato. Insomma - conclude Margara - possono continuare a ricamare quanto vogliono sull’indulto. Chiedo solo un po’ di serietà sulle fonti dei dati".

Giustizia: Marroni; il Governo va su una strada senza uscite

 

Comunicato stampa, 15 ottobre 2007

 

Il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, con gli altri Garanti italiani dei diritti delle persone limitate nella libertà, criticano le misure annunciate dall’esecutivo in materia di sicurezza.

"La strada intrapresa dal Governo per affrontare la cosiddetta "questione sicurezza" non ha uscite". È quanto affermano, in una nota congiunta, i Garanti italiani dei Diritti delle Persone Limitate nella libertà, criticando le misure annunciate dall’esecutivo in materia di sicurezza.

"Le misure annunciate comporterebbero l’ulteriore criminalizzazione della marginalità sociale e contraccolpi insostenibili per il sistema giudiziario e penitenziario - è scritto nella nota - aumentando il carico dei processi e il numero degli incarcerati per custodia cautelare, che ammonta ad oltre la metà dei detenuti.

I dati attestano che il carcere si traduce in un moltiplicatore di criminalità e che, al contrario, punire senza incarcerare riduce i rischi di recidiva. La certezza della pena non deve tradursi in certezza del carcere, ma in pene modulate sulla gravità dei comportamenti che prevedano il carcere solo come rimedio estremo".

Secondo i Garanti, "la legalità non si persegue con misure eccezionali applicate ai comportamenti ad alto indice di odiosità (lavavetri e graffitari) o mettendo sullo stesso piano abusivismo commerciale e traffico di stupefacenti, né si persegue investendo i sindaci di attribuzioni di dubbia costituzionalità. La strada che porta alla legalità non ammette scorciatoie ed ha un solo passaggio obbligato: quello che prevede la rapida approvazione della riforma del codice penale".

"In queste giorni fra guerre ai lavavetri, recrudescenza della criminalità comune, dati sulla recidiva degli indultati e sul tempo medio di permanenza in carcere si è fatto un gran polverone che non aiuta ad affrontare il problema con serenità", ha detto il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni.

I dati del Dap dicono che, a fronte di un tasso medio di recidiva del 68% di quanti hanno trascorso integralmente la pena in carcere, la percentuale dei rientrati in carcere dopo l’indulto è del 20%; inoltre la recidiva tra chi beneficia di misure alternative alla detenzione è del 19%. In sostanza, tanto più si ricorre a misure alternative alla detenzione, minore è la probabilità che i destinatari dei benefici commettano nuovi reati perché il tasso di recidiva è più basso tra chi beneficia di misure alternative che non tra quanti trascorso integralmente la pena in carcere. "Se questi sono i dati - ha concluso Marroni - possiamo dire che se vogliamo effettivamente ridurre il numero dei reati e favorire una maggiore sicurezza non occorre diminuire il ricorso alle misure alternative, ma aumentarlo sensibilmente".

Giustizia: inchiesta su inefficienze dei processi per direttissima

 

Apcom, 15 ottobre 2007

 

Il quotidiano "La Repubblica" in dossier - inchiesta ha evidenziato una serie di inefficienze relative ai procedimenti dei processi per direttissima. Secondo il noto quotidiano, nella maggior parte dei casi, gli arrestati tornano in libertà e, per di più, chiedono il gratuito patrocinio a spese dello Stato con la conseguenza che in questo modo "la collettività paga due volte". "È sufficiente dichiarare che il proprio reddito annuo non supera i 9.732,84 euro fermo restando il diritto a scegliere il proprio avvocato di fiducia. E nessuno controlla davvero. Un modulo, una firma e si passa oltre. Il sistema processa un esercito di dichiarati nullatenenti".

"I processi per direttissima - si legge nel dossier - sono il secchiello bucato con cui l’amministrazione della giustizia si sveglia al mattino per svuotare il mare. Perché l’ingresso nell’ingranaggio penale del reo confesso o arrestato in flagranza condivide con il resto del sistema la sua irragionevolezza ed inefficienza".

