Rassegna stampa 14 ottobre

 

Giustizia: Mastella; "non metteremo fuori più nessuno"

 

Ansa, 14 ottobre 2007

 

"Certezza della pena per gli arrestati in flagranza di reato". Il ministro della Giustizia Mastella ieri ha anticipato una misura che dovrebbe entrare nel "pacchetto sicurezza" in discussione al Consiglio dei ministri del 23 ottobre.

Le misure sulla certezza della pena - ha sottolineato Mastella - riguarderanno chi sia stato arrestato in flagranza di reato: "le novità lasceranno un po’ stupefatti gli avvocati".

"Chiunque, oggi, se commette un reato e si vede inflitto una pena fino a tre anni non va in galera". ha detto Mastella: "Io stabilisco il contrario, la certezza della pena: se, saltando il gip, il collegio decide che bisogna sottoporre a giudizio chi è stato arrestato, entro 90 giorni si procede al dibattimento e si stabilisce la pena senza sospensione. Non metteremo fuori più nessuno".

Insomma, si tratterebbe di un giro di vite per scongiurare le scarcerazioni facili e assicurare la certezza della pena, con una custodia cautelare "obbligatoria" per chi commetta reati fonti di allarme sociale. E, dunque, per gli imputati ci dovrà essere il processo immediato e chi verrà condannato in primo grado non potrà più far ricorso al patteggiamento in appello. In questo modo, quando la sentenza sarà definitiva i condannati non potranno più avere la sospensione della pena o godere delle misure alternative al carcere.

Un giro di vite che non piace ad Antigone, l’associazione che si batte per i diritti nella carceri. "Prima - fa notare il presidente Patrizio Gonnella - si fa l’indulto, poi si abolisce la legge Simeone - Saraceni che prevede misure alternative al carcere di cui oggi godono oltre 70.000 persone: siamo alla schizofrenia".

Non si risponde, sottolinea, "ai bisogni legittimi di sicurezza della gente mettendo mano ogni sei mesi al codice di procedura penale: così si reagisce in modo emotivo a quello che accade, quando invece in questo campo c’è bisogno di lucidità". Per Gonnella, "non servono nuove norme più repressive, ma una maggiore efficienza nell’azione di polizia e di giustizia. Il senso di impunità che la gente avverte è legato alla durata irragionevole dei procedimenti".

Il ministro della Giustizia apre anche al tema dell’abbassamento dell’età imputabile: "Le elezioni primarie del Partito democratico introducono un importante fatto sociologico: possono votare anche i sedicenni". "A questo punto cambia tutto - sostiene Mastella - perché se un ragazzo può votare significa che quel partito si impegna a farlo votare anche nelle elezioni politiche. Allora, nessuno può ritenere che se a sedici anni commette un reato, come quel giovane rom, continui ad essere considerato ragazzo. Questa è l’evoluzione della società".

Giustizia: Manconi; dopo l'indulto nessun aumento dei reati

 

Liberazione, 14 ottobre 2007

 

Il sottosegretario alla Giustizia risponde alle accuse contro il provvedimento di clemenza: "Ci sono imprenditori politici della paura che mobilitano ansie collettive". "Dobbiamo sempre tener presente che, tra quanti escono per fine pena, senza sconti né benefici, la recidiva è regolarmente tripla rispetto a quella finora registrata tra gli indultati".

Luigi Manconi, sociologo e sottosegretario alla Giustizia, è chiaro e preciso come sempre: "L’allarme criminalità avrà anche i suoi fondamenti, ma è indubbio che c’è un costante impegno degli "imprenditori politici della paura" che mobilitano in continuazione le ansie collettive". E ultimamente, bersaglio preferito di questo genere di "imprenditori" è l’indulto. Non a caso titoli e presunte inchieste sui giornali si susseguono per dimostrarne l’effetto moltiplicatore di criminalità. Eppure gli unici dati disponibili, quelli pubblicati nella relazione del ministero degli interni nel 2007, parlano di una sostanziale stabilità di reati e crimini.

 

Onorevole Manconi, continuano le accuse e gli attacchi nei confronti dell’indulto. È possibile capire con certezza se quel provvedimento di clemenza ha davvero determinato un aumento della criminalità?

Visto che molti lettori di Liberazione hanno fatto il Liceo: "Post hoc ergo propter hoc". Ovvero, se si adotta rigidamente e senza la dovuta capacità di disaggregare i dati e soprattutto senza aspettare che essi siano come si dice, stabilizzati, si dovrebbe affermare che dopo l’indulto, e quindi grazie all’indulto, gli infanticidi in Italia sono diminuiti del 67%. Questo dicono infatti le statistiche.

