Rassegna stampa 9 marzo

 

Giustizia: dietro le sbarre si perde il diritto alla salute

 

www.lavoce.info, 9 marzo 2007

 

In Italia non si investe né sulla costruzione di nuove carceri né sulla tutela della salute dei carcerati: la spesa sanitaria procapite per i reclusi è diminuita del 12 per cento dal 2000 al 2004, proprio mentre quella dei cittadini liberi aumentava del 31 per cento.

Potrebbe apparire come il "paradosso della Giustizia" quello del diritto universale alla salute, che ancora oggi a distanza di più di otto anni dalla norma che disciplina il riordino della medicina penitenziaria continua a viaggiare a velocità diverse. Una questione di responsabilità, prima ancora che di costi. Al di là del muro che divide il mondo libero da quello prigioniero si sta male.

 

Un processo di riforma davvero singolare

 

Che fine ha fatto il decreto legislativo 230/99? È lecito chiederselo considerando che la sanità penitenziaria, "corpo" a sé ancora dipendente dal ministero della Giustizia, continua ad essere regolata da norme alquanto antiche, che di fatto risalgono agli anni Settanta. (1) Norme antecedenti l’istituzione del Servizio sanitario nazionale, che definisce un sistema di diritto alla salute universale, più volte interessato da grandi processi di riforma.

Nasce dal presupposto di universalità l’esigenza di ricondurre, con il Dlgs 230/99 (riforma Bindi), anche la sanità nelle carceri sotto la responsabilità del Ssn, il quale, per mezzo delle Regioni e delle Asl, deve assicurare a tutte le persone detenute e internate, a prescindere dalla nazionalità e, per i migranti, dal permesso di soggiorno, livelli di prestazioni analoghi a quelli garantiti ai cittadini liberi.

Il passaggio di consegne dal ministero della Giustizia al ministero della Salute, con contemporaneo trasferimento delle risorse finanziarie e umane, sarebbe dovuto avvenire in via immediata per i servizi delle tossicodipendenze affidati ai Sert di competenza territoriale, e in via sperimentale, cominciando da alcune Regioni, per le altre funzioni sanitarie.

Al Dlgs 230/99 ha fatto seguito un corposo Progetto obiettivo a valenza triennale volto ad affrontare sia questioni generali del sistema carcerario (igiene degli ambienti, stato delle strutture sanitarie, assistenza farmaceutica, medicina d’urgenza, eccetera), sia priorità specifiche (tossicodipendenze, assistenza ai migranti, patologie infettive, tutela della salute mentale). Il Progetto è rimasto in attesa dei risultati della sperimentazione per poter pervenire a un compiuto modello organizzativo del sistema.

Ma la sperimentazione non si è mai conclusa e ciò è "testimoniato tra l’altro dal fatto che la Giustizia ha dichiarato formalmente di non essere in grado di fornire elementi sull’evoluzione e sull’esito della sperimentazione", come si enuncia nell’apposita indagine conoscitiva condotta dalla Corte dei Conti, che continua: "i fatti che hanno determinato una anomalia tanto rilevante risultano privi di una spiegazione ragionevole".

Le vicende che hanno caratterizzato una sperimentazione, che nella realtà ha finito per interessare solo i servizi per le tossicodipendenze (che non dovevano essere oggetto di sperimentazione) sono davvero singolari. La Corte dei Conti riferisce di aver appurato che "nel medesimo periodo in cui (…), presso il ministero della Salute, erano in corso i lavori del "Comitato misto Salute-Giustizia" (insediato per monitorare i risultati della sperimentazione), è stata costituita e ha iniziato l’attività (… presso il ministero della Giustizia) una "Commissione mista Giustizia-Salute", con il compito di elaborare uno schema di disegno di legge diretto tra l’altro a ricondurre il servizio presso l’amministrazione penitenziaria".

Il comitato, a distanza di due anni dall’approvazione del Progetto obiettivo prende atto che i dati epidemiologici relativi alla "sanità penitenziaria" non sono disponibili e nella riunione finale del 27 giugno 2003 non riesce a pervenire a una relazione conclusiva unica: la differenza di vedute fra i rappresentanti della Salute, propensi a proseguire l’attuazione della riforma, e della Giustizia, intenzionati a rivedere nella commissione mista il Dlgs n. 230/99 nella forma di sistema sanitario misto che coinvolga a livello locale le direzioni degli istituti e le direzioni delle Asl, induce a presentare due documenti distinti.

 

Una questione di costi?

 

I dati più aggiornati relativi alla spesa per la sanità penitenziaria sono contenuti nell’indagine conoscitiva condotta dalla Corte dei Conti relativamente al periodo 2002-2004. In breve, riflettono una diminuzione sensibile della spesa procapite, una forte incidenza dei costi del personale (più di quattro quinti del totale), in larga parte convenzionato, dei quale non si conosce però quanta parte sia imputabile al numero di ore lavorate e quanta ai compensi orari. L’indisponibilità di dati sul personale sanitario, insieme a quella sull’entità e sulle caratteristiche dei soggetti da assistere, configura nel complesso un sistema preoccupantemente privo di trasparenza.

 

O una questione di responsabilità?

 

Il 30 luglio 2003 viene deliberata un’indagine conoscitiva parlamentare in commissioni riunite Giustizia-Affari sociali per approfondire lo stato di attuazione della riforma. Le testimonianze che si susseguono nel corso del 2004 fanno emergere valutazioni discordanti sulla nuova normativa, ma anche la complessità e l’emergenza della questione "sanità nelle carceri". C’è chi rivendica l’autonomia della medicina penitenziaria, e chi ne ricorda i limiti ("un medico non può far uscire un detenuto dall’istituto.

Può solo avanzare una proposta in tal senso ma, in realtà, è il direttore che decide"); c’è chi, tra le associazioni di volontariato, porta l’esempio della Francia, dove il passaggio delle competenze dalla Giustizia alla Sanità è avvenuto in modo repentino e denuncia le resistenze interne all’amministrazione penitenziaria; c’è chi invita a verificare le spese spropositate affrontate per i medici parcellisti.

Su una cosa tutti concordano: il taglio dei finanziamenti, a fronte di una accresciuta domanda dei bisogni di salute e assistenza, contribuisce a determinare un livello di degrado al limite dell’incostituzionalità. Le commissioni riunite giungono alla conclusione che le testimonianze dovranno essere completate con i dati ufficiali sull’effettiva situazione riscontrata presso gli istituti carcerari, effettuando sopralluoghi programmati. Allo stato attuale, a quanto risulta, l’indagine conoscitiva continua a restare priva di un documento conclusivo.

 

Benvenuti all’inferno, dalla parte di chi non ha voce in capitolo

 

Le lettere dal carcere delle persone recluse, e i pochi soggetti cui è consentito oltrepassare il muro e guardare "dentro ogni carcere", ci descrivono una realtà sempre caratterizzata dall’emergenza: i frequenti episodi di autolesionismo e di suicidio; la diffusione di malattie infettive, come le epatiti, la tubercolosi, la scabbia, e l’Aids.