Richiamando le dichiarazioni fatte dal Presidente della Cassazione nel corso dell’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario, la Repubblica ha evidenziato che da quasi tutti i distretti giudiziari, "si segnala il costante aumento del ricorso al patrocinio a spese dello Stato con un abnorme impatto sulla finanza pubblica.

I dati raccolti al ministero di Giustizia, confermano che nel 2006 le parcelle saldate dallo Stato agli avvocati dei dichiarati indigenti hanno superato i 70 milioni di euro; ne hanno beneficiato in 84 mila tra indagati, imputati e condannati in primo grado e l’87% di chi ne aveva fatto richiesta. Otto su 10 sono cittadini e non contribuenti italiani, due invece stranieri e questo in una geografia di dichiarata povertà assai curiosa".

Giustizia: Torino; ogni mezz’ora un reato va in prescrizione

di Raphaël Zanotti

 

La Stampa, 15 ottobre 2007

 

Il Santo, la grazia, non la concede a tutti. San Prescritto è il patrono delle classi ricche, degli abbienti, dei "colletti bianchi". Il suo taumaturgico tocco è riservato a chi ha le possibilità economiche per pagarsi i migliori avvocati, a chi può sostenere anni di udienze, slittamenti, perizie e controperizie. Tutto alla luce del sole, perché nessuno perde la faccia: è il sistema, la legge che lo dice, io che ci posso fare?

Ma a forza di benedizioni, l’esercito dei prescritti avanza in modo preoccupante. Le sue file s’ingrossano di continuo. Nel distretto di Torino ogni giorno ci sono 38 prescritti in più. Persone che, in teoria, stavano subendo un processo perché sospettati di aver commesso un reato e che, da un giorno all’altro, sono stati riabilitati in toto. Nessuna punizione, lo Stato non ha più interesse. Ogni ora che passa si prescrivono due reati e alla fine del 2006 sono stati 14.005 i provvedimenti di decadenza emessi.

Per intenderci, più di tutti quelli di Sicilia e Sardegna messi insieme. I distretti di Palermo, Messina, Caltanissetta, Catania, Cagliari e Sassari ne hanno infatti collezionati appena 12.846. Torino, secondo i dati forniti dal ministero della Giustizia, risulta essere il terzo distretto d’Italia, subito dietro Napoli e Bologna, tanto per numeri di provvedimenti che per beneficiari che per reati decaduti. E il suo è un primato che si mantiene nel tempo.

Certo, le leggi nazionali hanno dato una bella spinta. Chi non ha provato (e nella maggior parte dei casi con successo) a uscir fuori pulito da un processo sfruttando la finestra della prescrizione? Lo ha fatto Riccardo Agricola, il medico della Juventus condannato in primo grado a un anno e dieci mesi per somministrazione pericolosa di farmaci ai giocatori bianconeri. In appello venne assolto e in Cassazione si svolse una battaglia legale asperrima solo per determinare il giorno esatto dal quale calcolare la prescrizione. Vinse Agricola.

Ma anche le inchieste cominciate nel 2004 sulle attività dell’Ordine Mauriziano, in realtà, sono state svuotate dalle prescrizioni. Sono mille i casi in cui l’orologio conta più delle prove o delle argomentazioni difensive. Non per tutti, però. La prescrizione fa decadere il reato e lo specchio della situazione lo si ha guardando dietro le sbarre delle prigioni. Di "colletti bianchi" non se ne vedono molti, da queste parti. Bianchi sono e immacolati sono rimasti.

Nel carcere di Torino, il 10 ottobre scorso, c’erano detenuti a cui venivano contestati 3.165 reati diversi. Le prime tre voci sono quelle dei reati contro il patrimonio (1.105 tra furti, rapine, estorsioni, ecc.), dei reati di droga (641) e dei reati contro la persona (omicidio, violenza sessuale, percosse, ecc.). Per trovare detenuti condannati per peculato, concussione o corruzione, bisogna scendere nella graduatoria.

