Rassegna stampa 8 marzo

 

Giustizia: ddl Mastella, Di Pietro e Pecoraro chiedono modifiche

 

Corriere della Sera, 8 marzo 2007

 

"Una riforma equilibrata, innovativa, che vuole ristabilire un clima di serenità in un mondo che in questi anni è stato attraversato solo dal conflitto", dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Enrico Letta, quando si trattaci dare la parola al Guardasigilli Clemente Mastella che, prima di presentare il nuovo ordinamento giudiziario, insiste sulla stessa linea: "La materia è incandescente perché ha pesato un tasso ideologico molto forte ma ora, con la riforma, abbiamo deposto l’ascia di guerra della politica nei confronti della magistratura".

Durano poco, però, le aspettative di pace. Gli avvocati penalisti rispondono subito con gli ennesimi giorni di sciopero (dal 21 al 23 marzo) e la Cdl fa sentire in coro le critiche più aspre contro il disegno del governo che ridimensiona la riforma Castelli pur fissando paletti abbastanza rigidi per le carriere dei magistrati.

Il nodo principale resta la separazione delle carriere tra giudici e pm non prevista dal ddl Mastella (come da programma dell’Unione) che però genera un rumoroso dissenso anche in consiglio dei ministri perché non ci si accontenta della separazione delle funzioni (cambio giudice-pm, e viceversa, sottocosto a verifica e al trasloco in un altro distretto). E così Emma Bonino (Commercio Estero) esprime il suo voto contrario: "A me sembra che qui non ci sia nemmeno la separazione rigorosa delle funzioni ed è chiaro che noi radicali, noi socialisti della Rosa nel pugno, abbiamo una posizione diversa".

Se Letta e Mastella parlano di "testo equilibrato", nel senso che scontenta in parte gli avvocati ma non soddisfa in pieno i magistrati, ecco allora che l’ala giustizialista del governo fa sentire la sua voce in difesa dell’autonomia e dell’indipendenza delle toghe. E succede quando, al giro di tavolo, la parola passa al ministro Antonio Di Pietro (Lavori Pubblici): l’ex pm si concentra su un articolo che, in cuor suo, toglierebbe al Csm (l’organo di autogoverno delle toghe) poteri rispetto al ministro per quanto riguarda l’organizzazione degli uffici giudiziari. Si uniscono a Di Pietro anche Paolo Ferrero (Solidarietà sociale) e Alfonso Pecoraro Scanio (Ambiente) che invocano interventi correttivi da parte del Parlamento".

Così a Mastella non resta che auspicare una discussione pacata alla Camera e al Senato, liquidando però la posizione garantista di Emma Bonino (alla quale si unisce la voce di Enrico Boselli): "Del resto i radicali queste cose le hanno sempre dette...". Il ministro lancia anche un

invito all’opposizione ma né Erminia Mazzoni dell’Udc ("Confronto difficile") né Peppino Gargani di Forza Italia ("Governo succube delle toghe") sembrano disposti, almeno per ora, ad aprire linee di credito. Il magistrato disegnato dalla riforma Mastella non piace al presidente delle Camere Penali Oreste Dominioni ("Superato il limite di guardia"), ma certo avrà mille obblighi in più rispetto alle regole attuali: dovrà frequentare la Scuola della magistratura e sottoporsi a verifica ogni 4 anni. Dopo due bocciature "potrà" essere revocato dalle funzioni mentre dopo tre esami non passati "dovrà" essere rimosso. Lo stipendio, poi, sarà sganciato dalla progressione in carriera: per convincere i più esperti a restare in primo grado. L’iter parlamentare del ddl, visto che a luglio scade il "congelamento" della riforma della Cdl, si annuncia molto caldo.

Giustizia: ddl Mastella, un passo verso sistema più efficiente

 

Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2007

 

Adesso il Parlamento ha cinque mesi - anche meno - per licenziare la riforma dell’ordinamento giudiziario varata ieri dal Governo Prodi. Se entro cinque mesi le Camere non riusciranno a licenziare il provvedimento, sarà il caos.