Sono i rapporti di Antigone che ci informano delle assurde condizioni igieniche in cui si è spesso costretti a vivere nelle prigioni italiane: in violazione del regolamento penitenziario, in alcune carceri la tazza del water è a fianco ai letti e non in vani separati, mentre là dove ci sono i bagni è difficile che siano forniti di docce o di bidet per le detenute, non è insolito che manchi l’acqua calda. Più in generale, in carcere non esiste una medicina preventiva ed è estremamente difficile ottenere ricoveri ospedalieri nei casi di urgenza.

Nonostante gli sforzi fatti da poche Regioni, che senza aspettare il passaggio delle competenze, stanno provvedendo con proprie risorse alla fornitura dei farmaci o alla gestione della salute mentale attraverso i Dsm territoriali, per evitare l’internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari, le persone ristrette nelle carceri italiane continuano a rimanere escluse dalla programmazione sanitaria del nostro paese, e dal riconoscimento dei livelli essenziali di assistenza.

Quella della sanità penitenziaria è una questione di democrazia prima ancora che di costi: attribuire le responsabilità a chi di dovere. Dopo più di otto anni, è ora di procedere al passaggio delle competenze al Ssn: la tutela della salute delle persone recluse non può essere limitata da esigenze di sicurezza e confinata nei documenti di programmazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ma deve procedere su un binario unitario insieme a quella del mondo libero. È necessario uscire dal limbo in cui è sospesa la sanità penitenziaria e dare soluzione a questo singolare "paradosso della Giustizia".

 

I numeri della sanità penitenziaria

 

I dati più completi sulla sanità penitenziaria si devono all’Indagine sullo stato di attuazione della disciplina di riordino della medicina penitenziaria condotto dalla Corte dei Conti.

L’istruttoria riguarda il periodo 2000-2004, anni in cui la popolazione detenuta è aumentata di circa il 5,5 per cento, passando da 53.165 a 56.068 presenze. Mentre gli stanziamenti annuali per la sanità penitenziaria da parte del ministero della Giustizia si sono progressivamente ridotti, addirittura in valore assoluto, passando da 144 a 129 milioni di euro. Il taglio è solo in parte spiegato dal trasferimento dei fondi per le tossicodipendenze al Sistema sanitario nazionale, che è avvenuto solo a metà del 2003.

La spesa sanitaria penitenziaria procapite per le persone detenute è superiore a quella del mondo libero: nel 2004, 2.302 euro contro 1.581. È però bene sottolineare che il concentrato di patologie presenti nelle carceri, peraltro difficile da valutare quantitativamente, in ragione della carenza di dati epidemiologici sulle condizioni di salute delle persone recluse, rende qualsiasi equiparazione impropria. Interessante è invece il dato sul trend. La spesa procapite relativa ai carcerati ha subito una variazione negativa rispetto al 2000 di circa il 12 per cento, contro un incremento assoluto di quella dei cittadini liberi del 31 per cento.

 

Quattro i capitoli di spesa

 

La sanità penitenziaria è costituita da quattro capitoli di spesa. Il primo, cap. 2131, finanzia le modeste spese sostenute nelle carceri minorili: in media lo 0,6 per cento degli stanziamenti. Il secondo, cap. 1768, era in precedenza destinato agli interventi per le tossicodipendenze con circa 6 milioni di euro l’anno che incidevano per circa il 4,5 per cento sugli stanziamenti. Ora queste risorse, con un ritardo di tre anni, sono state trasferite al Ssn per effetto del decreto legislativo 230/99.

Il terzo, cap. 1600, finanzia le retribuzioni del personale medico, di ruolo e incaricato, e del personale infermieristico di ruolo, direttamente dipendenti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e costituisce in media un quinto delle risorse. Infine, l’ultimo e più rilevante, il cap. 1764, su cui tra l’altro grava anche la costosa convenzione con l’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, è destinato in prevalenza alle spese gestite dai Provveditorati regionali e costituisce più dei tre quarti delle risorse.

Il capitolo 1764 serve per la maggior parte a finanziare le convenzioni per le guardie mediche e infermieristiche e per le consulenze specialistiche che, complessivamente, nel 2003 (ultimo dato disponibile) costituiscono circa l’82 per cento della spesa a consuntivo dei Provveditorati, con un incremento rispetto al 2000 del 17 per cento circa.

Per contro, la spesa farmaceutica (in prigione abbondano solo analgesici e antidepressivi) si è contratta nello stesso periodo del 42 per cento, anche in ragione del fatto che spesso della fornitura gratuita dei farmaci si sono fatte carico le Regioni, consapevoli della gravità della situazione nelle carceri, imputabile anche alla mancanza dell’impegno politico a procedere con la riforma. In sostanza, la spesa per la sanità penitenziaria, escludendo le spese per il minorile, è costituita all’81 per cento da spese per il personale sanitario. E si arriva all’86 per cento se si esclude la convenzione con Castiglione delle Siviere.

 

Il personale della sanità penitenziaria

 

Ma quale è il profilo del personale della sanità penitenziaria? I dipendenti sono un numero davvero irrisorio e nel complesso si è pure contratto, passando da 969 unità nel 2000 a 854 nel 2005. La maggior parte del personale medico e paramedico lavora a convenzione, con contratti atipici, senza un profilo giuridico definito, con tariffe peraltro inferiori a quelle vigenti presso il Ssn. Si tratta di personale, selezionato secondo criteri stabiliti dall’amministrazione degli istituti penitenziari, che svolge attività libero professionale su commissione e che può provenire dalle Asl o dal precariato.

Ciò che è grave è che a fronte di una spesa aggregata conosciuta per le convenzioni, i Provveditorati regionali non hanno saputo fornire alla magistratura contabile dati sulle unità di personale medico e infermieristico. I soli dati comunicati riguardano le presenze di un singolo giorno, il 12 maggio 2005, anno peraltro non incluso nel periodo di indagine: si tratta di 4.392 persone che operano in prevalenza a tempo parziale.

Come osservato dalla Corte dei Conti, ciò "non permette di verificare, ad esempio, se la crescita della spesa, che si registra in ciascun anno del periodo (sia per il personale medico che per quello infermieristico), si correli all’incremento dei dipendenti, a quello delle ore lavorate o soltanto alla ridefinizione dei compensi orari", e va sottolineato che "la possibile carente informatizzazione del sistema non sembra possa giustificare la mancanza di informazioni sui fattori elementari dell’assetto organizzativo delle strutture sanitarie".

L’indisponibilità di dati sul personale sanitario insieme a quella sull’entità e sulle caratteristiche dei soggetti da assistere, configura nel complesso un sistema privo di trasparenza. Per un aggiornamento dei dati esistenti, dovremo quindi, molto probabilmente, aspettare la prossima istruttoria della magistratura contabile.

