Rassegna stampa 10 marzo

 

Sanità penitenziaria: ministeri pronti a trasferire le competenze

 

Redattore Sociale, 10 marzo 2007

 

Il governo Prodi conferma la volontà di portare a compimento la riforma del 1999, mai applicata. I ministri della Giustizia e della Salute stanno lavorando a un testo comune. Il sottosegretario Gaglione: "Entro un paio di mesi confronto in Parlamento".

Le competenze sanitarie penitenziarie passeranno presto dal ministero della Giustizia a quello della Salute. Il governo Prodi conferma la volontà di portare a compimento la riforma prevista dal decreto legislativo 230 del ‘99 (riforma Bindi) che prevedeva appunto il trasferimento dalla Giustizia alla Salute di tutte le competenze sanitarie.

L’intento di quella riforma - che risulta però ancora solo parzialmente applicata - era dunque quello di garantire anche ai detenuti il diritto universale alla salute. Il processo si è però bloccato a un certo punto e ora si è ulteriormente complicato dopo la riforma del Titolo V e quindi del trasferimento di competenze dallo Stato centrale alle Regioni. Dal ministero della Giustizia, e in particolare dall’ufficio del sottosegretario Manconi, confermano però che la volontà di portare a compimento la riforma è totale. Ci sono stati infatti già vari incontri tra i responsabili del dicastero della Giustizia e di quelli della Salute. In particolare, per il ministero guidato da Livia Turco, è il sottosegretario Antonio Gaglione il coordinatore del processo. Per quanto riguarda invece la Giustizia, il sottosegretario Luigi Manconi ha ribadito in più di un’occasione che il diritto alla salute, essendo un diritto universale, deve essere garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro condizione e collocazione. Anche le persone che sono in carcere hanno gli stessi diritti e caso mai hanno ancora più bisogno delle persone normali, visto che ovviamente non possono rivolgersi, anche se lo volessero, al sistema privato di assistenza sanitaria.

Un altro elemento importante da tenere presente riguarda la diversificazione delle situazioni territoriali. Ci sono infatti alcune regioni che hanno già proceduto autonomamente. La Toscana, per esempio, ha varato una legge regionale che attribuisce alle Asl tutte le competenze sanitarie penitenziarie. Il Lazio sta andando nella stessa direzione e sta progettando un provvedimento di legge regionale in tal senso. Altre regioni sembrano invece totalmente disinteressate al problema o comunque ancora non in grado di intervenire fattivamente. Il ministero della Giustizia ha messo quindi in cantiere una serie di incontri con tutte le Regioni per tentare di fare il punto al più presto e rendere omogenea una situazione che rischia di essere invece a "macchia di leopardo".

Dal ministero della Giustizia ci tengono inoltre a precisare che attualmente è lo stesso ministero a farsi carico degli interventi necessari. Vengono quindi erogate prestazioni che non sono previste nei protocolli gratuiti e il servizio viene spesso offerto anche sottocosto. È comunque una situazione transitoria e da definire nel più breve lasso di tempo possibile. Da un punto di vista operativo, comunque, la riforma Bindi è già parzialmente applicata. Il trasferimento delle competenze è stato infatti già realizzato per le tossicodipendenze e per tutto il settore della medicina preventiva. Si tratta ora di portare a compimento tutta l’opera trasferendo al ministero della Salute anche le competenze relative alla medicina generale e alla specialistica. Sullo stesso argomento abbiamo rivolto quindi alcune domande proprio al professor Antonio Gaglione, sottosegretario alla Salute.

 

Allora, sottosegretario, come mai il processo previsto dal decreto legislativo 230/99 si è bloccato?

Vi sono state alcune difficoltà operative, non riconducibili al provvedimento, che hanno indubbiamente rallentato il passaggio di competenze: ritengo pertanto che le amministrazioni coinvolte, nella delicata materia della sanità penitenziaria, debbano operare nel solco della riforma Bindi, predisponendo tutti gli strumenti idonei per la sua piena applicazione. Questa è la strada maestra che il Ministero della salute e quello della Giustizia stanno percorrendo.

 

Esiste una bozza di nuovo provvedimento allo studio del ministero della Salute e della Giustizia, di che cosa si tratta?

I due ministeri hanno avviato da tempo una importante fase di confronto e si sta lavorando in sinergia e piena sintonia al fine di proporre in tempi brevi un testo che agevoli in modo ponderato il passaggio delle competenze e tenga presenti le problematiche di ogni singola regione.

 

Quali sono i tempi previsti per avviare il dibattito parlamentare? C’è bisogno di altri passaggi?

Ritengo che entro un paio di mesi il Parlamento possa aprire una importante fase di confronto.

 

In generale, quali sono, secondo voi, i problemi più urgenti rispetto alla salute in carcere?

I cittadini reclusi devono avere diritto agli stessi livelli di assistenza di qualsiasi cittadino italiano, con la medesima qualità di prestazioni e con la possibilità di accedere a percorsi diagnostico-terapeutici in tempi totalmente sovrapponibili a quelli dei cittadini non reclusi.

Questo obiettivo deve altresì considerare le specificità patologiche che caratterizzano la popolazione carceraria, notevolmente diverse rispetto alla vita comune. Questo è il principale obiettivo e va affrontato sia attraverso il passaggio delle competenze e sia attraverso un investimento globale e decisivo.