 

Quindi ci sta dicendo che molti si esercitano a prendere i dati più utili per suffragare le proprie tesi...

Dico solo che si deve essere molto lucidi prima di trovare correlazioni così ferree, ovvero meccaniche tra l’indulto e l’andamento dei dati relativi all’attività criminale nei mesi successivi le scarcerazioni.

 

Come dimostra il suo paradosso sugli infanticidi...

Certo, se infatti il dato sugli infanticidi potrebbe apparire eccentrico, la diminuzione dei furti in appartamento registrata in molte metropoli come andrebbe spiegata? Insomma, tutti questi dati sui quali ovviamente si deve riflettere, andrebbero considerati in una serie storica che confermerebbe quello che oggi già sappiamo: esiste una sostanziale stabilità, purtroppo su livelli elevati, di molti indicatori relativi al tasso di criminalità.

Ma si registrano anche molti altri indicatori che tendono verso il basso. Oltretutto c’è qualcosa di perverso in questa volontà di correlare il provvedimento di clemenza con l’innalzamento del tasso di delinquenza, ovvero che la catastrofe di cui oggi si parla sarebbe accaduta oggi, tra un anno, oppure esattamente quando quelli che hanno beneficiato dell’indulto sarebbero comunque usciti per fine pena.

 

Comunque i primi dati resi noti dal ministro Mastella parlano di una bassa recidività tra le persone che hanno beneficiato dell’indulto...

A essere coerenti nel manovrare cifre e statistiche, dobbiamo sempre tener presente che tra quanti escono per fine pena, senza sconti né benefici, la recidiva, dunque quella catastrofe di cui abbiamo appena detto, è regolarmente tripla rispetto a quella sinora registrata tra gli indultati.

 

Eppure si continua a parlare di allarme criminalità...

L’allarme per la criminalità c’è, è reale e preoccupante, ed è legato a dati obiettivi. Dopo di che, su questi dati obiettivi, si innesta l’opera degli "imprenditori politici della paura" che nobilitano le ansie collettive. Per capirci, se un telegiornale apre la sua edizione quotidiana sempre con due notizie di cronaca nera, il gioco, e che gioco e terribile e pericoloso, è fatto.

Giustizia: Fini (An); chi sbaglia deve pagare fino in fondo

 

Il Messaggero, 14 ottobre 2007

 

Sicurezza e legalità: sono queste le parole d’ordine che secondo Gianfranco Fini devono essere al centro dell’azione politica del governo. "Chi sbaglia - ha spiegato il leader di An chiudendo la manifestazione - deve pagare fino in fondo, senza sconti, senza essere perdonato preventivamente per gli errori che commette contro la comunità degli onesti".

Fini, dunque, ha chiamato a raccolta il proprio popolo per dire basta "ai benefici premiali per i recidivi e i delinquenti incalliti" in quanto "chi ha causato danni deve restare in galera e pagare i proprio conto prima di tornare nella società. In una democrazia - questo il ragionamento di Fini - non si può andare per il sottile e la destra deve essere orgogliosa della propria identità e deve essere garante, paladina di una politica all’insegna della trasparenza, delle porte e delle finestre aperte e della legalità".

Il discorso dell’ex vicepresidente del Consiglio ha toccato vari temi, quali il fisco e l’antipolitica ("noi - ha sottolineato - non siamo sul banco degli imputati, è di altri la responsabilità"), ma si è incentrato soprattutto sul tema della sicurezza, "una battaglia che solo la destra può incarnare. Noi - ha fatto l’esempio Fini - siamo orgogliosi di non aver votato l’indulto che ha rappresentato una autentica resa dello Stato e prenderemo l’impegno di presentare emendamenti per migliorare la Finanziaria proprio dal punto di vista dell’ordine e della legalità. La pena - ha aggiunto - deve essere in sintonia con il danno che si provoca alla società. Non siamo per una concezione afflittiva, ma per la certezza della pena".

Fini, quindi, ha spiegato che "il ministro Amato sarà chiamato ad una verifica puntuale" sui temi della sicurezza. Inoltre ha invitato i musulmani presenti in Italia a" rispettare la nostra tradizione" e ha ribadito che "chi arriva in Italia per delinquere deve essere espulso". "I lavavetri devono essere rimandati a casa propria e i campi nomadi devono essere di transito e non a tempo indeterminato".

Infine, l’ex ministro degli Esteri ha ringraziato i suoi per l’impegno "perché non è tempo di personalismi e di frazionismi" e li ha anche invitati "ad essere di esempio con un comportamento all’immagine della trasparenza" affinché An "sia il motore della Cdl" e sia "il trampolino di lancio" per portare una battaglia sia contro i governo Prodi sia contro l’antipolitica. "La nostra patria - ha concluso - con noi tornare a camminare a testa alta".