Giustizia: sette mesi dopo l’indulto, è ora di fare un bilancio

 

www.lavoce.info, 9 marzo 2007

 

Di cosa parliamo quando parliamo di indulto? Parliamo di un provvedimento che ha quasi dimezzato le presenze nelle carceri italiane, riavvicinando queste strutture a una dimensione di legalità che si era definitivamente smarrita a causa di un sovraffollamento inarrestabile. Un po’ come se, non riuscendo a garantire la stessa salubrità degli ospedali si decidesse di dimettere tutti i ricoverati salvo quelli non trasportabili.

 

Tante questioni dietro una parola

 

Parliamo di un provvedimento di clemenza che ha abbattuto le pene per quasi tutti i condannati, compresi i rei di crimini che, tradizionalmente esclusi, un non sotterraneo accordo tra le forze politiche ha permesso di "recuperare". Come dire: tu puoi liberare i disgraziati, io i corrotti. Il che, tanto per fare un facile esempio, ha offerto su un piatto d’argento al Parlamento la possibilità di non far decadere un onorevole che grazie ai tre anni di sconto della pena inflitta si trova a beneficiare di misure alternative e a conservare ancora (e per sempre?) lo status e i benefici del mandato elettivo.

Parliamo di una scelta politica che, alleggerendo la pressione sulle carceri, era stata prospettata da una parte dell’attuale maggioranza come lo strumento indispensabile per un’operazione di intervento sul sistema delle pene e sul recupero della loro funzione costituzionale. Operazione in realtà mai avviata e ormai impraticabile. Il che dimostra che la maggioranza ha molte anime e che le cosiddette derive securitarie hanno molti padri e fratelli.

Parliamo di un provvedimento che, votato a larghissima maggioranza parlamentare, è divenuto strumento di una campagna di stampa che ha seminato paure basate su fatti in larga parte mistificati e su valutazioni infondate. La recente ricerca coordinata e presentata da Claudio Sarzotti ha fornito a questo proposito numeri e comparazioni che gettano una luce assai triste sul comportamento di tanta stampa, asservito ai peggiori luoghi comuni, se non agli interessi politici del momento.

Parliamo di un provvedimento che in modo eclatante ha segnato la crisi dei rapporti fra il processo penale e il suo stesso scopo, che non si limita all’accertamento dei fatti, ma anche a vedere eseguite le decisioni prese al termine di anni di indagini e di udienze. La rottura di quel rapporto è stata massiccia e, si badi bene, solo in apparenza emergenziale, così che è apparsa chiara a tutti gli operatori la circostanza che gran parte degli sforzi del sistema giudiziario sono destinati a naufragare nelle acque dove confluiscono politiche, culture e strategie fra loro non compatibili e ormai prive di una sintesi.

Parliamo di un provvedimento che ha messo i magistrati di fronte a scelte inevitabilmente politiche in presenza di politiche pubbliche incoerenti, che non danno alcun valore aggiunto e hanno esclusivamente la capacità di de-strutturare il sistema giuridico e i suoi strumenti operativi.

Di tutto questo parliamo parlando di indulto, e altri argomenti ancora potremmo introdurre. Tuttavia, dovendo scegliere proverei a spendere due parole su stampa e magistratura, questi poteri di cui la politica e la società non possono fare a meno, e che insieme temono e cercano di strumentalizzare.

 

La stampa e l’indulto

 

Dopo aver votato la legge sull’indulto molti dei nostri esponenti politici si sono premurati di prendere le distanze da essa. Del resto una linea, per quanto italiana, di law and order non sembra poter metabolizzare e giustificare credibilmente 25mila scarcerazioni. Meglio, allora, scaricare le responsabilità della scelta sulla maggioranza e, nello stesso tempo, rafforzare i numeri ed enfatizzare le conseguenze "gravissime". Ogni singolo reato che urtasse le facili sensibilità della gente, quella stessa gente da un decennio destinataria di campagne della paura, e ogni statistica presentabile, per quanto incerta e forse non vera, sono stati oggetto per mesi di una amplificazione mediatica che nessuno ha saputo contrastare efficacemente. L’equipe di Sarzotti ci dice ora che nei cinque mesi successivi al vigore della legge i rientri in carcere ammontano all’11,9 per cento dei 25.608 beneficiari (i cosiddetti "indultati"). In passato le ricerche hanno quantificato attorno al 31-32 per cento la quota dei recidivi rispetto ai beneficiari dei provvedimenti di amnistia-indulto. Ci dice, poi, che i rientri di persone straniere ammontano in tutto a 833, in gran parte per reati connessi alle norme sull’immigrazione illegale. Insomma, pur con tutte le cautele dovute alle differenze fra le ricerche, ci dice che ogni allarme è stato talmente infondato da apparire sospetto.

 

Le reazioni della magistratura

 

Sul versante giudiziario molto si è detto delle ripercussioni di un indulto non accompagnato da un provvedimento di amnistia. Molti uffici si sono dati, più o meno espressamente, criteri di priorità nella trattazione di indagini e processi, cercando di salvare l’effettività dei casi che non saranno oggetto di indulto. Ma ci sono anche uffici, come la procura di Torino, dove una ricognizione sulle conseguenze dell’indulto ha messo in luce una verità che non si vuole affrontare davvero: il numero dei casi penali è così elevato (siamo nell’ordine di 3 milioni di nuovi fascicoli ogni anno) che senza periodiche amnistie il sistema va al collasso. La scelta di non accantonare i procedimenti "minori" (e anche qui: minori per chi?) adottata da qualche anno dalla procura torinese ha messo in crisi le sue stesse strutture (ci si è accorti che per gli adempimenti successivi alla chiusura delle indagini passano mediamente 3 anni e mezzo) e ha affogato di carte il tribunale, incapace di fronteggiare il carico di lavoro e ormai costretto a fissare nel 2009 i processi monocratici.

Di fronte a questa vera e propria bancarotta il procuratore di Torino ha deciso di bloccare tutti i processi che fra indulto e probabile prescrizione sono ritenuti "inutili". Una inutilità che colpisce la stragrande maggioranza dei procedimenti per fatti anteriori al giugno 2006 e li destina così a restare senza una risposta giudiziaria.

Tutto questo è tollerabile, oltre che terribilmente ancorato alla realtà? Si può non condividere in radice la scelta torinese, e si può non condividere soluzioni simili adottate altrove con toni di minore drasticità. Ma i fatti sono fatti.

Una politica che in questo paese ha rinunciato a interventi strutturali (ammesso che ci abbia mai provato seriamente) si condanna da sola a interventi emergenziali, che rinviano i problemi e sempre li aggravano. Se una conferma possiamo trarre dalla legge sull’indulto, non è certo la presenza nel paese di differenze culturali difficili da far convivere, quanto la debolezza di un sistema che, tutto, ha paura di perdersi e per questo a perdersi appare destinato.