Sanità penitenziaria: tre morti in due mesi all’Opg di Aversa

 

Redattore Sociale, 10 marzo 2007

 

Morire da internati senza che il mondo lo sappia. È accaduto nell’ Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa "Filippo Saporito" ad un marocchino di 35 anni Hajaj Derri, deceduto il 29 gennaio scorso per arresto cardiocircolatorio, così almeno recita la diagnosi ufficiale. Ma la notizia si è diffusa solo ora, a seguito della decisione della Magistratura di aprire un fascicolo sulla morte alquanto anomala dell’extracomunitario che al momento del decesso presentava strani segni ed ecchimosi sul collo.

Segni che potrebbero essere il frutto di una violenza perpetrata sul corpo dell’internato. Una morte invisibile come altre nei mesi scorsi: tre persone da novembre ad oggi sono scomparse nell’Opg aversano, uno dei due della Campania (l’altro è Sant’Eframo a Napoli), che complessivamente ospitano il 40% degli internati in tutta Italia. Denuncia l’associazione Antigone Napoli: "Solo pochi mesi fa - spiega Dario Stefano Dell’Aquila, presidente dell’associazione - nell’Opg di Aversa si sono verificati due suicidi. Due persone si sono tolte la vita nei bagni impiccandosi con le lenzuola dei letti senza che qualcuno li controllasse. Siamo preoccupati dal progressivo deteriorarsi delle condizioni di vita degli internati. Negli Opg di Aversa e di Napoli non c’ è alcuna cura: i medici, gli psichiatri e gli psicologi che operano nella struttura non sono dipendenti diretti ma bensì hanno solo un contratto a termine o a progetto, con in media un’ora e mezza al mese di assistenza psichiatrica a paziente. Il solo personale certo è quello di polizia penitenziaria".

E questo non è un caso visto che gli Opg dipendono direttamente dall’Amministrazione Penitenziaria e dal Ministero della Giustizia. "Negli Ospedali psichiatrici giudiziari - che hanno sostituito i manicomi criminali dopo l’emanazione della legge 180/78 la c.d. Legge Basaglia - sono internate circa 1.200 persone in tutta Italia, il 60% delle quali per reati contro la proprietà. Si tratta di persone - spiega Dell’Aquila - per lo più povere e prive di assistenza familiare, che, a causa di un disagio psichico, compiono un reato e si trovano a scontare decine di anni in quello che è chiamato ospedale ma che è invece un carcere a tutti gli effetti.

La loro pericolosità sociale non è dovuta alla diagnosi medica, ma all’ assenza di luoghi alternativi di accoglienza o perché, in molti casi, le ASL non intendono farsi carico di questi costi. Gli internati in Opg sono persone che hanno commesso un reato ma che non sono pienamente in grado di intendere. Per questo sono condannate ad una misura di sicurezza, la detenzione in Opg appunto, che viene annualmente prorogata, costringendo così centinaia di persone a vivere per anni in condizioni giuridicamente ed eticamente inaccettabili". Accade così, nella pratica, che persone che entrano in carcere per reati di poco conto, scontano decine di anni, se non la loro intera esistenza in un ospedale psichiatrico giudiziario.

"Bisogna arrivare presto ad un disegno di legge - conclude Dell’Aquila - per la chiusura e il superamento degli Opg. Nell’attesa, è necessario uno sforzo immediato per migliorare le condizioni di vita degli internati e avviare programmi di dimissioni protette, costruendo un sistema integrato socio-sanitario di accoglienza che punti all’ inclusione e all’autonomia delle persone".

Era il lontano 1876 quando nell’edificio dell’ex convento di San Francesco, ad Aversa, allora casa di pena per invalidi, il direttore generale delle carceri, Martino Beltrani Scalia, in assenza di disposizioni legislative creò la "sezione per maniaci", inviandovi diciannove rei-folli affidati alle cure di Gaspare Virgilio, medico-chirurgo della casa penale dal 1867.

La struttura oggi accoglie nelle proprie celle singole, doppie, o da 3 a 6 posti ben 240 internati, tutti uomini. I reparti sono due: quello ordinario, dove i "malati di mente" possono liberamente circolare e socializzare nei corridoi; poi c’è la famigerata Staccata, sezione destinata per i detenuti più pericolosi, circa una quarantina, spesso costretti a forme di coercizione molto dure come i letti di contenzione, chiamati ironicamente dagli stessi malati "letti con le ali".

Coercizione, detenzione forzata, camice di forza, maltrattamenti, annullamento totale dell’uomo, malattie non curate, talvolta inesistenti. Questo è molto altro c’è dietro quel muro. Un deposito per tutti coloro che creano problemi nella società. Non scontano una pena, perché non possono ritenersi colpevoli dei reati che hanno commesso, ma vengono rinchiusi come misura di sicurezza, in quanto potrebbero reiterare i crimini che li hanno portati davanti ai giudici. Queste morti disperate, avvenute spesso nella totale indifferenza, meriterebbero, da parte di tutti maggiore attenzione.

Forse una maggiore conoscenza di questi mondi, dei luoghi della marginalità e un maggior confronto con il mondo sociale impedirebbero le tragedie di queste vite dimenticate. Ma forse come canta Simone Cristicchi in un verso della sua canzone "Ti regalerò una rosa", grazie alla quale ha vinto l’ultimo Festival di Sanremo: " I matti sono punti di domanda senza frase, migliaia di astronavi che non tornano alla base. Sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole, i matti sono apostoli di un Dio che non li vuole ".