Giustizia: Caselli; processi eterni, siamo vicini al fallimento

 

La Stampa, 14 ottobre 2007

 

Procuratore generale Caselli, come si devono leggere i dati del Ministero della Giustizia, in parti colar modo quelli relativi al numero di prescrizioni?

"Come si diceva, a Torino l’organizzazione degli uffici è buona. È il sistema pena che fa acqua da tutte le parti e i dati sulle prescrizioni sono la testimonianza di un sostanziale fallimento".

 

In che senso?

"I dati sono l’interfaccia della lunghezza del processo penale. E difficile fare paragoni con Paesi che hanno sistemi giuridici diversi. Tuttavia se pensiamo che per definire un processo in primo grado nel Regno Unito bastano pochi mesi e in Spagna un anno...".

 

Quindi è nella fase iniziale che si hanno rallentamenti?

"Non solo. Anche i ricorsi ai gradi di giudizio successivi ci allontanano dal resto d’Europa".

 

In ogni caso, c’è anche la lunghezza dei singoli gradi...

"Purtroppo si spende troppo poco per far girare la macchina. Manca un gran numero di cancellieri. Questo fa sì che si possano svolgere udienze al massimo fino alle 2, alle 3 del pomeriggio. E non tutti i giorni della settimana. Rinvii che allungano i tempi".

 

Altri motivi?

"Bisogna semplificare il processo penale. Quello italiano è il più barocco e bizantino che si possa trovare. Cavilli e formalismi che vengono spacciati per garanzie degli imputati, spesso sono tutt’altro".

 

Per tutti?

"No. E qui gli altri dati, quelli delle carceri, spiegano un altro fenomeno. È evidente che in Italia ci sono due processi penali: uno per i cosiddetti galantuomini a prescindere, quelli per cui il processo serve solo a scandire il tempo prima della prescrizione. Il secondo è per tutti gli altri, gli unici che finiscono in carcere. Visti questi dati è difficile parlare di tolleranza zero in alcuni settori, come si fa in questi giorni, e poi averne altri dove invece è massima".

Giustizia: le carceri chiuse? sarebbero antieconomiche

di Ettore Ferrara (Capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria)

 

Il Giornale, 14 ottobre 2007

 

Gentile direttore, sento il dovere di dare un contributo di informazione a quanto riportato ieri sul suo giornale. Va innanzitutto premesso che la difficile situazione delle carceri, che ho ereditato quando mi insediai alla guida del Dap, nel dicembre scorso, affonda le sue radici nei decenni che ci precedono, e che hanno visto mutare profondamente le caratteristiche della popolazione detenuta e il numero stesso dei "ristretti", oltre che le prescrizioni relative all’edilizia penitenziaria con l’introduzione del nuovo regolamento nel 2000.

Con riguardo al tema delle strutture penitenziarie, vengono rappresentate in unico contesto situazioni differenti, sulle quali tutta la nostra amministrazione ha provato a dare risposte efficaci.

Per quanto concerne le strutture mandamentali menzionate nell’articolo vale la pena di ricordare che esse erano già tutte presenti e inutilizzate sotto la gestione di precedenti amministrazioni. Si tratta degli istituti di Ales; Arena; Bono; Carbonia; Cropalati; Cropani; Francavilla Fontana; Irsina Ghilarza; Licata; Orsara; Petilia Policastro; Soriano Calabro; Sanluri; Santavi; Squillace; Terralba.

Se chi mi ha preceduto ha ritenuto di dovere approvare il trasferimento ai Comuni di gran parte di esse, la ragione sta tutta nella loro antieconomicità. Le carceri, infatti, hanno bisogno di personale che garantisca la sicurezza esterna in misura fissa, di educatori, di presidi amministrativi, tecnici e contabili che prescindono dal numero di detenuti presenti. Chi conosce il carcere sa che le strutture grandi, assicurando maggiore capienza, consentono di ottenere "economie di scala" proprio a causa dell’impiego delle risorse fisse. Se dovessimo aprire le strutture mandamentali, che mediamente hanno una capienza di 20-30 detenuti, il rapporto risorse umane/detenuto vedrebbe una impennata, e, per recuperare il personale, dovremmo dunque chiudere istituti grandi, o sezioni di essi. La conseguenza sarebbe quella opposta a quella che lei auspica: ossia una diminuzione drastica della capienza disponibile. Ogni possibile impiego di nuove strutture deve infatti tener conto del personale allo stato disponibile e della impossibilità di assumere altri agenti a causa del blocco delle assunzioni in atto.