Il 31 luglio scade infatti la sospensione della riforma Castelli ed è difficile immaginare che il Governo - che naviga in acque politiche agitatissime - possa metterci una pezza con un decreto legge di proroga della sospensione. Saranno quindi cinque mesi di passione, di scontri, di polemiche, di tentativi disperati di mediazione con l’opposizione, e dentro la maggioranza, durante i quali sarà impossibile discutere di altre riforme importanti (processuali e organizzative) mirate al recupero dell’efficienza del servizio giustizia. Un obiettivo prioritario, che la riscrittura dell’ordinamento giudiziario - senz’altro necessaria dopo mezzo secolo di vita - contribuisce solo in parte a realizzare. Ma che non va trascurato. Perché costringerà i magistrati a cambiare passo sul fronte della professionalità e della produttività, imporrà ai capi degli uffici di dimostrare un’effettiva capacità organizzativa e toglierà alibi al Consiglio superiore della magistratura.

Il primo contributo all’efficienza che viene dal Ddl presentato dal ministro della Giustizia Clemente Mastella sta nell’aver cancellato il meccanismo dei corsi-concorsi costruito dalla legge n. 150/05, nota come Legge Castelli. Un meccanismo ingestibile e anacronistico, destinato a rendere ancora più inefficiente il sistema.

A questo meccanismo il Governo Prodi ne ha preferito un altro, ripescandolo dagli archivi dell’Ulivo: quello delle valutazioni periodiche (ogni 4 anni) della professionalità dei magistrati. Su questa base viene impostata la progressione della carriera e degli stipendi delle toghe: niente più scatti automatici in funzione dell’anzianità, ma aumenti di stipendi legati all’esito positivo delle valutazioni di professionalità affidate al Csm. Ce ne saranno 7 nell’arco della carriera di ogni magistrato, sulla base di diversi parametri, come la competenza tecnico-giuridica, la produttività, la diligenza, la capacità organizzativa e di utilizzare il lavoro di gruppo. Chi non supera "l’esame"perde il diritto allo scatto di stipendio, che può recuperare al giro successivo. Ma dopo due valutazioni negative, è "dispensato"dal servizio. Insomma, i fannulloni verranno snidati più facilmente.

Ma anche i dirigenti degli uffici non avranno vita facile. Anzitutto perché la riforma cancella gli incarichi direttivi "eterni", prevedendo una durata di 4 anni, prorogabile, ma non automaticamente: ci sarà un vero e proprio concorso aperto ad altri candidati e tutti verranno valutati sulla base delle capacità organizzative, delle attitudini a utilizzare al meglio le tecnologie più avanzate nonché le risorse umane e materiali.

Il capo, quindi, dovrà dimostrare di saper tenere sotto controllo il suo ufficio e sarà sottoposto a un "controllo di gestione" affidato, ogni due anni, al Csm, che nei casi più gravi può sfociare nella revoca dell’incarico.

Insomma, almeno sulla carta, la riforma elimina alcuni gravi fattori di immobilismo dell’attuale sistema: valutazioni di professionalità a lunga scadenza; sostanziale inamovibilità dei capi degli uffici: genericità dei criteri di valutazione gestiti dal Csm. Se l’Organo di autogoverno della magistratura sarà consapevole del suo ruolo e saprà usare gli s:ru-menti che gli vengono dati, la riforma avrà fatto fare alla giustizia un passo avanti sulla strada dell’efficienza.

Rispetto a quest’obiettivo è del tutto irrilevante la separazione delle funzioni tra giudici e Pm. Il Ddl Mastella, fedele al programma dell’Unione, non propone una separazione delle carriere, peraltro non prevista neppure dalla legge Castelli. Tuttavia, pone una serie di paletti al passaggio da una funzione all’altra, che potrà essere chiesto solo dopo 6 anni di servizio come giudice o Pm, dopo un corso di qualificazione e un giudizio di idoneità.