Grosseto: nel carcere opuscoli contro le malattie infettive

 

In Toscana, 9 marzo 2007

 

La collaborazione tra la Casa Circondariale di Grosseto e il dipartimento delle dipendenze dell’ASL 9 per la realizzazione di un progetto di intervento finanziato dal Ministero della Salute.

Da maggio a novembre 2006, nella Casa Circondariale di Grosseto è stato realizzato un progetto sperimentale di intervento sulle problematiche sanitarie relative alle patologie infettive. Obiettivo del progetto la realizzazione di opuscoli informativi sul diritto alla salute in carcere e sulle regole igieniche e comportamentali da adottare per la tutela e la prevenzione delle malattie infettive.

La casa circondariale di Grosseto ha un elevato turn over di persone condannate a pene medio-brevi e con un basso indice di pericolosità sociale. Prevalentemente la popolazione detenuta è costituita da giovani adulti, tra i 18 e i 35 anni di età. In costante crescita la percentuale di persone tossicodipendenti o alcool dipendenti che attualmente costituiscono, in media, il 40% dei reclusi, portatori di malattie infettive.

Particolarmente opportuno, quindi, il finanziamento da parte del Ministero della Salute alla Regione Toscana per la realizzazione di un progetto che sperimenta metodologie di intervento sulle problematiche sanitarie carcerarie con particolare riferimento alle patologie infettive.

Nell’istituto penale di Grosseto, operativamente, la raccolta delle informazioni è stata curata dagli operatori del dipartimento delle dipendenze della ASL 9 di Grosseto, in collaborazione con gli operatori della Casa Circondariale. Anche gli ospiti detenuti dell’istituto hanno partecipato attivamente al progetto con disegni e proposte in un clima di positiva collaborazione.

Il materiale è stato elaborato tenendo conto dei bisogni espressi dalle persone detenute coinvolte in un processo educativo paritario, tra operatori e reclusi, finalizzato ad un obiettivo comune.

Il risultato del lavoro è costituito da tre opuscoli che verranno distribuiti ad ogni persona condannata al momento del suo ingresso nell’istituto.

Il Provveditorato regionale della Toscana ha ritenuto l’iniziativa di Grosseto particolarmente valida perché coerente con le politiche sanitarie raccomandate dagli uffici superiori, sottolineando anche il valore della metodologia adottata e il contributo aggregante nei confronti della società civile. Motivazioni che hanno spinto lo stesso Provveditorato a farsi promotore della divulgazione degli opuscoli informativi realizzati a Grosseto in tutti gli istituti penitenziari della Toscana.

Roma: un corso di scrittura narrativa sul tema del carcere

 

Roma One, 9 marzo 2007

 

Inizia ad aprile il corso di scrittura sul reportage narrativo organizzato dalla Edizioni Pigreco. Il corso diretto da Maria Laura Gargiulo (direttore editoriale Edizioni Pigreco) e da Paolo Di Paolo (scrittore e giornalista), ha come finalità la pubblicazione di un libro che, attraverso la forma del reportage narrativo, esplorerà la dimensione del carcere e si snoderà lungo un lavoro di ricerca, di testimonianze e interviste. Il libro sarà frutto della collaborazione tra la casa editrice e gli allievi del corso che saranno così artefici del proprio lavoro.

"Partiamo infatti - dicono dalla casa editrice - dal presupposto che la prima cosa fondamentale è l’esperienza diretta, un’esperienza che nasce non solo dall’esercizio e dalla pratica della scrittura, ma da sensazioni di carattere emotivo, da sentimenti e passioni".

Per questo, il corso consisterà sia in lezioni teoriche e pratiche specificatamente dedicate alla forma del reportage narrativo e indirizzate all’apprendimento delle tecniche di questa forma narrativa, sia in incontri durante i quali si ascolteranno le testimonianze e le esperienze di coloro che ogni giorno vivono e affrontano la realtà carceraria, dedicando così spazio alla riflessione, al confronto e al dibattito. Al termine del corso verrà rilasciato un attestato di partecipazione, ma i corsisti continueranno ad essere seguiti dal direttore editoriale Maria Laura Gargiulo e dallo staff della casa editrice nel percorso di creazione e stesura del libro che sarà edito dalle edizioni pigreco.

Con la partecipazione di Edoardo Albinati, Andrea Carraro, Daniele Comberiati, Paolo Di Paolo, Stella Magni, Dacia Maraini, Emanuele Trevi, e gli interventi di Leda Colombini (Presidente Associazione A Roma Insieme e Presidente Forum Sanità Penitenziaria), Sabrina Falcone (educatore penitenziario Rebibbia femminile), Guido Lucente (psicologo Rebibbia nuovo complesso), Angiolo Marroni (Garante diritti dei detenuti della regione Lazio), Adriano Mencarelli (educatore penitenziario Rebibbia maschile e ex vicedirettore del carcere minorile Casal del Marmo), Luigi Pagano (Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria Lombardia e ex direttore carcere San Vittore).

 

Corso a numero chiuso: 20 allievi. Durata del corso: 40 ore, 10 ore saranno dedicate agli incontri e al dibattito. Frequenza: il sabato mattina dalle 9:00 alle 13:00 ad eccezione delle lezioni di Stella Magni e Dacia Maraini che si terranno di pomeriggio rispettivamente venerdì 30 marzo e lunedì 30 aprile. Costo: 580,00 euro pagabili anche in due rate. Agevolazioni per gli studenti universitari e per ragazzi fino ai 26 anni. Uno sconto speciale sarà riservato a tutti coloro che, iscrivendosi, specificheranno di voler usufruire dello "sconto romaone.it". Le lezioni si terranno nell’aula di Via Ripetta, angolo con Via Borghese (Facoltà di Architettura) Per maggiori informazioni e iscrizioni: infocorsi@edizionipigreco.com

Avellino: il senatore Raffaele Tecce visita carcere di Bellizzi

 

Irpinia News, 9 marzo 2007

 

Domani sarà in visita ad Avellino il senatore Raffaele Tecce. Alle ore 10, nell’ambito della campagna nazionale "Il Carcere dopo l’indulto" promossa dall’Associazione Antigone e da Rifondazione Comunista, Tecce si recherà al Carcere di Bellizzi assieme a Gennaro Santoro (esponente di Antigone) e al Segretario Provinciale del PRC-SE Gennaro M. Imbriano.

La campagna prevede 50 visite nelle carceri italiane, per verificare le condizioni di detenzione post indulto, con attenzione al funzionamento dell’assistenza sanitaria e alla mancata attuazione del regolamento penitenziario. "Vogliamo rivolgere uno sguardo su una realtà che, nel dopo indulto, rischia di tornare all’oblio.

Attraverso questa campagna cercheremo di premere per l’abolizione dell’ergastolo, scrivendo la parola fine alla detenzione in carcere dei figli e delle figlie delle detenute. Sarà un momento di informazione e discussione – dichiarano Santoro ed Imbriano - sugli iter legislativi relativi all’istituzione del Garante dei detenuti, alla riforma del codice penale, così come alle abrogazioni delle leggi Fini-Giovanardi, Bossi-Fini,ex Cirielli.

