Rassegna stampa 20 marzo

 

Giustizia: fine pena mai, ovvero l’altra "pena di morte"

 

Liberazione, 20 marzo 2007

 

La vita e la morte. Per sempre e mai più. Dietro le sbarre gli estremi si toccano, declinazioni opposte e uguali della parola "fine". E l’ergastolo e la pena capitale sono due sciacalli che percorrono lo stesso miglio verde dell’inciviltà giuridica.

Una strada che ci parla di aberrazioni e di sconfitte, dell’uomo e del "sistema": sanzioni eliminative, neutralizzazione fisica e morale, l’impossibilità di un riscatto sociale, lo svilimento della stessa ragione della giustizia, che diventa accanimento, vendetta. Soppressione. Il nesso è logico, necessario, eppure ardito. Tanto che oggi i promotori della legge per abolire il carcere a vita, e chiedere di pari passo una moratoria immediata della pena di morte, sono costretti ad autoproclamarsi "rivoluzionari".

Si tratta di una rivoluzione assai strana, se a distanza di tre secoli occorre scomodare il buon vecchio Beccaria. Ma tant’è, e occorre provarci. Con convinzione. Rifondazione comunista è in prima linea: contro le pene disumane. Il convegno organizzato dall’area nuovi diritti e poteri istituzionali del partito, che ha chiamato a raccolta parlamentari, associazioni ed esponenti del governo, è stata l’occasione per ribadire un "sì" e due "no". Il "sì" è alla commissione parlamentare sui diritti umani, che dovrebbe vedere la luce fra due settimane. I due "no" riguardano pena di morte ed ergastolo.

Sul primo punto c’è l’avvio di un impegno internazionale, propiziato da un grande lavoro del governo italiano, affinché la moratoria torni prepotentemente nell’agenda delle Nazioni Unite. Il sottosegretario agli Esteri Bobo Craxi assicura che ci sono aperture da parte di paesi prima recalcitranti , "orecchie attente a comprendere il valore della battaglia". Ma c’è la sensazione che ciò riguardi destini "altri", quando invece dei 54 stati in cui è in vigore la pena di morte, 10 appartengono al novero delle cosiddette "democrazie liberali".

Il vero scoglio, la scommessa più difficile di casa nostra, è l’altra "pena di morte": quella che dura tutta la vita. Alla Camera da ottobre c’è un progetto di legge per abolire l’ergastolo a firma di tutti i parlamentari del Prc. Si spera che stavolta non ci siano intoppi, come quelli che nel 1998 fecero naufragare un’analoga proposta della senatrice Ersilia Salvati: allora sembrò che si fosse trovata un’ampia convergenza tra le forze politiche, ma dopo il sì di palazzo Madama arrivò lo stop di Montecitorio. Oggi l’esito è altrettanto imprevedibile: se sulla riforma del codice penale - riconosce Arturo Salerni, responsabile carceri di Rifondazione - c’è unanimità nell’Unione, non si può dire lo stesso sull’abolizione del carcere a vita. Ma è proprio la riforma del codice l’occasione d’oro da non sprecare. In quel contesto l’eliminazione dell’ergastolo, fa notare il presidente di Antigone Patrizio Gonnella, potrebbe generare un utile effetto domino per ridurre tutte le altre pene. E dunque produrre una umanizzazione del sistema penitenziario in generale.

Se si parte da lì, riflette Imma Barbarossa, dal bisogno di umanizzare la giustizia, si riesce a capire che la cancellazione delle pene definitive, ergastolo e pena di morte, è il comune approdo della stessa battaglia di civiltà. Un approdo già inscritto nel dettato costituzionale, laddove all’articolo 27 si prevede che la pena abbia finalità rieducativa. E se è vero che la carta fondamentale nulla dice sull’eliminazione dell’ergastolo, è altrettanto vero che gli stessi padri costituenti, con il "lodo Dossetti", avviarono una discussione per invitare il legislatore ad agire in quella direzione.

Sono passati sessant’anni e quella battaglia di civiltà è ancora attuale. Né si può dire che la vittoria sia dietro l’angolo dal momento che, argomenta l’europarlamentare del Prc-Sinistra europea Giusto Catania, bisogna fare i conti con un lento, graduale arretramento della cultura giuridica europea, in cui il precipizio è rappresentato dall’adesione acritica alla nuova guerra al terrore, in nome della quale i diritti vengono sospesi.

L’unico modo per blindare questi diritti, allora, è fare in modo che l’abolizione delle sanzioni definitive sia ricondotta nel recinto dei valori non negoziabili, dei beni non disponibili. E per far ciò, incalza il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, è necessario oltrepassare i confini statuali, interrogare un impegno sopranazionale. E costruire un nuovo senso comune.

Con una precisazione scomoda ma essenziale: che cadano tutti gli steccati, comprese le rigidità, lo spirito di conservazione e i residui di autoritarismo che albergano anche in una certa subcultura di sinistra.

Manconi porta ad esempio la "galvanizzazione sentimentale delle masse" in occasione dell’indulto. Ma il monito è valido per tutti gli approcci erronei ai problemi della giustizia, perché c’è da vincere quello che Giovanni Russo Spena definisce un "giustizialismo istituzionale" che risponde alla domanda di sicurezza della società solo con l’inasprimento delle pene. L’obiettivo è invertire la rotta. Radicalmente. Nella pratica della giustizia e nella cultura sociale. Messa così, allora, la parola "rivoluzione" fa meno sorridere.

Giustizia: Ferrara (Dap); grazie a indulto maggiore vivibilità

 

Apcom, 20 marzo 2007

 

Grazie all’indulto, oggi, negli istituti penitenziari italiani, secondo Ettore Ferrara, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, "si vive molto meglio". Certo, l’indulto ha registrato un "costo" per la società, "in termini di percezione di insicurezza" ma è servito "visto che, nei fatti, ha determinato condizioni di maggiore vivibilità".

"Come si vive oggi negli istituti penitenziari italiani? Meglio rispetto al periodo antecedente all’indulto quando la popolazione carceraria era quasi il 50% in più rispetto ad oggi", sottolinea Ferrara, a Napoli, a margine di un convegno sulle "Azioni di sistema per l’inclusione sociale dei soggetti in esecuzione penale". Certo "tante" cose ancora mancano.

"Manca una politica che cerchi di limitare allo stretto necessario la custodia negli istituti e, quindi, manca una seria politica di misure alternative alla detenzione - dice Ferrara - manca, poi, la realizzazione di istituti che assicurino sempre condizioni, anche strutturali, adeguate al rispetto della persona".

Il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria conferma poi "l’impegno primario" volto ad assicurare un inserimento nella società dei detenuti. In merito, le problematiche ancora si registrano, "per un mercato del lavoro chiuso non solo ai detenuti, per una serie di pregiudizi che la società ancora ha nei confronti della popolazione carceraria e, spesso, per la mancanza di specializzazione e di formazione dei detenuti". "Il nostro impegno è volto proprio ad assicurare una formazione adeguata - ha concluso Ferrara - al fine di favorirne l’inserimento nella società".

Giustizia: ricerca sulle tendenze criminali dal 1995 al 2005

 

Sesto Potere, 20 marzo 2007

Scarica la sintesi della ricerca (pdf - 70 Kb)

Scarica la ricerca completa (zip - 8 Mb)

 

L’ottavo "Rapporto sulla sicurezza", redatto per la Provincia autonoma di Trento da Transcrime, il Centro inter-universitario di ricerca sulla criminalità transnazionale dell’Università degli Studi di Trento e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore è stato presentato a Trento alla Facoltà di Economia.

Il rapporto fotografa non soltanto l’andamento della criminalità in Trentino, ma analizza anche le tendenze della criminalità e i cambiamenti avvenuti in tema di sicurezza in Italia e in Europa. A seguire i dati che riguardano l’Italia.