Un problema diverso è quello costituito dalle strutture parzialmente o totalmente chiuse per ristrutturazione. Nella prospettiva di una economia di scala, e per ovviare ai tempi lunghi che comporta la costruzione di nuove carceri - la cui realizzazione, giova sottolineare, rientra tra le competenze del ministero della Infrastrutture - è stato già varato ed è in via di attuazione un ampio programma di ampliamento di alcuni istituti e di recupero e ristrutturazione di altri, precedentemente del tutto o parzialmente inutilizzati. Siamo infatti ben consapevoli del fatto che strutture valide efficienti e capienti siano alla base di ogni buona politica penitenziaria. Tutte devono essere migliorate e condotte al livello di efficienza descritto nel nuovo regolamento penitenziario del 2000. Ma ciò ovviamente richiede risorse economiche in misura allo stato assolutamente non disponibili. Ciò premesso è subito da aggiungersi che sono già in corso lavori di ristrutturazione che comporteranno un miglioramento della situazione logistico-strutturale dei nostri istituti. Venendo in ogni caso alla precisa situazione degli istituti di pena, citati dal suo giornale, le illustro la situazione in atto e le attività in corso.

La Casa circondariale di Pinerolo è stata da tempo chiusa in quanto inadeguata sotto il profilo strutturale e restituito alla locale Amministrazione comunale, proprietaria della struttura. È stata programmata la realizzazione di un nuovo penitenziario, ma l’opera non risulta finanziata.

Relativamente alla Casa circondariale di Pontremoli, attualmente attiva come sezione femminile staccata della C.R. di Massa, è in corso di valutazione una possibile trasformazione ad una particolare tipologia di detenuti, al fine di deflazionare le presenze detentive della C.C. di Firenze Sollicciano.

La struttura di San Valentino, costruita dal Comune ed acquisita dall’Amministrazione, risulta non attivata a causa dei consistenti costi, stimati in circa 2 milioni di euro, necessari per l’adeguamento della stessa alle finalità penitenziarie.

La Casa circondariale di Gragnano, realizzata dal Comune ed acquisita dall’Amministrazione nell’anno 2000, è stata successivamente chiusa per cedimenti strutturali nel sottosuolo, in quanto costruita su cave di tufo e caverne.

Per la struttura di Morcone, è stato stimato in Euro 1,5 milioni di euro il costo necessario per consentirne l’attivazione, mentre per gli istituti di Bovino e Mileto i costi per l’attivazione sono stati stimati in oltre 4 milioni di euro per ciascuna struttura. Per l’istituto di Casamassima non esiste alcun provvedimento di chiusura, anzi è in corso una trattativa con il Comune, trattandosi di struttura di proprietà dello stesso, per mantenerne la funzionalità.

Per quanto attiene alla nuova Casa circondariale di Reggio Calabria, la cui realizzazione avviene a cura e con fondi del Ministero delle Infrastrutture, è stato ultimato un 1° lotto di interventi per circa 150-200 posti detentivi. Restano da realizzarsi interventi di completamento per circa 15 milioni di euro. Il relativo stanziamento, seppure disposto con decreto interministeriale, non è più disponibile in quanto il suddetto ministero delle Infrastrutture non ha appaltato i lavori in tempo utile.

Per l’istituto penitenziario di Gela, ex casa mandamentale costruita dal Comune, essendo l’opera ultimata e collaudata, è in corso la consegna a questa Amministrazione della struttura per l’attivazione della stessa.

La Casa circondariale di Tempio Pausania è stata chiusa provvisoriamente per condizioni fatiscenti. Successivamente il Comune ha eseguito i relativi lavori di ripristino, ma ad oggi non ha provveduto a fornire gli atti di collaudo dei lavori, necessari per l’attivazione della struttura.

Per la Casa circondariale di Udine, causa le pessime condizioni strutturali, è stata avviata la ristrutturazione dell’istituto per lotti funzionali. Il primo lotto dei lavori, riguardante le sezioni maschili è stato ultimato, mentre nel programma triennale 2008-2010 è previsto il finanziamento per la ristrutturazione della sezione femminile.

Per quanto attiene la Casa circondariale di Terni, le notizie apparse non risultano corrispondenti alla realtà, in quanto per nessuna nuova struttura penitenziaria risultano avviate gare o lavori.

In ordine alla struttura sportiva realizzata a fine anni ‘90, a cura e spese del ministero delle Infrastrutture, in prossimità della Casa circondariale di Bologna, si rappresenta che a causa del fallimento dell’impresa esecutrice dei lavori è stato possibile acquisire solo recentemente il bene, con la conseguente necessità di dover realizzare lavori di sistemazione a causa delle condizioni di abbandono del sito.