La campagna si pone l’obiettivo di contribuire a mutare il paradigma culturale securitario per passare dal diritto alla sicurezza alla sicurezza dei diritti". Cosi si esprime a riguardo invece il senatore Tecce: "Nel D.P.R. 230/2000 venivano riportati dati drammatici: l’82,6% dei detenuti viveva in carceri dove non vi sono cucine ogni 200 persone ristrette. Il 55,6% si trovava in carceri dove non sono consentiti colloqui in spazi all’aria aperta.

Il 29,3% dei detenuti non può direttamente accendere le luci dall’interno della propria cella in quanto vive in camere dove gli interruttori sono situati solo all’esterno. Il 7,69% risiedeva in carceri dove nelle celle non c’è sufficiente luce naturale in quanto vi sono schermature alle finestre. Il 18,4% in celle dove anche durante la notte vi è luce intensa e non c’era luce fioca o attenuata. Il 64,39% in carceri dove non c’era neanche un mediatore culturale.

Era il 20 settembre del 2000 quando entrava in vigore il nuovo Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario. Niente di rivoluzionario, solo norme di buon senso che avevano lo scopo di migliorare la qualità della vita delle persone detenute.

A distanza di oltre 6 anni sono moltissime le Carceri fuori legge. La nostra campagna serve a non dimenticare questa emergenza, facendola entrare nell’agenda politica". Alle ore 12 il Sen.Tecce e il Segretario provinciale Imbriano saranno al Comune di Avellino per incontrare gli LSU, che da un mese stanno occupando pacificamente il Municipio per chiedere la stabilizzazione. Una vicenda che il Partito di Bertinotti sta seguendo da tempo, anche grazie alla disponibilità dimostrata dall’Assessore regionale Corrado Gabriele. E alle 12.30, al termine della mattinata, il Senatore Tecce terrà una breve conferenza stampa proprio di fronte al Comune.

Roma: festa della donna; Mastella a Rebibbia femminile

 

Vita, 9 marzo 2007

 

Il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella, in occasione dell’8 marzo si è recato in visita alla Casa Circondariale Femminile di Rebibbia a Roma. "Non possiamo esprimere che viva condivisione e sincero apprezzamento per l’iniziativa del Ministro" afferma Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Penitenziari.

"Questa visita, voglio auspicare, sarà utile a riavviare una riflessione sulle condizioni delle donne in carcere. Siano esse operatrici penitenziarie che detenute. Gli organici del personale femminile della polizia penitenziaria sono deficitari di circa il 50%, rendendo praticamente impossibile lavorare nelle sezioni femminili.

Da Venezia a Rebibbia, da Latina ad Avellino a Pozzuoli si registra -afferma il segretario della Uil penitenziari- un’insostenibile vacanza organica che impedisce alle agenti di prestare la propria opera in condizioni minime di sicurezza e senza alcuna garanzia di godere dei diritti elementari". Il Segretario Generale della Uil-Penitenziari ha sollecitato anche provvedimenti per l’istituzione di asili nido per il personale penitenziario.

Napoli: progetto teatrale per i ragazzi a rischio di devianza

 

Comunicato stampa, 9 marzo 2007

 

Il Sindaco di Napoli Rosa Russo Jervolino e l’Assessora ai Grandi Eventi Valeria Valente hanno patrocinato, in collaborazione con il Centro produzione Rai di Napoli, una nuova realizzazione dell’opera in musica Uno sei sette dall’aula al palcoscenico di P. Capasso e G. Liguori, per sabato 10 marzo 2007, alle ore 20,30, presso l’Auditorium Rai in via Marconi.

Lo spettacolo, cui parteciperanno anche gli artisti Franco Ricciardi ed Enzo Avitabile, è il risultato di un anno di attività progettuale (finanziata dalla Regione Campania con fondi U.E.) con la quale il C.G.M. della Campania, il Teatro Totò, l’Associazione Apeiron, l’Associazione la Mansarda e l’Associazione la Locomotiva hanno coinvolto circa venti ragazzi tra i 16 ed i 20 anni dell’area a rischio e penale dei quartieri del disagio sociale di Napoli in corsi formativi delle arti del teatro e della musica. Una prima esibizione, avvenuta nello scorso dicembre in due spettacoli nel Teatro Totò, ha riscosso un grande successo ed apprezzamento di pubblico e di critica, stimolando il promoter dell’iniziativa, l’On. Samuele Ciambriello, Presidente del Corecom Campania, a svilupparla e diffonderla in altre sedi, con il patrocinio del Comune di Napoli e della Rai.

Milano: progetto "Voce", per le vittime di reato senza diritti

 

Redattore Sociale, 9 marzo 2007

 

Vittime di reati, ostaggi della solitudine. È la condizione in cui spesso si trovano donne, anziani e bambini. Se ne parlerà a Milano a conclusione del progetto Voce, promosso da Provincia e Laboratorio Salute Sociale.

Vittime di reati, ostaggi della solitudine. È la condizione in cui spesso si trovano donne, anziani e bambini che hanno subito una violenza. Oltre al danno, sono costretti a subire la beffa di non ricevere un risarcimento e un aiuto per superare il trauma subito. Provincia di Milano e associazione Laboratorio Salute Sociale hanno avviato nel 2006 il progetto Voce (Victimes of Crime in Europe), che aveva l’obiettivo di sviluppare un confronto a livello europeo fra associazioni, istituzioni e rappresentanti delle forze dell’ordine che si occupano di assistenza delle vittime di crimini.

"Abbiamo cercato di individuare alcuni buoni casi di assistenza alle vittime -spiega Gabriele Codini, di Laboratorio Salute Sociale-. Purtroppo la cultura dell’assistenza delle vittime non è ancora diffusa e solo attraverso lo scambio di informazioni e allargando il dibattito alle istituzioni sarà possibile far diventare cosa normale l’esistenza di questi servizi".

Sono sei i principali diritti delle vittime, sanciti da una risoluzione (la n. 40/34 del 29 novembre del 1985) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il diritto di essere trattati con rispetto e considerazione, il diritto di essere affidati a servizi di sostegno adeguati, il diritto di ricevere informazioni sul processo giudiziario nei confronti dell’autore del crimine, il diritto ad essere presenti ed esprimere il proprio parere nell’assunzione di decisioni sui casi giudiziari, il diritto alla consulenza legale gratuita, il diritto a ricevere un risarcimento sia da parte di chi ha commesso il reato che da parte dello Stato.

"L’esperienza ci dice che buona parte di questi diritti non vengono tutelati -aggiunge Codini-. Pensiamo a cosa succede in Tribunale: quale tipo di assistenza viene fornita alla vittima che deve testimoniare contro il suo carnefice?". Bambini, donne, anziani: sono le persone più a rischio di violenza, anche tra le mura di casa.