In Italia l’andamento degli omicidi nel decennio 1995-2005 registra una progressiva riduzione influenzata soprattutto dal calo di denunce per omicidi nelle regioni meridionali. Infatti, nelle Isole si passa da 3,8 omicidi a 1,4 ogni 100.000 abitanti; meno intensa, ma comunque rilevante, è la riduzione degli omicidi nelle regioni del Sud che passano da 3,1 omicidi ogni 100.000 abitanti (1995) a 1,8 omicidi ogni 100.000 abitanti (2005).

In Italia nel decennio 1995-2005 si registra un aumento del tasso di denunce per il reato di lesioni dolose, aumento dovuto anche al passaggio dal vecchio sistema di rilevazione allo S.D.I. Si rilevano aumenti del 157,9% al Nord-est, 125,8% al Nord-ovest, 191,9% al Centro, 156,3% al Sud e 187,2% nelle Isole. Anche per i reati di violenze sessuali, il tasso di denunce è percentualmente aumentato del 356,9% al Nord-ovest, del 312,0% al Nord-est, del 357,3% al Centro, del 268,0% al Sud e del 183,6% nelle Isole.

L’andamento dei furti in Italia nel decennio considerato non presenta marcati mutamenti: cresce nel Nord-ovest (+11,2%), Nord-est (+22,6%) e Centro (+15,7%), diminuisce al Sud (-1,9%) e nelle Isole (-19,2%). I tassi di denuncia di furti in abitazione evidenziano un generalizzato calo in tutte le aree: Isole (-56,5%), Nord-est (-47,5%), Nord-ovest (-45,5%), Sud (-44,3%) e Centro (-39,1%). Per i furti in esercizi commerciali si rileva una calo generalizzato nel numero delle denunce nel Nord-est (-17,5%) e nelle Isole (-17,2%). Viene registrato un leggero incremento nel Nord-ovest (+1,9%), Sud (+3,5%) e Centro (+8,3%). I furti di autoveicoli sono in diminuzione in tutte le macroaree: Nord-ovest (-46,2% ), Nord-est (-38,0%), Centro (-37,2%), Isole (-50,9%) e Sud (-38,9%). Ugualmente per i furti su auto in sosta: Nord-ovest (-34,1%), Nord-est (-11,1%), Centro (-44,0%), Sud (-47,5%) e Isole (-61,1%).

Dal 1995 al 2005 il tasso di rapine in Italia è in crescita in tutte le macroaree considerate. Il dato più significativo è la forte crescita nel Mezzogiorno, con un aumento del tasso del 98,9%, seguito dal Centro (+72,4%), dal Nord-ovest (+53,0%) e dal Nord-est (+52,9%). L’unica eccezione è rappresentata dalla diminuzione delle rapine in Sicilia e Sardegna (-21,0%). Per quanto riguarda le rapine in banca e uffici postali, invece, in tutte le cinque macroaree si osserva un andamento oscillatorio. Nord-est e Sud fanno registrare le variazioni maggiori, con rispettivamente una crescita dei tassi di denuncia del 51,3% ed una diminuzione del 35,3%. Accanto al Nord-est, l’altra area più critica per questo reato è il Nord-ovest (+11,1%). Nel Centro, infine, si registra un calo del 25,8%.

Nel biennio 2004-2005 in Italia si evidenziano forti differenze nei tassi di denunce tra Nord e Sud: nelle province del Nord il tasso di omicidi è generalmente "basso" (compreso tra 0 e 1,9 reati ogni 100.000 abitanti). Le province del Sud, invece, riportano valori più alti: tra le province con i tassi più alti molte sono calabresi (Catanzaro, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia).

Nel biennio 2004-2005 in Italia le denunce per lesioni dolose sono distribuite a macchia di leopardo lungo tutta la penisola coinvolgendo tanto il Nord quanto il Sud del Paese. Le tre province più a rischio sono Trieste (241,7 denunce ogni 100.000 abitanti), Imperia (197,8) e Rimini (167,0). Le province meno a rischio sono Roma (57,4), Messina (63,9) e Catania (64,2). Il dato sembra essere, tuttavia, il prodotto di una minor propensione alla denuncia da parte dei cittadini in alcune aree del Paese. Per quanto riguarda le violenze sessuali denunciate nel biennio 2004-2005, le aree geografiche che rilevano tassi più elevati appartengono al Centro-nord (Toscana ed Emilia-Romagna). Tra le province più a rischio: Prato (19,1 denunce ogni 100.000 abitanti), Trieste (16,1) e Rimini (14,4). Nessuna provincia meridionale presenta, al contrario, tassi alti (superiori a 9,4 denunce ogni 100.000 abitanti). Registrano tassi di denunce ancora più bassi Ragusa (0,7), Ascoli Piceno (1,9) e Benevento (3,2). Tra le città con meno denunce spicca Napoli (4,2).

Le aree più a rischio sono quelle dell’Italia centro settentrionale: Rimini rileva il tasso medio annuo più elevato (5662,9 denunce ogni 100.000 abitanti) in ragione della sua vocazione turistica. Milano, Roma, Torino, Genova e Firenze entrano tra le province più a rischio soprattutto a causa della dimensione urbana. Per i furti in abitazione si corrono più rischi nelle regioni centro settentrionali: Pavia (421,0 furti ogni 100.000 abitanti), Alessandria (395,2), Asti (382,5) e Pisa (376,7). Le province maggiormente colpite dai furti in esercizi commerciali sono, invece, Emilia-Romagna, Toscana e Liguria. Relativamente ai furti di autoveicoli le province che registrano valori più elevati sono quelle di Napoli (788,1 furti ogni 100.000 abitanti), Roma (777,8), Catania (706,1) e Bari (649,3). Fanno eccezione Milano (711,1), che registra un tasso alto, e Brescia, Torino, Genova e Bologna, che registrano valori compresi tra 214,8 e 514,3 reati ogni 100.000 abitanti. Infine, i tassi di denuncia maggiori per i furti su auto in sosta spettano alle province delle grandi città centro settentrionali: Modena (719,1 reati ogni 100.000 abitanti), Torino (684,4), Bologna (676,9) e Milano (657,7).

Nel biennio 2004-2005 le aree dell’Italia con il maggiore tasso di denunce per rapine sono le province di Napoli (410,7 rapine ogni 100.000 abitanti) e Caserta (290,3). Le zone, invece, con un tasso medio si distribuiscono a macchia di leopardo lungo tutta la penisola includendo province con grandi centri come Torino (138,2 rapine ogni 100.000 abitanti), Milano (119,0), Palermo (112,4) e Bologna (102,9). Le province meno a rischio di rapina sono, invece, le province alpine di Belluno (9,2 rapine ogni 100.000 abitanti) e Sondrio (9,5). Per quanto riguarda le rapine in banca e in uffici postali, nel biennio 2004-2005, la zona con un alto tasso di denuncia si concentra nel Nord e nel Centro del Paese: Bologna (19 rapine ogni 100.000 abitanti), Ravenna (17,3), Prato (14,4), Brescia (13,3), Rimini (12,1) e Verona (11,0). Si nota, inoltre, un picco in Abruzzo, nella provincia di Pescara (11,2) e in Sicilia, a Catania (11,3).

 

In sintesi

 

Meno omicidi ma più violenza di altro genere sia in Italia che in Europa. Gli omicidi diminuiscono ovunque, mentre le altre violenze aumentano. È il fenomeno della violenza "frenata": la violenza sembra esprimersi sempre meno in omicidi e sempre più in una pluralità di comportamenti violenti, proprio come un fiume in piena che, frenato da un ostacolo, si disperde in molti rivoli prima di arrivare alla foce.

Calano i furti sia in Italia sia in Europa, in particolare diminuiscono sia quelli in abitazione che quelli di veicoli a motore. I paesi più a rischio di furto sono Olanda, Belgio, Danimarca e Regno Unito, mentre Germania, Finlandia e Svezia sono i paesi europei meno a rischio di furto.

Aumentano le rapine sia in Italia sia in Europa. Il tasso di denunce è in crescita in tutta l’Europa, ma in controtendenza c’è l’Europa del sud: l’andamento italiano, dal 2000 in poi, ha sempre registrato tassi di rapine inferiori alla media europea.