Per la Casa circondariale di Ancona non risultano particolari problematiche sotto il profilo edilizio. Circa la scarsa presenza detentiva essa è legata alla scarsità di personale, numericamente inadeguato rispetto al fine di garantire regime di detenzione e trattamento in linea con il vigente regolamento.

L’Istituto penitenziario di Spinazzola risulta attivo e funzionante. La Casa circondariale di Gorizia, a causa delle pessime condizioni strutturali della struttura e dell’insufficienza cronica di spazi da destinare a scopi trattamentali, risulta effettivamente parzialmente chiusa.

Chiarito che a questo dipartimento non va ascritta alcuna inadempienza con riferimento alle situazioni oggetto dell’articolo pubblicato, non va dimenticato che, grazie alle attività finalizzate alla creazione di nuovi posti detentivi concretamente intraprese dal dipartimento, potrà disporsi di n. 3.356 nuovi posti.

Nel salutarla cordialmente, e nell’auspicio che quanto illustrato abbia chiarito i termini dello sforzo che questo dipartimento, insieme al ministro, sta concretamente realizzando, esprimo l’aspirazione, gentile direttore, che in questo contesto di impegno e di trasparenza, si attenuino sensibilmente le polemiche su questo mondo della giustizia e del carcere, cosicché ciascuno possa contribuire con proposte concrete a migliorare un sistema che può incidere sulla qualità della vita in questo Paese.

Giustizia: Castelli; con il leasing nuove carceri in 5-6 anni

di Anna Maria Greco

 

Il Giornale, 14 ottobre 2007

 

Si sente punto sul vivo dall’inchiesta del Giornale sulle carceri vuote, il senatore leghista Roberto Castelli. E l’ex ministro della Giustizia vuole "ristabilire la verità", come dice lui.

 

Di questi penitenziari-fantasma si è occupato quando era a Via Arenula?

"C’era poco da fare, perché per lo più si tratta delle piccole case mandamentali, nate negli anni ‘50-60 per ospitare al massimo 40-50 detenuti ognuna. Una scelta che si è subito rivelata sbagliata, perché le strutture erano ingestibili e antieconomiche. Il numero degli agenti penitenziari sotto a un certo livello non può scendere e così ci si sarebbe trovati con almeno 30-35 agenti per un gruppo piccolissimo di detenuti".

 

E allora, che cos’è successo?

"Sono stati dismessi e affidati ai Comuni, di cui sono proprietà almeno dagli anni ‘80. Alcuni vi hanno creato centri per rom, extracomunitari, senzatetto. Altri, li hanno abbandonati. Ma sono tutte strutture che il ministero della Giustizia non ha più in carico".

 

Eppure, dopo la nostra inchiesta il Guardasigilli Mastella ha chiesto al Dap una relazione sui penitenziari vuoti.

"Qui non c’entra Mastella o Castelli. Il problema delle carceri risale al fatto che negli anni ‘90 non se ne è programmata nessuna. E con le attuali procedure per costruirne di nuove ci vogliono 15-20 anni".

 

Perché tanto tempo?

"Perché la costruzione dei penitenziari non dipende dal ministero della Giustizia, come dovrebbe, ma da quello dei Lavori Pubblici oggi Infrastrutture. Il meccanismo è molto farraginoso e per questo ho cercato vie alternative".

 

Quali?

"La migliore, per me, è quella del leasing, che avrebbe permesso la costruzione di carceri in 5-6 anni. Avevo trovato uno stanziamento di 89 milioni di euro per una gara europea: le banche si sarebbero occupate, attraverso società di costruzioni, di creare i penitenziari e poi li avrebbero offerti in leasing allo Stato. Ma l’Ance, non ho mai capito perché, ci ha fatto una guerra senza quartiere ed è riuscita a bloccare tutto. L’associazione nazionale dei costruttori ha fatto un ricorso al Tar e l’ha perso, un altro al Garante della Concorrenza e l’ha perso, ma ora ne ha uno pendente a livello europeo".

 

Strada sbarrata, comunque. Ce n’era un’altra?

"Quella della società privata Dike Edifica che doveva costruire penitenziari utilizzando i fondi che la Patrimoni Spa, società del tesoro, realizzava vendendo penitenziari dismissibili. Avevo preso accordi a livello locale per il San Vittore di Milano, il Regina Coeli di Roma, il carcere di Favignana che doveva diventare un museo. Poi, ecco le difficoltà. Il governo è cambiato e Mastella ha chiuso la Dike. Malgrado un ordine del giorno del Senato, dell’estate 2006, raccomandasse di andare avanti in questa direzione".

 

Insomma, la situazione sembra bloccata e le nuove carceri necessarie per far fronte al sovraffollamento dei detenuti, non si riescono a costruire…

"Comunque, questa è la strada giusta. Non certo quella di riaprire vecchie strutture che non sono state costruite secondo le esigenze di oggi. Quello di Gragnano di cui avete scritto, ad esempio, è in un luogo pieno di caverne di tufo, con pericolose vie d’accesso. Ho dovuto chiuderlo. Mentre sul carcere di Ancona avete parzialmente ragione: ho preteso che lo aprissero, ma purtroppo c’è un contenzioso con i Lavori Pubblici".

Giustizia: quante stragi impunite sulle strade d’Italia...

di Lionello Mancini e Angelo Mincuzzi

 

Il Sole 24 Ore, 14 ottobre 2007

 

Appigliano, Pinerolo, Cremona: i responsabili di gravi incidenti potranno tornare a guidare

 

Marco Ahmetovic, garzone fom di 22 anni, Corrado Avaro, operaio italiano di 30 anni, Andrei Zysk, polacco di 34 anni, sono schiavi della bottiglia. Michele Tizzani, 31 anni, italiano, fuma marijuana. Diverse le nazionalità, diverse le droghe, ma un fattore comune: tutti hanno ucciso guidando sulle nostre strade. Non basta: tutti potrebbero tornare a guidare al termine della sospensione della patente o avendone ottenuta un’altra dopo un esame, magari ancora preda della dipendenza. La legge lo permette.

 

La tragedia di Appigliano

 

Il garzone rom è stato condannato pochi giorni fa e con clamore dal Tribunale di Ascoli Piceno per aver falciato col suo furgone quattro ragazzi in scooter. Dovrebbe scontare sei anni di reclusione domiciliare, un’eccezione alla regola dei patteggiamenti a sei, dieci, raramente 12 mesi per omicidio colposo, magari aggravato da omissione di soccorso. "Una condanna da rom, se fosse stato un ragazzo italiano..." dicono i parenti. Anche se nessuno crede che la pena sarà scontata per intero.

 

Il pullman di Stroppiana

 

Per Michele Tizzani, autista di pullman, il processo è appena iniziato. A maggio la corriera con 41 bambini a bordo, l’intera popolazione scolastica di Stroppiana (Vercelli) in gita, si rovesciò su una rampa autostradale: due scolari morti, decine i feriti.

Due giorni fa l’incidente probatorio nel quale fior di periti hanno iniziato a scontrarsi davanti al Gup per stabilire quante ore prima di mettersi al volante l’uomo aveva fumato almeno uno spinello. Che lo abbia fumato l’ha ammesso lui stesso, dopo le prove tossicologiche positive. Quanto rischia? Nessuno è in grado di dirlo, ma certamente potrà tornare a guidare, perché in Italia non esiste il ritiro definitivo della patente. Che lo faccia, drogandosi o no, dipenderà solo da lui. Intanto ancora oggi gli scolari scampati sono assistiti dall’equipe di psicologi inviati dal ministero, la stessa che a San Giuliano di Puglia sostenne le famiglie dei 47 bimbi uccisi nel 2002 dal crollo della scuola.

 

Tre volte ubriaco

 

Le sfumature (o i sofismi?) del diritto hanno dato una mano anche a Corrado Avaro, che a luglio ha ammazzato una ragazza di 16 anni. Adesso l’uomo è disperato, ma quando la sua Rover 200 piombò su Claudia, era "soltanto" ubriaco. Però era ubriaco anche nel 1999 e nel 2004, tanto che venne condannato per guida in stato di ebbrezza; a patente gli era stata restituita pochi giorni prima dell’omicidio dopo una sospensione di due mesi e mezzo. A luglio il Pm lo ha arrestato, il Gip ha confermato: uno che uccide perché guida sempre ubriaco commette omicidio volontario. I suoi avvocati (facendo il loro lavoro) hanno sostenuto una tesi ardita: proprio perché in passato la sua ubriachezza non aveva provocato vittime l’uomo era convinto di controllare la situazione. Il Tribunale del riesame di Pinerolo ha accolto la tesi e riportato il titolo di reato al solito omicidio colposo, dal quale si sguscia via con estrema facilità e pochi euro.

 

Quattro incidenti in stato di ebbrezza

 

Le analogie si sprecano nella lunga casistica sulle strade italiane. E così anche la morte di Rudi Alessandro Belli, 34 anni, milanese, lascia aperti pesanti interrogativi sull’efficacia delle leggi che regolamentano la sospensione e la revoca delle patenti di guida in Italia. Lo scorso agosto Belli viaggiava in sella alla sua Kawasaki 650 sulla strada da Soncino a Orzinuovi, nel Cremonese, quando su di lui piombò l’auto guidata da Guerrino Ghidelli, che in corpo aveva un tasso alcolico di gran lunga superiore al consentito.

Un caso? No, perché Ghidelli non era nuovo a imbracciare il volante dopo aver bevuto qualche bicchiere in più. Alla stazione della Polizia di Soncino ricordano come l’uomo avesse già subito la sospensione della patente per ben tre volte, nel 2002, nel 2003 e nel 2004, e sempre per guida in stato di ebbrezza. Nessuno, però, gli ha mai ritirato il permesso. E anche questa volta, nonostante ci sia scappato il morto, la patente gli è stata bloccata per un anno e dieci mesi, ma non revocata. Ora è indagato per omicidio colposo, con obbligo di dimora nel Comune di residenza, dove per forza di cose la patente non gli servirà.

 

Quel corpo lasciato sulla strada

 

Dell’aleatorietà della Giustizia ha usufruito anche Gaetano Iapalucci, di Campobasso: 60 giorni di carcere e patente sospesa per un mese. La notte di Natale di sette anni fa l’uomo ha travolto con l’auto un compaesano di 59 anni. Lì per lì l’autista tira dritto, poi ci ripensa e alcune ore dopo torna sul posto dell’assassinio, ma lascia il corpo lì, sul ciglio della strada. Quattro anni dopo - tanto ci è voluto per concludere il processo - il Pm chiede la condanna per omicidio volontario, ma niente: l’accusa viene derubricata in omicidio colposo, la condanna è a due anni di reclusione, la pena sospesa.

 

Clandestini al volante

 

Se poi al volante ci sono immigrati clandestini, le possibilità di vederli puniti si restringe ancora di più. Per esempio nessuno sa dire dove sia, oggi, Andrei Zysk, polacco di 34 anni. Insieme al connazionale Marcin Nasfì, in una notte del luglio 2003, hanno ucciso a Latina due ragazzi di 17 anni, fermi sul loro motorino al bordo della Via del Mare.

Inutile dire che quella sera i due polacchi clandestini erano ubriachi fradici: sui tappetini della loro auto i vuoti di birra non si contavano. Catturati mentre fuggivano a piedi sulla spiaggia, vengono giudicati senza patteggiamento: Zysk, l’autista della sgangherata Renault 19 senza assicurazione, è condannato in via definitiva a due anni e mezzo per omicidio colposo plurimo, omissione di soccorso, guida in stato di ebbrezza, resistenza. In cella, però, il polacco resta solo poco più di un anno perché gli viene concesso il beneficio dei domiciliari da scontare, peraltro, nello storico convento francescano di Tofi, in provincia di Frosinone. E adesso dov’è? "Non lo so - dice il suo difensore -: forse ha beneficiato dell’indulto, io non ne ho più notizie".

 

Tre anziane travolte ieri sulla Cassia

 

Ed era ubriaco anche l’uomo che ieri pomeriggio ha travolto con il suo Suv un’auto vicino a San Casciano Val di Pesa (Firenze): Zelinda Nencioni, 77 anni, è morta, la sorella Fiorenza, 70 anni, e Franca Casini, 82 anni, sono ferite. Rodolfo Bonavolta, un agente immobiliare di 33 anni, residente a Carpi, procedeva a zig zag quando è stato notato da un carabiniere fuori servizio, che gli ha chiesto i documenti. Mentre il militare faceva i controlli l’uomo è scappato investendo le signore: è stato arrestato per omicidio

Milano: all’Ipm insulti per l'investitore-pirata di Bormio

 

Quotidiano Nazionale, 14 ottobre 2007

 

Brutta accoglienza al "Beccaria" di Milano per il giovane centauro reo confesso di aver travolto e ucciso a Bormio il piccolo Renzo. Il Gip si è riservato di decidere sulla richiesta di concedergli gli arresti domiciliari. Il passeggero maggiorenne sarà scarcerato ma ha l’obbligo di dimora. Insulti all’indirizzo di M.S., il 17enne di Bormio reo confesso di essere il pirata della strada in moto che una settimana fa ha provocato la morte del piccolo Renzo Giacomella di tre anni e otto mesi.

Le invettive sarebbero state profferite dagli altri carcerati del "Beccaria" di Milano dove il ragazzino è detenuto con l’accusa di omicidio volontario e omissione di soccorso, in attesa che nelle prossime ore il Gip del Tribunale dei Minori decida se confermare la sua permanenza dietro le sbarre o gli arresti domiciliari. Gli altri detenuti del carcere minorile milanese avrebbero gridato ripetutamente "Assassino di bambini". La circostanza viene raccontata dal suo avvocato, Giuseppe La Capria che, a sua volta, lo avrebbe appreso dai genitori di M.S. andati ieri in carcere a trovare il figlio.

Sarà scarcerato nelle prossime ore e potrà tornare a casa ma con l’obbligo di dimora Luca Martinelli, il 18enne passeggero della moto che il 6 ottobre a Bormio uccise investendolo il piccolo Renzo Giacomella di 3 anni, mentre insieme con la mamma tornava a casa con la sua bici. Al termine dell’interrogatorio di convalida, nel carcere di Sondrio, il gip Pietro Della Pona ha convalidato il fermo del giovane disponendo però il solo obbligo di dimora che durante la settimana sarà al "Convitto nazionale Piazzi" di Sondrio dove potrà così frequentare la scuola, e nel fine settimana a Cepina, frazione di Valdisotto, dove Martinelli vive con la famiglia.

Intanto a Milano il gip dei minori, al termine dell’interrogatorio di convalida svoltosi nel centro di prima accoglienza del carcere minorile Beccaria, si è riservato di decidere sulla convalida del fermo per il 17enne che era alla guida del "cinquantino" da cross che ha travolto il bambino.

Il pm dei minori di Milano Teresa Latella aveva chiesto al gip Marilena Chessa la convalida del fermo con l’ accusa di omicidio volontario. Giuseppe La Capria, avvocato del minorenne, ha spiegato che il ragazzo è totalmente sconvolto e avrebbe manifestato intenzioni suicide, anche a seguito di minacce ricevute nell’istituto dove è recluso.

Verona: "Tra Mura Les", ovvero l’arte fatta in carcere

 

Liberazione, 14 ottobre 2007

 

Detenuti pittori? Detenuti scultori? Detenuti che lavorano la ceramica o tessono? Anche il carcere può essere luogo di genesi dell’arte. A dimostrarlo è la nuova edizione di "Tra Mura Les" la mostra allestita in pieno centro storico a Verona, al Centro turistico giovanile di via S. Maria in Chiavica 7.

All’inaugurazione, alle 12, don Antonio Scattolini parla di arte e dignità. Tra le opere esposte, anche il percorso didattico "L’immagine riflessa": una serie di pannelli ideati per confrontare carcere e società, non come realtà distinte, ma l’una appartenente all’altra. Non capita tutti i giorni di poter entrare in contatto con la parte reclusa della città, e di farlo attraverso un linguaggio comune, senza bisogno di superflue parole. "La Fraternità" si impegna da anni perché tali occasioni siano sempre più spontanee e frequenti. Quest’anno ha scelto di farlo dando spazio anche a un’altra forma di comunicazione: la scrittura.

Oltre alla pubblicazione di "C’era una volta dentro" - che porta a quattro il numero dei volumetti scritti dai detenuti di Montorio - ampio spazio è dato alla parole scritte anche di chi ha vissuto esperienze di reclusione diverse da quella veronese. Con "Prevenzione, cultura, accoglienza", venerdì 19 ottobre alle 18 la sala conferenze della basilica di San Zeno fa da scenario alle presentazione-lettura di tre libri di autori diversi.

Esperienze, racconti e riflessioni di Marco Alianiello, Vincenzo Andraous e Emanuele Palmieri, presenti in sala. Le letture, affidate a Flora Massari, sono scandite da intermezzi musicali del trio Stupore antico (flauto dolce, viola da gamba, spinetta) che esegue brani di Pepusch, di musica ebraica e di danze rinascimentale. Tra i temi, la complessità della realtà carceraria, delle dinamiche che talvolta portano a entrarne a far parte e della necessità di un impegno efficace e duraturo per il recupero di chi è detenuto. Se chi è detenuto è messo in condizione di pagare il proprio debito con la giustizia in modo dignitoso e costruttivo - spiega uno degli autori - metà della strada per il reinserimento del detenuto sarà fatta.

Droghe: Fini; no a libertà di drogarsi, la sinistra confusa

 

Notiziario Aduc, 14 ottobre 2007

 

"Dobbiamo ribadire che non ci dev’essere la libertà di drogarsi e in questo senso a sinistra c’è troppa confusione. A Veltroni che chiede di raddoppiare la pena per chi spaccia, diciamo non solo che c’è già la nostra legge che lo prevede, ma che c’è bisogno di una controffensiva culturale che insegni ai nostri figli che non bisogna drogarsi". Lo ha detto il leader di An, Gianfranco Fini, nel corso del suo intervento conclusivo della manifestazione organizzata ieri da Alleanza Nazionale a Roma. Tornando sul tema degli immigrati, Fini ha aggiunto che "gli immigrati devono considerare l’Italia la loro secondo patria, rispettare la nostra identità e la nostra religione".

 

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