Avellino: parlamentari in visita per verifica condizioni detenuti

 

Il Mattino, 10 marzo 2007

 

"Ho trovato tanta dignità e impegno verso un percorso di riscatto ma il governo e il Parlamento devono continuare ad impegnarsi a fondo per garantire le condizioni di reinserimento sociale dei detenuti, a cominciare da quello delle donne". Lo ha detto il parlamentare dell’Ulivo, Costantino Boffa incontrando le detenute delle sezioni femminili del carcere di Pozzuoli, (90 detenute, 26 delle quali extracomunitarie e sei a cui è concessa la possibilità di essere attive nel volontariato e di frequentare corsi di formazione all’esterno) e di Avellino.

Le direttrici delle carceri di Pozzuoli e Avellino, Maria Luisa Palma e Cristina Mallardo, hanno rappresentato al parlamentare le difficoltà derivanti dai tagli alle prestazioni sanitarie destinate alla popolazione carceraria, la scarsità di fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture e i turni massacranti a cui sono costretti gli agenti della Polizia penitenziaria. Nella sezione femminile di Avellino, l’unica in Campania che dispone di un "nido", Boffa e Ciambriello hanno incontrato le nove donne detenute, una delle quali madre di un bambino di quindici mesi.

"Dai dati che ci sono stati forniti - hanno poi sottolineato Boffa e Ciambriello - abbiamo appreso con soddisfazione che nessuna delle detenute di Pozzuoli e Avellino che hanno beneficiato dell’indulto, hanno commesso nuovi reati" e che, per quanto riguarda le donne, prevalentemente fanno riferimento allo spaccio e al consumo di sostanze stupefacenti.

Oggi sarà ad Avellino il senatore Raffaele Tecce. Alle 10, nell’ambito della campagna nazionale "Il carcere dopo l’indulto", promossa dall’Associazione Antigone e da Rifondazione Comunista, Tecce visiterà il carcere di Bellizzi assieme a Gennaro Santoro (esponente di Antigone) e al segretario provinciale del Prc-Se Gennaro M. Imbriano. La campagna prevede 50 visite nelle carceri italiane in sei mesi: per verificare le condizioni di detenzione post indulto, con particolare attenzione al funzionamento dell’assistenza sanitaria, oggi allo stremo, e alla mancata attuazione del regolamento penitenziario.

 

Corsi di formazione nelle case circondariali

 

L’on. Costantino Boffa, in occasione della giornata internazionale delle donne, si è recato in visita presso due istituti penitenziari femminili campani, il carcere di Pozzuoli e quello di Avellino. Qui, il deputato dell’Ulivo accompagnato da Samuele Ciambriello, presidente dell’associazione "Città invisibile" che si occupa del recupero dei detenuti, ha incontrato le 90 detenute del carcere di Pozzuoli, la più grande struttura penitenziaria femminile campana, e quelle di Bellizzi Irpino. Sulla scorta delle positive esperienze che vengono messe in pratica nei due istituti campani, l’on. Boffa ha sottolineato il ruolo centrale che viene svolto dal volontariato durante lo sconto della pena attraverso corsi di formazione che vanno incentivati e resi possibili in tutte le case circondariali.

Le visite di oggi sono state anche l’occasione per ascoltare e raccogliere le problematiche e le esigenze del mondo carcerario campano. Le direttrici degli istituti di Pozzuoli e Avellino, Maria Luisa Palma e Cristina Mallardo, hanno rappresentato al parlamentare le difficoltà derivanti dai tagli alle prestazioni sanitarie destinate alla popolazione carceraria, la scarsità di fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture e i turni massacranti a cui sono costretti gli agenti della Polizia penitenziaria.

Nella sezione femminile di Avellino, l’unica in Campania che dispone di un "nido", Boffa ha incontrato le attuali nove donne detenute. "Dai dati che mi sono stati forniti - ha poi sottolineato - ho appreso con soddisfazione che nessuna delle detenute di Pozzuoli e Avellino che hanno beneficiato dell’indulto, hanno commesso nuovi reati.

Ho trovato tanta dignità e impegno verso un percorso di riscatto - ha proseguito l’on. Boffa - ma il governo e il Parlamento devono continuare ad impegnarsi a fondo per garantire le condizioni di reinserimento sociale dei detenuti, a cominciare da quello delle donne". "Infine - ha concluso il parlamentare dell’Ulivo - per questo 8 marzo, invece di partecipare ad iniziative celebrative e di facciata, mi è sembrato più utile visitare alcuni dei luoghi dove più forte è la sofferenza delle donne, il carcere, anche per sottolineare come l’impegno politico e sociale ha un senso se si occupa dei luoghi più difficili e delle persone dimenticate, senza voce, invisibili. In conclusione, il deputato di Pesco Sannita ha sintetizzato: "Mi è sembrato giusto e doveroso, il giorno della festa delle donne, sottolineare la condizione di quelle più disperate e sfortunate".

Viterbo: il personale sanitario senza stipendio da dicembre

 

Tusca Web, 10 marzo 2007

 

Riceviamo e pubblichiamo - Spettabile redazione, in un particolare momento d’attenzione da parte delle Istituzioni locali circa i problemi di sicurezza che l’arrivo nel nostro territorio di un considerevole numero di nomadi potrebbe generare, a Mammagialla sotto il profilo dell’assistenza sanitaria alle persone detenute nulla è cambiato.

Il paventato taglio del 30% del personale medico in servizio presso il carcere cittadino è stato messo in essere senza che nessuno abbia sollevato la propria voce in favore di questa che ormai sembra una causa persa. Né il prefetto, né sindaco, né presidente della Provincia né alcuna forza sindacale locale ha considerato il problema in tutta la sua gravità.