 

Le fonti dei dati

 

Europa. La banca dati utilizzata per le analisi svolte sui paesi europei è di Eurostat, che dal 2004 raccoglie periodicamente i reati denunciati dalle Forze dell’ordine all’Autorità giudiziaria nei paesi europei. I dati provengono dalle fonti amministrative nazionali dei paesi europei, come gli istituti nazionali di statistica, gli istituti nazionali di amministrazione penitenziaria, i ministeri dell’interno e della giustizia e le forze di polizia. Ai paesi si richiede di rendere i dati aderenti ad una definizione standardizzata fornita da Eurostat, e di fornire i dettagli su ogni differenza riscontrata nelle loro definizioni rispetto a quella generale.

Italia. La banca dati utilizzata è il Sistema di Indagine (S.D.I.), che costituisce lo strumento base per lo svolgimento di un’attività interforze di polizia, perché contiene dettagliate informazioni su ogni fenomeno censito dalle Forze di polizia. Il sistema S.D.I. è lo strumento attraverso cui il Ministero dell’Interno raccoglie le statistiche della delittuosità, ossia il numero di delitti e di persone denunciati dalle Forze dell’ordine all’Autorità giudiziaria.

 

Metodologie

 

Misurare l’estensione della criminalità in Europa è un’operazione complicata da una serie di fattori. I principali, che ci obbligano a leggere con cautela ogni analisi comparata sulle tendenze della criminalità nei diversi paesi come quella qui presentata, sono:

a) ogni paese ha un diverso sistema giuridico e diverse definizioni di reato;

b) ogni paese presenta differenze nei criteri di denuncia e di registrazione dei reati da parte delle Forze dell’ordine;

c) ogni paese ha diversi metodi per la registrazione delle tipologie criminali;

d) in ogni paese la propensione alla denuncia dei reati da parte dei cittadini cambia;

e) in ogni paese le tendenze della criminalità possono essere influenzate da fattori differenti. Ad esempio una riduzione del tasso di omicidi in alcuni stati può dipendere dell’efficienza del sistema sanitario: gesti di violenza potenzialmente omicidiari possono infatti non trasformarsi in omicidi effettivi solo per le abilità ed i progressi della medicina di emergenza.

Giustizia: Mastella; inviterò giudice Gherardo Colombo a restare

 

Il Corriere della Sera, 20 marzo 2007

 

Numerose reazioni all’intenzione di Gherardo Colombo di lasciare la magistratura come reazione per "vedere riabilitati i corrotti".

"Spero che accetti il mio amichevole invito" a ripensarci. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. "È un magistrato che ho sempre apprezzato - sottolinea il Guardasigilli - e la cosa mi dispiace molto nel momento in cui magistratura e politica possono lavorare gomito a gomito, fabbricando un mondo diverso nel quale la magistratura sia rispettata ed egualmente sia rispettato il primato della politica". "Gherardo Colombo - sottolinea Mastella - è una persona di grande serietà, spesso non ho condiviso le sue idee un po’ troppo hegeliane, ma ne ho sempre apprezzato l’attività".

Di Pietro - "Gherardo Colombo è un grande uomo e un grande personaggio", ha commentato il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro. "Troverò il modo di parlare in modo approfondito della sua decisione", ha aggiunto l’ex collega di Colombo all’epoca del pool di Mani pulite alla procura di Milano.

Woodcock - "Colombo per me costituisce un modello di magistrato e di uomo", è l’opinione del pm di Potenza, Henry John Woodcock.

Csm - Il Consiglio superiore della magistratura (Csm) è in attesa del parere del ministro Mastella sulle dimissioni di Colombo. La pratica è in una fase istruttoria e per questo non è stata ancora assegnata dal Comitato di presidenza alla quarta Commissione, quella competente su dimissioni e pensionamenti dei magistrati. Secondo la prassi è stato chiesto il parere al Guardasigilli, che normalmente dà il suo via libera a meno che non si opponga alla richiesta del magistrato la richiesta di un procedimento disciplinare a suo carico. Solo una volta che il ministro avrà dato il suo sì, la questione finirà sul tavolo della Commissione, che non potrà che prendere atto della volontà di Colombo di lasciare la toga. La parola finale sulla vicenda spetterà comunque al plenum del Csm.

Giustizia: amnistia per reati "politici", è scontro tra e nei Poli

 

Corriere della Sera, 20 marzo 2007

 

Gli ultimi dieci anni di scontri sugli anni di piombo hanno insegnato che quello degli arresti non è mai il momento giusto per proporre un’amnistia. Perché le polemiche subissano chi si fa avanti per avanzare la possibile pacificazione, la destra va contro la sinistra, il centrosinistra si spacca, i familiari delle vittime s’indignano.

Il copione è andato in scena di nuovo quando il capogruppo di Rifondazione al Senato Giovanni Russo Spena ha commentato su Repubblica l’arresto di Battisti. Non solo lo ha definito "un attempato eversore di un tempo", ma ha proposto di "chiudere il capitolo degli anni di piombo con un’amnistia".

Apriti cielo, soprattutto se capita quando Napolitano commemora la figura di Biagi ucciso dalle Br nel 2002. Il centrodestra si scaglia contro Russo Spena, l’Unione si divide. La proposta più nuova giunge da Olga D’Antona, la vedova del giuslavorista freddato dai terroristi nel ‘99. Lei, deputata dell’Ulivo, annuncia "di non essere contraria" ma a un patto: "Prima voglio sapere tutta la verità su quegli anni, ancora ambigui e pieni di lati oscuri".

E propone una "commissione per la verità" sul modello del Sud Africa. Anche Sabina Rossa, senatrice dell’Ulivo e figlia del sindacalista della Cgil uccido dalle Br nel ‘79, vuole la verità ma il suo è un no all’amnistia: "Quegli anni non si possono chiudere così, almeno finché non sarà stata scritta tutta la verità, poi se ne potrà parlare.

Quanto a Battisti, condannato per quattro omicidi, non si può parlare di amnistia". No anche dall’associazione "2 agosto 80" che raccoglie i familiari della strage di Bologna: "Gli anni di piombo si chiuderanno solo con la verità e non con amnistie mirate che per noi sarebbero un’ulteriore offesa".

D’Antona a parte, per il resto è scontro, anche perché la parola "amnistia" suona politicamente malissimo dopo le polemiche sull’indulto. Il capogruppo dell’Udc alla Camera Luca Volonté è una furia: "In una giornata di dolore ci tocca leggere dichiarazioni deliranti e giustificazioniste come quelle di Russo Spena. Ma come fanno Mastella e Amato a stare con lui nella stessa maggioranza?". Peggio con Isabella Bertolini, vicepresidente di Forza Italia a Montecitorio: "Invece di scervellarsi sull’amnistia la sinistra pensi a onorare i caduti per mano di Battisti. La stagione degli anni di piombo si chiuderà quando le persone come lui avranno scontato fino all’ultimo giorno di galera".

E siccome l’amnistia richiede i due terzi del Parlamento è evidente che l’alzata di scudi della destra stoppa qualsiasi clemenza. Basta sentire Francesco Storace (An): "Sull’arresto di questo terrorista Russo Spena l’ha fatta grossa. Povera sinistra "rosso pena". Il capogruppo di Rifondazione si difende: "Se c’è un delirio è quello della destra. Ad affermare che Battisti ha diritto a un nuovo processo non sono io ma il candidato centrista alla presidenza della Francia Bayrou".

Ma la sua voce è isolata anche nell’Unione dove pure il socialista Salvo Buemi, padre dell’indultino, non lascia spazi: "Non è tempo di amnistia per i terroristi. Battisti deve tornare in Italia e scontare la pena". È la linea di Silvana Mura, tesoriera dell’Idv: "Fatico a comprendere Russo Spena. È doveroso che Battisti torni delle carceri italiane. L’amnistia è improponibile, oltre che inutile".

