Rassegna stampa 12 novembre

 

Giustizia: con ddl sicurezza più efficienza contro la mafia

di Paolo Giordano

 

Sole 24 Ore, 12 novembre 2007

 

Il pacchetto sicurezza è disseminato di misure di contrasto alla criminalità organizzato, alcune delle quali senz’altro positive, come la cancellazione del patteggiamento in appello, meccanismo che ha consentito di vanificare qualsiasi condanna inflitta in primo grado, anche per gravi reati. Altrettanto va detto per l’ampliamento delle ipotesi di giudizio immediato, anche ai procedimenti con indagati arrestati, subordinatamente all’espletamento del giudizio di riesame ed entro 180 giorni dall’iscrizione nel registro. È quest’ultimo un prezioso strumento di accelerazione del processo.

Opportuna la norma che impedisce ai condannati per reati sintomatici dell’inserimento nella criminalità organizzata di accedere al gratuito patrocinio perché presuntivamente detentori di reddito superiore a quello previsto. Anche il Testo Unico sulle misure di prevenzione era da tempo invocato dagli operatori, sicché il Governo nell’adottare il ddl delega accoglie un’importante indicazione.

È previsto lo sganciamento dell’azione di prevenzione patrimoniale dal previo esperimento dell’azione personale, perché l’accumulazione del patrimonio è illecita in sé, se è frutto di sproporzione fra redditi apparenti, tenore di vita e disponibilità finanziarie e di risorse effettive. Si accetta, di conseguenza, la tesi della giurisprudenza secondo cui, anche in caso di morte del proposto, è possibile aggredire il suo patrimonio, entro i cinque anni dalla morte.

Riordinati i presupposti soggettivi, ancorati alla professionalità e abitualità dei delitti, fra cui quelli "distrettuali", oltreché all’appartenenza, agevolazione e concorso nelle più importanti figure di reato associativo, e non solo l’appartenenza, come oggi, all’associazione mafiosa, negli altri casi.

In materia di indagini patrimoniali, occorrerebbe ima riflessione sulla norma che sottrae alla Guardia di Finanza la preferenza alla loro conduzione, rinunciando ad apporti collaudati e professionali. Si è cercato di velocizzare il procedimento di prevenzione, ponendo come limite massimo per la presentazione della proposta, allorché la misura di prevenzione si fondi sulla commissione di reati, l’esercizio dell’azione penale, salva la necessità di investigazioni complesse. Rimane il paradosso che il ddl comporterebbe la legittimazione all’azione di prevenzione patrimoniale competa, oltreché al Questore e ai Procuratore distrettuale della Repubblica, anche al Direttore della Dia, per effetto di una sorta di "successione universale" del soppresso Alto commissario antimafia.

Mentre rimane escluso il Procuratore Nazionale Antimafia, che della Dia ha la disponibilità funzionale, con la stranezza ulteriore che esso può esercitare la sola azione di prevenzione personale e non quella patrimoniale, potendo solo per quest’ultima far ricorso all’impulso, coordinamento e applicazione di propri sostituti, d’intesa con il procuratore distrettuale, poteri già implicitamente riconosciuti dall’ordinamento.

Nella formulazione del ddl, si è trascurato che esiste oggi, dopo il decreto Bersani, l’anagrafe dei conti correnti e depositi, sicché il n° 3 della lettera g) dell’articolo 1 del ddl andrebbe opportunamente modificato.

Tra le misure della sorveglianza speciale, è inserita quella di comunicare le variazioni patrimoniali, anche se none esplicitato a quale organismo, e perciò sarebbe stato preferibile mantenere il testo dell’articolo 30 della legge 646/82, cioè al nucleo di Polizia tributaria.

La disciplina della prevenzione si applica, con il sequestro, anche agli enti, conseguenza della responsabilità per le persone giuridiche. L’azione di prevenzione è irretrattabile, ma il Pm può adottare il decreto di archiviazione se non sono acquisiti elementi utili, con stridente contraddizione circa il carattere obbligatorio dell’azione. È prevista l’assunzione nella P.A. dei testimoni di giustizia. È ampliato, da un anno a un anno e sei mesi, il termine entro cui il sequestro debba essere trasformato in confisca dal tribunale. Poco realistica e bisognevole di maggiore approfondimento la norma che introduce la "denuncia di assoggettamento ad influenza mafiosa", da parte delle imprese, come presupposto per misure di cautela e sostegno, perché mutile nei casi conclamati, ambivalente nei casi-limite, in mancanza di un obbligo di denuncia delle estorsioni. In conclusione, un provvedimento che denota una volontà dì razionalizzare e rendere più efficace il contrasto, anche se le soluzioni concrete presentano luci e ombre e sono perciò auspicabilmente migliorabili dal Parlamento.