"Verso i bambini la sensibilità e i servizi oggi non mancano - spiega Gabriele Codini -: ci sono anche verso la donna, ma è di questi giorni la denuncia della Casa delle donne maltrattate di Milano che rischia di chiudere per mancanza di fondi da parte degli enti locali. Nei confronti degli anziani c’è invece il deserto: sono pochi i casi di cura dell’anziano che ha subito violenze in casa o da persone esterne".

Per tutelare le vittime servono prevenzione, leggi ben fatte e sensibilità da parte dell’associazionismo, dei servizi sociali e delle forze dell’ordine. "In Spagna con la legge contro le violenze di genere è stato istituito, almeno nelle principali città, un servizio di teleallarme per le donne che sono vittime delle persecuzione dell’ex partner che non accetta di essere stato lasciato - racconta Codini -.

A Goteborg, in Svezia, si stanno studiando le passeggiate in sicurezza: l’obiettivo è quello di individuare i percorsi che fanno più spesso anziani, donne e bambini e verificare che non ci siano pericoli per la loro incolumità. In altre città vi sono corsi per gli anziani per difendersi dalle truffe".

Di assistenza alle vittime si parlerà venerdì 9 e sabato 10 al convegno dal titolo "Diritti e Strategie di supporto per le vittime del crimine", organizzato da Provincia di Milano (Settore Diritti, Tutele e Cittadinanze sociali), associazione Laboratorio Salute Sociale ed Envis (Network Europeo sulle vittime del crimine). L’appuntamento, organizzato al Palazzo delle Stelline (corso Magenta, 61), vedrà la partecipazione di studiosi italiani ed europei e di rappresentanti di associazioni, enti locali, forze dell’ordine.

Droghe: Corleone interrompe digiuno per la riforma della legge

 

Fuoriluogo, 9 marzo 2007

 

Si è chiuso ieri, 8 marzo, il digiuno avviato il 2 febbraio scorso da Franco Corleone e portato avanti per 34 giorni da una staffetta di cittadini, operatori, amministratori per sollecitare il Parlamento a procedere immediatamente all’incardinamento della proposta di legge Boato sul tema delle droghe e delle tossicodipendenze (A.C. n. 34), e alla nomina dei relatori nelle due Commissioni congiunte alla Camera, Giustizia e Affari Sociali.

Abbiamo voluto continuare la staffetta nonostante la crisi di governo, perché il tema delle droghe non venisse espulso dalle priorità dell’agenda della politica. Prima della crisi, i Presidenti delle Commissioni Giustizia e Affari Sociali avevano annunciato una audizione del Ministro Ferrero e l’intenzione di decidere l’iter del progetto di legge sulla base della presentazione di un disegno di legge governativo.

Ora, a crisi superata, restiamo comunque convinti che l’iniziativa parlamentare non debba essere subordinata a quella eventuale del Governo, rispetto alla quale, in ogni caso, l?avvio delle procedure essenziali in Parlamento non pregiudicherebbe un esame congiunto. Affidiamo pertanto nelle mani del Presidente Bertinotti e del Parlamento l’urgenza della riforma di una legge che sta procurando danni e sofferenze, una legge che l’Unione si è impegnata nel proprio programma ad abrogare.

Il 15 febbraio scorso si era tenuto a Roma il previsto incontro tra Franco Corleone e il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti. "In quell’incontro - scrive Corleone in una lettera aperta al Presidente Bertinotti - la questione della calendarizzazione della proposta di legge Boato e altri (A.C. 34) pareva uscire dal cono d’ombra in cui era precipitata. Oggi, Ti chiedo di aiutarci ad avere fiducia nel dialogo nonviolento con le Istituzioni e quindi conto sul tuo autorevole intervento perché il Parlamento adempia ai suoi doveri".

La proposta Boato - ora sottoscritta da oltre 70 parlamentari - è stata presentata alla Camera dei Deputati all’inizio della legislatura, ed è stata assegnata in sede congiunta alla Commissione Giustizia e alla Commissione Affari Sociali il 20 settembre 2006. Da allora, è rimasta nel cassetto.

Il 23 gennaio scorso si era tenuta a Roma, presso la sala stampa della Camera, una conferenza stampa alla quale hanno partecipato vari parlamentari firmatari della proposta - tra cui Marco Boato, Carlo Leoni, Ruggero Ruggeri, Daniele Farina, Cinzia Dato, Tana De Zulueta - ed altrettanti esponenti della società civile e delle associazioni, operatori pubblici, consumatori ed altri soggetti che hanno dato vita in questi anni al movimento per l’abrogazione della legge Fini-Giovanardi e per la riforma della politica delle droghe.

In quella sede associazioni e operatori presenti avevano chiesto la decisione dell’incardinamento della proposta Boato con la nomina dei relatori e tutte le procedure per garantire un esame approfondito del testo ed una discussione nel Parlamento e nel Paese, entro una settimana. Qualora nessun segnale fosse giunto, si sarebbe dato vita a un movimento di protesta. E così è stato.

Droghe: il carcere per chi guida sotto l’effetto di sostanze

 

Notiziario Aduc, 9 marzo 2007

 

Il piano del ministro Alessandro Bianchi prevede l’introduzione dell’arresto fino a sei mesi per i casi di guida sotto l’effetto di alcol e droga.

Fonti del ministero, anche in riferimento alle dichiarazioni del ministro di questa mattina, chiariscono che è previsto l’arresto tra le misure per un forte inasprimento del sistema sanzionatorio. "Non si tratta di una novità assoluta", ricordano le stesse fonti spiegando che per i casi di maggiore gravità il codice già prevede l’arresto fino al massimo di un mese.

L’inasprimento della pena, fino ad un massimo di 6 mesi, che consentirà di non ricorrere all’arresto come extrema ratio ma di applicarlo, proporzionalmente, ad una sfera più ampia di comportamenti pericolosi, è previsto tra le "misure di immediata attuazione", inserite nell’atto di indirizzo sulla sicurezza stradale presentato dal ministro dei Trasporti ed approvato ieri dal Consiglio dei Ministri.

Più nel dettaglio, la "scheda operativa" relativa alla prima misura, (rafforzamento dell’azione di contrasto ai comportamenti di guida ad alto rischio), indica che "in particolare è prevista la predisposizione di una nuova normativa che prevede: arresto fino a sei mesi e ammenda fino a 12mila euro in caso di ebbrezza alcolica o assunzione di sostanze stupefacenti con eventuale confisca del veicolo in caso di tasso alcolemico superiore a 1,2 g/l", oltre a nuove pene alternative come l’obbligo a svolgere servizi di utilità sociale e fornire assistenza alle vittime di incidenti stradali che siano rimaste inabili.