Mafia: 2.500 vittime in 10 anni; "Libera" fa l’appello dei morti

 

Corriere della Sera, 20 marzo 2007

 

A Polistena stanno sistemando gli altoparlanti. Dovranno funzionare bene, e magari superare i confini della piana di Gioia Tauro dove oggi e domani si celebra la memoria delle vittime della mafia. Perché lo scopo è proprio questo, farsi sentire, impedire che il tempo cancelli il ricordo di uomini e donne che hanno pagato con la vita il loro contributo alla lotta alla criminalità. Le loro storie saranno rievocate ad alta voce dai giovani di Libera e dagli ospiti di don Luigi Ciotti, in un rosario lungo 700 nomi che percorre la storia del crimine organizzato in Italia.

Negli ultimi dieci anni, secondo i calcoli degli organizzatori, oltre 2.500 persone sono state uccise dai clan. In almeno il 70 per cento dei casi non è ancora possibile indicare il nome del colpevole, e spesso neppure il movente. "Siamo di fronte a un’emergenza nazionale - spiega don Ciotti -. Non tutti l’hanno capito, la mafia non è un problema solo meridionale". L’anno scorso la giornata della memoria era a Torino. Questa volta è stata scelta la Calabria.

E non solo per la ‘ndrangheta: "Nella piana di Gioia Tauro - aggiunge il presidente di Libera - ci sono le premesse non ancora realizzate di grandi occasioni di sviluppo. Ma c’è anche la risposta coraggiosa, da portare ad esempio, della chiesa locale. Proprio qui nella diocesi di Oppido, il vescovo e i suoi sacerdoti hanno avuto il coraggio di farsi avanti. Ora gestiscono beni sottratti ai boss che nessuno voleva amministrare per il timore delle ritorsioni che purtroppo seguono ogni confisca".

La manifestazione si apre oggi con l’incontro di 220 familiari di vittime di mafia con il presidente della commissione parlamentare Antimafia Francesco Forgione, per discutere tra le altre cose della disparità di trattamento rispetto alle vittime del terrorismo: "Lutto e sofferenza sono gli stessi - spiega Viviana Matrangolo, che per Libera si occupa di questo aspetto del problema - eppure non siamo trattati allo stesso modo, a cominciare dal vitalizio che ci viene riconosciuto". Domani ci sarà invece il corteo, che attraverserà Polistena. I ragazzi si passeranno il microfono, e giunti in piazza anche gli ospiti d’onore, tra cui il presidente della camera Bertinotti e l’ex capo dello" Stato Scalfaro, leggeranno la loro porzione di elenco.

Mafia: i "testimoni di giustizia"; ma lo Stato ci prende in giro

 

Corriere della Sera, 20 marzo 2007

 

"Stavolta la manifestazione antimafia la faranno senza di noi. A Polistena non andiamo. A novembre restammo tre giorni a Roma per le assisi antimafia, per ascoltare Prodi e Minniti, Forgione e Lumia, con Caselli e Grasso che ci difendevano, don Ciotti che spiegava come noi non avessimo più tempo per aspettare. E poi niente, niente di niente...".

È duro lo sfogo dei testimoni di giustizia ieri a consulto per telefono fra loro dalle varie località segrete ili cui sono rifugiati. Decisi a protestare con l’assenza dal meeting del 21 marzo. Perché si capisca che "lo Stato non ha rispettato i patti", come spiega Rosa Castiglione, una signora calabrese che aveva 26 anni quando nel 1992 lasciò in fretta Strangoli con padre, madre e due fratelli dopo avere denunciato gli assassini di altri due fratelli e scoperchiato una sanguinaria faida calabrese.

È la stessa rabbia di Giuseppe Carini, 37 anni, il teste che nel quartiere Brancaccio di Palermo si scagliò contro i fratelli Graviano indicandoli come gli assassini di don Pino Puglisi: "Fanno le leggi per i familiari delle "vittime" di mafia e non capiscono che noi testimoni siamo le prime "vittime"".

Da un altro angolo di una anonima provincia italiana echeggia anche l’amarezza di Calogero Melluso, 47 anni, un ragazzo quando gli ammazzarono un fratello a Ribera, pronto a scagliarsi contro il boss allora senza macchia, Salvatore Di Ganci: "Maledetto il giorno in cui ho fatto il mio dovere. Mi hanno mollato. Se ho una casa in cui dormire lo devo a un vescovo del Nord perché lo Stato non ha fondi per noi e mi ritrovo sotto protezione della Chiesa, non dello Stato".

Sono le stesse tragedie dei fratelli Verbano fuggiti da Reggio Calabria dove la ‘ndrangheta aveva messo le mani sul loro panificio e sulle loro vite. Storie senza nomi famosi. Citati da ingiallite cronache giudiziarie. Sarebbero settanta, stando alle statistiche ufficiali. Meno di trecento, compresi i loro familiari. In qualche caso già liquidati con la cosiddetta "capitalizzazione", un cospicuo contributo una tantum.

Come nel caso della Castiglione che con i genitori e i due fratelli si pente di avere accettato 280 mila euro: "Avremmo dovuto comprare cinque anni fa una casa per tutti noi, ma se ci avessero aiutato a trovare un lavoro qualsiasi. I soldi invece se ne stanno andando per sopravvivere. Noi una bella casa in Calabria l’abbiamo, ma non possiamo nemmeno venderla perché la ‘ndrangheta ha messo il veto e per tutto il paese noi siamo la peste...".

Ecco le cose dette nelle riunioni ufficiali e negli incontri riservati durante le assisi di novembre, quando la pattuglia dei testimoni strappò alcune promesse.

"Chiedevamo e chiediamo il cambio di identità, un’attività lavorativa, l’acquisizione dei nostri beni immobili da parte dello Stato, la valutazione del danno biologico per il disastro interiore di chi s’è dovuto sradicare da tutto..." sintetizza Rosa Castiglione evocando la delusione di decine di testimoni con i quali ha scelto la protesta dell’assenza da Polistena.

"Ci sentiamo ingannati. Ci avevamo promesso una vita regolare fuori dai nostri paesi. Io a 26 anni mi ero laureata e non ho potuto lavorare per motivi di sicurezza. È come se avessi fatto il carcere. I boss escono per buona condotta e trovano una comunità che spalanca loro le braccia. Noi non possiamo tornare nella nostra terra", insiste lei invidiando le colleghe di università. "Fanno le professoresse, hanno una loro vita, avranno la pensione.

Io non ho un presente e mi sono giocata il futuro. Ho fatto la mia parte, ma in questi 15 anni nessuno ha lavorato per cambiare il paese, per consentirmi di camminare sulla strada dove c’è la mia casa... Mi avevano promesso un posto di traduttore e corsi di formazione, ma non era vero. Niente, si sono sbarazzati di noi...".

La promessa di istituire una sorta di "Comitato Testimoni" all’interno della Commissione antimafia aveva acceso speranze. Come le assicurazioni di Prodi che ricorda bene Giuseppe Carini: "Le parole del premier vanno bene, ma occorrono i fatti". E tuona contro l’approssimazione, dopo otto ore di facchinaggio in un supermercato: "Ero al quarto anno di Medicina, ho dovuto mollare perché mi dissero che era pericoloso.

Ma poi mi sono ritrovato iscritto dal Servizio protezione al primo anno di Giurisprudenza con il mio nome. C’è più attenzione per i detenuti che per noi. Voto immediato per l’indulto. A noi nulla. Ma la vera lotta alla mafia si fa con i cittadini che testimoniano". E un dubbio lo scuote: "Forse è meglio che uno di noi a Polistena vada. Per dire che esistiamo, che non vogliamo essere ombre".

