Rassegna stampa 21 marzo

 

Giustizia: i sindaci firmano il piano di Amato sulla sicurezza

 

Corriere della Sera, 21 marzo 2007

 

Non uno, ma due patti per la sicurezza sono stati siglati ieri al Viminale da tutti i sindaci delle città metropolitane. Compreso quello di Milano, Letizia Moratti. Un accordo tra l’Anci e il Viminale per sviluppare con i comuni italiani progetti condivisi contro la criminalità. E una intesa che impegna ministero dell’Interno e sindaci delle città metropolitane a siglare, entro 60 giorni, singoli protocolli per la legalità "che prevedano risorse organizzative e finanziarie adeguate da parte di tutti i soggetti contraenti".

Soddisfatto il ministro Amato: "È stato raggiunto un risultato non facile, ma di grande importanza", sottolinea. "L’affermazione del diritto del cittadino ad avere sicurezza si realizza attraverso azioni coordinate dello Stato e degli Enti locali. E ciascuno, nelle sue funzioni lo garantirà", aggiunge. E in riferimento a chi nei giorni scorsi ha chiesto a gran voce maggiore legalità, conclude: "Ciascuno potrà rivendicare ragioni solo se ha fatto la propria parte".

Ma la tensione non cala. Uscendo dall’incontro, il sindaco Moratti ha confermato che scenderà in piazza per la legalità lunedì 26 marzo: "La manifestazione per quello che mi riguarda è confermata". I prossimi due mesi saranno cruciali e non intende abbassare la guardia.

L’accordo di ieri, infatti, è una cornice di comuni intenti alla quale i sindaci sono chiamati a concorrere sulla base del principio della "sussidiarietà". Che significa contribuire alle spese. Era proprio questo uno dei punti che piaceva meno a Letizia Moratti. Si è lamentata a lungo, durante l’incontro, dell’impostazione di un accordo "troppo sbilanciato" sugli impegni a carico dei comuni. E ha chiesto integrazioni e modifiche normative per combattere la violenza sessuale, l’accattonaggio, il danneggiamento di edifici pubblici. Oltre a ribadire la richiesta di 500 agenti in più. Emergenze che l’avevano spinta lunedì ad annunciare: "Non firmerò".

Il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, però ha ricomposto i dissensi della vigilia. Ha illustrato l’accordo che prevede pattuglie miste polizia-vigili urbani per fronteggiare situazioni di illegalità e collaborazione tra le rispettive sale operative. Collaborazione più stretta tra i sistemi informativi del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del ministero dell’Interno e quelli delle Polizie locali. Potenziamento degli apparati di video-sorveglianza. Inoltre Amato ha dato il via a un gruppo di lavoro congiunto Governo-città metropolitane per definire norme e strumenti innovativi.

Convinti i sindaci. Quello di Roma, Walter Veltroni, si è detto pronto al nuovo patto per Roma anche in pochi giorni. Di "risultato importante" ha parlato quello di Bologna, Sergio Cofferati. D’accordo anche quello di Torino Sergio Chiamparino. Infine è arrivata la firma della Moratti. Ma con il sindaco milanese è tregua armata. Lo ha fatto intendere lei stessa all’uscita: "L’incontro di oggi - ha spiegato - nasce da una pressione dovuta alla manifestazione che sarà necessaria per mantenere alto il livello di attenzione".

 

Chiamparino: la Moratti sta cavalcando lo scontento

 

Durante l’incontro al Viminale è stato seduto fianco a fianco con Letizia Moratti: "Con lei ho un buon rapporto, abbiamo firmato tutti lo stesso documento". Ma all’uscita Moratti ha confermato la manifestazione di protesta.

 

Sindaco Chiamparino, come spiega l’atteggiamento della sua collega milanese?

"Confermare la manifestazione di Milano dopo l’incontro con Amato dimostra quel che ho sempre sostenuto: che si tratta di una manifestazione di parte contro il governo".

 

Moratti dice che la riunione al Viminale è frutto della sua pressione sui ministri. Insomma, come diceva il Pei, la lotta paga. Non è più d’accordo?

"Non sono affatto d’accordo con la signora Moratti. Se si è svolta la riunione al Viminale è perché sindaci come me ed altri hanno proposto il tavolo di discussione con il governo contestando proprio il metodo delle minacce di piazza. Se fosse stato per la Moratti, il governo avrebbe lasciato che si svolgesse la manifestazione e tutto finiva lì".

 

Se al governo ci fosse ancora il centrodestra, lei non sarebbe sceso in piazza?

"Non sono mai sceso in piazza contro Pisanu. Le uniche due manifestazioni cui ho partecipato da sindaco sono state un’iniziativa per la pace e un corteo per sollecitare tutti a trovare una soluzione alla crisi Fiat. Penso che sulla sicurezza non abbia senso gridare".

 

Non è fisiologico che i sindaci di centrodestra alzino la voce contro il governo?

"Sulla sicurezza non è affatto fisiologico. Lo dimostra il fatto che nella riunione al Viminale sono stati proprio alcuni sindaci dei partiti oggi all’opposizione, come Umberto Scapagnini di Catania, a spingere per trovare un accordo su un tema tanto delicato".

 

Se è così, perché allora Moratti ha confermato la manifestazione?

"Bisognerebbe chiederlo a lei. Io penso che dalla riunione nessun sindaco, di destra, di centro o di sinistra, potesse attendersi risultati migliori. Capisco anche la signora Moratti. Evidentemente a Milano deve cavalcare certe tigri per avere il consenso della sua maggioranza".

 

Dopo le polemiche per la concessione degli agenti a Milano, è rientrata la sua protesta nei confronti del governo?

"Nei confronti del ministro Amato non c’è mai stata. Me la sono presa con il governo perché non si può dare l’impressione di cedere alle pressioni di chi urla di più. Per questo sono soddisfatto dell’incontro al Viminale. Perché dimostra che si può percorrere una strada diversa".

Giustizia: intervista al sindaco di Bari su sicurezza nelle città

 

Puglia Live, 21 marzo 2007

 

Al termine dell’incontro al palazzo Viminale il sindaco di Bari ha dichiarato: "sono particolarmente contento che sulla politica del governo nazionale in materia di sicurezza espressa nel patto oggi sottoscritto sia tata d’accordo anche il sindaco di Milano Letizia Moratti che fino a poche ore fa aveva confermato di voler dar vita ad una manifestazione di strada contro il governo.

Letizia Moratti è un sindaco ancora inesperto, che si è spaventato di fronte alla richiesta pressante di sicurezza che viene dai suoi concittadini e l’ha tradotta in una banale pretesa di più uomini in divisa per le strade, senza rendersi conto che il lavoro che da anni svolgono i sindaci in Italia e assai più complesso di gridare al lupo al lupo, ma è quello di costruire una governance di sicurezza urbana che non delegittimi nessuno degli attori del sistema, che peraltro nel nostro Paese è uno dei più efficienti del mondo.

Un sistema che è stato capace, senza leggi speciali, di lottare con successo contro il terrorismo, la mafia e la grande corruzione politica. Ed è stato in grado di mantenere sicure le nostre città, in particolare Milano e Roma, più di ogni altra capitale europea. Letizia Moratti -prosegue il sindaco di Bari- deve avere più fiducia nel Prefetto, nel Questore e nelle Forze dell’Ordine della sua città e soprattutto deve avere fiducia in una delle più prestigiose magistrature di Italia che è proprio quella di Milano".