Il provvedimento di riduzione dell’organico è stato stabilito dal Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria del Lazio prendendo come spunto la legge sull’indulto e ponendo in relazione lineare la riduzione della popolazione detenuta con la pari riduzione d’organico sanitario.

Il Provveditorato non ha però considerato né che all’epoca del sovraffollamento degli istituti penitenziari i servizi sanitari lavoravano in estremo affanno a causa delle croniche carenze d’organico né che presto la popolazione detenuta sarebbe tornata a crescere.

Di fatto mentre a maggio 2006 (prima dell’indulto) presso Mammagialla i detenuti ristretti erano 650 e subito dopo l’indulto 350 ad oggi già si sfiorano le 500 presenze e se i cittadini a rischio delinquenziale sul territorio dovessero pure di colpo aumentare, esponenziale sarebbe anche l’incremento della popolazione detenuta del nostro carcere.

Il personale sanitario invece è stato dimezzato durante le 12 ore diurne. Nonostante le rassicurazioni da parte del personale amministrativo del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria circa un recupero almeno parziale delle carenze d’organico ad oggi nulla è stato fatto.

Si comincia a non poter più programmare correttamente le attività d’assistenza e si lavora prevalentemente per poter garantire salute per i casi urgenti. Il personale rimasto è costantemente sotto pressione, come anche il Coordinatore Sanitario del Carcere Franco Lepri ci ha segnalato, impegnato com’è a far fronte alle urgenze cliniche, rispondere ai quesiti di carattere sanitario proposti dalla direzione e dagli organi istituzionali, proseguire per quanto possibile nell’opera di medicina preventiva e quant’altro è quotidianamente richiesto in strutture complesse come il carcere dei Mammagialla.

Tutto questo senza che il personale sanitario, fino ad oggi, per cause meramente amministrative e riconducibili all’organizzazione della ragioneria del Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria del Lazio, abbia ricevuto lo stipendio di dicembre 2006, gennaio 2007, febbraio 2007.

Di questo passo sarà inevitabile il ricorso ad un più frequente invio di detenuti del carcere di Mammagialla a Belcolle per le cure e per gli accertamenti che non possono più essere effettuati tutti all’interno del penitenziario con un paradossale aggravio di spesa di denaro pubblico (basti pensare ai costi per il personale addetto alle scorte e i mezzi necessari a garantire la sicurezza).

In tutto questo, comunque, a rimetterci sono soprattutto i detenuti più deboli, quelli che appartengono ai ceti sociali meno abbienti e che sono afflitti dalle più disparate patologie infettive, psichiatriche e internistiche. Non dobbiamo dimenticare infatti che circa il 33% della popolazione detenuta a Mammagialla è composta da extracomunitari e un’analoga percentuale è tossicodipendente. Ci sono sieropositivi per hiv, malati di epatite, malati psichiatrici, tutte persone che necessitano di assistenza sanitaria capillare e costante.

Molti di questi detenuti pazienti infatti incontrano per la prima volta una realtà sanitaria organizzata solo al momento di entrare in carcere. È qui che possono essere agganciati, curati e sensibilizzati in modo da non trasmettere agli altri, una volta tornati in libertà, le malattie da cui sono affetti. Il carcere non è un mondo a parte ma una realtà integrata nel territorio e ogni ristretto presto o tardi torna in contatto con la società esterna.

Il ruolo della medicina penitenziaria è anche quello di fare da filtro tra il mondo sanitario esterno e quello carcerario ma questa prospettiva si allontana sempre di più quando chi dovrebbe governare e gestire questi servizi appare lontano dalla realtà che si vive tutti i giorni sul campo, appare distratto chissà da quali problemi.

Non ci si venga a dire che si tratta di problemi economici perché non è vero: il ministro Mastella ha garantito ampia copertura economica per i servizi sanitari penitenziari... perché non per Viterbo?

 

Enrico Giuliani, Consigliere Nazionale Simspe-Onlus

Imperia: polemiche dopo visita in carcere dell’On. Haidi Giuliani

 

Secolo XIX, 10 marzo 2007

 

La doppia visita in carcere - a Imperia e Sanremo - della senatrice Haidi Giuliani alla guida di una delegazione di Rifondazione Comunista, continua a suscitare polemiche e reazioni. Dopo la presa di posizione del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), che aveva criticato la parlamentare per essersi dimenticata di "ricordare tutte le questioni importanti che riguardano in generale le forze di polizia ed in particolar modo, la Polizia Penitenziaria" e in particolare "di quei poliziotti che pur di non fermare la macchina penitenziaria, svolgono 60, 70 ore di servizio settimanale a fronte delle 36 ore previste dal contratto...", e quella del consigliere regionale di An, Alessio Saso, che aveva anche lui criticato il rendez-vous di Rifondazione, ora torna a parlare il partito della Sinistra. Che, attraverso il segretario provinciale, Pasquale Indulgenza, risponde soprattutto all’esponente di An.

"Saso - spiega - polemizza con la senatrice Haidi Giuliani, che, reduce da una visita tenuta da una delegazione del P. R. C. alle carceri di Imperia e Sanremo, aveva definito "punitiva" per gli stranieri - che costituiscono la maggioranza della popolazione carceraria - la legge Bossi/Fini sull’immigrazione e invitava nel contempo la nostra parlamentare a tenere presente l’altissimo numero di reati commessi dai clandestini.