Giustizia: lettera aperta di "Azione trans" a Silvio Sircana

 

L’indipendente, 20 marzo 2007

 

Gentile dott. Sircana, lei ieri e oggi è stato sbattuto in prima pagina perché sarebbe stato immortalato in una foto in compagnia di una prostituta transessuale. Non ho alcuno strumento per sapere se la notizia sia veritiera o falsa, se l’uomo fotografato fosse lei o un altro politico o un comune "uomo della strada" che le assomiglia e, tutto sommato, da un punto di vista generale, non è così importante chi sia stato fotografato in quella circostanza. Quel che conta è che lei, oggi, "colpevole" o non colpevole, sta provando sulla propria pelle tutto lo stigma sociale che noi persone transessuali (ma preferiamo definirci transgender) ci portiamo addosso ogni giorno della nostra vita.

Mi creda dottore, se la foto avesse ritratto lei o chi altri vicino ad una prostituta non transessuale, oggi lo "scandalo" sarebbe infinitamente minore. Azzardo: il direttore del Giornale non avrebbe neppure ritenuto la notizia così "golosa" da essere pubblicata: di uomini che vanno a prostitute l’Italia è troppo piena perché la cosa potesse far scandalo davvero.

Ed è tanto vero che questo stigma che lei subisce solo da oggi, per noi è "pane quotidiano" che molti giornali non hanno neppure titolato che lei sarebbe stato immortalato in compagnia di una prostituta transessuale ma semplicemente con "un transessuale" come se esistesse una sorta di equivalenza fra questa condizione personale e la prostituzione, come se fosse umanamente corretto declinarci al maschile con tutta la fatica ed il dolore che attraversiamo perché il nostro corpo ci assomigli.

Io che ho lavorato quasi 30 anni e, da quando in transizione, sotto pesante mobbing al punto da essere oggi una invalida civile al 100%, non mi sono mai prostituita. Prima che l’Azienda dove lavoravo fosse privatizzata (e mi mettesse sotto mobbing) ero una servitrice dello Stato. Pubblico ufficiale.

Eppure, come tantissime altre, devo subire quasi ogni giorno questa equivalenza fra la mia condizione e la prostituzione. E ancora… è colpa nostra se molte ragazze transessuali si prostituiscono perché lo stato italiano non ha mai introdotto per legge in Italia, quanto sentenziato da quasi 10 anni dal Tribunale di Giustizia Europeo in materia di non discriminazione sul lavoro per le persone transessuali e transgender?

È colpa nostra se per quelle ragazze straniere (me lo consenta, noi siamo prima ragazze, donne, poi trans..), spesso sudamericane, che provengono da paesi in cui gli squadroni della morte locali le ammazzano come mosche con la complicità dello stato, non si applichino le procedure di Asilo Politico recentemente introdotte dalla revisione della "legge Mancino", invece che lasciarle nelle strade?

Allora, caro dottore… capita spesso di non comprendere a fondo un problema fino a che non lo si vive direttamente o indirettamente sulla propria pelle… Comprenda cosa le sta succedendo e di cosa è accusato. Se forse ha senso vergognarsi di essere stato accusato di aver fatto ricorso alla prostituzione, non accompagni, alle sue parole di difesa, una presa di distanza da noi come se fossimo "appestate".

Non usi parole come quelle di cui è stato vittima lei e con lei tutte le 10.000 persone transgender italiane. Lei è accusato di essere stato "con una trans", noi siamo state per l’ennesima volta bollate come una cosa di cui vergognarsi e come equivalenti di prostitute, come se fossimo geneticamente irresistibilmente attratte dalla prostituzione (e molti lo credono davvero, moltissimi).

Queste ragazze che non trovano lavoro, che sono spesso esiliate dalle famiglie e che quindi interrompono la scuola presto, che altra fine potrebbero fare se non di lavorare in strada o in appartamento?

La invito con passione politica, caro dottore, a cogliere questo scandalo che le viene gettato addosso, come un’occasione anche positiva per riflettere sulla nostra condizione. Lei è il portavoce del Primo Ministro e può far tanto… trasformando chi l’accusa in accusato per aver mancato di decenza in tutti i sensi.

Ci pensi, lei e noi potremmo querelare insieme chi ha scritto certe cose perché la mancanza di rispetto non ha coinvolto solo lei. Ascolti la sua ministra per le Pari Opportunità o l’on. Luxuria perché si possa arrivare il più presto possibile ad un giorno in cui noi non ci dovremo vergognare di esistere e gli uomini non dovranno vergognarsi di accompagnarsi ad una donna transessuale più di quanto si potrebbe vergognare di accompagnarsi a qualsiasi altra donna, se sposato, se per mercimonio.

Noi abbiamo bisogno di leggi che promuovano la nostra dignità di esseri umani, che aprano le porte del mondo del lavoro, affinché lei o chi per lei abbia sempre meno occasioni di ricorrere alla prostituzione di qualsiasi donna (italiana, straniera, nata tale, transessuale, ecc.). Lo faccia, dottore. Ci rifletta. E risponda a queste parole.

Mi aspetto, le associazioni transgender si aspettano che - nel suo legittimo difendersi - pronunci anche qualche parola a nostra difesa. Io lo farò per lei: la difenderò e, penso, con me tutte le persone e le Associazioni transgender. Sempre se non si vergognerà di trovare solidarietà dalle sue co-vittime mediatiche.

Lei è un politico e voglio pensare che mai considererebbe un accidente personale come un fatto decontestualizzato dal clima politico e sociale per il quale oggi lei si sente infangato. Le porgo i miei cordiali saluti e umana solidarietà in ogni caso.

Giustizia: Paissan (Garante); su caso Sircana intervenuti tardi

 

La Repubblica, 20 marzo 2007

 

Come componente dell’Autorità Garante della Privacy lei, Mauro Paissan, è stato relatore della misura su Potenza. Ripensamenti?

"Sul merito no. È un provvedimento a tutela della dignità della persona contro certi eccessi nella pubblicazione di non notizie. Confermo il testo, nel quale ho una corresponsabilità".

 

Ma su di voi piovono critiche da destra e sinistra. È stato un intervento ad personam?

"È l’insulto più pesante che si possa fare alla nostra attività. Operiamo sempre a tutela dei normali cittadini. Ho raccolto in due libri i provvedimenti su centinaia di misura emesse. L’unico vip citato è Frattini. Gli altri sono dei Mario Rossi".

 

E Pizzetti che è stato consigliere giuridico di Prodi?

"Ho letto molti attacchi e molte panzane sul provvedimento. E qualche volgarità di troppo. In particolare verso Pizzetti, al quale c’è chi vuol far pagare il fatto di essere stato messo qui da Prodi. Questa relazione personale e politica non credo lo abbia influenzato".

 

Non ammette la rapidità sospetta nel difendere Sircana?

"È esattamente il contrario. Semmai ci possono accusare di essere intervenuti in ritardo. Dovevamo farlo due giorni prima a difesa di Aida Yespica e compagnia bella, e non il giorno dopo di Sircana. È stata una nostra grande, imperdonabile ingenuità politica".

 

Vede che fa autocritica?

"È stato fatto anche un grave errore nella comunicazione, consentire che la misura apparisse soprattutto contro il Giornale, che ha sì sbagliato, ma non ha pubblicato molte più intercettazioni di altre testate. Arrivo a dire, meglio il Giornale di quelli che in prima pagina moraleggiano e a pagina 9 pubblicano di tutto e di più".

 

Con chi ce l’ha?

"Con alcune delle maggiori testate italiane. Mi sono rotto, non accetto di passare come il censore dei miei colleghi giornalisti, come quello che gli vuol mettere il bavaglio. E non riconosco come maestri alcuni di questi moralisti all’amatriciana".

 

Lei è giornalista: il divieto su Potenza lede il diritto di cronaca?

"La reazione è stata puramente corporativa. Ai colleghi chiedo se è pubblicabile il fatto che due signori che parlano al telefono dicano che una signora ogni tanto sniffa cocaina. È cronaca? È interesse pubblico? La persona può essere lesa nella sua dignità. Se la notizia dell’assunzione di droga riguardasse un paladino del proibizionismo è ovvio che diventa di interesse pubblico".

 

Il richiamo alla reclusione era necessario?