Ce ne sono 158, solo uno ogni cinque. Se si vuole poi incappare in qualcuno punito per reati di economia pubblica, bisogna ancora scendere, fino al penultimo posto. Ce n’erano solo 4, addirittura meno della metà dei carcerati a cui sono ascritti reati contro il senso religioso e la pietà dei defunti. La verità è che ci sono reati che in un carcere non si troveranno mai. La giustizia gira come una vite spanata e sempre più magistrati (l’ultimo è Bruno Tinti, procuratore aggiunto proprio a Torino, con il suo libro "Toghe rotte") denunciano di lavorare su fascicoli nati morti.

Dietro le sbarre si possono trovare storie di tossicodipendenti, di stranieri, di ladri e assassini di bassa tacca, ma non i criminali dei reati economici, che pure tanta gente rovinano. Le truffe cadono in prescrizione, i corrotti non pagano i risarcimenti perché sono nullatenenti, i pirati della Borsa si salvano. In carcere mai, ma tutti ad accendere un cero. A San Prescritto.

Giustizia: il pm Matone; peni lievi e tardive, i minori impuniti

di Cristiana Mangani

 

Il Messaggero, 15 ottobre 2007

 

È la certezza della pena la priorità del guardasigilli Clemente Mastella. Nel pacchetto sicurezza che verrà presentato in Consiglio dei ministri il 23 ottobre prossimo sono contenute le nuove misure che preludono a un giro di vite: dalla esecuzione della custodia cautelare dopo la condanna di primo grado alla parificazione dei reati che provocano allarme sociale, a quelli di mafia e di terrorismo. Simonetta Matone, sostituto procuratore minorile di Roma, da anni alle prese con giovani che delinquono, crede nella efficacia della condanna eseguita dopo il primo grado, "perché - afferma - è un deterrente".

 

Dottoressa Matone, è in atto un giro di vite contro chi commette reati che provocano allarme sociale, pensa che sia un intervento necessario?

"Sono convinta, e l’ho detto molto spesso, che la condanna vada eseguita il prima possibile. Anche se, proprio per una maggiore certezza della pena, ritengo che debbano essere evitati i cambiamenti sull’onda dell’emozione del momento".

 

Sempre più spesso autori dei reati sono i minorenni. Nei loro confronti la pena viene eseguita realmente?

"I minori vengono arrestati, come gli adulti, ma nel codice di Procedura penale l’imperativo è farli uscire il prima possibile dal circuito carcerario, perché è necessario tentare di recuperarli. La punibilità è prevista dai 14 anni in su, e non credo che dare la maggiore età a chi ha 16 anni sia una buona idea. Non si responsabilizzano facendoli votare, ma con interventi concreti di natura sociale ed educativa".

 

Si ha spesso la sensazione che si sentano impuniti.

"È vero, perché sono consci che la sanzione arriverà dopo molto tempo e nella misura meno afflittiva. Hanno la consapevolezza dell’impunità".

 

E in che modo si potrebbe intervenire?

"Attraverso misure serie di rimaneggiamento del codice di Procedura penale. I reati che commettono i minori molto spesso non sono reati gravi, quello che li fa diventare gravi è la ripetitività della condotta. È su questo che interverrei energicamente. Ma ripeto: senza farsi condizionare dal momento".

 

Dove si è sbagliato?

"Basti pensare alla depenalizzazione della guida senza patente. Era necessario arrivare alle stragi sulle strade per capire che non andava fatta? Ora si vuole rivedere tutto, ma per evitare di commettere altri errori è giusto che si mediti molto seriamente sugli effetti di quello che si va a fare".

Liguria: carceri al collasso se arriva "pacchetto sicurezza" 

di Marco Menduni

 

Secolo XIX, 15 ottobre 2007

 

"Non voglio parlare di politica schizofrenica. Certo è che a brevissima distanza temporale si prendono provvedimenti contraddittori. Il risultato è la più totale confusione. E i problemi non sono risolti". Parla con schiettezza, Corrado Pagano, avvocato, presidente della Camera penale della Liguria. Nel mirino sia l’indulto, sia il pacchetto sicurezza che il governo si avvia a vagliare. Pugno di ferro dopo un (inutile) guanto di velluto.