Giustizia: come funzionerà la banca nazionale del Dna

 

Sole 24 Ore, 12 novembre 2007

 

Uno dei cinque disegni di legge approvati dal Governo a fine ottobre prevede la istituzione della Banca dati del Dna, a carattere interforze, collocata nell’ambito del Dipartimento per la pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno e il Laboratorio centrale della Banca dati presso il Dap del Ministero della Giustizia. La banca raccogli profili di Dna di soggetti che hanno commesso particolari reati, di persone scomparse o di cadaveri non identificati.

Raffronta i profili raccolti, ai fini dell’identificazione dell’autore di un reato. Il laboratorio estrae profili del Dna e conserva reperti biologici. Il Dna può essere prelevato a soggetti in carcere o agli arresti domiciliari, a chi è arrestato in flagranza di reato o sottoposto a fermo di indiziato di delitto (prelievo dopo la convalida del giudice, ai detenuti o destinatari di misure alternative alla detenzione in seguito a sentenza irrevocabile per delitto non colposo ed a soggetti con misura di sicurezza detentiva, definitiva o provvisoria.

La banca può essere consultata solo dal personale addetto e autorizzato, secondo modalità che ne consentano la tracciabilità. Gli abusi sono puntiti con la reclusione da uno a 3 anni. In caso di assoluzione con sentenza definitiva è prevista la cancellazione dei profili di Dna acquisiti. I dati, altrimenti, sono conservati per un massimo di 40 anni per i profili e per un massimo di 20 anni per la conservazione di campioni biologici.

Due le figure di garanzia: il garante per la protezione dei dati personali e il Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie. Vedremo poi se, come e quando il disegno di legge sarà trasformato in legge dello Stato.

Polizia Penitenziaria negli Uepe: un comunicato del Casg

 

Comunicato stampa, 12 novembre 2007

 

Alle dichiarazioni dei vertici dell’amministrazione penitenziaria fatte in occasione del convegno "Giustizia penale ed equità sociale, il carcere dopo l’indulto" - replica il Coordinamento Nazionale Assistenti Sociali Giustizia.

Interpretando il pensiero dei tanti assistenti sociali che in questi ultimi giorni hanno letto o sentito e condiviso le preoccupazioni espresse dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Cons. Ettore Ferrara circa il progressivo aumento della popolazione detenuta e l’auspicio che vengano ampliate le misure alternative alla detenzione, esprimo invece perplessità sulle dichiarazioni dello stesso Ferrara, il quale ritiene si possa ottenere questo obiettivo, inserendo la polizia penitenziaria nel controllo dei sottoposti alle misure alternative al carcere.

È infatti in programma su iniziativa del Dap l’avvio di una sperimentazione, che vedrà coinvolti un centinaio di appartenenti alla polizia penitenziaria in diverse città e province, nel controllo dei sottoposti alle misure alternative, e questo, a suo parere, ne farà aumentare la concessione da parte dei Magistrati di Sorveglianza perché in questo modo le stesse saranno rese "più credibili".

Abbiamo avuto modo di sentirgli dire, inoltre, in un dibattito pubblico, che il ricorso alle misure alternative da parte dei Magistrati è limitato, perché esse sono considerate: "non pena".

Un’affermazione di questo genere, pronunciata soprattutto dal Capo del Dap, non può che lasciare amareggiati, perché fa un torto al duro e difficile lavoro che da oltre 30 anni, quotidianamente svolgono tutti gli operatori impegnati nella concessione/gestione delle suddette misure e che non sono solo gli assistenti sociali, ma anche: i Magistrati di Sorveglianza, gl’impiegati dei Tribunali di Sorveglianza, le Forze dell’ordine, il volontariato, i servizi territoriali, ecc. e soprattutto fa un torto alle migliaia di persone, sottoposte, attualmente, o che sono state sottoposte in passato, a queste misure, impegnate a conciliare responsabilmente la propria vita con le limitazioni della libertà, imposte loro.

Come si può pensare di far crescere nell’opinione pubblica l’idea che il carcere non rappresenta l’unica risposta punitiva possibile e che una differenziazione di sanzioni possa addirittura essere più efficace, se gli addetti ai lavori, per primi, dimostrano di non crederci?