"Qui c’è stato un altro errore di comunicazione. Abbiamo sottolineato troppo la possibilità che il Garante possa usare questo diritto-dovere di segnalazione al magistrato. Ma è una segnalazione e non il potere di comminare pene che spetta al giudice".

 

Pizzetti chiede sanzioni pecuniarie. Lei?

"Sono assolutamente contrario, non le comminerò mai. Se le Camere lo decidessero farò obiezione di coscienza. Il problema è il risarcimento ai danneggiati, e non certo le multe".

 

Le foto di Sircana col trans circolano nei giornali. È giusto nasconderle alla gente?

"Non le ho viste, non so di che si tratta e potremmo essere chiamati a giudicare sulla pubblicazione. Non posso anticipare un giudizio perché potrei essere ricusato".

Milano: in 10 anni sono stati 650 gli ex detenuti avviati al lavoro

 

Adnkronos, 20 marzo 2007

 

"La Provincia di Milano negli ultimi dieci anni ha avviato quasi 650 ex detenuti al lavoro, senza contare i fondi già stanziati per le aziende che assumono ex indultati, che noi coordiniamo. Le aziende hanno tutte le opportunità per assumere ex detenuti liberati dall’indulto: che sfruttino le occasioni sul mercato".

Così Francesca Corso, assessore della Provincia di Milano all’integrazione sociale dei Detenuti e delle Persone ristrette nelle libertà, ha commentato le recenti inchieste di stampa sulle difficoltà di ex detenuti indultati a trovare lavoro. "I vari progetti avviati dalla provincia di Milano negli ultimi anni hanno già avviato al lavoro quasi 650 persone, di cui 50 solo nel 2006, quando si sono aggiunti anche i detenuti indultati" ha chiarito Francesca Corso. "Inoltre - ha ricordato - come Provincia abbiamo aderito ai progetti promossi dai Ministeri del Lavoro e della Previdenza Sociale e della Giustizia per avviare tirocini formativi per gli ex detenuti che hanno beneficiato di indulto".

Brescia: mille euro per aziende che assumono detenuti indultati

 

Corriere della Sera, 20 marzo 2007

 

Mario Fappani si dedica a un lavoro - garante dei detenuti per conto del Comune di Brescia - molto singolare, ma altrettanto singolare è l’iniziativa avviata dall’ente per cui lavora proprio a favore degli ex carcerati: concedere una bonus di 1.000 euro a tutte le aziende che assumeranno un detenuto liberato grazie all’indulto.

L’iniziativa è tra le prime in Italia anche perché Brescia ha deciso di impegnare a favore di chi lascia il carcere non fondi ministeriali, previsti dai programmi di recupero, ma soldi propri, messi a bilancio nel 2007: per la precisione 40 mila euro. Il provvedimento ha diviso il mondo politico e la Lega Nord, già contraria all’indulto, preannuncia opposizione in tutte le sedi possibili. Il bando emanato dal Comune prevede un contributo di 1.000 euro a chi darà lavoro a un ex carcerato a tempo indeterminato, scendendo progressivamente a 200 euro per un contratto part time di 6 mesi.

"Se non per amore, fatelo per denaro", commenta ironico Fappani, l’ombdusman dei detenuti bresciani. Che così spiega: "I detenuti recidivi rappresentano un alto peso sociale, un giorno di carcere costa 131 euro. Ma se prevediamo percorsi che aiutino chi ha subito una condanna a trovare una casa e un lavoro, la percentuale di quanti tornano a commettere reati scende di colpo. Le statistiche parlano chiaro".

Che Brescia, con la sua iniziativa, si sia addentrata in un territorio inesplorato lo conferma Mario Pagano, responsabile del provveditorato per le carceri della Lombardia: "In passato solo la legge Smuraglia aveva previsto sgravi fiscali a chi assumeva ex detenuti; noi abbiamo avviato programmi sociali grazie ai fondi provenienti dalla cassa delle ammende, che però non sono molti. Il passo compiuto da Brescia, tanti o pochi che siano i soldi stanziati, è però importante sotto il profilo culturale".

Brescia: i detenuti di Canton Mombello passati da 480 a 350

 

Giornale di Brescia, 20 marzo 2007

 

"Lo sapevo anche prima che l’indulto era stata una scelta giusta, ma dopo la visita a Canton Mombello ne sono sempre più convinto". Osvaldo Squassina, consigliere regionale di Rifondazione Comunista, ha appena varcato l’ultimo dei cancelli del carcere di Brescia, quello che separa il traffico che incessantemente scorre su via Spalti San Marco dalla vita che prosegue, seppure in una sorta di sospensione temporale, dietro alle spesse mura della vecchia casa circondariale bresciana.

E raccontano la visita Squassina e Maurizio Zipponi, deputato per lo stesso partito, e Beppe Almansi, responsabile per i diritti per Rifondazione a Brescia, e Daniela Chiodi, militante laureata in psicologia con una tesi sul carcere.

"Ero già stato qui, poco dopo essere stato eletto in Regione, era il giugno del 2005 - ricorda Squassina - e la situazione era ben peggio. La capacità tollerabile del carcere, così si dice in termine tecnico, è di 286 persone, quel giorno dietro le sbarre erano in 480.

Sa che cosa vuol dire? Che in una cella di 8 metri quadrati, centimetro più centimetro meno, ci stavano in sei, sette, otto. Che i letti a castello battevano le più elementari leggi della fisica: 4, uno sopra all’altro. Oggi letti a 4 piani non ne ho visti, al massimo si arriva a 3". Che però non sono pochi: "Sì, certo. Però con l’indulto da qui sono usciti in 120, così ne hanno potuti spostare nel carcere di Verziano, liberando i raggi che stanno sistemando".

Una ristrutturazione in piena regola? "Non proprio, ma almeno una manutenzione ordinaria, che migliora le condizioni di quelli che restano. Oggi sono circa 350, ce l’ha spiegato Francesca Paola Lucrezi, la vicedirettrice, che ci ha accompagnato nella visita.

Un piano alla volta, stanno pitturando, mettendo le piastrelle nei bagni e le porte per dividere la "turca" dal lavandino". Così ogni cella ha un bagno, uno spazio per lavarsi, un altro per cucinare, uno per mangiare.

"No, mi lasci spiegare meglio - interrompe Squassina -. Le celle tipo sono due: una di circa 8 metri quadrati e l’altra, diciamo di dieci, dodici. Nella prima ci stanno, se va bene, in cinque, se no in sei, nell’altro in nove, dieci. Sì, un tavolo c’è, però è per quattro: così per mangiare devono fare i turni. Un turno mangia e l’altro sta sdraiato a letto. È una legge fisica, dove ci sta un corpo non ce ne sta un altro. Dimentichi i serial televisivi, nessuno spazio per camminare, nessuno spazio per fare niente se non giocare a carte, leggere, guardare la televisione".

Eravamo ai bagni. "È così gliel’ho detto, c’è una turca, un lavandino, poi quasi tutti hanno un fornello, come quelli da campeggio, per cucinare. Docce? No, non nelle celle. Ce ne sono tre per ogni raggio. No, nei bagni di acqua calda non ce n’è. Le cose stanno migliorando, ma da fare ce n’è ancora davvero tanto".

I detenuti, ci spiega Zipponi, possono uscire due volte al giorno, un’ora e mezza al mattino e lo stesso il pomeriggio. Poi c’è solo il "gabbio".

"Il problema è che mancano gli agenti di polizia penitenziaria - dice ancora il deputato - sono sotto organico di 94; dovrebbero essere 364, ma sono più o meno 270. Così, per ragioni di sicurezza, la cella rimane chiusa. Non vengono fatti concorsi, in più la maggior parte di loro arriva dal Sud e, perciò, appena possono chiedono di tornare a casa".

Pochi agenti e troppi detenuti, nonostante l’indulto? "Sì, però, a tornare "dentro" dei 120 scarcerati a Brescia sono stati solo 15 e tutti per reati legati alla tossicodipendenza. Lo sa, invece, qual è il problema vero? La Bossi-Fini, che è una legge sbagliata non solo dal punto di vista etico-morale, ma anche per la gestione delle carceri. Le faccio un esempio.