Per Michele Emiliano la vera sfida per i sindaci dovrebbe essere un’altra, farsi carico di promuovere un nuovo modello di governo della sicurezza dei territori urbani che parta dalla prevenzione.

"A Bari - dichiara Emiliano - il Comune, insieme a tutte le istituzioni della giustizia, della sicurezza e della scuola, ha creato l’Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata, che mira a costruire una strategia stabile di contrasto ai fenomeni criminali e di sostegno alle fasce di popolazione più esposte al rischio criminale. L’Agenzia si riunisce periodicamente ed ha al proprio interno gruppi di lavoro che si occupano di minori, detenuti ed ex detenuti, vittime di reati, partecipazione dei cittadini e sensibilizzazione, analisi dei fenomeni criminali.

È l’unico luogo dove assistenti sociali, presidi, poliziotti, magistrati, esponenti delle istituzioni carcerarie, lo stesso sindaco, lavorano insieme scambiandosi informazioni ed esperienze e costruendo progetti condivisi. Le iniziative dell’Agenzia sono finanziate, oltre che dal civico bilancio, dai fondi ottenuti dalla sistematica costituzione di parte civile del Comune di Bari nei processi di mafia".

Al momento è in corso un progetto finalizzato al monitoraggio dei minori "figli di mafia" nei confronti dei quali sono previsti programmi specifici di sostegno. Così come la destinazione di una villa confiscata alla mafia a comunità per i minori già entrati nel circuito penale, con il compito di offrire loro formazione e strumenti per il reinserimento sociale. Inoltre l’Agenzia è impegnata nell’attuazione di un programma di inserimento lavorativo per alcuni soggetti che hanno beneficiato dell’indulto.

"Un modello nuovo di gestione della sicurezza è possibile -prosegue il Sindaco di Bari- e a Bari è già una realtà. Da magistrato spesso arrivavo troppo tardi, quando l’irreparabile era già successo. E quando qualcosa va in frantumi è molto difficile che in un’aula di tribunale o con le manette ai polsi si possa tornare ad essere come prima. Bisogna dare concretezza alla lezione di Giovanni Falcone, che era consapevole dei limiti della repressione di polizia e giudiziaria e che invocava l’intervento della politica responsabile, trasparente e dedita alla costruzione della legalità. La firma di oggi va nella direzione da me auspicata. Se il Sindaco di Milano ha voglia di approfondire la nostra esperienza per arricchirla e migliorarla siamo a sua disposizione".

Giustizia: Mastella; a Napoli il dramma di un morto al giorno

 

Ansa, 21 marzo 2007

 

Il fatto che a Napoli, ormai ogni giorno, ci sia un morto ammazzato, il ministro della Giustizia, Clemente Mastella lo definisce un "dramma". "Sono stati attivati tutti gli strumenti possibili - ha detto a Napoli il Guardasigilli - non si sa quali altri strumenti è possibile attivare, ma se è possibile ancora altri".

A chi gli chiede in merito al fatto che alcuni parlano di un fallimento del Piano Sicurezza, Mastella non scende nei dettagli. "Con obiettività consentitemi di essere reticente per la semplice ragione che tocca ad un altro autorevole collega del Governo - ha risposto Mastella - tocca al prefetto di Napoli, che è arrivato da poco e sta facendo tutto quello che è possibile". "Napoli in questo periodo non si erge se non in maniera così violenta", ha aggiunto Mastella. A chi gli fa presente le critiche di alcuni magistrati in merito alla mancanza di mezzi a disposizione della giustizia napoletana, Mastella risponde: "stiamo risolvendo".

Giustizia: lo Stato non paga gli avvocati dei meno abbienti

 

Ansa, 21 marzo 2007

 

"Gli avvocati che difendono i meno abbienti non vengono pagati dallo stato e in questo modo viene negato il diritto di difesa garantito dal gratuito patrocinio e dalla difesa d’ufficio". Lo dice in una nota l’Organismo unitario dell’avvocatura (Oua), che denuncia inoltre come "ancora una volta si riverberi sugli avvocati, e particolarmente sui giovani, l’incapacità dello Stato di riservare alla Giustizia le necessarie attenzioni e risorse".

"La paralisi dei pagamenti è stata conseguenza immediata e diretta della legge Bersani", spiega il presidente Michelina Grillo, che aggiunge: "la situazione rischia di diventare tanto drammatica che nelle scorse settimane il segretario della commissione parlamentare Antimafia, Tommaso Pellegrino (Verdi), ha presentato un’interrogazione parlamentare urgente al ministro della Giustizia, Clemente Mastella". "È grottesco - conclude Grillo - come un provvedimento (la legge Bersani) che voleva favorire i giovani avvocati, colpisca innanzitutto proprio questa fascia di professionisti, che all’inizio della loro carriera esercitano il gratuito patrocinio e la difesa d’ufficio".

Giustizia: sciopero dei penalisti, l'adesione arriva oltre il 95%

 

Ansa, 21 marzo 2007

 

È quasi totale l’adesione degli avvocati allo sciopero indetto dall’Unione delle Camere penali contro la politica della giustizia del governo; secondo i primi dati diffusi dall’organizzazione che rappresenta 8.500 legali nelle principali città, e cioè a Milano, Roma, Napoli e Palermo, la partecipazione alla protesta è stata superiore al 95%.

In queste città si stanno celebrando solo i processi con detenuti o per i quali sia imminente la prescrizione, così come prevede il codice di autoregolamentazione degli avvocati. I dati sono stati resi noti durante la manifestazione nazionale dei penalisti che si sta tenendo nell’aula magna della Corte d’Appello di Roma.

"Grande soddisfazione" per i dati relativi al primo giorno di astensione dalle udienze degli avvocati è stata espressa dalla giunta dell’Unione delle Camere penali. "È il segnale che sono state comprese le reali ragioni - ha detto il presidente Oreste Dominioni - del pericolo che abbiamo indicato e che è rappresentato dalle proposte del ministro Mastella sul codice di procedura penale".

Giustizia: i Giuristi Democratici contrari a sciopero dei penalisti

 

Ansa, 21 marzo 2007

 

I Giuristi Democratici non partecipano all’astensione promossa dalle Camere Penali dal 21 al 23 marzo prossimo contro il ddl Mastella di riforma dell’ordinamento giudiziario e le proposte di interventi urgenti sul processo penale. L’associazione fa sapere di aver già espresso con un documento un "giudizio positivo sul disegno di legge di riforma dell’ordinamento giudiziario approvato dal Consiglio dei ministri, criticando la scelta dell’Unione delle Camere penali di indire un’astensione in gran parte fondata sul mancato inserimento della separazione delle carriere dei magistrati nel progetto di riforma".

Separazione che, secondo i Giuristi Democratici, " non può costituire la panacea di ogni male, essendo ampiamente sufficiente, al fine di garantire la terzietà del giudice, una seria separazione delle funzioni ben disegnata nel progetto di riforma approvato dal governo". "Sulla riforma dell’ordinamento giudiziario - chiede l’associazione - si avvii immediatamente il lavoro delle Camere per consentirne l’approvazione entro il 31 luglio, data alla quale in caso di mancata approvazione della riforma, rientrerebbe in vigore la riforma Castelli".

Giustizia: Battisti; in Brasile un comitato anti-estradizione

 

Corriere della Sera, 21 marzo 2007

 

Dal teorema Mitterrand alla spiaggia di Copacabana. Il passo è breve. Cesare Battisti non è il primo e non sarà l’ultimo ex terrorista italiano che s’affida alla legislazione brasiliana per evitare la prigione. A Rio il "comitato solidarietà" per "l’ex compagno ingiustamente perseguito" è già scattato.

E, visti i precedenti, tutti sono convinti che la battaglia sarà lunga "ma certamente vittoriosa". I tre italiani accusati di delitti di sangue che hanno affrontato il giudizio del Tribunale supremo per l’estradizione sono Luciano Pessina, Achille Lofio e Pietro Mancini. Tutti e tre hanno vinto, non sono stati estradati e si sono ormai rifatti una vita in Brasile. Pessina è proprietario di un famoso ristorante a Leblon, la spiaggia dopo Ipanema. Mancini è un produttore tv mentre il principale accusato per la strage di Primavalle ed ex Potop è anche l’unico rimasto in politica e vivacchia stampando discutibili giornali dell’estrema sinistra locale.

Ma, quando si tratta degli "anni di piombo", il comitato di difesa si convoca quasi automaticamente. In realtà a Rio sono decine gli "ex" della lotta armata che si sono riciclati in mille modi. Dal chiosco sulla spiaggia all’insegnante d’italiano. Hanno i loro avvocati - professionisti come Tecio Lins e Silva (che ancora aspetta le parcelle dei casi Pessina e Lofio) - e una vasta rete di amici politici nella sinistra brasiliana e nel partito di Lula. Pessina e Mancini sono già usciti allo scoperto a favore di Battisti ma negano di aver avuto qualsiasi ruolo nella sua latitanza carioca. Infatti il deus ex machina di quest’ultima sembra essere un politico brasiliano con molti contatti e qualche favore da restituire in Francia. L’ex guerrigliero Fernando Gabeira che è anche il deputato, eletto nelle liste dei verdi, più votato a Rio de Janeiro. Nel 1969, ai tempi della dittatura brasiliana, sequestrò un ambasciatore americano, poi si rifugiò in Francia.

Gabeira nega di aver avuto a che fare con la latitanza di Battisti ma, subito dopo l’arresto, si è messo alla guida del movimento per impedirne l’estradizione. Almeno nelle prime 48 ore perché già ieri mattina era molto più cauto. Forse perché ha trovato pochi appoggi, forse perché la situazione di Battisti è diversa dalle altre.

Le eccezioni sulle quali potrebbe contare Battisti per evitare l’estradizione sono simili a quelle dei casi precedenti. La legge brasiliana impedisce di estradare in un altro paese una persona condannata per "reati politici" e non riconosce la condanna in contumacia perché l’accusato non si difende. Poi c’è l’ergastolo che in Brasile non esiste perché il massimo della pena sono trent’anni. Ma forse il clima è cambiato.

Anche la composizione del Tribunale supremo è cambiata rispetto a quello che negò (nove voti contro uno) l’estradizione di Pietro Mancini. Potrebbero pesare ragioni di opportunità e appartenenza politica come gli ottimi rapporti tra il ministro degli Esteri D’Alema e il presidente brasiliano Lula (si conoscono da quand’erano ragazzi) e il desiderio, sempre di Lula, di fare un gesto gradito a Prodi e all’attuale maggioranza di governo in Italia.

Come dire, finche a Palazzo Chigi c’era Berlusconi, gran parte della sinistra brasiliana si schierava a favore degli ex estremisti italiani, oggi è meno evidente. E in questo quadro si colloca "la lunga e cordiale" telefonata tra il ministro della Giustizia italiano Mastella e quello brasiliano, Tarso Genro.

Mastella ha ringraziato il ministro brasiliano e ha sottolineato l’importanza per il governo italiano che la vicenda si concluda con l’estradizione "di un latitante condannato in via definitiva per quattro omicidi e altri gravi delitti". In ogni caso la battaglia per l’estradizione di Cesare Battisti s’annuncia comunque lunga. E, paradossalmente, anche i due passaporti falsi trovati l’altro ieri nel corso della perquisizione dell’appartamento dove si nascondeva a Copacabana, sono a suo favore. Il possesso di documenti falsi è un crimine federale che prevede fino a sei anni di reclusione. Per questo motivo Battisti potrebbe essere condannato e dover scontare la pena in Brasile prima di poter essere eventualmente estradato.

Insieme ai passaporti la polizia ha trovato una patente, anch’essa falsificata, alcuni quaderni e un computer portatile. Sui passaporti ci sarebbero timbri di entrata ma anche di uscita dal paese. Sul fronte delle indagini la polizia brasiliana ha fatto filtrare l’esistenza di un’altra donna. Una ragazza, scrive "O Globo", di cui Battisti si sarebbe innamorato, che ha aiutato la polizia ad individuarlo. Di lei si conosce soltanto il nome, Joyce; l’età, ventidue anni; e la favela dove vive, Belford Roxo. Secondo "O Globo" la ragazza collaborava con la polizia federale brasiliana da diversi mesi.

Giustizia: intervista ad Arrigo Cavallina sul "caso Battisti"

 

Il Giornale, 21 marzo 2007

 

Si conobbero in carcere, a Udine, nel 1977. E insieme parteciparono all’esperienza folle e sanguinaria dei Pac. Trent’anni dopo, Arrigo Cavallina guarda sgomento alla deriva di Cesare Battisti: "È rimasto prigioniero del proprio passato, non ha intrapreso come il sottoscritto un lento ma faticoso cammino di rientro nella società, fuggendo dal carcere è fuggito anche da se stesso".

Dice proprio così Cavallina: "La cella per me fu un’esperienza terribile, durissima, ma così fui costretto a fare i conti con la realtà, lui no, è andato in giro per il mondo, ha trovato in Francia chi era disposto a credergli e piano piano è entrato nella parte del personaggio sempre più arrogante, lontano, lontanissimo dal prendere atto di quel che era accaduto".

Flashback: Udine 1977. Nel suo libro "La piccola tenda d’azzurro", Edizioni Ares, Cavallina scrive: "Battisti era un malavitosetto romano dall’intelligenza vivace, un senso dell’umorismo col quale mi trovavo spesso in sintonia, la voglia di uscire dalla sua condizione e cercare significati più profondi. Per sua disgrazia ha creduto di trovarli condividendo i miei orientamenti politici".

Cavallina, classe 1945, figlio del primo violino dell’orchestra dell’Arena, si è formato nell’Autonomia e nel gruppo della rivista Rosso. Cavallina ha le idee chiare e calamita l’amico, di nove anni più giovane, verso la rivoluzione.

Nascono i Pac, i Proletari armati per il comunismo: "Non eravamo un’organizzazione con un capo riconosciuto e ben strutturata, eravamo in verità un’accozzaglia di trenta persone o giù di lì fra Milano, Padova, Verona. E siamo stati nel nostro piccolo la banda più sanguinaria nella storia del terrorismo. Forse perché prendemmo quella stagione per la coda, cominciammo a colpire dopo il delitto Moro, quando ormai anche le Br e Prima linea cominciavano a sparare, se così posso dire, nel mucchio".

Il primo delitto è a Udine il 6 giugno 1978: cade l’agente di custodia Antonio Santoro. "Poi io cominciai a nutrire dubbi sempre più forti: intuivo confusamente che ci muovevamo dentro un delirio, iniziai a frenare. A febbraio ‘79 fummo informati che alcuni di noi stavano progettando l’assassinio dell’orefice Pierluigi Torregiani e del macellaio Lino Sabbadin. Cercammo un incontro per fermare quei piani sconsiderati, ma non ci riuscimmo. Battisti si era legato ai milanesi della Barona, quelli che volevano andare avanti e alzavano la posta in gioco". Il 16 febbraio i due commercianti, colpevoli di aver risposto al fuoco dei rapinatori, vennero ammazzati. Pochi giorni prima, a Milano, Prima linea uccise il giudice Emilio Alessandrini, a Genova le Brigate rosse ammazzarono l’operaio Guido Rossa. L’Italia diventò un insensato mattatoio.

"La nostra storia si esaurì in fretta. Fummo arrestati tutti o quasi. Ritrovai Battisti in carcere un’altra volta: doveva essere il 1980. Non ne poteva più, aveva capito che l’epoca della lotta armata era tramontata. Era avanti, più avanti di adesso".

Poi, i destini dei due si dividono: "Io scontai la mia pena, lui scappò. E credo che a quel punto si sia adeguato alla situazione in cui si è trovato. Non ha più cercato la verità, ha provato a limitare i danni, a non rispondere alle domande che ci portavamo dentro. Battisti ha iniziato a contestare il sistema giudiziario italiano, ha cercato alleanze in Francia, ha illuso e si è illuso di aver trovato solidarietà. Una sorta di viaggio onirico".

Nel 1993 Cavallina esce dal carcere e rientra nel mondo dalla porta di servizio del volontariato. Battisti vive a Parigi ed è uno stimato scrittore di noir. Sembra aver vinto la sua sfida: non è più un bulletto, ma un simbolo coccolato dalla gauche. Domenica le parti s’invertono, su una spiaggia brasiliana.

Giustizia: Luxuria; tutti i politici si facciano ritrarre con un trans

 

La Repubblica, 21 marzo 2007

 

"Io gli credo". In che senso, onorevole Luxuria?

"Credo che Silvio Sircana non sia stato con un trans. Perché il mio principio è che se una persona non decide di fare outing, o non lo dice, vale il criterio che quel che afferma è la verità. E poi lo conosco, sediamo fianco a fianco in commissione Cultura. Spesso fumiamo insieme una sigaretta in cortile".

 

E le foto?

"Lui che si ferma per strada e chiede qualcosa a un trans? E dove è la notizia? È reato anche parlare con un trans, adesso? Ma andiamo... La verità è che una delle cause di quel che sta accadendo è il livello di repressione della nostra società: più è repressa più la gente è ricattabile. In questo caso, poi, si sono messi insieme tre fattori: il presunto tradimento; il fatto che lo si sarebbe consumato con una prostituta; e poi che questa è un trans".

 

Cioè lei vuol dire che il particolare che in quella foto sia ritratto un trans ha reso la vicenda molto più chiacchierata?

"Certamente. Se fosse stato un serial killer i giornali avrebbero usato toni più pacati. E poi, sono venuti fuori tutti i pregiudizi che esistono ancora nei confronti dei transessuali. Se ti fotografano con una donna, anche una prostituta, sei figo, e lei è un’amica. Ma se lo scatto è con un trans, allora non c’è scampo: ci sei andato a letto. I trans sono i paria di questa società. Tanto che in questi giorni sto accarezzando un’idea".

 

Quale?

"Beh, sarebbe bello che un po’ di politici si facessero fotografare con dei trans e poi inviassero, per provocazione, queste foto ai giornali".

 

Ma alla Camera che reazioni ha registrato rispetto al caso Sircana?

"Ufficialmente di grande solidarietà. Se poi si sono dati di gomito quando non c’ero, questo non posso dirlo. Il maschilismo, il razzismo, ci sono sempre. Come l’ipocrisia... E pensare che io, di politici che vanno con i trans, ne conosco molti".

 

Davvero?

"Certo. Di inviti a cena, anche di esponenti del Polo, tanto per dire, finora ne ho ricevuti parecchi".

 

E di fidanzati?

"Ne ho cinque, adesso. Ma non le dico se ci sono politici. Diciamo che preferisco i proletari... Però credetemi: a tutti può capitare di voler andare con un trans".

 

Ma cosa scatta, secondo la sua esperienza?

"Beh, o sei bisessuale, oppure ami il trans perché è una donna che ha anche un’anima maschile. Molti, ad esempio, ci scelgono perché sappiamo ascoltare meglio delle mogli. Ma comunque spesso, dietro, c’è solo molta solitudine".

Mafie: la "Giornata della memoria" con il ministro Ferrero

 

Redattore Sociale, 21 marzo 2007

 

"Ringraziamo l’associazione Libera e il suo animatore, don Luigi Ciotti, per la Giornata della memoria che è stata organizzata oggi a Polistena. In questi anni la lotta alla mafia ha avuto in Libera il principale punto di riferimento, anche quando lo Stato si è ritirato e ha lasciato sovente soli i suoi servitori: magistrati, prefetti, agenti delle forze dell’ordine".

"Per quanto mi riguarda - aggiunge Ferrero -, l’impegno per costruire uno stato sociale che rimuova le condizioni di povertà - per garantire attraverso il diritto quello che troppo spesso viene elargito attraverso il favore -, passa in primo luogo per la modifica delle leggi che favoriscono il narcotraffico: è infatti su questo terreno che si costruiscono i punti decisivi attraverso cui operare contro le mafie. A tal fine dovranno essere spese le risorse recuperate attraverso la lotta all’evasione fiscale e all’economia sommersa".

Veneto: in sette anni 3 milioni di euro per le attività in carcere

 

Asca, 21 marzo 2007

 

"Negli ultimi sette anni, la Giunta Regionale, per la realizzazione di iniziative educative, culturali, sportive e ricreative a favore delle persone detenute ha stanziato 3 milioni di euro, coinvolgendo la totalità degli istituti penitenziari del Veneto e svolgendo 215 progetti che hanno riguardato complessivamente 40.400 detenuti".

Lo ha affermato l’Assessore regionale alle politiche sociali Stefano Valdegamberi che stamani, all’Hotel Piroga è intervenuto ai lavori del seminario promosso dall’Azienda Ulss n. 16 di Padova di fronte a direttori di carcere, operatori del settore pubblico e del privato sociale, mondo del volontariato.

Valdegamberi ha ricordato la recente riunione della Commissione interistituzionale sull’area penitenziaria prevista per l’aggiornamento del Protocollo d’intesa specifico, a suo tempo sottoscritto tra Regione Veneto e Ministero della Giustizia. Della Commissione fanno parte le direzioni delle carceri venete, i rappresentanti delle Ullss, gli assessori comunali e provinciale alle politiche sociali, le aziende Ullss, le scuole, le associazioni di volontariato e del privato sociale.

"Il protocollo d’intesa tra Regione e Ministero - spiega Valdegamberi - realizza sinergie indispensabili a fare progetti concreti di inserimento post carcere ed è statisticamente provato che così si abbassa la possibilità di ritornare a delinquere e anche di ritornare in carcere in breve tempo". Il protocollo regola i programmi d’intervento rivolti: alla territorializzazione della pena, all’edilizia penitenziaria, alla salute dei detenuti, all’assistenza dei detenuti tossicodipendenti e alcol-dipendenti, dei detenuti nelle carceri minorili, dei detenuti stranieri. Inoltre interventi nei settori dell’istruzione, della formazione professionale e del reinserimento lavorativo e sociale, delle iniziative culturali, sportive e ricreative, dell’area penale esterna, della formazione del personale del Ministero, della Regione, degli enti locali, del volontariato e del terzo settore.

Valdegamberi ha reso noto l’aggiornamento della situazione nelle carceri nel Veneto. Al 31 dicembre 2006 nei 10 Istituti di Prevenzione e Pena, aventi complessivamente una capienza di 1782 posti, erano presenti 1665 detenuti. Di questi, il 15,6% erano veneti (n. 261 soggetti), l’11,4% avevano meno di 25 anni (n. 190 soggetti), il 94,3% di sesso maschile (n. 1570 soggetti) e il 42,8% con una sentenza definitiva (n. 713 soggetti). 508 (pari al 30,51%) risultavano essere tossicodipendenti (66 con meno di 25 anni). Il totale di soggetti in misura alternativa (affidamento in prova ai servizi sociali, semilibertà, detenzione domiciliare, semidetenzione) nel Veneto, alla data del 30 giugno 2006, è di 1.888.

Brescia: 5 aziende hanno già chiesto l'assunzione ex detenuti

 

Giornale di Brescia, 21 marzo 2007

 

La delibera, approvata recentemente dalla giunta comunale di Brescia, ha già riscosso i primi consensi. Si tratta della decisione presa dall’amministrazione comunale bresciana di assegnare fino a 1.000 euro alle aziende che assumono ex detenuti, scarcerati grazie all’indulto.

Il bando scade il 27 aprile prossimo. Sono giunte finora all’ufficio del Garante dei detenuti di Brescia, richieste per cinque ex detenuti. A presentarle sono state due cooperative, impegnate in un caso nel settore meccanico e nell’altro in quello dei servizi per il Comune. "L’iniziativa dell’amministrazione comunale - spiega Mario Fappani, garante dei detenuti per conto del Comune di Brescia - è importante e si differenzia da altre già adottate in Italia.

Nel caso bresciano non si pratica assistenzialismo, ma si cerca di impostare il futuro di chi esce da un carcere".

Fappani pensa innanzitutto a quelle persone che "hanno lasciato gli istituti di pena, senza alcuna destinazione, con sacchi della spazzatura contenenti i loro pochi averi". Questo sarà il tema al centro di una seduta del consiglio comunale in programma per il mese di maggio nel carcere di Brescia. Durante l’incontro verrà appunto illustrata la relazione del garante.

Pescara: gli assistenti sociali della giustizia a convegno

 

Comunicato stampa, 21 marzo 2007

 

Il Casg (Coordinamento Assistenti Sociali della Giustizia) con il patrocinio della regione Abruzzo, la Provincia e il Comune di Pescara, l’Ordine nazionale degli assistenti sociali e l’ordine regionale dell’ Abruzzo, organizza il 30 e 31 marzo 2007 il convegno nazionale: "Dal penale al sociale: quale giustizia, quale pena, quali servizi?". Le due giornate si terranno a Pescara, in Piazza Italia 30, presso la sede della Provincia - Sala dei marmi.

Tema centrale della prima giornata è una riflessione sulle possibili riforme sia in ambito penale sia in quello sociale, per individuare quali politiche per un nuovo welfare e quali le alternative possibili; quali politiche di sicurezza sul territorio e quali politiche penali e sull’area dell’esecuzione penale esterna e a cosa ha significato il passaggio dai Centri servizio sociale adulti (Cssa) agli Uffici Esecuzione Penale Esterna (Uepe).

Il 31 marzo Achille Orsenigo coordinerà la tavola rotonda che avrà come dibattito centrale il modello organizzativo degli Uffici Esecuzione Penale Esterna perché possano essere dinamici e agili ma nello stesso tempo efficaci nel rispondere alle richieste di inclusione e sicurezza sociale. Alle due giornate parteciperanno: Riccardo Turrini Vita - Direttore Generale Esecuzione Penale Esterna, Francesco Maisto - sostituto procuratore generale di Milano, Giuseppe Mosconi - docente di sociologia Università di Padova, Fiorella Cava - presidente nazionale ordine assistenti sociali, Orazio Ciliberti - Vice Presidente Anci, Daniela Gaddi - criminologa, Alessandro Martelli - docente politiche sociali università Bologna - Sede di Forlì. Interverranno inoltre assistenti sociali degli Uepe, Dirigenti di servizio sociale dell’Amministrazione Penitenziaria, componenti di associazioni impegnati sul tema della giustizia, organizzazioni sindacali.

Lucera: presentazione per i detenuti del libro "Morfeo"

 

Lucera Web, 21 marzo 2007

 

La cultura è anche un modo per evadere e un romanzo può aiutare a non perdere la speranza e a cercare di realizzare i propri sogni. Questo è il messaggio che è stato lanciato ieri pomeriggio nella Casa circondariale di Lucera durante la presentazione del libro di Francesco Gitto, "Morfeo", edito nel 2004 da Bastogi.

Alla presenza del direttore del carcere, Davide Di Florio, dell’educatrice Maria Leonarda D’Aloia, del presidente dell’Ordine degli avvocati di Lucera, Giuseppe Agnusdei, dell’assessore comunale alla Pubblica istruzione, Mario Tetta e dell’Assessore alla Cultura del comune di Orta Nova, Aldo D’Agostino, i detenuti, insieme a un gruppo di studenti del Istituto scolastico "Rosmini" di Lucera, hanno condiviso alcuni momenti di spettacolo e di riflessione con l’autore del libro.

Piero Russo, direttore dell’agenzia di stampa "Il Grecale" di Foggia, ha moderato l’incontro che è stato arricchito, oltre che dagli interventi della dirigente scolastica del "Rosmini", Maria Aida Episcopo, e dalle docenti che hanno curato l’iniziativa, Concetta Vannella e Ada Zuppa, anche dalla presenza di quattro giovani attori Francesco Ribezzo, Michele Saldarella, Clarissa Spada e Lucia Squarcella, che hanno interpretato alcune pagine del romanzo, e delle delicate note dell’arpa suonate da Raffaella Porciatti. Anche gli studenti hanno letto alcune pagine del volume intrecciandole a poesie della tradizione letteraria italiana.

Quello organizzato ieri sera non era che il primo di tre appuntamenti previsti dal progetto organizzato dalla scuola lucerina, in collaborazione con la Casa circondariale e lo stesso Francesco Gitto, che si concluderà il 27 aprile prossimo con una reale interazione tra detenuti e studenti.

Una iniziativa affatto nuova per l’istituto scolastico che già in passato si era fatto promotore di incontri simili nell’ottica di una scuola proiettata al di là del proprio spazio istituzionale.

L’obiettivo è leggere e studiare insieme per stimolare la riflessione e, soprattutto, il confronto sulle tematiche universali e importanti che sono trattate in "Morfeo", senza trascurare, ovviamente, la dimensione del sogno, poiché la concretezza e la fantasia sono aspetti fondamentali per la crescita spirituale e sociale dell’individuo.

Ci sono buone possibilità che la sceneggiatura tratta da "Morfeo" diventi un film interpretato da artisti di fama internazionale, il che sarebbe un ulteriore conferma del valore del lavoro del giovane scrittore e poeta foggiano, già ampiamente riconosciuto dalla critica attraverso numerosi premi. "Il messaggio - ha detto Gitto - è quello di seguire i propri sogni, di non arrendersi. Questo libro è un viaggio alla scoperta di se stessi, ma è anche un inno alla vita e un’esortazione a non mollare mai".

Libri: "Lucia nella bocca di lupo", della psicologa Gloria Persico

 

Ansa, 21 marzo 2007

 

A volte, l’inferno del carcere può diventare un’occasione di crescita per chi non ha rinunciato alla speranza. È il messaggio di "Lucia nella bocca di lupo" (Kairòs Edizioni, 93 pp., 10,00 euro), l’esordio nella narrativa della psicologa Gloria Persico.

Un romanzo che alla denuncia delle inadempienze del sistema carcerario, ampiamente mostrate dalla fiction cinematografica e televisiva, preferisce soffermarsi sui legami di solidarietà sorti tra le detenute di un carcere femminile del sud dove è stata condotta la protagonista, un’agente della polizia giudiziaria condannata a sei mesi di reclusione.

Qui, nella sezione speciale riservata alle colpevoli dei reati di camorra, Lucia si batte affinché qualcosa cambi in un luogo dove, per citare Sergio Zazzera, autore della postfazione al libro, si procede a "passi di formica". E ci riesce, grazie all’entusiasmo che le permetterà di svegliare dal torpore le compagne di cella, abituate a trascorrere la giornata prendendosi a botte o rimbambendosi a furia di telenovele.

Rivoluzionando la loro routine con la lettura di un quotidiano, l’uncinetto o la pratica elementare del leggere e scrivere, la protagonista finirà per conquistarne l’amicizia e per affezionarsi a loro nonostante i crimini di cui si sono macchiate. Con molta sobrietà la Persico rappresenta l’erotismo assai diffuso nelle carceri femminili, visto come una sorta di ritorno allo stato di natura dell’individuo, in origine bisessuale.

Libere dal controllo esterno, esercitato attraverso le famigerate finestre a bocca di lupo, le carcerate approfittano della Messa per sfogare gli impulsi sessuali più estremi e conturbanti. Ed è proprio nel ritratto di questa umanità sofferta la novità di un libro breve ma prezioso, efficace nel mescolare la realtà con la fantasia.

Gloria Persico, psicologa, psicoterapeuta, si occupa da circa venticinque anni di sessuologia e di ricerca sessuologica. Didatta in corsi di educazione e formazione sessuologica privati e universitari, ha pubblicato tra l’altro "I segreti della sessualità e i misteri del desiderio"; con G. Giannetti, "Il giardino segreto della sessualità infantile" e con D. Segati "I labirinti della pedofilia".

Droghe: il Tar annulla il "decreto Turco" sulla cannabis

 

Notiziario Aduc, 21 marzo 2007

 

Il Tar del Lazio ha annullato il "decreto Turco" sulla quantità massima di cannabis a uso personale, che aveva raddoppiato la dose lecita innalzandola da 500 milligrammi a 1 grammo di sostanza. Dopo la sospensione del decreto, la scorsa settimana, oggi i giudici della III sezione quater del Tar del Lazio, hanno depositato le motivazioni della sentenza con la quale hanno accolto il ricorso proposto dal Codacons, dall’Associazione Articolo 32 e dall’Associazione italiana per i Diritti del Malato - Aidma Onlus.

Il decreto del ministero della Salute "deve essere annullato - recita la sentenza - in quanto la motivazione dell’atto, peraltro esclusivamente orientata nell’ambito delle ragioni sanitarie, non spiega le ragioni delle scelte operate, né esse vengono adeguatamente giustificate sulla base di approfondimenti specifici sugli effetti dannosi delle sostanze stupefacenti in questione".

"In particolare il provvedimento qui impugnato, dopo aver genericamente constatato che il principio attivo delle due sostanze in questione", cioè i principi attivi delta-8-tetraidrocannabinolo e delta-9-tetraidrocannabinolo, "è diverso da quello di altre sostanze stupefacenti, ancora la scelta al minor potere di indurre alterazioni comportamentali e scadimento delle capacità psicomotorie, senza considerare che per il secondo dei suddetti parametri è prevista per entrambe le sostanze un’alta incidenza e intensità di effetti disabilitanti, intesi proprio come grave scadimento della performance psicomotoria nell’esecuzione di compiti complessi. In relazione a tale parametro, come individuato dall’unico documento scientifico in possesso dell’amministrazione, il raddoppio del fattore moltiplicatore, da 20 a 40, non appare certo congruo".

Le motivazioni che hanno spinto le tre associazioni a presentare il ricorso contro il decreto Turco comprendono "la violazione dei principi ispiratori del Decreto del presidente della Repubblica 309/90 come modificato dalla legge 49/06 (Fini - Giovanardi) dell’articolo 32 della Costituzione e dei principi generali di buon andamento della pubblica amministrazione; eccesso di potere per illogicità manifesta: considerato che è scientificamente dimostrata la nocività della cannabis, gli effetti del decreto appaiono in contrasto con la tutela della salute; l’assenza dei dati in base ai quali il ministero ha ritenuto di poter raddoppiare la dose consentita".

Il decreto, inoltre, "contravveniva all’attività e ai primari obiettivi del Servizio sanitario nazionale". Infine, rispetto all’aumento delle dosi di droghe leggere detenibili per uso personale, "non sono stati valutati gli effetti deleteri delle sostanze in questione sul piano della personalità individuale, sulla capacità critica e sul corretto sviluppo della personalità dei giovani". In pratica, "non è stato motivato l’interesse pubblico alla modifica del precedente decreto".

 

Commenti

 

"Ha vinto il buon senso. Questa è l’ unica cosa che posso dire". È contento don Luigi Larizza, parroco della parrocchia Sacro Cuore di Taranto e fondatore della "Comunità Terapeutica Giovanni Paolo II - Il risorto" di Martina Franca (Taranto): è infatti da qui, dalla Puglia, che è partita la battaglia contro il decreto del ministro Turco che innalzava da 500 milligrammi a un grammo la quantità massima di cannabis al di là della quale scattano le sanzioni personali. La notizia che dopo la sospensione del decreto Turco è arrivato anche l’annullamento, sempre da parte del Tar Lazio, viene accolta telefonicamente da Don Luigi Larizza senza nascondere l’entusiasmo.

"Quel decreto - afferma - avvantaggiava solo il mondo dello spaccio: nessuno esce da casa con 30-40 canne; chi esce da casa con quel quantitativo è uno spacciatore e il decreto, quindi, copriva lo spaccio". Il ricorso di don Luigi Larizza ha seguito il percorso insieme con gli altri due presentati da Codacons e "Articolo 32" (Associazione per i Diritti del Malato).

"Una decisione - racconta Don Luigi - che ho preso proprio perché spronato dai ragazzi della mia piccola comunità (ospita 15 giovani): chiunque di loro è caduto nel tunnel delle droghe pesanti ha sempre cominciato con la cannabis. Ed è ora di finirla con questa distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, la droga è droga".

"Oggi - continua Don Luigi - l’ hascisc è molto più pericoloso di prima, è molto più pesante, danneggia il cervello e vorrei far incontrare al ministro Turco qualche ragazzo con la cosiddetta doppia diagnosi: tossicodipendenza e danni irreversibili al cervello, il ministro deve vedere quali danni provoca la droga. Solo allora capirebbe".

"Se fossi io un ministro - aggiunge - obbligherei i tossicodipendenti a fare un cammino di recupero in comunità e farei ovviamente una forte azione di prevenzione: ma quando un ministro dice 30-40 spinelli vanno bene, questa non è di sicuro prevenzione. Come fa chi deve tutelare la salute dei cittadini a dire: 30-40 spinelli vanno bene ma dovete sapere che le sigarette, il fumo, fanno male".

"Non posso quindi che essere contento per la notizia, una notizia che però, ne sono certo - continua il parroco - farà più contenti i miei ragazzi che hanno cominciato un cammino di recuper. In realtà - aggiunge Don Luigi - io ho riflettuto su una cosa: abbiamo un ministro che deve tutelare la salute di tutti, che pensa alla eutanasia e alla morte tramite droga, ed un ministro alla famiglia che pensa ai Dico: non farebbero meglio a cambiare nome?. Non è questo di certo - prosegue - il mio sentire e neanche il sentire dei miei parrocchiani che in tanti sono venuti a darmi la loro solidarietà".

Don Luigi Larizza conclude: "Mi fa specie poi che i confratelli che vanno in giro per televisioni non abbiano preso loro l’iniziativa che ho preso io. C’è sempre un Davide ed un Golia nella storia ed io in questa vicenda mi sono tanto sentito Davide".

"Dopo l’amara esperienza del radicali inglesi che dopo 10 anni hanno dichiarato la sconfitta della liberalizzazione della cannabis e confermato l’esistenza di una maggiorazione nel numero dei giovani dediti alla droga, ci auguriamo che il ministro Livia Turco eviti ulteriori inutili scontri giudiziari". È il commento del presidente del Codacons Carlo Rienzi.

"La richiesta che facciamo al ministro Turco - ha aggiunto Rienzi - è che adegui i limiti alle indicazioni che le furono fornite dalla Commissione tecnico-sanitaria da lei stessa nominata e che limitavano a 375 milligrammi la dose massima di cannabis detenibile senza conseguenze penali".

"Le sentenze vanno rispettate, bisogna che tutti, a cominciare dal governo, ne prendano atto". Lo dice all’Adnkronos il capogruppo di Italia dei valori alla Camera, Massimo Donadi. "Evidentemente - auspica Donadi - questo dovrebbe portare a una riflessione: bisogna capire se, al di là della legittimità, alla base del provvedimento ci sia stata la giusta cautela e il bagaglio tecnico, oppure si è preferito premere il piede sull’acceleratore per una posizione mediatica. Noi certo non piangiamo per la decisione del Tar. È l’occasione – insiste - per riprendere un discorso, in modo più puntuale e preciso".

"Dopo l’annullamento del decreto sulla cannabis del ministro Livia Turco, invitiamo il governo a una riflessione pacata. Il ministero della Salute abbandoni la passione per lo spinello e si dedichi ai controlli sul rispetto e la precisa attuazione della 194". Lo dichiara il capogruppo Udc alla Camera, Luca Volontè. "Prodi non autorizzi alcun ricorso al Consiglio di Stato- chiede l’esponente centrista. Livia Turco prenda atto della realtà, chiuda nel cassetto l’ideologia drogata e lavori assiduamente per salvare i troppi bambini lasciati morire in violazione evidente della legge sull’interruzione di gravidanza".

"Il raddoppio della dose lecita voluto dalla Turco è illegittimo, perché non suffragato da valutazioni tecnico-scientifiche. Credo, quindi, che l’annullamento del decreto sia dovuto a questo vizio di origine". Carlo Giovanardi commenta così l’annullamento da parte del Tar del Lazio del decreto del ministro Turco sull’uso personale di cannabis.

"La Turco ha raddoppiato la soglia minima senza vere motivazioni, a parte quella di dare una risposta all’ala sinistra del suo schieramento, e motivando la decisione con il fatto che così non sarebbero andati in galera i consumatori, che comunque non rischiavano il carcere perché il consumo in Italia è depenalizzato", dice ancora l’esponente dell’Udc all’Adnkronos. "Inoltre, dopo le ultime rivelazioni dell’Independent’ sulla droga, la quantità minima andava dimezzata più che raddoppiata", conclude Giovanardi.

"Mentre in tutto il mondo si rileva la pericolosità delle droghe impropriamente dette leggere e mentre oggi in Italia il Tar del Lazio annulla, dopo aver sospeso, i provvedimenti pro-droga del governo, il ministro Ferrero continua a fare annunci per facilitare la circolazione di droga". Maurizio Gasparri dell’esecutivo di Alleanza Nazionale, osserva quindi che "alla Camera sono state annunciate revisioni della legge Fini che non vedranno mai la luce. Le norme anti-droga resteranno in vigore. Ma è ora di finirla con annunci che disorientano le famiglie. In Parlamento non ci sono numeri per nuove leggi".

"Siamo ormai abituati ad un ministro che si muove solo e soltanto sulle pressioni ideologiche dei partiti di estrema sinistra che costituiscono la maggioranza di Governo. Quindi i suoi provvedimenti di volta in volta subiscono modifiche o vengono addirittura annullati". Questo il commento di Anna Maria Celesti, vicepresidente della Commissione Sanità del Consiglio regionale toscano e consigliere regionale di Forza Italia.

"La decisione del Tar del Lazio - continua Celesti - di annullare il decreto del ministro della Salute Livia Turco dimostra che il raddoppio della quantità massima di detenzione di cannabis, rappresentava un messaggio educativo nefasto per le giovani generazioni che mirava solo a legalizzare lo spaccio di Stato. Il provvedimento di annullamento del tribunale amministrativo è fondamentale in quanto ribadisce il concetto che drogarsi non è lecito. Noi continueremo - conclude Celesti - a sostenere la legge Fini, varata durante il Governo Berlusconi che invece mirava ad abolire la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, di punire duramente chi spaccia e di andare incontro a chi ha bisogno di solidarietà cure e recupero ma soprattutto di sostenere le comunità terapeutiche".

"Quello che sconcerta è l’atteggiamento del Governo". Questo è quanto afferma Donatella Poretti, deputata della Rosa nel Pugno commentando il comportamento dell’esecutivo sulla sentenza del Tar del Lazio sul decreto Turco. "A 308 giorni dal suo insediamento - spiega infatti Poretti - il governo che aveva promesso di cambiare la politica sulle droghe si ritrova con la stessa legge del Governo Berlusconi, di fatto, non apportando la minima modifica alla Fini-Giovanardi, l’attuale esecutivo ha fatto sua la politica repressiva del predecessore".

Tutto questo inoltre "è confermato oggi - spiega al deputata Rnp - dal ministro Paolo Ferrero, ascoltato nella mia commissione, il quale ha nuovamente chiesto tempo ("alcune settimane") visto che la materia è parte esplicita del programma di governo". A questo punto, "si prenda atto che il Parlamento non può più attendere un testo del Governo in materia di droghe - sottolinea Poretti - per questo mi adoprerò affinché la proposta di legge Boato venga calendarizzata al più presto in commissione".

L’assessore regionale alle politiche dell’istruzione del Veneto Elena Donazzan ha accolto "con grande soddisfazione e condivisione" la decisione del Tar del Lazio. "Questa decisione - dice Donazzan - è la conferma che ci troviamo di fronte ad un provvedimento negativo proprio per quelle fasce più giovani cui andrebbe trasmesso un altro tipo di messaggio, e non certo una sorta di incentivazione all’uso della cannabis che, seppur qualcuno si ostini a definire droga leggera, rimane sempre e comunque droga". L’assessore del Veneto si augura che "adesso si vada nella direzione di sanzionare lo spaccio con norme severe, come previsto dalla legge Fini-Giovanardi".

"La sentenza del Tar del Lazio che ha bocciato il decreto Turco sull’uso di cannabis induca il ministero della Salute ed il governo ad invertire la inquietante direzione intrapresa sul fronte droga e ad affrontare il problema in modo più serio". Lo afferma il vicepresidente dei deputati di Forza Italia, Enrico La Loggia.

Secondo La Loggia "è indispensabile che la censura di carattere amministrativo porti ad un radicale cambiamento di rotta, sul piano politico, rispetto alle sciagurate iniziative del ministro Turco che sono fin da subito apparse in assoluta controtendenza in rapporto anche alle più recenti valutazioni scientifiche circa la pericolosità dell’uso di cannabis".

Giorgia Meloni, di An, invita il governo a prendere atto della bocciatura, da parte del Tar, del decreto del ministro Livia Turco sulla soglia di punibilità per il possesso di cannabis. Si tratta, sostiene l’esponente di An, di "un’ulteriore conferma di come sulla lotta alla droga non si possa procedere per diktat ideologici".

Ora, chiede Giorgia Meloni, "il governo prenda atto della clamorosa bocciatura incassata e faccia marcia indietro, applicando la legge Fini e rispettandone i principi ispiratori".

"Altro che Consiglio di Stato. Se il ministro Livia Turco ha un minimo di dignità politica, a questo punto non può che dimettersi". Lo afferma il deputato di An Carlo Ciccioli, medico psichiatra ed esperto di tossicodipendenze.

"Il Tar - prosegue Ciccioli - non poteva che prendere questa decisione: il decreto Turco liberalizzava lo spaccio di droga. Le critiche che avevamo espresso alla Camera di fronte alla decisione del Governo si sono puntualmente concretizzate sul piano del diritto".

"L’ipocrisia della sinistra - continua Ciccioli - è arrivata all’inverosimile. È infatti impossibile supportare scientificamente la decisione di permettere ai consumatori una quantità di cannabis sufficiente a preparare quaranta spinelli.

Quantità che, sostanzialmente, permetteva la libertà di spaccio, contro tutte le intenzioni dichiarate a parole di voler limitare la diffusione del consumo della droga fra i giovani".

"Il decreto del governo bocciato dal Tar - conclude - in sostanza giustificava l’uso e lo smercio delle droghe cosiddette leggere tra i giovani. Un decreto che non teneva conto che l’uso delle droghe leggere è per molti l’anticamera del passaggio a droghe pesanti o comunque la facile via per la caduta della barriera del pregiudizio contro l’uso di sostanze che alterano le percezioni e i comportamenti".

"Solo il ministro Turco non si rende conto di una triste realtà: anche le droghe leggere possono essere dannose per i giovani. La conferma che la sua era una iniziativa pericolosa e sbagliata è venuta dal Tar del Lazio che, dopo l’annunciata sospensione, oggi ha annullato il decreto sulla droga": così Maurizio Lupi di Forza Italia.

"Una bocciatura alla quale - afferma - si unisce il giudizio negativo espresso recentemente nel quotidiano inglese "Independent". "Adesso ci chiediamo -conclude- che cosa dirà il ministro a sua discolpa e ci auguriamo che prenda atto della portata del suo fallimento traendone le opportune conseguenze".

"Al di là della decisione assunta dal Tar riguardo al decreto Turco, il governo lavori per abrogare o quanto meno per modificare sostanzialmente la legge Fini-Giovanardi, che è una legge che guarda esclusivamente all’aspetto punitivo e poliziesco del problema, senza una visione sociale della questione, che, invece, va affrontata con misure preventive e non carcerarie". È quanto afferma Pino Sgobio, Capogruppo del Pdci alla Camera dei Deputati.

Fine del danno. La magistratura amministrativa boccia su tutta la linea il decreto "più canne per tutti", sancendone l’arbitrarietà e l’incongruenza, e quindi l’illegalità. Ora il ministro dello Spinello libero inverta la rotta, rinunci a presentare il ricorso al Consiglio di Stato e abbandoni l’idea malsana di smantellare la legge Fini anti-droga e anti-spaccio (ma non anti-drogato). Torni cioè a fare il ministro della Salute. Oppure si dimetta". Lo afferma Riccardo Pedrizzi, responsabile nazionale di An per le politiche della famiglia, presidente nazionale della Consulta etico-religiosa e membro dell’esecutivo politico nazionale del partito.

"Il ministro Turco prenda atto della sentenza del Tar del Lazio che ribadisce la mancanza di qualsiasi motivo per innalzare il tetto della quantità massima di cannabis a uso personale. Il governo eviti, ora, di aprire un contenzioso con la giustizia amministrativa che finirebbe solo per portare un danno ai giovani. La Turco guardi piuttosto a ciò che sta capitando in Europa, dove a cominciare dalla Gran Bretagna si comincia a fare marcia indietro sul principio dello spinello libero, perché non fa male." Lo ha dichiarato Antonio Tajani, presidente degli europarlamentari di Forza Italia.

Daniele Capezzone, esponente radicale della Rosa nel pugno, definisce "molto grave" la decisione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio contro il decreto del ministro Livia Turco sulla soglia di punibilità per il possesso di cannabis.

"Quel che è grave - secondo Capezzone - è l’automaticità, la sistematicità, la naturalezza con cui si assiste al fenomeno di una magistratura che interviene creando diritto, entrando nel campo del parlamento e del governo. Ormai - lamenta l’ex segretario dei radicali - tutto è in outsourcing: la politica estera e di intelligence è affidata a Gino Strada e ad Emergency; quella sulla giustizia alla magistratura, e così via. Il paese - per Capezzone - è allo sbando, regna l’incertezza del diritto e la politica è sempre più debole e subalterna".

"Dopo la bocciatura definitiva del Tar del Lazio, Il Ministro Turco deve immediatamente ritirare il suo decreto. Ammetta la sconfitta, grave sia sotto il profilo giuridico che politico e non prosegua nel dannoso braccio di ferro con la magistratura." così Isabella Bertolini, Vice Presidente dei Deputati di Forza Italia. "Abbiamo sempre detto - prosegue la parlamentare azzurra - che su un tema così delicato sarebbe stato opportuno coinvolgere il Parlamento. Si è voluto utilizzare lo strumento del decreto governativo. A questo punto, la sconfitta per questo Governo, lassista ed irresponsabile, è ancora più grave".

"Accogliamo con grande favore il pronunciamento del Tar del Lazio. A nostro avviso - conclude Isabella Bertolini - costituisce un primo significativo passaggio per il recupero di quei valori morali troppo spesso calpestati dalle politiche dell’attuale maggioranza. I giovani devono essere informati sugli effetti dannosi della Cannabis, non certo spinti ed incitati al consumo di sostanze stupefacenti".

"L’annullamento del decreto Turco da parte del Tar del Lazio è un altro sonoro schiaffone all’approssimativa e sbagliata politica del governo Prodi. Un provvedimento imposto con la forza dal centrosinistra, giustamente bocciato, su un tema assai delicato che coinvolge importanti aspetti sociali e soprattutto i giovani, dove un minimo di ragionevolezza da parte del ministro della Salute avrebbe consigliato il dialogo con l’opposizione e un confronto costruttivo in Parlamento". Lo afferma il vice presidente dei senatori di Forza Italia, Elisabetta Alberti Casellati.

 

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