Il passaggio, inoltre, non potrà aver luogo nello stesso distretto di partenza. E se a chiederlo è il dirigente di un ufficio, nemmeno nel capoluogo del distretto in cui si è giudicati (il capo della Procura di Roma, ad esempio, non potrebbe andare a fare il presidente di Corte d’appello a Perugia perché il distretto di Perugia è competente a giudicare i magistrati del distretto di Roma). È un ulteriore paletto inserito ieri su pressione della Rosa nel pugno, contraria alla riforma (come la Cdl) perché non prevede la separazione delle carriere. Un motivo in più per prevedere cinque mesi di fuoco.

Giustizia: Bongiorno (An); Mastella riporta diritto a preistoria

 

Apcom, 8 marzo 2007

 

La riforma dell’ordinamento giudiziario messa a punto dal Ministro Clemente Mastella e varata oggi dal Cdm riporta "alla preistoria del diritto". È l’opinione di Giulia Bongiorno, responsabile Giustizia di An. Parlando prima di entrare alla Consulta sulla giustizia in corso nella Sala Tatarella di Montecitorio, Bongiorno ha detto: "È una riforma gattopardesca perché fa finta di cambiare ma non cambia".

"Mentre la riforma Castelli - ha osservato - apriva spiragli alla separazione delle funzioni con la riforma Mastella si torna alla preistoria del diritto. Siamo nella solita logica di Mastella di fare modifiche che non servono a nulla, una logica che abbiamo notato anche con l’indulto".

Giustizia: l’insolito anniversario, la vita e la morte di Vito De Rosa

di Dario Stefano Dell’Aquila (Presidente Ass. Antigone Napoli)

 

Ristretti Orizzonti, 8 marzo 2007

 

Un anno fa, l’otto marzo del 2006, Vito De Rosa, 79 anni, moriva a Salerno. La sua scomparsa ha meritato solo poche righe di agenzia, un breve lancio Ansa, ha ricordato che Vito è stato "detenuto 50 anni per parricidio, commesso a 17, e graziato da Ciampi nel 2003 su proposta di Castelli". Ma la sua storia forse merita maggiore attenzione.

Vito, nato il 25 giugno del 1927 a Olevano Tusciano, era entrato in carcere il 27 gennaio del 1951, condannato all’ergastolo per l’omicidio del padre. All’origine del delitto una controversa storia di eredità e, oggi possiamo dirlo,un disturbo mentale ancora in nuce.

Durante la detenzione in un carcere ordinario, il disagio psichico di Vito si manifesta rapidamente e il ragazzo viene condotto nel novembre del 1952 nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, per "sopravvenuta infermità psichica del condannato" e poi in quello di Napoli. Da questo momento De Rosa, in piena solitudine, non è più una persona, ma un corpo affidato a più poteri, quello medico e quello carcerario, che su di lui sperimenteranno camice di contenzione, elettroshock, psicofarmaci, regolamenti e sanzioni disciplinari, che non porteranno né alla cura né alla libertà.

Il silenzio, anche burocratico, avvolge la sua storia detentiva, che immaginiamo simile a quella di altre migliaia di internati. Nel 1987, dopo 35 anni di ininterrotta detenzione, una richiesta di benefici penitenziari, redatta dalla mano pietosa di qualche educatore, viene respinta perché né la sua famiglia né altre strutture sono disponibili ad accoglierlo. Nel 1995 una richiesta di grazia viene respinta, con analoghe motivazioni. Due anni più tardi il suo caso verrà segnalato nella relazione della Commissione Parlamentare sulle carceri, ma anche qui nessun esito. Nulla sino al 2003, cinquantuno anni dal suo primo ingresso in carcere.

La grazia a Vito è una strana mescolanza di fortuna e coincidenze. A luglio, infatti, durante una visita di Francesco Maranta, consigliere regionale della Campania, componente della commissione sanità, ci siamo imbattuti in Vito che si aggirava, a torso nudo, nei corridoi dei reparti. Il corpo minuscolo, la pelle bianchissima, mutandoni di lana e uno sguardo smarrito, De Rosa si aggirava borbottando parole confuse. Solo una è intelligibile, "doccia, doccia..", il resto era una litania informe.