Queste affermazioni fanno nascere diversi interrogativi: si è proprio sicuri che introducendo la polizia penitenziaria nel controllo delle misure alternative, queste ultime aumenteranno? I Magistrati di Sorveglianza potranno concedere più misure alternative in presenza di una legislazione, come l’attuale, che riduce sensibilmente l’ammissibilità alle stesse? Lasciare invariata la legge cosiddetta "Cirielli", che limita sensibilmente l’accesso alle misure alternative dei soggetti recidivi e facendo entrare in vigore l’emanando pacchetto sicurezza si limiterà l’accesso ad un numero sempre più alto di autori di reati di elevato allarme sociale, ciò non significa ridurre drasticamente l’area penale esterna al carcere? Come potranno essere concesse le Misure Alternative ai soggetti stranieri e italiani senza quei presupposti indispensabili quali: risorse abitative, lavorative e di supporto, che solo un complesso e articolato lavoro sociale può garantire? Se le misure alternative hanno avuto nei 32 anni della loro applicazione risultati positivi sulla recidiva, con il solo intervento del servizio sociale,come risulta da una ricerca commissionata dallo stesso Dap, perché cambiare? Come si pensa di far diminuire la popolazione detenuta se più della metà di essa è in custodia cautelare, quindi non può beneficiare di misure alternative? Come può un progetto tutto interno all’A.P. risolvere la questione del sovraffollamento carcerario che dipende da fattori tutti esterni, quali la legislazione penale, le leggi sull’immigrazione, sulle dipendenze etc.? Se esiste un problema di insicurezza nelle città questo è addebitabile ai soggetti in misura alternativa? e comunque, è realistico pensare che l’inserimento di nuclei di 6/9 unità di polizia penitenziaria in città come Milano, Roma, Napoli possa di fatto aumentare la "sicurezza"?

E inoltre: come si pensa di affrontare l’inevitabile aumento dei soggetti detenuti in carcere che seguirà alla legislazione vigente e la contemporanea diminuzione degli addetti della polizia penitenziaria operativi negli istituti? Con quali risorse finanziarie si pensa di alimentare un apparato di controllo da creare ex novo e che si andrà ad aggiungere a quello già esistente sul territorio?

Riteniamo che, chi crede che le misure alternative abbiano un valore intrinseco come modalità di esecuzione della pena e che accompagnando le persone in un processo di responsabilizzazione e reinserimento sociale si realizza la condizione vera per evitare la recidiva, si deve chiedere, piuttosto, come potenziare il lavoro degli operatori sociali e come integrare le risorse del territorio, comprese quelle deputate al controllo.

 

Per il Consiglio Nazionale, Anna Muschitiello

Bari: detenuto morto sul "blindato", due medici imputati

 

Telebari, 12 novembre 2007

 

Con l’accusa di omicidio colposo la procura di Bari ha chiesto il rinvio a giudizio di due medici del carcere del capoluogo pugliese indagati per aver provocato la morte del detenuto Fabio Malinconico, avvenuta il 29 novembre 2004 al termine del suo trasferimento dal carcere di Bari a quello di Napoli - Secondigliano. Secondo l’accusa, i due medici - Pasquale Conti e Vincenzo De Marco - hanno omesso per colpa, dovuta ad imperizia e negligenza, di disporre che il trasferimento del pluripregiudicato leccese di 44 anni avvenisse a bordo di un’ambulanza, anziché su una sedia a rotelle caricata su un mezzo furgonato.

Il trasferimento - argomenta il pm inquirente Angela Morea nella richiesta di rinvio a giudizio - doveva essere fatto in ambulanza perché l’uomo era affetto da "cardiopatia ischemica con pregresso infarto del miocardio e da morbo di Crohn ed igroma frontale". Malinconico giunse nel penitenziario di Secondigliano in stato di arresto cardio-respiratorio e morì sul colpo, nonostante le manovre rianimatorie praticate.

Il detenuto era ritenuto personaggio di rilievo della criminalità salentina ed era in carcere dal luglio 1997: morì dopo aver chiesto inutilmente al tribunale di sorveglianza di Bari il permesso di continuare ad espiare la pena - 23 anni e due mesi di reclusione - nella sua casa di Lecce, a causa dei problemi cardiaci persistenti.

Malinconico era stato arrestato prima per detenzione ai fini di spaccio di droga, e poi raggiunto in carcere da un’ordinanza di custodia cautelare emessa nell’operazione Dedalo della polizia a carico di 44 persone coinvolte in traffici di droga: era accusato di essere uno dei capi e per questo era stato condannato a una pena rilevante.

I giudici del tribunale di sorveglianza di Bari, il 9 novembre 2004, sulla base di un parere medico, ritennero che le condizioni di Malinconico erano compatibili con il regime carcerario e disposero il suo trasferimento in un carcere attrezzato per ospitare detenuti con problemi cardiaci, appunto quello di Secondigliano, dove Malinconico morì subito dopo l’arrivo.

Roma: 31 bambini nel nido di Rebibbia Femminile, è "record"

 

Comunicato stampa, 12 novembre 2007

 

Record di bambini nel nido di Rebibbia Femminile: ce ne sono 31 con 28 mamme. a partire da sabato scorso iniziati i primi trasferimenti in altre regioni d’Italia. Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: "mamme e bambini trasferiti da una parte all’altra d’Italia senza tener conto dei legami affettivi creati in carcere. l’emergenza di queste ore dimostra che per le madre detenute servono misure alternative alla detenzione".