I provvedimenti in dirittura d’arrivo (carcere anche per gli scippi e i borseggi e divieto di libertà provvisoria) forse riporteranno un po’ di pace nelle tormentate strade italiane. Ma sicuramente faranno riesplodere, quasi istantaneamente, il problema dell’affollamento delle carceri. D’altronde, è quello che si può leggere chiaramente nelle norme presentate dal ministro dell’Interno, Giuliano Amato.

Nel dettaglio, "la custodia cautelare viene prevista per tutti i reati di cosiddetto "allarme sociale" (anche furto, scippo, rapina), di fatto equiparati ai reati di mafia o di terrorismo. Per gli stessi reati, dunque, viene rivista la legge Saraceni - Simeone con la revoca dell’affidamento ai servizi sociali, come già per i reati associativi con finalità sovversive o criminali".

Ci sono dati ufficiali che dimostrano come l’effetto indulto, che aveva dimezzato la popolazione detenuta in Liguria, sia già stato vanificato. Nella regione, su sette istituti penitenziari cinque hanno già superato la capienza regolamentare: Genova Marassi, Genova Pontedecimo, Imperia, Sanremo e Savona. In totale, tutti e sette gli istituti sfiorano la capienza regolamentare (1.121 presenze contro 1.140) e si avvicinano a quella tollerabile (1.594). I dati giungono dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria.

Dagli specialisti che, nelle infermerie dei penitenziari, lavorano ogni giorno e che denunciano oggi il dilagare dell’epatite C nelle celle. Si rifanno, a loro volta, ai risultati di un’indagine affidata a GfK-Eurisko in 25 istituti di pena in tutta Italia e che il Secolo XIX è in grado di presentare, anche nei dettagli regionali.

Il primo effetto dell’indulto s’è concretizzato nella liberazione di seicento detenuti. Buona parte è rientrata in cella. E, se questo non è ancora avvenuto, avverrà presto, a dispetto dei proclami ottimistici del ministero della Giustizia. La situazione del carcere di Marassi è esemplificativa: i detenuti erano 670, sono scesi a 300 dopo il provvedimento di clemenza.

Poi il ritmo dei rientri in carcere ha ricominciato a crescere a ritmo vertiginoso. E, ammette il direttore della casa circondariale Salvatore Mazzeo, "le nostre stime dicono che, a questo ritmo, a fine anno saremo di nuovo a quota 600". Praticamente punto e a capo. Come raccontano gli osservatori più diretti del fenomeno, i poliziotti che lavorano in carcere, "le facce sono sempre le stesse". Ora l’allarme (tra le mura degli istituti) scatta per i provvedimenti contenuti nel pacchetto sicurezza. Un provvedimento che, secondo Pagano, è in parte diretta conseguenza dell’indulto stesso.

"Non occorre una particolare ricerca statistica - spiega il presidente della Camera penale - per sapere che sono soprattutto i recidivi coloro che si trovano in prigione. E non ci vuole un mago per capire che chi in passato ha continuato a delinquere, l’ha fatto anche in questa occasione. Pochi, pochissimi tra coloro che si trovano in questa categoria non delinquono nuovamente non appena si trovano in libertà".

Così la conseguenza più diretta dell’indulto è stato un incremento sostanziale del numero di reati che hanno colpito i cittadini. Il problema della criminalità è cresciuto, non è stato risolto l’affollamento delle carceri, le forze dell’ordine sono state costrette a un superlavoro e il governo ha dovuto proporre misure draconiane, secondo alcuni al limite della costituzionalità, per affrontare un’emergenza che non ha visto uguali nella recente storia italiana.

"Non c’è alcun dubbio - insiste Pagano - che questi provvedimenti, se saranno applicati, porteranno immediatamente le carceri sull’orlo del collasso. Io non so se mandare tanta gente in galera sia un bene o un male. So soltanto che questa politica assolutamente contraddittoria degli ultimi mesi sicuramente non ha risolto il problema dell’affollamento e rischia di aggravarlo molto più di quanto fosse in partenza".