Droghe: il Governo accoglie Odg su acquisto oppio afghano

 

Notiziario Aduc, 9 marzo 2007

 

Il governo ha accolto ieri in aula alla Camera l’Odg presentato dalla maggioranza che intende favorire la stabilizzazione in Afghanistan anche attraverso "il raggiungimento di un livello di sufficiente sviluppo economico e di promozione sociale, tale da migliorare sensibilmente le condizioni di vita delle popolazioni".

Per ottenere tali risultati, secondo l’Odg dell’Unione, "assume rilevanza la definizione di un’efficace strategia di contrasto e riconversione delle coltivazioni illegali di oppio, aumentate in quest’ultimo anno, che alimentano una condizione di ricattabilità dei contadini afgani da parte dei mercanti di droga e dei cosiddetti signori della guerra che utilizzano i rilevanti proventi del traffico illegale per i propri fini".

Quindi si impegna il governo "a sostenere nelle sedi internazionali competenti ogni iniziativa tesa ad individuare un’efficace strategia di contrasto alla coltivazione e al commercio illegali di oppio, anche attraverso eventuali programmi di riconversione delle colture illecite di oppio in Afghanistan in colture legali, ai fini dell’utilizzazione dell’oppio medesimo per le terapie del dolore".

Droghe: tossicodipendente 30% dei detenuti della Lombardia

 

Redattore Sociale, 9 marzo 2007

 

Almeno la metà è costituito da immigrati. A Milano il progetto ‘La cura vale la Pena" ha permesso a molti di evitare il carcere e scontare in modo alternativo la condanna. Se ne parla domani in un convegno al Palazzo di Giustizia.

Per un tossicodipendente, anche un processo può trasformarsi in un’opportunità di recupero. Ne sono convinti medici, psicologi e educatori dell’Unità operativa dell’Area penale del Tribunale di Milano e delle carceri di Bollate, San Vittore e Beccaria. Una squadra di esperti che dodici anni fa ha dato vita a "La cura vale la pena", un progetto nato in collaborazione con l’Asl di Milano per accompagnare i tossicodipendenti durante i processi per direttissima e aiutare i giudici a trovare pene alternative al carcere.

Il rapporto tra giustizia e tossicodipendenza sarà al centro del convegno che verrà ospitato domani, dalle 9 alle 17, nell’aula magna del Palazzo di Giustizia di Milano, dal titolo "Servizio per le tossicodipendenze in Tribunale: interventi riabilitativi nella fase di giudizio". "Non è un espediente per evitare la detenzione, ma un modo per intercettare chi fa uso di sostanze stupefacenti e indirizzarlo verso i servizi territoriali volti alla cura delle dipendenze" spiega Mario Ferrario, criminologo, consulente dell’Asl Città di Milano.

La dipendenza dietro le sbarre è un problema che coinvolge il 30% dei detenuti delle carceri lombarde, circa 2mila persone: nella metà dei casi si tratta di immigrati. "Stiamo monitorando la situazione per avere dati precisi -afferma Luigi Pagano, provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria-, ma non c’è dubbio che oltre il 50% dei tossicodipendenti in carcere sono stranieri. Finiscono in carcere anche perché non capiscono i meccanismi delle giustizia italiana e non riescono ad approfittare delle opportunità che le leggi offrono per evitare la prigione".

La procedura in Tribunale ormai è collaudata: l’Unità operativa, composta da sette operatori e due tutor, si attiva per chi ne fa richiesta e verifica con colloqui la situazione dell’imputato, poi traccia una relazione per il giudice. Se la richiesta viene accolta, al termine del procedimento inizia l’accompagnamento del tossicodipendente nel percorso di cura. "È un servizio utile e che ha dato buoni frutti - commenta Luigi Pagano -.

Ma molto rimane da fare dentro e fuori dalle carceri. Ci vuole più collegamento fra comunità, servizi per le tossicodipendenze delle Asl, amministrazioni penitenziarie, associazioni di volontariato: il tossicodipendente dovrebbe sempre trovare, sia in carcere che fuori, qualcuno che sappia proporgli una strada concreta per abbandonare la droga. Oggi non è ancora così". Per offrire servizi efficaci ci vogliono però anche risorse finanziarie. "Nel nostro Paese ci sono buone leggi - aggiunge Luigi Pagano -. Non sempre però vengono applicate, anche perché spesso mancano i fondi per tutti quei servizi che migliorerebbero la condizione di vita dei detenuti".

A Milano il progetto "La cura vale la Pena" ha permesso a molti tossicodipendenti di evitare il carcere. "In questi anni solo il 40% delle persone seguite è finito in carcere, nella maggior parte dei casi invece il magistrato ha scelto misure alternative" sottolinea Ferrario. Il successo di questa ha superato anche le frontiere italiane e l’Unità operativa dell’area penale e del Tribunale è diventata un modello da esportare.

L’Unione Europea ha infatti stanziato un finanziamento di 400 mila euro per un progetto "Topic 1 e 2" nato dalla collaborazione tra l’Unità italiana e quella inglese. Queste due equipe sono state scelte come capofila del Cranstoun drug service, il network che si occupa del trattamento delle tossicodipendenze in carcere (info: www.cranstoun.org).

"Dopo due anni di sperimentazione, da aprile, avremo il compito di formare gli operatori dei Tribunali di Belgio, Romania, Slovenia e Polonia - dice Francesco Scoppelliti, responsabile dell’Unità operativa -. Forniremo loro gli strumenti per accompagnare i tossicodipendenti all’interno del sistema giudiziario e carcerario nazionale. Non sarà un compito semplice: noi siamo facilitati, per la legge italiana la tossicodipendenza è una patologia per cui esiste il diritto di cura e diversamente dagli altri Paesi abbiamo grandi margini di azione".

Droghe: il mercato che cambia, ora va di moda il "fai da te"

 

Redattore Sociale, 9 marzo 2007

 

Preoccupa la diffusione di consumatori e spacciatori occasionali. Nel 2009 l’utilizzo di cocaina aumenterà del 40-50%, mentre l’eroina ritorna a sedurre, soprattutto i giovanissimi. Gatti: "Neppure la siringa li ferma".

Il fai da te funziona, anche nel mercato delle sostanze stupefacenti. Spacciatori e tossicodipendenti hanno lasciato il posto a venditori e consumatori occasionali: nessuna mediazione da parte delle organizzazioni criminali, per acquistare cannabis, eroina e cocaina, basta chiedere a un amico, a un collega, persino al gestore di un bar.

"Si può iniziare a parlare di grande distribuzione anche per questo settore - spiega Riccardo Gatti, direttore del dipartimento delle Dipendenze patologiche Asl Città di Milano -. Ma la realtà è che cambiano anche i consumi: prevediamo che nel 2009 l’utilizzo di cocaina aumenterà del 40-50%, mentre l’eroina che sembrava appartenere al passato, ritorna a circolare". A essere sedotti dalla droga in voga negli anni ‘70 e ‘80 sono soprattutto i giovanissimi, tra i 15 e i 17 anni. "La fumano, ma non li ferma neppure la siringa -dice Riccardo Gatti-: i ragazzi che iniziano a iniettarsela non sanno nulla delle morti causate dall’eroina e non sanno nemmeno che allora era la droga degli emarginati".