Queste affermazioni, del tutto sorprendenti se si considerano le competenze sociologiche dell’esponente di An, contribuiscono soltanto ad aggravare l’imbarbarimento culturale già ampiamente presente nella nostra società. Come si fa a non riconoscere che la legislazione attuale favorisce proprio gli ingressi clandestini e che la clandestinità è una condizione obbligata per tantissime persone, esposte ai mille drammi e rischi indotti da un simile, incivile stato?

La generalizzazione che fa Saso, a ben vedere, serve solo a "criminalizzare" e a "etichettare" un’intera fascia di immigrati. Ma se ragionassimo tutti in questo modo, rischieremmo di affermare assurdità su assurdità: ad esempio, che siccome la maggior parte delle violenze fisiche e a sfondo sessuale si consuma in ambito familiare, le famiglie, come tali, sono luoghi di violenza. Oppure: siccome coloro i quali sfruttano come clienti le prostitute (prevalentemente straniere, guarda un po’) sono in prevalenza maschi italiani tra i 20 e i 40 anni, di condizione medio-borghese, questa categoria di persone è delinquente per definizione. Cosa ne pensa, consigliere Saso?".

Marsala: "Rilassata Mente", parte progetto per i detenuti

 

Marsal@.it, 10 marzo 2007

 

Mercoledì mattina, si è svolta una conferenza stampa presso la casa circondariale di Marsala per la presentazione di un progetto sperimentale, denominato "Rilassata Mente", pensato e proposto dall’associazione sportiva dilettantistica "Lo Stagnone", nota in città per le numerose attività intraprese in campo sportivo, culturale e ricreativo, e che da qualche anno si occupa anche di trattamenti Shiatsu.

L’associazione lilybetana, nella persona del suo presidente Alessandro Mancinelli, dopo aver sperimentato lo Shiatsu nell’apnea raccogliendo notevoli consensi, ha voluto offrire un’opportunità a tutti i detenuti, per alleviare la loro permanenza nella casa circondariale marsalese, sottoponendosi a dei trattamenti.

Tale progetto è stato accolto favorevolmente dal direttore Paolo Malato che, chieste le dovute autorizzazioni, ha presentato e dato attuazione allo stesso.

"Per la prima volta negli istituti di pena della Regione siciliana sarà attuato un progetto simile - questo quanto dichiarato da Malato - Con questa iniziativa noi cerchiamo di perseguire due obiettivi: fondamentalmente vogliamo offrire ai nostri detenuti alcuni spazi di rilassamento e, soprattutto, un approccio diverso di comunicazione che permette loro di relazionarsi con persone esterne a questo ambiente. Questo progetto è stato accolto molto bene e tutti hanno dato la loro disponibilità, a maggior ragione dopo la prima seduta che abbiamo effettuato la scorsa settimana".

Alla conferenza hanno presenziato, oltre al direttore del carcere Paolo Malato ed al Presidente dell’ASD "Lo Stagnone" Mancinelli, anche l’educatore De Martino nonché Francesco Musso, presidente dell’Associazione Siciliana Shiatsu, che ha dichiarato: "Lo Shiatsu è una disciplina evolutiva e valorizza le risorse vitali; genera una migliore qualità della vita, anche e, soprattutto, nelle persone che si trovano in uno stato di reclusione".

Catania: la poesia di Maria Attanasio arriva nel carcere

 

La Sicilia, 10 marzo 2007

 

Santina sta in centro alla scena, su una sedia ricoperta da un drappo nero. Nera è la tuta che indossa, nera la parete che ha dietro le spalle. Santina ha il volto solcato da rughe profonde e avvolge lentamente un lungo filo di lana rosso, rosso come una ferita, come una lunga scia di dolore, come un filo sottile ma resistente di passione, di vita. Santina ha il volto impietrito delle antiche donne di Sicilia.

Ai suoi piedi, per terra, tre giovani donne in nero l’aiutano a districare quel filo e altre donne, in piedi, mimano lo stesso gesto. Alle pareti altri volti di donna, i loro volti, fermati in un attimo spensierato, come se fossero altrove. Ritratti artistici di Cristina Faramo, scatti in cui le protagoniste in carne e ossa amano rispecchiarsi, sperando.

Siamo nel carcere di piazza Lanza, nello spazio polivalente ricavato da un magazzino abbandonato. Uno spazio che viene inaugurato in questo primo 8 marzo celebrato dietro le sbarre. Per arrivare puntuali all’appuntamento tutti hanno dato una mano, come hanno potuto, come sanno. I detenuti hanno fatto i muratori, i pittori, i falegnami, gli elettricisti e ora la sala è pronta, con il grande schermo ritraibile, il proiettore, le luci, la musica preregistrata. Tutto è pronto per questa prima festa cui le detenute si sono preparate con cura. Per questo giorno hanno scelto di rendere omaggio alla parola. Hanno letto le raccolte di poesie di Maria Attanasio e ne hanno scelto alcune. Poi gli animatori le hanno aiutate ad interpretarle. Ed ora eccole in scena, ferme davanti al leggio, mentre Santina riavvolge il filo di una vita tormentata.