Se l’indulto era stato un "provvedimento generalizzato", il pacchetto sicurezza appare "molto mirato sui reati che destano maggiore allarme sociale". Ma in realtà il filo rosso è lo stesso: in gran parte gli autori di quei reati sono le stesse persone uscite dalle carceri. Sicuramente in allarme sono anche i sindacati della polizia penitenziaria. Che già ora denunciano come "solo a Marassi manchino cento uomini".

Chissà quanti ne potrebbero mancare in una situazione di emergenza. Ma la situazione è già tornata a essere fuori controllo un po’ ovunque. Per il Sappe si può gridare allo scandalo: "Alcuni posti di servizio, cioè alcuni reparti delle carceri della Liguria, sono affidati ad una sorveglianza e osservazione cosiddetta della "buona sorte", o meglio, dello "speriamo che Dio ce la mandi buona"".

Nel frattempo, le carceri della Liguria tornano ad affollarsi. E la media viene tenuta bassa da una situazione molto particolare, quella che si sta verificando all’interno del carcere della Spezia. Dopo l’indulto, dei 200 detenuti usciti da "Villa Andreino" ne sono rimasti solo 50, quasi tutti extracomunitari in attesa di giudizio.

Ne sono usciti 85, altri sono stati trasferiti altrove. Perché? Dal 2005 sono in corso lavori di ristrutturazione che non permettono di ospitare, in condizioni di sicurezza, un numero maggiore di persone. Ne dovrà nascere un carcere-modello, in linea con le aspettative di Maria Cristina Bigi, direttore, con una positiva esperienza alle spalle come numero due di Marassi.

Giovane, bionda, molto bella, Maria Grazia Bigi non ha sicuramente l’aspetto che, tradizionalmente, s’immagina in quel ruolo. La sua esperienza è però giudicata in maniera quasi unanime assolutamente positiva. Tanto che, nella "visita a sorpresa" di due parlamentari di Prc dell’aprile scorso, il deputato Bruno Olivieri ha voluto sottolineare il rapporto positivo che s’è instaurato tra la struttura carceraria, sotto la direzione della Bigi, e gli enti locali. L’istituto sarà un fiore all’occhiello dell’amministrazione penitenziaria. Il futuro, dopo il via libera al "pacchetto sicurezza", sarà tutto invece da sperimentare.

Lecce: Ipm; operatori denunciati per violenze contro i minori

 

www.telenorba.it, 15 ottobre 2007

 

È il sottosegretario alla giustizia Alberto Maritati l’autore dell’esposto inviato, oltre un anno fa, alla procura di Lecce contenete le dichiarazioni rese da alcuni operatori del carcere minorile di Lecce su presunte violenze subite dai minori reclusi da parte del personale di custodia. L’inchiesta avviata subito dalla procura di Lecce sarebbe arrivata al capolinea con il ministero di giustizia già informato, dopo che nei giorni scorsi aveva inoltrato un sollecito al procuratore capo.

Gli avvisi di garanzia dovrebbero riguardare in primis gli agenti di custodia in servizio presso i due padiglioni detentivi, dove i minori reclusi sarebbero stati vittime di una serie di maltrattamenti, come dormire nudi su brandine prive di materassi. Un’inchiesta che però a detta dei vertici del tribunale dei minorenni di Lecce, nulla avrebbe a che fare con la chiusura del carcere, che sarebbe in realtà solo una sospensione, dovuta a degli interventi di ristrutturazione decisi già da tempo dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e relativa peraltro solo ai due reparti di detenzione, e non all’intera struttura che, compreso il centro di prima accoglienza, continua a rimanere aperta.

Milano: il Garante; grazie all’indulto le carceri sono migliorate

di Francesca Fradelloni

 

E-Polis, 15 ottobre 2007

 

Al 30 giugno 2007 i penitenziari per adulti del capoluogo lombardo ospitavano, su una capienza di 2.537 posti, 3.071 persone. Forte la presenza di soggetti svantaggiati.