A Brescia sono transitati fra gennaio e febbraio 500 detenuti: gente che entra, passa una-due notti in carcere, e poi esce. Il 75% è fatto di persone che, espulse, non hanno ottemperato al decreto. Brescia, anche per questo motivo, è il secondo carcere per numero di ingressi, dopo quello di San Vittore a Milano. È una delle cose di cui a Roma ci stiamo occupando e che risolveremo al più presto. L’ho promesso anche alla vicedirettrice. In realtà i fermati dovrebbero essere trattenuti in camera di sicurezza in Questura, senza passare dal carcere; ma a Brescia, un’anomalia in Italia, questo non succede".

Il 60% dei carcerati, spiega ancora Zipponi, è straniero. I reati legati agli stupefacenti sono molti. "Quelli attualmente in carico al Sert sono una quarantina, ma sono più o meno 150 quelli che hanno storie di tossicodipendenza. Antonio Boninfante, il direttore sanitario, ci ha spiegato che adesso le cose vanno meglio dal punto di vista sanitario.

Non ci sono più problemi di approvvigionamento di farmaci, dopo la convenzione con la farmacia del Civile, il numero dei medici è aumentato, sono 7 su 30 ore al giorno, e lo stesso per gli infermieri. E poi c’è il problema che i detenuti, dal punto di vista sanitario, non sono più in carico al ministero della Giustizia, sono passati a quello della Sanità; ma l’Asl di Brescia non ne vuole sapere.

La direttrice ha chiesto di fare lo screening per il tumore del collo dell’utero alle detenute di Verziano, che sono 22, e l’Asl ha detto no! Un punto critico è anche la situazione degli educatori: dovrebbero essere 10, ma sono solo... 1 e mezzo, in comproprietà con Verziano. Invece la biblioteca è proprio bella: dovrebbe vederla: 10.000 testi. E se conosce qualcuno che potrebbe regalarne ancora, soprattutto in arabo, ne avrebbero proprio bisogno!".

Roma: detenuto polacco attende assegno Inps da 1 anno

 

Ansa, 20 marzo 2007

 

Da oltre un anno attende, invano, che un assegno di disoccupazione di ? 835.38 regolarmente emesso dall’Inps in suo favore, gli arrivi in tasca. Protagonista della vicenda, un detenuto polacco di 40 anni, Tomasz S., attualmente detenuto nel carcere di Rebibbia. La vicenda è stata segnalata dall’Ufficio del Garante Regionale dei Diritti dei detenuti diretto da Angiolo Marroni.

Ad aprile 2006 - in base alla domanda di indennità di disoccupazione presentata da Tomasz S. (cittadino polacco) recluso nel carcere "Mammagialla" di Viterbo - l’Inps emetteva un assegno di ? 835.38. Un mese dopo, mentre è ancora in attesa dei soldi, Tomasz viene però trasferito dal carcere di Viterbo alla Casa di reclusione di Rebibbia.

Dopo sette mesi, visto che dell’assegno si sono perse le tracce, i collaboratori del Garante Regionale dei detenuti contattano l’Ufficio cassa del carcere di Viterbo per avere notizie. Una rapida consultazione permette di scoprire quanto accaduto: in sostanza, visto che nessuno ha comunicato all’Inps che Tomasz è stato trasferito a Roma, l’assegno continua ad essere spedito al carcere di Viterbo e, poiché nessuno lo incassa, dopo qualche tempo torna all’istituto di previdenza. Basterebbe, insomma, notificare il "cambio di residenza" per risolvere tutto, ma i problemi per Tomasz non sono finiti.

A febbraio si scopre, infatti, che l’assegno non si trova più; non è in carcere a Viterbo, né all’Inps, né alla banca di riferimento dell’Istituto di Previdenza: semplicemente si è perso e nessuno sa che fine abbia fatto. A distanza di un anno - e nonostante le rassicurazioni ottenute - Tomasz è ancora in attesa di incassare la sua indennità di disoccupazione.

"Un anno per far percorrere ad un assegno cento chilometri, quelli che separano Viterbo da Roma, è davvero un record - ha commentato il Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - Sappiamo tutti quanto tempo e pazienza occorrano per risolvere i piccoli e grandi problemi burocratici della vita di tutti i giorni, difficoltà che per un detenuto in carcere si moltiplicano all’ennesima potenza. Abbiamo già avviato ulteriori contatti per conto di Tomasz, quello che ci auguriamo è di trovare, nei nostri interlocutori la sensibilità necessaria per andare oltre tutti i problemi burocratici e per risolvere nel migliore dei modi questa vicenda".

Informazione: domani "Radio Carcere" esce con "Il Riformista"

 

Comunicato stampa, 20 marzo 2007

 

Radio Carcere, la rubrica di informazione su processo penale e detenzione a cura di Riccardo Arena, in onda il martedì alle 21.00 su Radio Radicale, si tinge di arancione e diventa una pagina settimanale su Il Riformista diretto da Paolo Franchi. "Domani e poi ogni mercoledì" - precisa Riccardo Arena - "cercheremo di informare i cittadini sulle condizioni della nostra Giustizia e del sistema delle pene. Dare costanza all’informazione su un potere sovrano dello Stato è la nostra priorità."

Nella pagina di Radio Carcere di domani sul Riformista: la realtà della detenzione dei 41 bambini detenuti nelle carceri italiane, le riforme sul sistema delle pene che si attendono dalla politica, anche se invocate dal Presidente Giorgio Napolitano e i probabili perché delle dimissioni di Gherardo Colombo analizzati dal misterioso editorialista "Emile". "La Pantegana d’oro" (a mò di Tapiro) è il premio che Radio Carcere sul Riformista vuole assegnare ogni settimana. Questa settimana i candidati sono: il P.M. di Potenza Woodcock, Gherardo Colombo e un Agente penitenziario, chiamato Ugo, che è stato sorpreso nel carcere di Vigevano in atteggiamenti intimi con una persona detenuta transessuale. I voti dei lettori verranno raccolti sul sito www.radiocarcere.com. Questa sera alle ore 21.00 durante Radio Carcere, su Radio Radicale, la presentazione della pagina di domani con Massimo Bordin e Paolo Franchi, oltre ad altri ospiti.

Libri: giovedì Mastella alla presentazione di volume sul 41 bis

 

Comunicato stampa, 20 marzo 2007

 

Il ministro della Giustizia Clemente Mastella parteciperà giovedì 22 marzo, alle ore 17:00 presso la sala Verde del ministero di via Arenula, alla presentazione del volume "Il regime detentivo speciale 41 bis", scritto da Sebastiano Ardita, magistrato e direttore generale detenuti e trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Il volume tratta dell’evoluzione normativa di uno dei principali strumenti di prevenzione e di contrasto nella lotta alla mafia ed alla criminalità organizzata, dall’esperienza dell’art. 90 fino all’attuale 41bis dell’Ordinamento penitenziario.

All’incontro, moderato dal giornalista del Tg1 Francesco Giorgino, interverranno il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Ettore Ferrara, il presidente della VI sez. della Suprema Corte di Cassazione Giorgio Lattanzi, il magistrato del Consiglio Superiore della Magistratura Giulio Romano.

Immigrazione: Caritas; negativa la gestione di "Poste Italiane"

 

Redattore Sociale, 20 marzo 2007

 

Pratiche troppo lunghe e costose, urgono correttivi "per non scoraggiare processi di legalizzazione dello status giuridico". La Caritas propone l’introduzione di kit familiari, composti di un solo modulo, per contenere le spese.

Pratiche troppo lunghe e costose, urgono correttivi nella gestione del rinnovo dei permessi di soggiorno "per non scoraggiare processi di legalizzazione dello status giuridico": lo chiede Caritas Italiana al governo e in particolare ai ministri competenti dopo aver raccolto il disagio di molti stranieri che si sono rivolti alle diocesi anche per richiedere un aiuto economico.