Oggi si prova di tutto, senza distinzione di età e fascia sociale. "Sono crollati i miti del giovane alternativo con lo spinello in mano o del manager che sniffa la cocaina - prosegue il direttore del dipartimento delle Dipendenze patologiche Asl Città di Milano-. Questo dipende anche dall’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione: sono nell’era di internet e della multimedialità che li sollecita a sperimentare di tutto, senza preoccuparsi di seguire un "percorso cronologico" nell’assunzione delle sostanze stupefacenti".

Si inizia con una canna e poi si passa al resto, si diceva fino a dieci anni fa: a questi ragazzi sembra preistoria; E non solo a loro. "Si sono modificati i modelli di consumo, ora che sostanza usi dipende dal gruppo di amici che frequenti - commenta Riccardo Gatti -. Questo vale a 16 anni, ma anche da adulti. Lo definirei un doping della vita quotidiana".

Il vero problema, secondo gli esperti, è trovare strumenti di prevenzione. "Il consumo di droga è diventato normale, tanto che non si dice più vietiamone il possesso, ma controlliamone la quantità -sottolinea il medico-. Ma questo significa che ci sono persone che normalmente sono sotto effetto delle sostanze e si relazionano con gli altri.

L’esempio più sconvolgente è il chirurgo che usa cocaina e dopo opera un paziente". Quando si tratta di minori poi, il compito si complica: "La quantità di informazioni e input esterni li disorienta e indebolisce la loro capacità critica: oggi fanno ancor più fatica a distinguere tra legale o illegale, bene o male -conclude-. Per questo pensano che la droga li aiuti a superare il disagio di non saper chi sono: pensano sia uno strumento per vivere meglio, sia a livello individuale che di gruppo. E il mondo dei grandi non riesce proprio a stare al passo delle loro esperienze rapide, veloci, multimediali".

Droghe: Regione Sicilia finanzia progetti di intervento a Enna 

 

La Sicilia, 9 marzo 2007

 

Dopo anni di attesa, i Servizi per le tossicodipendenze della provincia di Enna vengono premiati per la loro puntuale programmazione che gli permette di implementare l’attività territoriale con finanziamenti aggiuntivi con fondi ministeriali di lotta alla droga.

Lavorare per progetti è diventato ormai lo slogan della programmazione sanitaria e socio- sanitaria in Italia. Ciò comporta che accanto all’attività di routine gli operatori dei servizi sanitari si impegnino in un continuo lavoro di collegamento con la rete sociale del territorio, utilizzando le risorse del volontariato e del terzo settore per arrivare ad una programmazione sinergica delle iniziative di prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento sociale e lavorativo dei soggetti affetti da dipendenze patologiche.

Questo lavoro sinergico che dura ormai da anni ha permesso di arrivare alle scadenze di presentazione dei bandi con idee progettuali che le varie commissioni hanno ritenuto valide.

Con il fondo di lotta alla droga dell’esercizio finanziario 2000, gestito dall’Assessorato Regionale alla Sanità sono stati finanziati 3 progetti integrati tra pubblico e privato sociale per un totale di € 14.9341,13.

Il Ser.T. di Enna sarà, pertanto, impegnato nei prossimi tre anni nell’implementazione dell’inserimento lavorativo dei soggetti tossicodipendenti coadiuvato dalla Cooperativa sociale Persefone che si avvarrà, fra l’altro della Associazione Onlus Don Milani, Ades e dai comuni di Catenanuova e Villarosa.

Il Ser.T. di Piazza Armerina promuoverà l’auto imprenditorialità dei soggetti tossicodipendenti insieme alla Cooperativa Sociale "L’Alba" di Piazza Armerina che in quel territorio gestisce la Comunità terapeutica "Vivere". Il Ser.T. di Nicosia promuoverà insieme ai nuclei Avulss di Agira e di Nicosia l’inserimento lavorativo dei soggetti tossicodipendenti.

Con i fondi di lotta alla droga degli esercizi finanziari 2001 e 2002, gestiti dall’Assessorato della famiglia, delle politiche sociali e delle autonomie locali sono stati finanziati all’AUSL altri tre progetti per un totale di € 27.2033,00.

Il progetto "Arcobaleno", rivolto ai tossicodipendenti detenuti nei tre istituti penitenziari della provincia sarà coordinato insieme agli operatori penitenziari per promuovere la riabilitazione all’interno degli istituti penitenziari ed avviare una progettualità alla scadenza della pena.

Il progetto "Smettere di fumare" permetterà di promuovere azioni incisive nel territorio della provincia per aiutare i soggetti che vogliono smettere di fumare a modificare il loro stile di vita con particolare attenzione alla gestione dello stress. Il progetto "Immigrazione" svilupperà nel territorio del distretto di Piazza Armerina azioni rivolte ai soggetti immigrati che vivono in una situazione di disagio e che abusano di sostanze stupefacenti.

Con l’aiuto di operatori assunti allo scopo e selezionati per le loro competenze professionali nell’ambito delle dipendenze patologiche gli operatori dei tre Ser.T. della provincia promuoveranno grazie a questi finanziamenti accessori azioni che spaziano dalla prevenzione primaria, alla secondaria e terziaria per tentare di stimolare soprattutto una riflessione sugli stili di vita patologici che, per il loro alto contenuto stressogeno, sostenuto dalla competizione sfrenata, dal consumismo eccessivo, dalla perdita di antichi valori, predispongono all’utilizzo di sostanze come stampella vicariante di un’esistenza zoppicante.

Iraq: insorti assaltano un carcere, liberati 150 detenuti

 

Ansa, 9 marzo 2007

 

Lo "Stato islamico in Iraq", una coalizione di insorti che fa capo all’ala irachena di Al Qaida, ha annunciato oggi di avere dato l’assalto a un carcere nei pressi di Mossul, nel nord del paese, e di avere liberato "oltre 150 detenuti".

Secondo un comunicato pubblicato su in sito web islamico, l’operazione risale a ieri e il carcere è quello di Badush, una struttura gestita dalle autorità irachene che lo scorso gennaio ospitava 1.200 detenuti, di cui un centinaio provenienti da vari paesi arabi.

La notizia è stata confermata da Hisham al-Hamdani, uno dei responsabili della sicurezza per la provincia di Ninive, stando al quale gruppi di miliziani ieri hanno preso d’assalto il carcere, ne hanno assunto brevemente il controllo ed hanno liberato "tra i 140 e i 150 detenuti". Come del resto afferma il comunicato degli insorti, Ahamdani ha detto di ritenere che l’attacco sia stato pianificato da Abu Omar al-Baghdadi, il nuovo leader della cellula irachena di Al Qaida. nel comunicato si precisa che tra i detenuti liberati figurano sia iracheni sia miliziani provenienti da altri paesi arabi.

 

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