Un numero, come tanti. E quando si esce neppure quello. Si sentono così i tanti detenuti italiani che ritornano al mondo. Alla vita di tutti i giorni, oltre le sbarre. Perché dentro, oltre ai tanti sacrifici dei volontari, ai progetti di volenterosi, niente restituisce dignità e consapevolezza. Tanto altro resta ancora da fare su temi che spesso vengono affrontati sull’onda degli avvenimenti, delle emergenze e su un mondo sempre più lasciato in disparte, nell’oblio, nella solitudine e con risorse economiche ed umane sempre più ridotte all’osso.

"Il lavoro oggi è tutelare i diritti inviolabili della persona" racconta Giorgio Bertazzini, garante dei detenuti della Provincia di Milano. "Ma il garante deve innanzitutto saper ascoltare i bisogni, le necessità, le aspettative non solo della popolazione detenuta, ma di tutti gli operatori penitenziari, del volontariato, delle associazioni, degli enti locali".

 

Parliamo di diritti, legalità, allora. Due morti nel giro di tre mesi all’interno della cella di sicurezza della Questura milanese. Cosa non va?

Ritengo che debba essere assicurata una assistenza efficace anche all’interno dei luoghi in cui vengono temporaneamente custodite le persone tratte in arresto. Due morti nel giro di poche settimane devono portare alla predisposizione di misure di vigilanza in grado di evitare conseguenze tragiche quanto irreversibili.

 

La Questura si difende: in cella 10 - 15 persone al giorno che spesso non godono di buona salute. Cosa si può fare?

È anche il contenuto di tale denuncia a imporre di voltare pagina. Occorre assicurare l’integrità psicofisica dei cittadini arrestati prevedendo la presenza continuativa di medici e infermieri in grado di verificarne le condizioni fisiche, anche attraverso un costante monitoraggio. Un beneficio ulteriore sarebbe rappresentato dalla tutela delle stesse forze dell’ordine dalle possibili accuse di maltrattamenti che talora accompagnano gli arresti.

 

Un lavoro enorme quello che spetta al Garante, una figura ancora rara in Italia e quando c’è destinata a operare nell’emergenza. Cosa serve perché diventi efficace?

L’istituzione di Garanti dei diritti delle persone limitate nella libertà nei comuni, province, regioni è finalizzata a favorire l’effettiva applicazione delle norme che sanciscono i diritti stessi. In questo senso, i Garanti svolgono un ruolo importante anche nella gestione efficace della "paura del crimine" al di là delle parole d’ordine di stampo repressivo. Sotto il profilo normativo, un impulso al lavoro dei Garanti locali verrebbe dall’istituzione del Garante nazionale, ma anche dalla possibilità di visitare senza autorizzazione carceri e luoghi di detenzione in genere, per promuovere azioni positive attraverso il rapporto costante con detenuti e operatori.

 

Quali sono le condizioni a rischio o di danno maggiormente segnalate?

In primo luogo, la paura di veder peggiorare la propria salute. La stessa amministrazione penitenziaria denuncia da tempo la riduzione degli stanziamenti, ma anche difficoltà organizzative connesse a sovraffollamento e inadeguatezza degli organici del personale. Ancora, l’essere detenuti in carceri lontane dalla regione di residenza, che pregiudica la preparazione. Numerose le richieste relative al lavoro e alle istanze su cui deve pronunciarsi la Magistratura di sorveglianza, un percorso, quest’ultimo, dall’esito incerto.

 

Quale la situazione delle carceri milanesi?

Meno critiche grazie all’indulto, migliorerebbero se venissero individuate, attraverso la riforma del codice penale, punizioni diverse dal carcere. Qualche dato? Al 30 giugno 2007 le sole carceri per adulti milanesi ospitavano, su una capienza massima di 2.537 posti, 3.071 persone. Permane forte la presenza di soggetti svantaggiati (in prevalenza stranieri) e molto breve la permanenza media in carcere.