Nuovo record di presenze nel nido del carcere di Rebibbia Femminile. Lo scorso fine settimana, infatti, c’erano 31 bambini e bambine di età compresa tra 0 e 3 anni insieme a 28 mamme (due hanno due gemelli) detenute nel carcere romano. La capienza massima del nido di Rebibbia è di 13 unità.

L’allarme arriva dal Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni che ha segnalato anche che sabato scorso sono stati avviati dei trasferimenti di donne e bambini in altre carceri d’Italia. Sarebbero state trasferite quattro donne a Torino ed una Perugia con i figli al seguito. "Una situazione sgradevole per due motivi - ha spiegato il Garante Angiolo Marroni - Il primo è che si tratta di detenute straniere in gran parte stanziate nella zona di Roma che, con il trasferimento, si vedono tagliare ogni legame con le loro famiglie.

Il secondo è che non si è tenuto conto della delicata situazione dei bambini, molti dei quali frequentano l’asilo nido esterno del Comune e che sono coinvolti nelle iniziative dell’associazione di volontariato "A Roma Insieme", che ogni sabato li porta fuori dal carcere per ridurre al minimo il loro impatto con il carcere".

A Rebibbia Femminile le 28 detenute madri sono quasi tutte straniere, in gran parte rom. In base alla legge - spiegano dall’Ufficio del Garante - i bambini da 0 a 3 anni possono stare in carcere con le mamme, ma al compimento del terzo anno di età è obbligatoria la scarcerazione dei minori, indipendentemente dalla pena che sta scontando la madre, con l’affidamento del piccolo o ai parenti (se ci sono) o a soggetti esterni.

In carcere i bambini trascorrono gran parte del loro tempo nella stanza dei giochi o nella zona verde. Alcuni di loro - fra mille difficoltà legate alle diffidenze delle mamme straniere - frequentano il nido del Comune di Roma. Ai problemi dei minori se ne aggiunge, poi, un altro di tipo culturale. Alle detenute, infatti, sarebbe stato spiegato che se avessero affidato la custodia dei figli all’esterno potevano essere sistemate nella sezione comune di Rebibbia, evitando il trasferimento extraregione.

Ma molte hanno rifiutato per paura di perdere definitivamente i figli. "Nonostante l’impegno di operatori e volontari, i bambini vivono una situazione difficile anche per questi problemi di tipo culturale- ha detto Angiolo Marroni - L’emergenza di queste ore, con mamme e piccoli trasferiti da una parte all’altra d’Italia senza tener conto dei legami anche affettivi che si erano creati i piccoli in carcere e con i volontari, dimostra ancor di più l’urgenza di prevedere, per le madri detenute, misure alternative alla detenzione e l’uso della carcerazione solo per reati gravi. Auspico che il Parlamento approvi al più presto la Proposta di Legge su questo tema, già licenziata dalla Commissione Giustizia".

Padova: un comune vietato per disoccupati e pregiudicati

 

Il Gazzettino, 12 novembre 2007

 

L’ordinanza promessa dal sindaco di Cittadella, Massimo Bitonci, è inusuale. Ma il primo cittadino, in circostanze di particolare necessità e urgenza, può diramare istruzioni eccezionali. A Cittadella, nel Padovano, è fresco il ricordo di quel che è accaduto pochi giorni fa nel comune confinante di Gannignano di Brenta, dove una ultranovantenne è stata picchiata e rapinata (bottino: 49 euro) in casa da tre marocchini, poi catturati.

Ecco, di fronte all’ennesimo caso di quella che qualcuno si ostina a chiamare microcriminalità, il leghista Bitonci ha pronta un’ordinanza rivoluzionaria: all’ufficio anagrafe di Cittadella, poco meno di ventimila abitanti, non potranno essere iscritti gli immigrati, fa niente se sono comunitari o no, non in grado di dimostrare di avere un lavoro, una casa decente e la fedina penale assolutamente intonsa.

Il problema, secondo il sindaco, è quella che chiama l’invasione degli stranieri. "Ogni settimana il comune riceve dalle dieci alle venti richieste di variazione di residenza - afferma Bitonci - in gran parte relative ad extracomunitari. Tra questi, metà sono romeni".

Inutile cercare di convincere il primo cittadino che, nel frattempo, i romeni sono diventati comunitari a tutti gli effetti. Per non sbagliare, Bitonci non discrimina nessuno e, prima di rilasciare il certificato di residenza, pretenderà una specie di radiografia anagrafico-penale-catastale dell’aspirante cittadellese.

Cittadella, appunto, è una cittadella, fortificata e resa inespugnabile dalle storiche mura. Per evitare di essere conquistata dall’invasore, il sindaco ha intenzione di andare fino in fondo. "Nel mio comune vivono circa 1.500 stranieri e da qualche mese la polizia municipale sta effettuando dei controlli mirati e sono stati scoperti due laboratori dove lavoravano abusivamente decine di cinesi, alcuni dei quali bambini.

Con l’ordinanza che ho intenzione di emettere mercoledì prossimo voglio che questi controlli diventino preventivi. Prima di ottenere il certificato di residenza, i richiedenti dovranno dimostrare di non avere precedenti penali e di avere invece un lavoro e una casa. In caso contrario, niente residenza".

Dal punto di vista normativo, è dura che questa interpretazione superi indenne il percorso minato degli eventuali ricorsi che potrebbero essere presentati dai richiedenti non soddisfatti. "Ma io non ho paura di espormi quando si tratta di difendere la sicurezza dei miei cittadini", tira dritto Bitonci. Che nel frattempo ha già provveduto a istituire il divieto di campeggio e di sosta per roulotte e camper in tutto il territorio comunale.

Cittadella, per quanto suggestiva e graziosa, non è una meta ambita dai turisti-camperisti: il divieto di campeggio, va da sé, è rivolto ai rom e ai giostrai che nei giorni scorsi si erano acquartierati in una zona privata. La polizia municipale li ha già fatti sloggiare.

Calabria: giustizia minorile, al via un corso di formazione

 

Asca, 12 novembre 2007

 

Con la stipula del protocollo d’intesa, avvenuta nel mese di marzo scorso, il corso di formazione, voluto dal Centro per la Giustizia Minorile per la Calabria e la Basilicata e dal Centro Servizi al Volontariato della provincia di Catanzaro, è ormai entrato nel vivo. Fino al prossimo mese di gennaio e per la durata complessiva di trenta ore, le lezioni settimanali, tenute all’Auditorium del Centro di Giustizia Minorile di Catanzaro, saranno, infatti, tese ad illustrare ai partecipanti l’attuale organizzazione del Cgm della Calabria, ad analizzare le forme di espressione del disagio dei minori e ad approfondire il concetto di capitale sociale ed il conseguente ruolo delle organizzazioni di volontariato nel settore della giustizia minorile. Per operare all’interno del Cgm, e quindi a favore di minori entrati a far parte del circuito penale, c’è infatti bisogno di volontari qualificati e motivati che sappiano dare risposte concrete ai segnali indicativi di un malessere sociale.

Pertanto, al termine del corso, le associazioni provenienti da tutta la provincia, potranno essere accreditate all’interno del CGM e fornire il proprio apporto ai vari servizi ministeriali di cui il Centro, a norma del d.lgs 272/89, si compone. "Il Centro per la Giustizia Minorile, che non va confuso con la struttura penitenziaria per minori, opera, infatti ,attraverso i Centri di Prima Accoglienza, gli Istituti Penali per i Minorenni, gli Uffici di Servizi Sociali e le Comunità - ha chiarito nel corso della prima lezione il dirigente del Cgm Angelo Meli - Il volontariato può invero esplicare il proprio impegno all’interno di queste strutture, ed essere così d’aiuto all’assistenza sociale per l’attività di accompagnamento del minore sul territorio".

Milano: con il teatro uno spettacolo oltre le sbarre interiori

di Linda Fineschi

 

Magazine 7, 12 novembre 2007

 

"Oltre l’immagine" aiuta gli ex detenuti a reinserirsi nella società. L’associazione organizza musical con protagonisti ex carcerati nei ruoli di attori, cantanti, ma anche coreografi e scenografi.

In scena una nuova vita. Con "Oltre l’immagine" ex detenuti e persone disagiate o emarginate sociali hanno la possibilità di ricominciare, di reinserirsi piano piano nella società partendo dal palco di un teatro. È con questo obiettivo che nasce nel marzo 2003 l’associazione, che già nel nome evoca la sua missione: superare il pregiudizio ed andare oltre le apparenze e al marchio che, specialmente gli ex carcerati, portano stampato addosso.

Attraverso una forma artistica particolarmente versatile, il musical, queste persone hanno l’occasione di affrancarsi dal passato attraverso il canto, il ballo e la recitazione, che offrono loro quel protagonismo che spesso perseguivano spesso con azioni illegali. La fondatrice dell’associazione Antonella Baldo Capilvenere è convinta che lo spettacolo sia un ottima opportunità di reinserimento e di qualifica per loro, e proprio con questo obiettivo ha dato vita al progetto.

 

Come nasce Oltre l’immagine?

"Nasce da un esperienza personale, della durata di tre anni, come volontaria nel carcere di Opera, e dall’impegno profuso in laboratori teatrali rivolti a ragazzi delle periferie più degradate, spesso con genitori che uscivano ed entravano dal carcere. Ma un episodio in particolare mi ha spinto a dedicarmi agli altri: l’incontro con una ragazzina down che mi ha cambiato la vita. Prima di allora ero una ballerina e coreografa professionista, con una carriera ventennale alle spalle, poi, un giorno, durante un mio spettacolo ho conosciuto questa bambina e la gioia che ho percepito nei suoi occhi mi ha fatto riflettere. Mi rendeva più felice la sua contentezza che gli applausi di una platea intera".

 

Così ha deciso di fondare Oltre l’immagine. Con quali obiettivi?

"Lo scopo era andare al di là della facciata, dritti al cuore, superando le barriere interiori".

 

E c’è riuscita?

"Per chi esce dal carcere è duro trovare un lavoro, qualcuno disposto a darti una chance. Se non hai una famiglia, una casa e un lavoro è molto facile ricadere negli stessi errori. Il musical è un’occasione importante di socializzazione ma anche di formazione professionale. Gli ex detenuti sono impegnati infatti sia sulla scena che dietro il palco, svolgendo diverse mansioni: coreografi, tecnici del suono, scenografi oltre che cantanti, ballerini e attori. Finora ho assistito a tanti buoni risultati, anche perché spesso dietro ai reati commessi da queste persone c’è una grande voglia di protagonismo che può essere sfogata sul palco".

 

Cioè, ci spieghi meglio?

"Gli ex carcerati hanno spesso storie familiari disastrose, sono cresciuti in famiglie che non si preoccupavano di loro e in ambienti emarginati, ecco perché la maggior parte di loro arriva a delinquere: per sentirsi importanti, per far parlare di sé ed essere per una volta protagonisti. Lo stesso risultato lo si può raggiungere anche nella legalità, con il teatro appunto".

Roma: MedFilmFestival, il carcere raccontato in un corto

 

Redattore Sociale, 12 novembre 2007

 

La rassegna romana dedica uno spazio ai cortometraggi realizzati in collaborazione con i detenuti. Coinvolti otto istituti.

Proiettati, nell’ambito del MedFestival i cortometraggi dalle carceri realizzati nei centri di detenzione carceraria di Catania Piazza Lanza, di Modena, di Gozzini Firenze, di Prato, di Volterra, di Lauro, di Udine e di Pesaro. Gli Istituti penitenziari italiani partecipano in qualità di giurati nel concorso cortometraggi all’interno di una giuria internazionale composta da studenti diplomati delle scuole nazionali di cinema dei paesi europei e mediterranei e come ideatori di corto-mediometraggi. I corti propongono uno sguardo sulle carceri e dalle carceri per condividere lo stato mentale della condizione di detenzione.

Appena 25 minuti, come nel caso di "Chiuso Fuori" di Piero Vivenzio, per conoscere da vicino un detenuto, Massimo che usufruisce della possibilità di avere un impiego all’esterno dell’istituto penitenziario. Massimo esce ogni giorno e va a lavorare in una piccola casa editrice ma non ha mai la mente libera. L’orologio ricorda ossessivamente l’ora del rientro in cella, la sua detenzione mentale. Scherza con la condizione carceraria "Evacuation… Evacuation" di Maria Luisa Carretto.

Il corto è una parodia della libertà, rappresentata dalla statua della libertà, evacuata dal detenuto protagonista. La maggior parte dei corti dalle carceri proiettati al MedFilmFestival 2007 si avvale della mediazione di un esperienza di laboratorio teatrale svolta dai prigionieri. "Il riscatto di pulcinella" racconta l’esperienza di un gruppo di ragazzi che condividono con i detenuti dell’Istituto penitenziario di Pesaro la messa in scena di uno spettacolo su Pulcinella, con il contributo della compagnia teatrale Nakote di Napoli.

L’arte teatrale unisce il percorso di crescita dei ragazzi al travaglio dei detenuti, accolti dai piccoli attori senza alcun pregiudizio. In questo momento d’incontro è in gioco l’identità, di bambini che si fanno adulti e di adulti che si confrontano con la pena imposta dall’ordine costituito. Anche "L’isola di Antigone"di Rita Maffei e Carlo Della Vedova affronta l’esperienza del teatro in carcere.

Un gruppo di detenute della casa Circondariale di Udine mette in scena "L’isola", il testo del drammaturgo Athol Fugare sulla storia di due detenute che rappresentano l’"Antigone" di Sofocle per fuggire dalla dura realtà carceraria. Ruota intorno al rapporto tra detenuti e laboratori teatrali anche "Sparsi nel già vissuto" testimonianza dello spettacolo realizzato da un gruppo di donne della Casa Circondariale di Catania Piazza Lanza, in collaborazione con gli operatori dell’associazione"Segnale mosso".

Le detenute in occasione della festa della donna del 2007 portano in scena i versi della scrittrice siciliana Maria Attanasio. Il cortometraggio mostra solo alcuni frammenti dello spettacolo. L’attenzione è rivolta all’autrice che osserva in video la rappresentazione delle recluse mentre queste da uno schermo in carcere la osservano. Un complesso gioco di sguardi amplifica l’intento intermediale (letterario, teatrale, cinematografico) del cortometraggio: lo sguardo messo in scena attraverso il supporto cinematografico va dall’autrice di un testo letterario, verso le donne, attrici del suo lavoro e arriva a toccare, attraverso il teatro, l’intimità della detenzione: le prigioniere interpretano, rivivono il testo e restituiscono il proprio sguardo all’autrice.

"Pezzo di legno" è un estratto da "Pinocchio" - lo spettacolo della ragione", ultimo lavoro di Armando Punzo con la compagnia della Fortezza, all’interno del carcere di Volterra. Il pinocchio di Punzo vuole tornare di legno per non fare più parte di quest’umanità. "Una settimana d’aria" racconta il permesso premio di quattro detenuti della casa circondariale "La Dogaia" di Prato. I detenuti prestano servizio volontario a favore dei giovani portatori di disagio psichico impegnati nelle gare sportive del trofeo Aurora.

"Meno tre" di Claudia Tosi racconta la storia di una detenuta atipica, almeno secondo i pregiudizi correnti: Laura, 61 anni, una laurea in giurisprudenza, un lungo soggiorno in Francia e una carriera da giornalista alle spalle. Fino alla fine la colpa di Laura rimane celata. Il suo reinserimento nella società la vede a confronto con i pregiudizi dell’opinione pubblica che continua a ritenerla colpevole anche se ha scontato la sua pena.

Vicenza: mostra; quando la cella diventa un'opera d’arte

 

Giornale di Vicenza, 12 novembre 2007

 

Gli organizzatori la definiscono con modestia "una mostra da cinque minuti". Ma si tratta di quei cinque minuti che difficilmente si dimenticano. Varcata infatti la soglia della stanza al piano terra della cooperativa "Insieme" di S. Pio X, sorprende scoprire che l’oggetto in mostra è uno solo: una cella carceraria, esattamente identica nelle misure e nell’arredo alle 130 celle della casa circondariale di Vicenza, che è a pochi metri dalla sede della mostra "Ri-esistenze", a cura di 14 associazioni e istituzioni vicentine.

"Ci siamo fatti prestare anche il mobilio originale" spiega Lucia Barbieri di Insieme, all’interno della cella, appena 2 metri per 3, nella quale a malapena si sta in due. Appunto: "Ma i letti sono veramente tre?", è la prima domanda di molti visitatori. "Certo - risponde Lucia -. Tre uomini abitano 20 ore al giorno queste celle. Il fatto è che questo tipo di ambiente era stato progettato per ospitare soltanto due detenuti.

Ma qui a Vicenza, per problemi di sovraffollamento, si è aggiunto un letto". Tanto che per arredarla poteva entrarci un operaio alla volta. Ma le risposte a tutte le domande sono scritte sui muri attorno alla cella, dove il visitatore trova numerose schede ricche di fotografie che raccontano tutta la vita dei detenuti del carcere di Vicenza, le loro testimonianze scritte, e tutte le attività che possono svolgere nelle 4 ore d’aria giornaliere: dallo sport al teatro, al giardinaggio, ai corsi scolastici e di lingue, di pittura e scultura.

E proprio un corso di scultura è stato uno degli ultimi tenuti, alla fine del quale 12 detenuti hanno creato alcuni manufatti artistici venduti da un Pino Costalunga improvvisato e battitore d’asta, in occasione della serata inaugurale, con la musica de "Le officine del suono" e letture di Marco Cavalli. La mostra sarà aperta fino a sabato 17 novembre. Gli orari: 10-12.30 e 15-19.

Immigrazione: con nuovo decreto un "foglio di via" europeo

 

Sole 24 Ore, 12 novembre 2007

 

"In fin dei conti si tratta di una sorta di foglio di via, un foglio di via europeo". Con tutte le garanzie del caso per chi ne subisce le conseguenze". A parlare è Gian Valerio Lombardi, Prefetto di Milano, piazza calda quanto a presenze di stranieri. Comunitari ed extracomunitari che siano. E che ogni giorno è in campo per fronteggiare anche gli aspetti peggiori di questa condizione.

 

Ma allora, queste espulsioni di massa?

Andiamoci piano. Innanzitutto l’allontanamento del cittadino comunitario non è l’espulsione dell’extracomunitario clandestino, e quindi il termine non può certamente essere utilizzato. E poi i numeri circolati in questi giorni dimostrano che di tutto si tratta fuorché di deportazioni.

 

Nel frattempo l’Unione europea ci guarda...

Ci mancherebbe. È proprio l’Unione europea che ha imposto ai Paesi membri di adottare misure per contenere i rischi di esodi, specialmente dall’Est, all’indomani dell’ultimo allargamento.

 

Dunque tutto normale?

La situazione è abbastanza semplice: il Governo si è impegnato ad adottare il pacchetto sicurezza con una serie di provvedimenti, uno dei quali partiva dalla necessità di prevedere l’allontanamento dei cittadini comunitari. La norma è stata fatta inizialmente con disegno di legge. Poi, come riportato nelle cronache, alcuni tragici fatti hanno turbato la comunità e quindi si è deciso di anticipare una di queste misure, in particolare l’allontanamento dei cittadini comunitari, con decreto legge.

 

Al di là delle ragioni di urgenza, l’esecutivo stava comunque preparando un ddl su questa materia.

Certo. Perché ci si è resi conto chele norme originarie (quelle del Dlgs 30/07 che hanno dato attuazione alla direttiva UE, ndr) avevano qualche difetto.

 

Cioè?

Tanto per cominciare la competenza ad adottare i provvedimenti di allontanamento, tutta sulle spalle del ministro. Si è quindi pensato di risolvere il problema, che avrebbe potuto determinare la difficile applicazione della misura di allontanamento, ridistribuendo la competenza.

 

E qui entra in gioco il Prefetto.

Già. Ma in realtà il Prefetto era comunque della partita. Perché le informazioni di pubblica sicurezza sempre qui devono passare. E allora ci siamo detti: perché chiedere un decreto al ministro quando ci troviamo di fronte a una persona pericolosa? Tanto vale a questo punto che il potere venga attribuito direttamente al Prefetto.

 

E così è stato.

Sì, anche se il ministro mantiene una competenza esclusiva in alcuni casi.

 

Da più parti si sono sollevati dubbi di costituzionalità. Ad esempio mancherebbe un’indicazione tassativa dei casi in cui procedere all’allontanamento.

Attenzione a non confondere una misura come l’allontanamento da strumenti di carattere penale che invece pretendono la cosiddetta tassatività, E poi diciamola tutta, è un po’ come il questore con il foglio di via al cittadino italiano: ci troviamo alle prese con un foglio di via europeo.

 

Però è una misura privativa della libertà...

Le cose non stanno proprio così. La persona non viene trattenuta, ma semplicemente riaccompagnata al suo Paese. Peraltro la misura è anche temporanea. E poi non dobbiamo dimenticare che l’Italia ha accettato di limitare la propria sovranità di fronte ad alcune scelte dell’Unione europea. È la stessa nostra Costituzione a prevederlo, all’articolo 11. Bisogna andare quindi cauti con i dubbi di costituzionalità.

 

E quanto alla convalida?

Francamente per il Prefetto non cambia molto se a convalidare l’allontanamento immediatamente esecutivo è il giudice di pace o il tribunale ordinario in composizione monocratica. L’importante è che decida velocemente.

 

Fino a tre anni per chi rientra

 

A fianco delle misure destinate a incidere sulla permanenza dei cittadini Ue in Italia, il decreto legge 181/07 ha modificato e introdotto due nuove fattispecie di reato. Più in particolare è stata trasformata in delitto una fattispecie finora contravvenzionale che punisce il destinatario del provvedimento di allontanamento che rientra nel territorio dello Stato in violazione del divieto di reingresso.

Se finora era previsto l’arresto da tre mesi a un anno e l’ammenda da 500 a 5.000 euro, oggi la pena è solo quella della reclusione che può arrivare fino a tre anni.

Altro caso quello dell’allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno. Sì tratta di quelle persone che, senza poter dimostrare il possesso di adeguati mezzi di sussistenza (vale a dire un reddito equiparabile al minimo della pensione sociale per un nucleo di due persone), restano in Italia oltre i tre mesi stabiliti quale periodo massimo di soggiorno.

A questi soggetti, insieme al provvedimento di accompagnamento, è consegnata un’attestazione che deve essere consegnata all’autorità consolare italiana nel proprio Paese di residenza (in realtà, il ministero non ha ancora prodotto i modelli e le questure intanto fanno da sé). Questo documento attesta, appunto, l’avvenuto rispetto dell’obbligo di allontanamento. Ebbene, il cittadino Ue allontanato sulla base di questo presupposto, che viene individuato in Italia oltre il termine fissato nel provvedimento, senza aver provveduto alla presentazione dell’attestazione sopra descritta, è punito con l’arresto da uno a sei mesi e con l’ammenda da 200 a 2.000 euro.

 

 

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