Vito viveva in una stanza spoglia, due metri per due, una branda, una piccola finestra, qualche panno ammucchiato in un angolo. Un bambino, in grado nemmeno di riconoscersi allo specchio. Terminata la visita Francesco Maranta insieme all’associazione Antigone decide di chiedere pubblicamente al presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, la concessione della grazia.

Era piena estate e ai media, in disperata ricerca di notizie, non sfuggì l’occasione del caso di un uomo che da oltre 50 anni è rinchiuso in un carcere. Emergono particolari della storia che sembravano dimenticati ed anche nel paese originario di Vito cominciano a ricordarsi di quel ragazzo mai più rivisto dal giorno dell’arresto. L’estate, dunque, trascorse con il nome di Vito sulle pagine dei principali quotidiani nazionali e locali e con il fascicolo sulla scrivania del presidente Ciampi.

La situazione era ad un punto di stallo, quando il 14 ottobre 2003 giunge la notifica presso l’OPG di Napoli del provvedimento di grazia. La svolta ha anche, o soprattutto, una ragione politica. Il ministro Castelli, pressato sulla vicenda Adriano Sofri, dichiara di preferire occuparsi dei "poveri cristi" e quello di De Rosa è un caso esemplare, in cui l’umana pietà può esercitarsi senza urtare la sensibilità di qualcuno.

La grazia riaccende l’attenzione dei media. Quando si accorgeranno che non una parola è ricavabile Vito che impaurito che sale nell’auto degli operatori sanitari, diretto in una comunità di accoglienza i riflettori sulla vicenda si spegneranno, fortunatamente, con rapidità. Sugli altri 1.200 internati degli OPG in Italia, invece, i riflettori non si sono mai accesi. La grazia per Vito De Rosa non si è trasformata in giustizia né per lui, né per altre migliaia di dimenticati che affollano queste improbabili prigioni. In quanto a lui è morto,come direbbe Michel Foucault, "completamente libero e completamente escluso dalla libertà".

Giustizia: continua il dramma dei bambini in carcere

di Gennaro Santoro (Associazione Antigone)

 

Ristretti Orizzonti, 8 marzo 2007

 

La prima volta che ho visitato il nido del carcere di Avellino i bambini sono scoppiati a piangere, perché non abituati a vedere facce nuove o persone di sesso maschile.

Forse non tutti sanno che le donne, in attesa di giudizio o in esecuzione pena, possono finire dentro con i propri bambini. Una misura adottata al fine di evitare il dramma della separazione tra madre detenuta e figlio in tenera età; una misura che però crea l’aberrazione della detenzione di piccoli innocenti, abituati a vedere il cielo a scacchi, dietro le sbarre

Se chiedi perché a Roma i bambini del carcere di Rebibbia frequentano gli asili pubblici ed escono dall’istituto almeno una volta a settimana e in altre città sono in istituto 360 giorni all’anno su 365, perché a Nuoro le detenute stanno quasi sempre in cella e a Venezia mai, novanta su cento ti viene risposto "ogni carcere è un mondo a sé".

Una frase tristemente vera, densa di significati. Perché il trattamento penitenziario espletato nei 208 istituti carcerari italiani dipende dalla magistratura di sorveglianza competente, dalla direzione dell’istituto, dall’intervento degli enti locali e dalla sensibilità della società civile.

E, si badi bene, parlare della condizione di vita dei detenuti non vuol dire solo parlare di rispetto dei diritti umani o di giustizia: il carcere è una cartina di tornasole dello stato di salute di una democrazia, di una realtà locale.

Da questo punto di vista possiamo dire che la democrazia italiana è malata e, al suo interno, la realtà irpina è malata, per così dire, un po’ di più della media nazionale.

Un esempio per tutti: è possibile che se una madre viene arrestata il destino, la crescita sana del proprio bambino dipende dal fatto se la stessa viene destinata in un carcere piuttosto che in un altro? Ci tengo a precisare, a scanso di equivoci, che le responsabilità della disparità di trattamento dei bambini detenuti è della magistratura di sorveglianza e della società civile irpina, prima ancora che degli enti locali e della direzione dell’istituto.

A Milano è stata istituita una casa famiglia per detenute madri, con tutti gli accorgimenti necessari alla sana crescita dei piccoli ristretti innocenti.

Ad Avellino non solo i bambini vedono il cielo a scacchi dietro le sbarre 360 giorni all’anno, ma succede qualcosa di altrettanto grave allorquando al compimento del terzo anno di età devono lasciare il carcere e la mamma per essere affidati a terzi. Recentemente la Caritas ha tentato di chiedere l’affidamento di una bambina detenuta (da due anni!) che aveva compiuto tre anni e della madre, assicurando ospitalità alle stesse presso la casa-famiglia Nicodemi. Orbene, con motivazioni aleatorie la magistratura di sorveglianza ha negato alla bambina e alla propria madre di continuare a vivere insieme.

Insomma, volendo focalizzare la sola questione dei bambini in carcere, possiamo dire che ad Avellino siamo messi male. Oltre la direzione dell’istituto, la Caritas e il Cif chi si interessa dei bambini in carcere? Chi si interessa del loro destino al compimento del terzo anno di età? Chi si sdegna del fatto che piccoli innocenti vivono ad Avellino peggio che in altre realtà nazionali? Non certo gli enti locali che dovrebbero creare convenzioni con le scuole pubbliche, fornire un autobus e un assicurazione (il tutto ad un costo bassissimo) per diminuire il disagio esistenziale dei piccoli ristretti. Non certo la magistratura di sorveglianza e la società civile irpina che si disinteressano completamente della questione: i primi ponendo veri e propri ostacoli, i secondi che non pungolano le autorità competenti a svolgere i loro compiti nel rispetto del dettato costituzionale.

La sacralità della famiglia viene invocata, ad Avellino come nel resto di Italia, solo per escludere i diritti delle coppie di fatto; viene messa da parte allorquando si tratta di figli di detenuti. Tutti ci sdegniamo quando vi sono maltrattamenti "occasionali" a discapito di minori "liberi". Al contrario ignoriamo la disumanità quotidiana che patiscono i piccoli "ristretti" nel carcere di Avellino. Mi auguro che tutti, nel loro piccolo, facciano uno sforzo per alleviare le sofferenze dei bambini di Bellizzi

Lombardia: progetto per la salute fisiopsichica dei detenuti

 

Regione Lombardia, 8 marzo 2007

 

Nell’ambito delle iniziative progettuali avviate ai sensi della legge regionale 8/2005 (tutela delle persone in esecuzione penale), è in atto la sperimentazione tra Regione Lombardia, Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e Associazione l’Amico Charly di Milano. Tale sperimentazione è finalizzata alla presa in carico dell’autolesionismo in carcere in collaborazione con i servizi del territorio.

Il progetto, presente presso gli Istituti Penitenziari di Milano S. Vittore, Opera, Pavia, Monza, Como, Busto Arsizio e Bergamo, è volto alla tutela della salute fisiopsichica dei detenuti più fragili all’impatto carcerario ed esposti al rischio autolesionistico e suicidario, attraverso l’azione strutturata di esperti psicologi/criminologi e lo sviluppo di interventi interprofessionali.

L’idea progettuale è coerente con le disposizioni contenute nelle linee guida dell’Amministrazione Penitenziaria, emanate già nel ‘98 che, partendo dal riconoscimento di come le condotte autolesionistiche siano espressive di bisogni rilevanti per tutti i servizi penitenziari, vadano affrontate non come onere di carattere specialistico ma con il contributo di tutte le competenze istituzionali.

L’intervento integra i servizi penitenziari, i servizio Nuovi Giunti che si colloca all’interno delle procedure di immissione del detenuto in Istituto e servizio d’osservazione e trattamento.

L’attività posta in essere è, prioritariamente finalizzata al potenziamento del servizio psicologico, selettivamente orientato allo scopo di prevenire le estreme criticità e/o limitare efficacemente il danno (autolesionismi, tentati suicidi e suicidi, stati depressivi, ecc.), prodotte dall’interazione con l’impatto carcerario.

Nello svolgimento del servizio sono impegnate sia risorse specifiche (psicologi e criminologi, arte-terapeuti, mediatori culturali, educatori, polizia penitenziaria, sanitari) che aspecifiche (volontari, compagni di detenzione). - Vedi il progetto.

Savona: carcere sovraffollato, nuova visita di Rifondazione

 

Secolo XIX, 8 marzo 2007

 

Savona. Torna d’attualità il dibattito sul carcere di Savona, il numero eccessivo di detenuti nella casa circondariale di Sant’Agostino. Oltre cinquanta i detenuti rinchiusi, quindici in più rispetto alla capienza prevista. Celle in cui vivono anche sette-otto detenuti, in condizioni anche igienico sanitarie difficili. Già finito, dunque, l’effetto indulto del novembre scorso che aveva ridotto il numero dei carcerati a 35 unità. Non si può attendere solo la realizzazione del nuovo carcere, bisogna guardare alla realtà presente e alla situazione drammatico del Sant’Agostino - spiega Giorgio Barisone, responsabile del settore carceri per Rifondazione comunista -.

È necessario utilizzare strutture che hanno spazi liberi, come il carcere di Imperia - prosegue Barisone - il Sant’Agostino resta infatti uno dei peggiori della Liguria e in Italia. Un nuovo sopralluogo da parte di una delegazione di Rifondazione comunista è prevista per la prossima settimana, con la presenza del deputato Sergio Olivieri, la senatrice Haidi Gaggio Giuliani, lo stesso Giorgio Barisone, il segretario provinciale di Rifondazione comunista, Marco Ravera, il capogruppo regionale Marco Nesci, l’assessore regionale Franco Zunino e consiglieri provinciali e comunali. Verranno inoltre presentate due interpellanze sulle condizioni del carcere di Sant’Agostino di Savona al consiglio regionale e in Parlamento.

Roma: Veltroni dona albero di mimose a detenute di Rebibbia

 

Prima, 8 marzo 2007

 

Il garante dei diritti dei detenuti del Comune di Roma Gianfranco Spadaccia ha consegnato alla dottoressa Zainaghi direttrice della Casa circondariale femminile di Rebibbia un dono del Sindaco Walter Veltroni alle detenute per l’8 marzo: un albero di mimosa, del servizio giardini, da piantare nel parco dell’istituto di pena.

L’albero è stato consegnato durante la visita del ministro della giustizia Mastella al carcere femminile di Rebibbia, insieme ad una lettera del sindaco indirizzata alle detenute: "Consideratela un segno della nostra attenzione - ha scritto Veltroni - alla vostra condizione di donne e di detenute. Roma sa bene che i suoi confini e il diritto di cittadinanza non si fermano davanti alle mura di un carcere, così come sa bene che la questione femminile non è stata ancora risolta. Invio quindi a tutte voi i miei più cari saluti e i miei migliori auguri per oggi. E alle donne recluse in questa casa circondariale l’augurio di un mondo migliore".

Imperia: il Sappe protesta per la cronica carenza di organico

 

www.quotidianoligure.it, 8 marzo 2007

 

Dura presa di posizione del Sappe, il Sindacato Autonomo più rappresentativo della Polizia penitenziaria con oltre 12 mila iscritti, sulle problematiche del carcere di Imperia. Sotto accusa la grave carenza di Personale di Polizia Penitenziaria e la mancanza di riscontri ad una nota sindacale del maggio 2006 che denunciava le problematiche del penitenziario, emerse con grave evidenza in occasione dell’evasione del Ferragosto 2006.

La nota, a firma del Segretario Generale Donato Capace, è diretta al Provveditore penitenziario ligure Giovanni Salamone, al Sottosegretario alla Giustizia con delega ai problemi del Corpo Luigi Manconi e al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Ettore Ferrara. Scrive il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: "È rimasta a tutt’oggi inevasa la nota di questa Segreteria Generale del 3 maggio 2006 sulla mancata integrazione di Personale di Polizia Penitenziaria presso la Casa Circondariale di Imperia e sui conseguenti problemi dell’Istituto.

La disattenzione rispetto a tali criticità è davvero inaccettabile, tenuto anche conto di quanto avvenuto a qualche mese di distanza dalla segnalazione sindacale (tre detenuti evasi ed un solo Agente impiegato in più posti di servizio!). Si sollecita quindi un urgente intervento della S.V., che non può non porre in essere immediati interventi rispetto a quanto di seguito si rappresenta.

Il D.M. dell’8 febbraio 2001 prevede, per la Casa Circondariale di Imperia, un organico di Polizia Penitenziaria di n. 74 unità uomini e n. 4 unità femminile per un numero complessivo di 78 poliziotti. Oggi, al contrario, ve ne sono in servizio complessivamente 63. Di queste, 6 sono assenti per malattia con lunghe prognosi e 5 distaccate presso Gruppi Sportivi e G.O.M. Di fatto, quindi, prestano servizio tra sezioni detentive, Uffici della Direzione e Nucleo Traduzioni e Piantonamenti solamente 53 unità. Ciò determina che, come avvenuto il giorno dell’evasione - ferragosto 2006, alcuni colleghi devono coprire due o tre posti di servizio contemporaneamente ed altri debbano svolgere turni di nove o dieci ore!

A ciò si aggiunga che da circa 15 giorni è operativa la nuova Portineria - con Sala Regia annessa - ma, proprio per l’endemica e grave carenza di unità, l’addetto deve svolgere anche mansioni di responsabile della Sala Regia non potendo così assicurare il controllo costante e continuo delle telecamere.

Tutto ciò è inaccettabile e presenta profili di responsabilità certo non ascrivibili alle donne ed agli uomini della Polizia Penitenziaria in servizio ad Imperia. Per tale ragione, si chiede alla S.V. di adottare con estrema urgenza provvedimenti di incremento dell’organico avendo cura di portare a conoscenza di questa Segreteria Generale delle iniziative assunte. Alle Autorità cui la presente è diretta per conoscenza tanto si rappresenta per l’adozione di pertinenti provvedimenti di competenza finalizzati anche ad accertare il perché sia stata del tutto disattesa e senza riscontro la nota di questa O.S. cui si fa riferimento in premessa anche alla luce dell’evasione accaduta il 15 agosto 2006.

Pena morte: Italia la cancella anche da codici militari di guerra

 

Ansa, 8 marzo 2007

 

"Oggi è un giorno luminoso per il Senato che a larghissima maggioranza ha votato l’abolizione piena e senza condizioni della pena di morte dalla nostra Costituzione, ora possibile solo nei casi previsti dalle leggi militari di guerra". Così il senatore Learco Saporito di Alleanza Nazionale, relatore del ddl costituzionale, commenta l’approvazione con 226 sì e 12 astenuti del provvedimento che sopprime al quarto comma dell’articolo 27 della Costituzione le parole: "se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra".

"Una scelta - sostiene Saporito - che onora il nostro Paese e onora anche la tradizione di civiltà del popolo italiano. La costituzionalizzazione del principio di abolizione rende impossibile per il futuro di potere reintrodurre la pena di morte sotto qualsiasi forma nel nostro ordinamento giuridico". "Con il provvedimento in esame - spiega il relatore - si afferma che la pena di morte non potrà essere più inclusa nel corpo delle leggi penali ordinarie e si conferma la tradizione giuridica italiana contro la pena di morte, ritornando alle luminose tradizioni italiane che ebbero in Cesare Beccaria l’apostolo e il maestro dell’abolizione della pena di morte".

"Questo provvedimento - sottolinea Saporito - rende più credibile la richiesta del nostro Paese di ottenere una moratoria delle pene capitali nel mondo e rafforza il Trattato di Amsterdam nel 1998, cui fu allegata una dichiarazione relativa alla pena di morte confermando l’articolo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea dell’inizio del 2000: tale articolo 2, al comma 2, con una norma di principio purtroppo non precettiva, ha stabilito che "nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato".

Immigrazione: Amato; il numero dei Cpt si può diminuire

 

Asca, 8 marzo 2007

 

"Si può provare a ridurre il numero dei Cpt" oggi operanti in Italia secondo anche le indicazioni venute dalla Commissione d’indagine De Mistura che ne ha messo in rilievo disfunzioni quando, non addirittura, negatività legate alla presenza promiscua di persone accusate di reati e semplici colf senza permesso di soggiorno. L’indicazione è venuta oggi dal Ministro dell’Interno Giuliano Amato nel corso di una audizione presso la Commissione parlamentare Schengen.

Secondo Amato nel prossimo futuro si avrà un sensibile calo delle presenze nei Cpt sia per l’ingresso della Romania nell’Ue (degli attuali 20 mila ospiti ben 8 mila sono di nazionalità rumena), sia per una razionalizzazione del sistema delle identificazioni con l’obbligo di effettuarle nelle carceri per i casi di persone colte in flagranza di reato. "Questi Centri - ha poi spiegato Amato - resteranno esclusivamente per le persone che non si vogliono far identificare in attesa dei rimpatri incentivati o per l’attuazione di decreti di espulsione.

La popolazione diminuirà e non ci sarà bisogno di averne così tanti". I Cpt poi, ha confermato sempre il responsabile del Viminale, saranno "totalmente di stinti dai Centri di accoglienza e di identificazione" che serviranno solo per accogliere quanti entrano illegalmente nel paese e che debbono essere, comunque, identificati.

Brasile: cinque italiani sono detenuti in condizioni disumane

 

Ansa, 8 marzo 2007

 

Vivono in sei in una cella idonea ad ospitare un solo detenuto, non hanno letti e nemmeno una parte del tetto, non usufruiscono delle ore d’aria e, a causa delle cattive condizioni igieniche, hanno contratto la tubercolosi e la scabbia: è la condizione "disumana" in cui si trovano nel carcere brasiliano Raimundo Nonato sei italiani che dal giorno dall’arresto (novembre 2005) hanno perso 20 chili ciascuno.

I cinque nell’agosto scorso sono stati condannati dal tribunale federale di Rio Grande del Nord per traffico internazionale di donne, riciclaggio di danaro e prostituzione. Della loro vicenda si occuperà la Corte interamericana dei diritti dell’uomo dopo che il difensore di uno dei sei detenuti, Mario Russo Frattasi, ha depositato un ricorso chiedendo che la Corte accerti la violazione della Convenzione americana (articoli 5 e 8) e condanni il Brasile per il mancato rispetto "delle più elementari condizioni di vita dei detenuti" e "dei principi dell’equo processo".

Il ricorso è stato presentato in favore del detenuto Giuseppe Ammirabile, di 43 anni, di Mola di Bari (condannato a 56 anni, 9 mesi e 21 giorni), "erroneamente ritenuto affiliato alla Scu", ma riguarda indirettamente anche altri cinque italiani: Paolo Quaranta, di 56 (condannato a 22 anni, 2 mesi e 10 giorni), Vito Francesco Ferrante, di 43 (17 anni e 4 mesi); Paolo Balzano, di 47 (7 anni), tutti di Mola di Bari, Salvatore Borrelli, napoletano di 48 (56 anni, 9 mesi e 21 giorni), e Simone De Rossi, di 31 di Venezia (12 anni e 2 mesi).

 

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