"L’amore vuole uscire dalle case / respirare aria celeste..." attacca Diletta, alta, pallida, bella, gli occhi lunghi e morbidi da gatta. La sua voce, flebile e chiara, lascia spazio alla voce di Anna, poi a quella di Laura, di Silvia e delle altre. Per ognuna un applauso, che è un modo di dire brave, andate avanti, ed è anche un grazie per il coraggio di mettersi in campo con il proprio carico di rabbia, di dolore, di speranza. Quelle che applaudono di più sono le compagne che non ce l’hanno fatta a stare in scena, per pudore, timidezza, impossibilità di farlo. Una di loro applaude e piange. Lei non sa leggere, non ha imparato. Ha 63 anni e teme che le lezioni che frequenta qui, in carcere, non basteranno. Ma i suoi cinque figli sì che li ha fatti studiare, tutti.

Sullo schermo, intanto, scorrono le immagini del video girato dagli educatori l’anno scorso, nel vecchio padiglione. Fino a dieci donne in uno stanzone, i letti a castello a tre piani, le docce fuori. Nessuno spazio per sé, nessuna possibilità di accogliere i problemi dell’altra perché, quando si è in troppi e troppo è il dolore, si pensa di non potere fare nulla, ci si sente impotenti. Oggi le cose sono diverse, nelle stanze ci stanno al massimo quattro persone, c’è il cucinino e la doccia in camera. E ci sono gli educatori, gli animatori, i volontari e tutti quelli che hanno reso possibile questo incontro, questa festa.

Milena Virrosa, laureanda in Scienze della formazione, fa il tirocinio qui. Ha una voce splendida e un temperamento tenero e appassionato. Impugna il microfono e canta. Canzoni di donne e sulle donne, canzoni d’amore e di libertà. Canta Fiorella Mannoia, Mia Martini, Mina, canta la passione e la rabbia della vita, canta il dolore e la speranza, e mentre canta le donne le fanno coro. Poi il dottor Giuseppe Avelli, il responsabile dell’area educativa, invita una delle detenute a ballare e dopo, come lui, lo fanno altri volontari ed educatori. Persino un agente in divisa si lancia perché ora, qui, si può. Qui, d’improvviso, il tempo è entrato in un’altra dimensione, quella del sogno, della favola. Le detenute ballano a lungo, dapprima timide e contente, poi energiche e spensierate, per poi tornare a passi più morbidi e dolci. D’incanto il carcere sembra una discoteca. Le lacrime arriveranno dopo, quando la più anziana delle educatrici, Pina Fedele, "mamma Fedele" per chi vive a piazza Lanza, invita a ballare la donna che fila e Santina, Santina che ha ammazzato il marito che la pestava con violenza, Santina che tra le sbarre gridava di essere finalmente libera, le abbandona il capo sul petto, con fiducia, con dolcezza. Nessuno l’aveva mai invitata a ballare.

Droghe: Ferrero; un "assaggiatore di eroina" per salvavita

 

Italia Oggi, 10 marzo 2007

 

Arriva "l’assaggiatore di eroina". Tecnicamente, un sistema di allerta rapido basato sull’analisi delle sostanze stupefacenti presenti in strada. Tradotto, si tratterebbe di andare di piazza in piazza a testare la "roba" e il suo grado di purezza.

Per il ministro della solidarietà, Paolo Ferrero, è il salvavita per i tossicodipendenti in overdose o in gravi crisi di astinenza. Lo dice davanti alla 12esima commissione del Senato (Igiene e Sanità), perché "noi oggi per i limiti legislativi siamo in grado di conoscere quale tipo di sostanza è stata assunta solo quando si è verificata l’overdose mentre in altri paesi europei operano servizi che riescono ad analizzare le sostanze e il loro grado di purezza al punto da essere in grado di affrontare l’emergenza già sapendo con quale sostanza hanno a che fare".

L’idea del ministro di Rifondazione comunista è perfettamente in scia del disegno di legge presentato da Ds e Prc al senato lo scorso ottobre. Sulla droga, Ferrero vuole avere voce in capitolo, sfidando anche le competenze del ministro della salute, la diessina Livia Turco. Scontata la bocciatura della legge Fini-Giovanardi, lui va dritto per la sua strada e tra il sequestro di qualche grammo di droga o di qualche quintale preferirebbe che "le forze di polizia fossero impiegate contro il narcotraffico piuttosto che alla repressione del consumo in particolare della cannabis".

Tra le cose alle quali per il ministro bisogna mettere le mani in fretta c’è la necessità di tornare a dividere le famiglie di sostanze stupefacenti in tabelle creandone una apposita per la cannabis, eliminare la dose massima consentita, inasprire le sanzioni penali per lesioni colpose e omicidio colposo e la stessa guida in stato di ebbrezza. Ma soprattutto basta con l’incertezza dei finanziamenti anno per anno dei progetti sperimentati, sì a interventi strutturati.

Tra le proposte anche quella di prevedere nelle scuole operatori delle stessa età dei ragazzi, predisposto con il ministro della pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, "un progetto di 400 mila euro per avviare un’operazione di prevenzione a 360 gradi". Ma non c’è solo la droga tra gli incubi di Ferrero. Sta lavorando, infatti, "per arrivare a una proposta che impedisca la pubblicità degli alcolici" creando "una situazione simile a quella che si è creata per il tabacco".

Ma tra gli incubi del ministro c’è anche il caso di Susanna Ronconi, la brigatista rossa condannata a 12 anni per l’uccisione di due militanti del Movimento sociale italiano nel 1974, chiamata come consulente a far parte della consulta sulle tossicodipendenze. Poi dimessasi a seguito delle polemiche. Questione costata a Ferrero, per sua stessa ammissione, "una mozione di sfiducia individuale" alla quale risponderà con una lettera a tutte le senatrici e ai senatori. Per Ferrero quello della Ronconi è uno dei casi "in cui l’espiazione della pena è coincisa con una modifica della vita di una persona" e poi "la costituzione della consulta è stata realizzata chiedendo a tutte le realtà di avanzare proposte di soggetti esperti". Insomma, il ministro Ferrero la Ronconi non l’ha scelta, se l’è trovata.

Droghe: don Mazzi; il dibattito dimentica l’aspetto educativo

 

Redattore Sociale, 10 marzo 2007

 

In una lettera aperta, il presidente di Exodus e don Mimmo Battaglia (Fict) spiegano ai politici, impegnati nella modifica della legge sulla droga, quali sono gli elementi che non possono mancare, a partire dal sistema di prevenzione.

Una lettera aperta indirizzata ai parlamentari con tutte le indicazioni per la nuova legge sulla droga. L’hanno scritta don Antonio Mazzi, presidente della Fondazione Exodus onlus e don Mimmo Battaglia, presidente della Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict), per intervenire sul dibattito in corso a proposito della modifica della Fini-Giovanardi.

Secondo i sacerdoti, la discussione "è partita con una piega sbagliata che disattende il cuore della questione dipendenze in Italia". "Se infatti - si legge nel testo - il ministro Ferrero tende a sottolineare gli aspetti relativi alla tutela e ai diritti dei consumatori, il ministro Turco torna a mettere al centro l’importanza degli aspetti sanitari e addirittura il ministro Amato rischia di ridurre il tema agli aspetti, pure importanti, di ordine pubblico.

In tutto questo manca ancora il fondamentale punto di vista educativo. Invece noi diciamo che la questione dipendenze è anzitutto educativa ed è parte della più generale emergenza educativa che investe il nostro paese e che dovrebbe vedere impegnati tutti i soggetti pubblici e privati, istituzioni in testa. Siamo fortemente preoccupati perché avvertiamo come l’educazione si stia svuotando di senso e di concretezza, con il fortissimo rischio di crescere generazioni sempre più fragili". In questo quadro, la lettera elenca tutti gli elementi ritenuti irrinunciabili per la politica sulle dipendenze.

Innanzitutto, secondo don Mazzi e don Battaglia, dalla proposta di revisione della Fini-Giovanardi "deve trasparire un chiaro messaggio, semplice e facilmente comunicabile e cioè che la droga fa male o, se non si vuole scivolare sul piano etico che la droga è molto pericolosa". E ancora, "che drogarsi non è un diritto; che il tossicodipendente va aiutato e non punito; che la droga rende estranei al mondo.

L’azione più importante per il contrasto alla logica della droga è quella di vedere coinvolte tutte le agenzie educative del paese per invitare tutti a essere positivamente presenti al mondo. Dei quattro pilastri (la repressione, la prevenzione, la cura e la riduzione del danno) va privilegiato il sistema preventivo, educativo e di accompagnamento.

In questo momento è il più debole e nello stesso tempo il più urgente. La normativa deve consentire ai differenti servizi approntati un’operatività "leggera", il meno burocratica possibile. Deve essere assolutamente dichiarata e sottolineata la stretta connessione con le politiche giovanili, della famiglia, della scuola, della sanità, della giustizia e del lavoro e di conseguenza si devono prevedere specifici capitoli o rimandi o armonizzazioni con le normative in essere e chiaramente anche un opportuno coinvolgimento di altri ministeri competenti. Allo stesso modo deve essere garantito lo stretto raccordo con e tra le politiche regionali".

"Non ci riconosciamo nell’approccio marcatamente rigido e punitivo presente nella legge Fini-Giovanardi e neppure nell’atteggiamento rassegnato che considera un dato di fatto l’abuso di droghe - proseguono i sacerdoti -. Il punto fondamentale della legge, secondo noi, dovrebbe essere la prospettiva di un paese complessivamente meno drogato (sotto molti punti di vista).

Dovrebbe esserci una presenza capillare di centri per giovani, unita a uno stretto collegamento tra le iniziative di riduzione del danno e le possibili proposte di emancipazione e alla la formazione-educazione degli adulti". E ancora, "bisogna individuare forme di attenzione da parte degli adulti nei confronti degli studenti come percorsi di accoglienza al primo anno; supporto psicologico; cicli di formazione a tema; attività extracurricolari, percorsi di legalità, cittadinanza, natura, connessione con le attività del territorio; visite guidate e nuovi modelli di gite scolastiche".

In pratica "si tratta di investire sul tempo libero degli adolescenti non più come tempo residuale ma come elemento strategico per una sana maturazione. Due possono essere le questioni cruciali a questo proposito: divertimento e iniziativa dal basso. Promuovere partecipazioni; favorire la creazione di esibizioni, eventi, manifestazioni che permettano ai giovani di esprimere il loro pensiero e la loro vitalità mediante la musica, il teatro, la danza, le discipline sportive, le espressioni artistiche. Diffondere le pratiche sportive dilettantistiche e la "pratica" della musica (scuole musicali, sale prova, sale registrazione)".

E ancora, "riconsiderare radicalmente tutta la comunicazione pubblica, non solo la pubblicità delle sostanze alcoliche: analizzare il tipo di messaggi, la trasmissione dei modelli culturali, l’induzione a comportamenti potenzialmente pericolosi o negativi". Per quanto riguarda il discorso della cura, essa "non può essere ridotta ai soli interventi a sportello - ultimamente sempre più privilegiati perché meno costosi.

n molti casi, chi lavora seriamente sul campo sa benissimo che sono necessari interventi residenziali, le comunità, che possono garantire un adeguato accompagnamento e presa in carico". È poi "inopportuna l’abolizione totale delle sanzioni amministrative per i consumatori. Devono essere istituiti rigidi controlli che vietino l’accesso ad alcune professioni per i consumatori di sostanze stupefacenti: per esempio autisti di mezzi pubblici, piloti e tutte le professioni di grande responsabilità, perlomeno nel momento dell’esercizio della responsabilità.

Si devono studiare percorsi alternativi al carcere per tutti i tossicodipendenti (residenziali, ambulatoriali, notturni o diurni, di fine settimana), utilizzando opportuni accorgimenti affinché la tossicodipendenza non sia utilizzata a giustificazione di reati. A questo proposito (così come per la non sempre facile distinzione tra consumo e spaccio) va approfondita l’indicazione del Ministro Ferrero circa la discrezionalità del giudice".

Droghe: adolescenti; l’abuso non dipende da mamma e papà

 

Redattore Sociale, 10 marzo 2007

 

Questo il risultato di un sondaggio on-line condotto dalla Comunità Saman: solo un adulto su quattro ritiene che l’uso di spinelli tra adolescenti sia colpa della situazione familiare. Oggi un workshop con Howard Liddle.

Solo un genitore su quattro pensa che se un adolescente fuma oltre tre spinelli al giorno significa che anche in famiglia qualcosa non va. È il risultato più sorprendente di un sondaggio d’opinione commissionato dall’associazione Saman alla società di ricerche Inter@ctive Market Research, su un campione di 453 genitori con figli da 0 a 19 anni.

Sono stati intervistati anche 148 giovani dai 19 ai 24 anni e anche per loro papà e mamma c’entrano poco con le "canne" dei figli: solo uno su cinque, infatti, ritiene che la famiglia abbia responsabilità nell’abuso di cannabis. La colpa è soprattutto della "società", hanno risposto il 40% dei genitori e il 44,6% dei giovani.

Il sondaggio, realizzato nella prima metà di febbraio, aveva lo scopo di capire come viene percepita la diffusione degli spinelli fra gli adolescenti. "Anche se il campione è piccolo, questo lavoro può farci capire quanto le famiglie sottovalutano il proprio ruolo nell’educazione dei figli - spiega Achille Saletti, presidente di Saman -.

Noi siamo contrari a criminalizzare chi fuma lo spinello e abbiamo sempre espresso la nostra disapprovazione per la legge Fini-Giovanardi, ma l’abuso negli adolescenti di cannabis può avere effetti devastanti. Sia il ragazzo che la sua famiglia hanno bisogno di aiuto".

Secondo il sondaggio, il 60% dei genitori ritiene che lo spinello possa diventare l’anticamera di altre droghe più pesanti, mentre la pensa così meno del 50% dei giovani. "La maggior parte ritiene quindi che la cannabis non sia pericolosa in sé, ma può esserlo solo in quanto potenziale legame con altre droghe", aggiunge Saletti.

Sul perché un ragazzo di quindici anni fumi lo spinello, genitori e giovani sono quasi concordi: il 90% risponde "per sentirsi parte del gruppo" e "per divertimento". "Le droghe leggere e quelle pesanti vanno considerate in maniera distinta - aggiunge il presidente di Saman -. Noi vogliamo però attirare l’attenzione su coloro che esagerano con quelle leggere. Su un ragazzino di 15 che magari ha già problemi psicologici o caratteriali l’abuso della cannabis può provocare danni molto pesanti, fisici e non, e incidere sulla sua vita futura".

La Comunità Saman, insieme a Itaca Italia, ha organizzato oggi a Milano, presso la Casa dell’Energia Aem (piazza Po, 3), un workshop dal titolo "Adolescenti e uso problematico di cannabis: ipotesi di intervento sull’individuo, la famiglia, la scuola e l’ambiente", durante il quale verranno presentati i risultati completi del sondaggio.

Interverrà Howard Liddle, docente di psichiatria e psicologia all’Università di Miami. Lo studioso americano è un esperto della Terapia Multidimensionale della Famiglia, in base alla quale di fronte ad un adolescente che fuma troppi spinelli o abusa di altre droghe, bisogna intervenire anche sulla famiglia, la scuola e i luoghi che frequenta. "Prevede un approccio globale proprio perché ritiene che anche gli adulti incidono in modo determinante sugli adolescenti - aggiunge Saletti -. Con questo workshop abbiamo voluto porre l’accento sul fatto che non vanno sottovalutati i casi di abusi di cannabis da parte degli adolescenti. Molti degli iscritti all’incontro di domani sono operatori dei servizi pubblici, segno che anche da loro il fenomeno è percepito come preoccupante". Si potrà seguire l’intervento di Howard Liddle anche su internet all’indirizzo www.saman.it.

Francia: a Parigi una cella in piazza contro il sovraffollamento

 

Ansa, 10 marzo 2007

 

Una cella di 9 metri quadrati, contenente due letti a castello, un lavandino ed un wc, è stata posta nella piazza del municipio di Parigi. Tre persone vi resteranno chiuse per alcune settimane. "È un atto simbolico per denunciare il sovraffollamento nelle carceri francesi, le meno accoglienti d’Europa - dice l’ideatore della protesta - oggi ci sono circa 51.000 detenuti per meno di 41.000 posti, la Francia è classificata l’ultimo dei paesi europei per il trattamento dei prigionieri".

 

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