 

Criticità, secondo il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, non "foriere di sicurezza per la collettività, né idonee a determinare processi rieducativi". Come dovrebbe essere un "buon" Istituto?

Un carcere riservato a condannati per reati gravi in un sistema che punisce anche attraverso sanzioni diverse dalla reclusione. Un carcere - cito ancora il Dipartimento - non paragonabile ad una grande caserma di polizia, occasione solo per "incontrare persone sbagliate".

 

Cosa pensa del nuovo pacchetto sicurezza del Governo?

La strada intrapresa dal Governo per affrontare la cosiddetta "questione sicurezza" non ha uscite. Le misure annunciate comporterebbero la ulteriore criminalizzazione della marginalità sociale e contraccolpi insostenibili per il sistema giudiziario e penitenziario, aumentando il carico dei processi e il numero delle persone incarcerate per custodia cautelare, che, in questo momento, ammonta ad oltre la metà dei detenuti. I dati attestano che il carcere si traduce di frequente in un moltiplicatore di criminalità e che punire senza incarcerare riduce in modo consistente i rischi di recidiva.

Brindisi: il carcere è ristrutturato e pronto ad una riapertura

 

Ansa, 15 ottobre 2007

 

"La casa circondariale di via Appia, a Brindisi, riaprirà tra venti giorni, al massimo un mese. Il tempo necessario per completare alcuni lavori di manutenzione". A darne definitiva conferma il consigliere regionale dell’Udeur e vicepresidente della VII commissione, Affari Istituzionali, Antonio Buccoliero, in visita alla struttura carceraria che attualmente ospita una ventina di detenuti. Nella sua visita il consigliere Buccoliero é stato accompagnato dalla direttrice del carcere, Sonia Fiorentino, e da alcuni tecnici del provveditorato regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

"Si tratta di un risultato importante - ha detto il consigliere Buccoliero - che giustifica la viva soddisfazione mia e del sottosegretario alla Giustizia, Alberto Maritati. Tra venti giorni, un mese al massimo, la struttura potrà rispondere in pieno a quelle che sono le esigenze dei detenuti, dei loro familiari e degli avvocati, non più costretti a spostarsi da un punto all’altro del Salento". "Senza contare poi - ha continuato Buccoliero - che la riapertura della casa circondariale di Brindisi potrà rappresentare un’occasione lavorativa per molti agenti di polizia penitenziaria".

Cuneo: un corso di formazione per i volontari penitenziari

 

Comunicato stampa, 15 ottobre 2007

 

L’associazione "Arcobaleno" di Alba e il CSV propongono ai volontari che operano presso l’istituto penitenziario, per il reinserimento dei detenuti all’esterno e agli aspiranti volontari il Corso di sensibilizzazione "L’Arte dell’Ascolto".

I incontro - lunedì 22 ottobre 2007, ore 20.30. "L’importanza dell’ascolto nell’istituzione carceraria". Relatore: Marco Bertoluzzo giurista, criminologo, docente a contratto di Criminologia Penitenziaria presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino.

II incontro - lunedì 22 ottobre 2007, ore 20.30. "La reclusione nella reclusione: caratteristiche specifiche della condizione transessuale". Relatrice: Ornella OBERT giurista, coautrice del libro "Transessualità oltre lo specchio".

III incontro - lunedì 22 ottobre 2007, ore 20.30. "L’identità transessuale". Relatrici: Georgia Zara criminologa, docente di Psicologia Criminale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino.

IV incontro - lunedì 22 ottobre 2007, ore 20.30. "Il volontario e gli ambiti di intervento in carcere". Lavori di gruppo e conclusioni con suor Angela Lano e Marco Bertoluzzo.

Sede degli incontri: Via Mandelli n. 9 Alba. Per iscrizioni contattare la Caritas Diocesana (orario 9-12): 0173.440720; sr. Angela: 347.8619733.

 

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"Ristretti News. Notiziario quotidiano dal carcere"
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