"L’affidamento alle Poste della gestione delle suddette procedure, - spiega l’organizzazione - per come attualmente strutturato, produce effetti negativi da correggere al più presto". Tra i maggiori problemi rilevati l’indisponibilità degli appositi moduli gratuiti presso gli uffici postali, che "alimenta una sorta di bagarinaggio", la complessità della modulistica e le relative difficoltà nella compilazione a cui secondo Caritas non riesce a sopperire "l’assistenza gratuita da parte dei patronati" e più in generale la lentezza ed inefficienza del servizio in convenzione con Poste Italiane.

"La procedura si sta rivelando un "collo di bottiglia" e in alcune province sono solo un centinaio i permessi finora consegnati. - sottolinea la Caritas - Si tratta di numeri irrisori rispetto alla mole delle domande che continuano ad accumularsi, anche a seguito del recente decreto flussi per gli stagionali. Va poi tenuto conto dei 2 successivi passaggi in Questura: per le impronte e l’esibizione dei documenti in originale.

In entrambi i casi, gli interessati devono in genere aspettare la convocazione e fare poi la fila per arrivare agli sportelli. Durante questo iter è evidente che il valore della ricevuta di inoltro rilasciata dalle Poste è molto precario e insufficiente (specie per i datori di lavoro). Inoltre non sempre è possibile controllare tramite il sito del Portale Immigrazione a che punto è la pratica, poiché spesso il servizio non è disponibile".

Non ultimo il problema dei costi, soprattutto per i permessi di durata superiore ai 90 giorni, per il cui occorrono circa 70 euro: 14,62 euro per la marca da bollo, 30 euro al momento della spedizione e 27,50 euro per il rilascio del permesso di soggiorno in formato elettronico. "Poiché è necessario un kit per ogni richiedente, diverse Caritas ci segnalano di aver ricevuto richieste di aiuti in denaro, da parte di famiglie di immigrati, per poter effettuare la presentazione delle domande. - spiega l’associazione -.

Sarebbe opportuno prevedere l’introduzione di kit familiari, composti di un solo modulo per un intero nucleo familiare al costo, appunto, di una singola domanda". Ma costosa è anche ogni modifica dei dati contenuti nel permesso di soggiorno: "In molti casi - specie per modifiche di lieve entità o comunque attinenti a situazioni giuridiche già certificate e comprovate dalle autorità italiane - dovrebbe essere facilitato il ricorso all’autocertificazione presso gli uffici anagrafici, come previsto anche in alcune direttive europee e nel rispetto di un principio di uguaglianza di trattamento tra cittadini italiani e stranieri regolarmente soggiornanti", chiede Caritas. Anche il rinnovo del permesso di soggiorno, che spesso implica la ripresentazione di dati già noti e comprovati dall’autorità, dovrebbe essere regolato da una procedura più snella, che eviti le duplicazioni della documentazione e consenta tempi più rapidi e costi più contenuti.

Droghe: Piobbichi (Prc); sullo "skunk" un dibattito logoro

 

Dire, 20 marzo 2007

 

"Il dibattito che si sta sviluppando sulla skunk (una famiglia della pianta di marijuana con un alto contenuto di thc) in Inghilterra rischia di essere fuorviante ed è bene fare chiarezza". Lo afferma Francesco Piobbichi, responsabile per le politiche sociali del Prc. "Nel Regno Unito infatti - spiega Piobbichi - non esiste una sola tabella come da noi, ma ben tre tabelle". Nella classe A, si includono sostanze pesanti come eroina, amfetamine (in forma iniettabile), cocaina, crack. Nella tabella B vengono contemplate amfetamine e barbiturici. Nella classe C è inserita la cannabis, steroidi, tranquillizzanti, etc.

Quest’ordine è stato modificato in diverse occasioni. La cannabis, per esempio, nel 2003 è passata a droga di classe C mentre prima era considerata di classe B. "In Inghilterra non si sognerebbero in nessun modo com’è avvenuto - continua Piobicchi - da noi di paragonare la cannabis all’eroina in un’unica tabella, perché hanno verificato sul campo che dire che tutte le droghe sono uguali fa sì che poi queste vengono tutte usate senza distinzione rispetto alle differenti pericolosità". Secondo l’esponente di Rifondazione, "il dibattito nel nostro paese è logoro e deve essere sottratto alla banalizzazione mediatica, abbiamo bisogno- conclude- di una nuova legge e di costruire una nuova cultura sociale su questo tema".

Droghe: Corleone; in articolo "Independent" la mano di Costa

 

Ansa, 20 marzo 2007

 

Nell’articolo dell’Independent c’è la mano di Antonio Maria Costa, il direttore esecutivo dell’Unodc, l’ufficio dell’Onu contro la droga e il crimine: ne è convinto Franco Corleone, segretario di Forum droghe, che accusa il quotidiano inglese di "raccogliere la tradizione dei giornali-spazzatura".

Secondo l’ex sottosegretario alla giustizia, "i contenuti e il tono terroristico dell’articolo dell’Independent, che contiene dati vecchi e triti, ci conferma di essere davanti a un’operazione di politica deteriore". "Addirittura - sottolinea - viene nascosto il contenuto del Rapporto 2005 del governo inglese, che conferma la classificazione della cannabis in classe C, cioè fra le sostanze stupefacenti meno pericolose".

"Tutti i rapporti internazionali - continua Corleone - negano il nesso di causalità fra uso della cannabis e schizofrenia".In ogni caso, secondo Corleone tutto ciò "conferma la necessità di una forma di legalizzazione della cannabis, sia per ragioni penali sia per ragioni di salute, perché sarebbe giusto che i consumatori conoscessero il contenuto delle sostanze che acquistano e soprattutto il livello di Thc (il principio attivo della cannabis, ndr) presente". Nella retromarcia dell’Independent, conclude Corleone, "si vede la mano di Costa, il quale insiste nella strategia fallimentare e terroristica della narco-burocrazia che non si rassegna".

Droghe: Bologna; a giugno mostra-convegno sulla cannabis

 

Notiziario Aduc, 20 marzo 2007

 

Nel primo fine settimana di giugno (dall’1 al 3) del 2007 si terrà a Bologna una nuova edizione di Cannabis Tipo Forte, la fiera italiana della cannabis/canapa. L’evento (giunto alla terza edizione) è un appuntamento che ha ormai raggiunto valenza internazionale, e vuole proporsi come nuovo punto di riferimento per tutti coloro che si interessano all’argomento cannabis in Italia.

Nell’ambito di una stretta collaborazione a livello europeo, nell’ottica della ricerca delle più ampie convergenze possibili sul tema comune della lotta a tutti i traffici clandestini (che impoveriscono le casse degli Stati e sono quotidianamente fonte di pericolo per la salute di tanti cittadini europei) stiamo organizzando un fine settimana di intensi dibattiti. (Per tutte le informazioni a riguardo, Vi preghiamo di fare riferimento alla sezione "news" del nostro sito www.cannabistipoforte.com)

La presenza in quei giorni di una vostra rappresentanza sarebbe a noi graditissima, e siamo certi che potrebbe essere una ottima occasione di approfondimento culturale per tutti. Qualora vogliate dedicare tempo ed energie per questa iniziativa, potete ritenerci a vostra completa disposizione; Vogliamo ricordarvi che lo spazio per le associazioni culturali è completamente gratuito!

Riteniamo infatti Cannabis Tipo Forte un appuntamento importante per lanciare messaggi positivi, volti ad educare parte della popolazione ad un maggiore rispetto nei confronti della propria salute e della collettività. È bene esserci, e fare sentire forte la nostra voce! Vorremmo che Cannabis Tipo Forte potesse essere occasione di dialogo, sereno e costruttivo, fra persone che possono avere anche idee diverse ma che guardano al fine comune di cambiare questo paese una volta per tutte; Noi pensiamo che tutto questo sia possibile.

 

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 3490788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva