Rassegna stampa 22 marzo

 

Giustizia: Palomba (Idv); abrogare presto le leggi-vergogna

 

Apcom, 22 marzo 2007

 

"Bisogna fortemente accelerare sull’abrogazione delle leggi-vergogna della passata legislatura". Lo dichiara in una nota Federico Palomba, responsabile Giustizia e capogruppo in Commissione di Italia dei Valori. "Prendiamo atto - prosegue - che ora il ministro della Giustizia ha proposto l’abrogazione della ex Cirielli sulla prescrizione breve; e che, in seguito all’annullamento del decreto sulla droga, la ministra Turco ha detto che bisogna rivedere integralmente la Fini-Giovanardi".

"Ma voglio ricordare - precisa Palomba - che già dall’estate scorsa ho presentato, come Italia dei Valori, proposte di legge per l’abrogazione di quelle stesse leggi, così come della Bossi-Fini sull’immigrazione e di quelle sull’inasprimento della recidiva, nelle parti modificate nella precedente legislatura, proponendo il ripristino della situazione preesistente". "Se l’Unione avesse tempestivamente votato quelle mie proposte - conclude Palomba - non solo ne sarebbe stato attuato il programma, ma si sarebbe anche potuto evitare il ricorso all’indulto".

Giustizia: Napoli; 77% studenti delle medie non ha fiducia in Stato

 

Il Mattino, 22 marzo 2007

 

"Purtroppo è vero, la legge non è uguale per tutti". Giuseppe Visone, magistrato della procura di Nola replica così agli studenti delle scuole medie che, rispondendo a un test, per il 77% avevano affermato di non avere fiducia nello Stato. "I dati che arrivano dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - dice Visone - sostengono che il 70% delle persone che sono attualmente detenute nelle carceri italiane sono tossicodipendenti o extracomunitari senza permesso di soggiorno. Persone che hanno una posizione economica e sociale debole e che non possono permettersi un buon avvocato". Visone chiede poi agli alunni di aiutare le forze dell’ordine e la magistratura nelle indagini. "Anche chi a scuola copre il compagno che non si è comportato bene - dice - non commette un atto di coraggio, ma una vigliaccata. Non fatevi trascinare, quando siete in gruppo, ad avere comportamenti negativi dettati, magari, da un capobranco".

Lombardia: "Lisola"; progetto con borse-lavoro per ex detenuti

 

Il Meridiano, 22 marzo 2007

 

A più di nove mesi di distanza dal provvedimento di indulto che ha aperto le porte delle carceri lombarde a 3.236 detenuti (il 50% provenienti da istituti di pena milanesi), il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e la Regione Lombardia hanno avviato il progetto "Lisola" (Liberati per Indulto: Sostegno al reinserimento Lavorativo).

Si tratta della realizzazione di una serie di interventi d’inserimento socio-lavorativo finanziati dalla Cassa Ammende del Ministero della Giustizia (che ha messo a disposizione 500mila euro) e dal Pirellone (73mila euro), che prevede tra l’altro la creazione di "borse lavoro" da 500 euro mensili per sei mesi, da assegnare alle cooperative sociali che decidano di assumere questi ex detenuti.

Il progetto prevede, tramite il coinvolgimento dei Comuni e delle Province, il sostegno e la facilitazione nella ricerca del lavoro e il supporto nell’inserimento. Prevista anche la creazione di una vera e propria "cabina di regia", in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria, le istituzioni locali e il terzo settore.

Inizialmente saranno organizzati, in tutto il territorio lombardo, 103 inserimenti lavorativi (53 a Milano e altri 50 nelle altre province), ma a fronte delle numerose richieste, si sta profilando il finanziamento per altri 70 interventi. I Comuni e gli Istituti Penitenziari sono tenuti a presentare alle Province di competenza tutti i documenti necessari.

Sarà poi compito delle amministrazioni provinciali attivare i servizi per l’orientamento, la formazione, l’avviamento e l’accompagnamento al lavoro. Naturalmente, costituisce criterio di priorità per l’ammissione al progetto, una situazione di svantaggio economico e sociale. L’accesso alle risorse sarà subordinato alla stipula di un apposito contratto, tra il datore di lavoro e la direzione Uepe (Ufficio Esecuzione Penale Esterna).

Soddisfatta del varo del progetto "Lisola", la professoressa Alessandra Maiolo, sottosegretario ai Diritti del Cittadino e Pari Opportunità della Regione Lombardia: "Questo progetto favorisce il potenziamento delle sinergie messe in campo in occasione dell’indulto, rafforzando un modello condiviso - ha commentato la Maiolo -. Esso ci consentirà anche di assicurare continuità di erogazione dei servizi, anche in occasione di successive liberazioni che verranno a determinarsi per l’applicazione dell’indulto".

A Milano c’era una lunga tradizione di carceri produttive ora purtroppo persa. La conferma arriva da Alberto Garocchio, Presidente della Commissione Carceri di Palazzo Marino: "Il lavoro entrava nelle carceri e invece oggi non arriva più. Abbiamo 40 postazioni elettroniche a Bollate e 30 a San Vittore - prosegue Garocchio -. Negli anni 90 i detenuti ci lavoravano per registrare le cartelle esattoriali, ma ora sono deserte. Ho intenzione di chiedere al Sindaco Moratti la possibilità di passare in carcere la contabilizzazione delle multe. In questo modo si libererebbe il personale comunale da un impegno pesante e si darebbe un’opportunità ad alcuni carcerati".

Padova: Ulss 16; seminario su attività riabilitazione dei detenuti

 

Il Gazzettino, 22 marzo 2007

 

"Vi ringrazio perché avete dato al mio dolore una collocazione, un significato, evitando che si trasformasse in rabbia o in aggressività". Difficile rimanere indifferenti alle parole di Luigi, lo chiameremo così, che ieri con un permesso speciale ha potuto uscire dalla casa circondariale di Padova per assistere al seminario "Le iniziative educative, culturali, ricreative e sportive negli istituti penitenziari del Veneto", promosso dall’Osservatorio regionale sulla popolazione detenuta e in esecuzione penale esterna, in capo all’Ulss 16.

Come Luigi, altri 2905 ospiti nelle due strutture di reclusione di Padova (oltre seimila nel Veneto) lo scorso anno han potuto riempire il loro tempo, drasticamente vuoto, con la densità delle parole e la concretezza dei gesti. Lettura, scrittura creativa e autobiografica, pittura, scultura, murales, disegno, musica, danza, teatro. Un variegato modo per inventarsi o reinventarsi restituendo un senso all’orizzonte ristretto, perché il tempo recluso diventi occasione di riscatto, forzato stop che prelude a un più ragionato start.

E ora che l’indulto ha concesso alle strutture di pena una cura dimagrante, lo spazio deputabile alla riabilitazione è aumentato. "Negli ultimi sette anni per la realizzazione di iniziative educative la Giunta regionale ha stanziato 3 milioni di euro, coinvolgendo la totalità degli istituti penitenziari del Veneto e svolgendo 215 progetti che hanno riguardato complessivamente 40.400 detenuti.

Il protocollo d’intesa tra Regione e Ministero - ha ricordato l’assessore regionale alle politiche sociali Stefano Valdegamberi - realizza sinergie indispensabili all’attuazione di progetti concreti di inserimento post-carcere. Ed è statisticamente provato che così facendo si riduce la possibilità di tornare a delinquere". Valdegamberi ha inoltre reso noto l’aggiornamento della situazione nelle carceri nel Veneto: al 31 dicembre 2006 nei dieci istituti di prevenzione e pena, aventi complessivamente una capienza di 1.782 posti, erano presenti 1.665 detenuti. Di questi, il 30.51% risultano essere tossicodipendenti.

E se il bicchiere è mezzo vuoto, è pure mezzo pieno grazie all’effervescenza delle attività che danno vitalità ed energia alla mestizia della libertà negata. "Il mondo carcerario - ha osservato Daniele Berto, responsabile dell’Osservatorio regionale carcere - sta diventando sempre più permeabile alla collaborazione necessaria e utilissima dell’associazionismo e del volontariato". È attraverso l’impegno di una cinquantina tra associazioni e cooperative sociali che le case di pena venete stanno diventando case di rieducazione.

E un passo importante verso l’umanizzazione lo sta compiendo il progetto "Dap-Prima" con l’apertura, nella primavera scorsa, di un ufficio dell’unità operativa carcere all’interno del Tribunale. Nei primi nove mesi di attività, a un centinaio di tossicodipendenti, condannati per direttissima, sono state offerte soluzioni alternative alla carcerazione ovvero percorsi di recupero e di reinserimento sociale.

Reggio Calabria: incontro sugli Ospedali psichiatrici giudiziari

 

Quotidiano di Calabria, 22 marzo 2007

 

"L’Ospedale psichiatrico giudiziario, luogo di esclusione e di abbandono", è stato il tema di un incontro svoltosi nei giorni scorsi nella sede del Centro comunitario Agape, nel corso del quale è stato ricordato dai relatori intervenuti, esperti in materia e del mondo giudiziario - penitenziario, affinché il messaggio venga diffuso, "che troppo spesso il tema dei manicomi giudiziari non trova spazio nel panorama del dibattito politico, e nemmeno nei mass-media".

L’incontro è stato promosso dal Centro Agape, e ha visto l’intervento del presidente dell’associazione ed esperto di politiche penitenziarie, Mario Nasone, che ha tra l’altro dato lettura di una relazione della criminologa Patrizia Surace, cui è seguito l’intervento del neuro psichiatra Giovanni Schipani. Si è discusso sulle condizioni e prospettive che si aprono in tema con l’attuazione del nuovo Piano regionale sulla salute mentale, ed è stato evidenziato, parlando in cifre che danno lettura di dati statistici sui quali riflettere, "che sono circa 1200 in Italia le persone considerate dalla legge "socialmente pericolose" ed internate in queste strutture definibili manicomi, che sfiniscono psicologicamente soggetti ammalati che invece dovrebbero essere curati in altro modo, per recuperare il proprio equilibrio psicologico.

Sono stati rimarcati i contenuti, che sembrano essere dimenticati, della legge 180, così come dimenticato appare essere il lato umano della delicata situazione, unito ad importanti fattori sociali. Gli internati negli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani vivono in luoghi che dovrebbero curare in senso sanitario gli ammalati di mente che hanno commesso reati o che sono accusati di averlo fatto, ma in realtà si tratta di vere e proprie strutture carcerarie che si limitano a contenere e segregare.

Stringendo la panoramica della situazione sulla provincia di Reggio Calabria, si rileva che sono in media, ogni anno, circa una quarantina i soggetti che vengono internati nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto e in altri Opg del centro nord d’Italia. Purtroppo per queste persone, il destino è, spesso, in mancanza di strutture e progetti di accoglienza, quello di restare nella struttura psichiatrica inadeguata sino ad una sorta di triste morte interiore, civile.

Il neuro psichiatra Schipani ha ricordato i contenuti delle legge 180, che ha stabilito che necessitano luoghi appositi che non siano manicomi per curare e recuperare, anche sotto l’aspetto sociale, i rei considerati dall’autorità giudiziaria ammalati mentali: soggetti, ed il che è provato, generalmente recuperabili, sofferenti di gravi patologie che generano alterazioni comportamentali. Sul piano della legislazione penitenziaria generale, la legge Gozzini datata 1986, che ha segnato un’importante svolta in materia, detta, tra l’altro: "Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il reato, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere".

Quindi non più manicomi e prigioni ma specializzate case di cura per i detenuti ammalati mentali, vedendo l’alternativa agli Ospedali psichiatrici giudiziari nella custodia attenuata, ed in proposito Mario Nasone ha annunciato che il Dipartimento di Salute mentale si sta impegnando perché a Reggio sia realizzata una struttura di custodia attenuata.

Reggio Calabria: tossicodipendenze; accordo giustizia - sanità

 

Quotidiano di Calabria, 22 marzo 2007

 

Si è svolta oggi, presso la sala conferenza della rinnovata caserma "Salsone", della Casa circondariale di Palmi, l’accordo di programma tra la Presidenza del Tribunale di Palmi, il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria della Calabria, l’Asl 10 e il locale Ser.T., per avviare anche in questa sede "l’innovativo progetto "Dap-prima".

È questo un modello altamente innovativo di sinergia che coinvolge Istituzioni e Enti, in nuovi modelli di collaborazione sistematica tra giustizia e sanità, per tossicodipendenti in fase di convalida degli arresti, nel corso del rito per direttissima da parte del Giudice monocratico". Questo accordo "è finalizzato ad avviare soggetti tossicodipendenti a percorsi di cura in occasione del primo reato, ad evitare il regime detentivo per piccoli reati connessi all’abuso di nuove sostanze, specie per giovani incensurati, ad inviare in centri di riabilitazione i soggetti tossicodipendenti arrestati per reati minori, ad elaborare protocolli di intervento integrato di lotta alla tossicodipendenza ed - infine - alla piccola criminalità su scala regionale, nazionale e con gli altri paesi europei".

Il progetto, finanziato dal Ministero del Lavoro, è stato già avviato in altre realtà nazionali con successo (attivo a Milano, in sperimentazione a Padova e Reggio Calabria, in programma a Roma e Catania) e, "si propone, quale stretto modello di collaborazione tra il Giudice penale ed il Sert, per la formulazione di programmi di trattamento per imputati tossicodipendenti nella fase della convalida dall’arresto e del giudizio direttissimo, al fine di evitare la detenzione di coloro che hanno commesso reati che non destino particolare allarme sociale e manifestino una concreta volontà di recupero".

Il piano prevede in particolare l’apertura, presso il tribunale, di un ufficio presso il quale, il personale del Ser.T., possa prestare servizio in occasione delle udienze per direttissima relative alle problematiche oggetto dell’attività del progetto. La stipula dell’accordo sarà fatta alla presenza di Giuseppe Gambadoro, Presidente del Tribunale di Palmi, Paolino Quattrone, Provveditore regionale Amministrazione penitenziaria, Giuseppe Putortì, Direttore generale dell’Asl 10 di Palmi ed Elio De Leo, responsabile del Sert Asl 10. Da segnalare il significativo lavoro svolto in sede locale dai Magistrati consulenti Fulvio Accuso e Carlo Indellicati.

Como: in carcere apre un istituto tecnico, ma per gli agenti

 

La Provincia di Como, 22 marzo 2007

 

Apre una scuola in carcere. Ma non per i carcerati, bensì per le guardie. "Già - sottolinea il vice provveditore Rossella Siporso - tutte le volte che capita di parlarne, l’interlocutore di turno pensa che si tratti di un’iniziativa per i detenuti. Questo fraintendimento è frutto di un modo un po’ antiquato di pensare: non si considera mai che l’opportunità di una formazione continua deve essere garantita anche ai lavoratori.

E chi lavora in carcere è costretto a passare molto tempo lì dentro, perciò, se c’è un’esigenza diffusa, è giusto portare le lezioni nella casa circondariale". La scuola in carcere offre diversi indirizzi tecnico-professionali ed è nata dalla collaborazione tra tre istituti superiori della provincia: il Setificio, il Sant’Elia di Cantù e il Romagnosi di Erba.

"Alcune lezioni si svolgono in carcere - spiega Siporso - altre vengono erogate a distanza, attraverso l’e-learning. Le seguono una trentina di agenti, alcuni già diplomati altri no". Non si tratta di un corso di aggiornamento, ma di un vero e proprio corso di istruzione superiore. "Se gli agenti avranno costanza - precisano all’Ufficio scolastico provinciale - la scuola in carcere andrà avanti e li porterà fino al diploma".

L’attenzione per l’istruzione degli adulti non si ferma a questa iniziativa. "Chi ha esigenze formative è bene che contatti la nostra referente per il Centro Eda - sottolinea Siporso - che, se possibile, attiverà i corsi necessari per soddisfarle. L’Eda, secondo le nuove normative, non si deve occupare più solo di alfabetizzazione degli stranieri e di corsi per conseguire la licenza media".

Roma: cinema-dentro, per la formazione dei minori detenuti

 

Vita, 22 marzo 2007

 

Un percorso educativo per avvicinare al mondo del cinema e della tv 25 ragazzi del Centro di Giustizia Minorile, fruitori di progetti finalizzati al reinserimento sociale alternativi al carcere: è "Cinema libero", il progetto promosso dal Centro di Giustizia Minorile e dal Dipartimento delle Politiche Sociali dell’Associazione Italiana Cultura e Sport di Roma e del Lazio, coordinato e diretto da Gianluca Melillo, con il patrocinio della Regione Lazio, Comune di Roma e Provincia di Roma, in collaborazione con la Digital Desk.

L’esperienza di altri progetti simili, in Italia e all’estero, ha dimostrato come l’universo cinema e televisione, rappresenta un terreno fertile per la trasmissione di messaggi pedagogico/educativi al fine di favorire un fruttuoso reinserimento sociale e professionale. Numerose ricerche infatti mostrano come il teatro e altre forme di espressione artistica, riescano a dare una rappresentazione a diversi livelli della realtà sociale aiutando l’individuo nel processo di maturazione.

Il percorso educativo avrà la durata di 5 mesi circa: in questo periodo i ragazzi saranno avvicinati al cinema attraverso la visione di alcuni film di contesto (scelti con loro e con gli esperti), commentati e spiegati da professionisti del settore (Registi, Attori, tecnici) che attraverso esperienze personali coinvolgeranno i ragazzi avvicinandoli a questo mondo. Successivamente, saranno avviati alla parte pratica del mestiere del cinema e tv, partendo dall’apprendimento delle nozioni necessarie per la stesura di una sceneggiatura, l’utilizzo della strumentazione e dei materiali tecnici comunemente utilizzati fino ad arrivare al montaggio.

Al termine del percorso, i ragazzi metteranno in pratica tutte le nozioni acquisite con la realizzazione di un docu-film. Varie saranno le opzioni di sceneggiatura: le eventuali trame potranno basarsi su storie di vita personali, sogni, fantasie, ispirate da altri film o libri, dando sfogo alla loro capacità creativa. Una piattaforma che servirà come palcoscenico sul quale i membri del gruppo potranno mettere in scena loro stessi.

Il docu-film realizzato sarà presentato in festival e rassegne cinematografiche al fine di esaltare l’esperienza professionale acquisita dai ragazzi. La formazione professionale sarà gestita e realizzata dalla Scuola di Formazione della Digital Desk diretta da Paola Marotti. Il Coordinamento Tecnico del Progetto formativo e la realizzazione del Docufilm, verrà curata da Giuseppe Gelvatti.

Sostenitori del progetto e membri del Comitato Tecnico Didattico composto da esperti nel settore della comunicazione, della televisione e del cinema e presieduto da Giovanni Minoli, giornalista e direttore di Rai Educational, Franco Di Mare, inviato speciale del Tg1, gli attori Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino e Marco Giallini, Carolina Di Domenico, giovane conduttrice di Mtv e Patrizia Baldassarre, Psichiatra, Psicoterapeuta, Psichiatra forense e criminologa.

Bari: "Altre Prospettive", un giornale per il reinserimento

 

Il Meridiano, 22 marzo 2007

 

L’assessore regionale alla cittadinanza attiva Guglielmo Minervini ha visitato ieri la seconda sezione della Casa circondariale di Bari. L’assessore, accompagnato dal direttore Fullone e dal consigliere regionale Vito Bonasora, ha incontrato i detenuti presso la redazione del giornale carcerario "Altre Prospettive".

All’incontro hanno partecipato anche la dirigente regionale Maria Sasso, il responsabile dell’area pedagogica Michele Mea e gli operatori della cooperativa sociale "Itaca" che lavorano al progetto "Laboratorio di alfabetizzazione informatica - Altre prospettive Angela Bovino e Dario Abrescia, responsabili delle attività nella redazione.

Minervini e Bonasora hanno espresso la disponibilità e la volontà della Regione di dare continuità al progetto "Altre prospettive" e a coinvolgere anche la direzione del carcere, la Provincia e il Comune di Bari per un impegno concreto verso la stabilità e la diffusione dell’iniziativa.

I responsabili sono stati d’accordo sulla necessità di registrare il giornale "Altre Prospettive". Minervini ha inoltre lanciato la proposta di un’iniziativa innovativa di partecipazione e cittadinanza attiva dei detenuti sul tema della salute e della sanità all’interno delle linee programmatiche del suo assessorato, chiedendo al direttore del carcere e ai responsabili dell’area pedagogica una collaborazione per realizzare l’iniziativa.

I detenuti presenti, componenti della redazione multiculturale del giornale, hanno sottolineato la necessità di consentire loro di terminare il corso senza che improvvisi trasferimenti impediscano di concludere il percorso iniziato con il laboratorio di alfabetizzazione informatica ed il giornale o peggio, che l’attività si interrompa per mancanza di fondi.

Un detenuto croato ha sottolineato inoltre l’importanza di istituire finalmente la figura del garante dei detenuti a Bari. Gli operatori della cooperativa "Itaca" hanno a loro volta mostrato i prodotti finali, come il giornale e il sito web www.altreprospettive.it. Mea ha rimarcato come queste iniziative senza una certezza di continuità siano destinate ad avere purtroppo scarsa efficacia e durata limitata.

Maria Sasso ha infine ribadito come sia necessario, a tal fine, di formalizzare l’impegno a continuare la redazione di "Altre prospettive" con la firma di un protocollo d’intesa con tutti i soggetti interessati e coinvolti da tempo su questa iniziativa, gli enti locali, la direzione del carcere e la cooperativa "Itaca".

Immigrazione: Amato; contro criminali prelievo dna e banca dati

 

La Repubblica, 22 marzo 2007

 

"È necessario tirare fuori dall’angolo in cui sono stati cacciati il test e la banca dati sul dna. Dove sono stati applicati l’identificazione dei criminali è cresciuta a tassi pari a due cifre". Giuliano Amato, ministro degli Interni sta concludendo una Conferenza Aspen sul tema Integrazione sociale, sicurezza, immigrazione: una sfida al Paese. Ed alla vigilia del varo del disegno di legge delega sull’immigrazione: la riforma della Bossi-Fini. Amato cerca, come dice lui stesso, un confronto "non ideologico" sui meccanismi di ingresso degli stranieri extracomunitari.

Ma il ministro degli Interni è ben consapevole che non appena il governo varerà il disegno di legge si scateneranno polemiche. Altro che confronto non ideologico, come dimostra il cammino accidentato della riforma della cittadinanza che si sta arenando al Senato. E questo succede anche perché la parola immigrati, come ha sottolineato più volte il vicepresidente della Commissione Ue, Franco Frattini, evoca inevitabilmente il tema sicurezza.

Soprattutto alla vigilia dell’allargamento dell’area di Schengen che porterà l’Unione Europea ad avere un unico confine dal Portogallo alla Lettonia. "Abbiamo misurato qualche mese fa - osserva Frattini - il termometro del sentire degli europei verso gli immigrati e nell’85 per cento delle risposte si è visto vi è una percezione negativa, spesso superiore al dato effettivo di criminalità attribuibile agli extracomunitari".

Ma non è solo in Europa ad esserci una percezione di questo tipo. Le stesse preoccupazioni, durante la Conferenza Aspen, sono espresse dal sindaco di Brescia Paolo Corsini. "Nella nostra città -dice al ministro degli Interni che guida i lavori - c’è una incidenza di reati commessi dagli stranieri superiore al loro peso percentuale sulla popolazione". Ancora più duro il presidente della Geox, Mario Moretti Polegato, che durante la conferenza dell’Aspen ha aspramente puntato il dito contro la comunità romena.

Il disegno di legge sulla banca dati del dna per ora naviga tra i ministeri: "Nel giro di pochi giorni - assicurano alla Giustizia - potrebbe essere varato". Ma come fa intendere lo stesso Amato per ora è rallentato da un dibattito sulla riservatezza degli elementi che dovrebbero confluire dentro la banca dati. L’Italia, assieme a Grecia, Portogallo e Spagna, non prevede che alle persone sottoposte ad identificazione giudiziaria possa essere effettuato il test del dna.

Al momento in Parlamento è solo approdato in Aula un disegno di legge che consente al magistrato il prelievo forzoso del dna degli indagati. Ma una volta finita l’indagine, senza la banca dati, anche se gli indagati dovessero diventare colpevoli i dati del loro dna finirebbero praticamente nel nulla. Restando così le cose per l’Italia non sarà possibile "quella collaborazione tra polizie internazionali - rileva Amato - che altri paesi come la Germania hanno già avviato".

Collaborazione necessaria per poter fermare e identificare i criminali nel loro muoversi in una Europa dai confini così estesi. Certo polizia e carabinieri hanno da tempo messo a punto banche dati che consentono la memorizzazione di "impronte palmari". Solo la polizia ne ha schedate oltre un milione e ogni giorno queste sono incrociate con le informazioni delle altre forze dell’ordine. Ma non sono quelle impronte genetiche previste da vari accordi in ambito europeo che l’Italia ha sottoscritto ma poi messo nell’angolo.

Droghe: il vero scandalo è la "vacanza" della politica

di Franco Corleone (Forum Droghe)

 

Il Manifesto, 22 marzo 2007

 

I commenti alla sentenza del Tar del Lazio che ha annullato il decreto Turco sulla quantità massima detenibile di cannabis da parte della compagnia di giro del proibizionismo italiota rappresentano un segno dello scadimento del livello della politica. I vari Pedrizzi, Gasparri, Volontè e Tajani infatti alzano il vessillo del tribunale amministrativo come se si trattasse di una sentenza della Corte Costituzionale o delle Sezioni unite della Cassazione.

Il Tar ha ritenuto carente la motivazione dell’atto, "peraltro esclusivamente orientata nell’ambito delle ragioni sanitarie" e non giustificata sulla base di approfondimenti specifici sugli effetti dannosi della sostanza stupefacente.

La sentenza del Tar compie palesi invasioni di campo in terreni non propri ed è ricca di contraddizioni. Infatti la sentenza stessa riporta le ragioni addotte dal ministero e in particolare il fine di diminuire le probabilità per un consumatore di marijuana di andare incontro a gravissime sanzioni penali per la detenzione di pochi grammi di sostanza illecita.

Il Tar analizza poi l’articolo 1-bis dell’articolo 73 della Fini-Giovanardi che prevede la reclusione da sei a venti anni di carcere per chi "detiene illecitamente sostanze stupefacenti che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute di concerto con il ministro della giustizia, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale", dandone una interpretazione assai discutibile.

Per contestare il provvedimento di innalzamento della quantità massima detenibile il Tar riprende la relazione della commissione tecnica nominata da Storace ma sottace il fatto che della commissione e dei suoi pareri non si fa cenno nella legge. Anche nel decreto Berlusconi-Castelli dell’11 aprile si fa riferimento alla dose media singola, al moltiplicatore e al quantitativo massimo indicato come soglia e nella premessa si dà atto che per la commissione solo i valori relativi alla dose media singola efficace sono espressione di evidenza scientifica.

La situazione è talmente paradossale che il Tar stesso a pagina 16 della sentenza è costretto a confessare che sia il decreto Berlusconi dell’aprile 2006 che quello Turco dell’agosto 2006 hanno "disatteso l’indicazione della commissione in ordine al parametro moltiplicatore, senza peraltro chiarire se intendevano modificare l’indicazione del numero di assunzioni settimanali, ovvero se ritenevano di contestare anche il parametro temporale settimanale". Curiosamente la conclusione dei giudici amministrativi è di negare legittimità a un atto discrezionale del ministro Turco che ha lo stesso fondamento giuridico e scientifico di quello di Berlusconi. Questa vicenda conferma che è ora di imboccare la via maestra della abrogazione della legge Fini-Giovanardi e di una nuova politica sulle droghe.

La legge attuale non è solo ideologica e punitiva, ma è giuridicamente insostenibile nel suo fondamento di una visione farmaceutica del diritto. Non solo tutte le sostanze sono dichiarate in modo antiscientifico identiche, ma si viene processati come spacciatori senza prova del fatto, ma in base a una presunzione per la detenzione di una quantità superiore a quella di cui si discute impropriamente da parte del Tar. Così si violano i principi costituzionali del giusto processo.

Lo scandalo non è la sentenza del Tar del Lazio che ci auguriamo sia cancellata dal Consiglio di Stato a cui il Governo ricorrerà, ma il ritardo inconcepibile delle commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera dei deputati nel mettere in discussione la proposta Boato e finanche di nominare i relatori.

Droghe: il ministro Livia Turco; decida il giudice, caso per caso

 

La Repubblica, 22 marzo 2007

 

"Il decreto Berlusconi - Castelli sulla droga si è dimostrato inapplicabile. L’annullamento del Tar del Lazio non è stata una sorpresa. Ma dal dispositivo della sentenza è chiaro che anche il decreto del governo di centro-destra si basava sui principi fissati dalla legge Fini - Giovanardi. Ora dobbiamo accelerare al massimo i tempi di una nuova legge, nel frattempo prenderemo in esame l’annullamento del precedente decreto che ha fissato le tabelle: quelle che stabiliscono la quantità di cannabis oltre la quale scattano le sanzioni penali".

Il ministro della Salute Livia Turco, dopo gli attacchi virulenti del centrodestra, passa al contrattacco. Paradossalmente la sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio accelera i tempi politici della modifica della legge Fini - Giovanardi sulle droghe.

 

Quale punto della sentenza del Tar l’ha convinta a prendere questa posizione?

"A pagina 16 del dispositivo c’è una rilevantissima novità: se era illegittimo il mio decreto che fissavate quantità massime che fanno scattare le sanzioni penali, sulle base delle norme della Fini - Giovanardi, altrettanto lo era per quello approvato dal governo Berlusconi. La commissione tecnica, messa in piedi dall’allora ministro Storace, aveva chiesto più tempo per approfondire le motivazioni scientifiche sugli effetti delle droghe, ma aveva anche affidato alle scelte politiche di stabilire i moltiplicatori relativi alla quantità del principio attivo della sostanza stupefacente. Noi non siamo intervenuti sul principio se la droga fa male o no, ma su una questione di fondo: la soglia oltre la quale l’uso personale diventa spaccio".

 

Quindi il Tar del Lazio mette in dubbio anche i principi della legge Fini - Giovanardi?

"La colpisce al cuore. Proprio nel punto in cui dice: "È sottoposto alle stesse pene chi produce, fabbrica, raffina e vende, chi importa, acquista, riceve a qualsiasi titolo o illecitamente detiene sostanze stupefacenti. E in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto dal ministro della Salute". È questo il punto che introduce la discrezionalità politica, senza che il legislatore fissi dei criteri".

 

E ora quali passi farà il governo?

"Il nostro primo compito è di accelerare al massimo la stesura e la presentazione del disegno di legge che modifica la legge Fini - Giovanardi, un provvedimento che si è dimostrato inutile per contrastare il consumo delle sostanze stupefacenti. Le priorità sono l’attività di prevenzione, le campagne d’informazione che spieghino ai giovani perché le droghe sono dannose, la lotta al traffico internazionale di stupefacenti ed il recupero delle persone che sono cadute nella trappola. Le tabelle sulle quantità più o meno lecite e tollerabili si sono dimostrate inefficaci".

 

Una settimana fa, dopo la sospensione del provvedimento da parte del Tar, lei aveva annunciato ricorso al Consiglio di Stato.

"A questo punto mi sembra superfluo".

 

Lei ha parlato di alcuni punti non condivisibili nella sentenza del Tar.

"Non condivido l’impianto culturale. Ma sul piano giuridico pone sullo stesso piano il due decreti che fissano le tabelle. Una cosa che avevo già detto quando il Tar del Lazio ha deciso la sospensiva".

 

Da oggi cosa accadrà?

"Dopo la sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio tornano in vigore le tabelle fissate dalla commissione Storace e contenute nel decreto firmato da Berlusconi e Castelli".

 

E se lo abrogherete?

"Allora sarà il giudice a stabilire caso per caso se un determinato quantitativo di sostanza stupefacente può essere considerato consumo personale o spaccio. Dovrà applicare l’articolo 73 del testo unico sulle tossicodipendenze, tenendo conto della "quantità, della modalità di presentazione, il peso complessivo e le altre circostanze dell’azione". Un articolo della legge Fini - Giovanardi".

 

E la nuova legge?

"Non possiamo perdere altro tempo. La Fini - Giovanardi va modificata radicalmente. È uno dei punti del programma di governo".

Droghe: Vaccari (Ds); ma sbagliata è la legge Fini-Giovanardi

 

Il Manifesto, 22 marzo 2007

 

"Le motivazioni della sentenza ci confermano che è tutto l’impianto originario che ha portato alle famose tabelle correlate alla Fini Giovanardi ad essere sbagliato". È quasi sollevato nel leggere le motivazioni del Tar del Lazio, Giuseppe Vaccari, responsabile droghe dei Ds e stretto collaboratore della ministra della Salute Livia Turco.

 

Nessuna sorpresa, quindi, come dice Turco?

No, infatti. Perché anche il Tar mette sullo stesso piano ì due decreti ministeriali, quello Turco e quello firmato da Berlusconi. Dal punto di vista giuridico perché se un atto amministrativo non può stabilire la soglia con cui si distingue il reato penale, questo vale per noi ma anche per le precedenti tabelle.

Dal punto di vista tecnico-scientifico, poi, la commissione di esperti - che fu uno strumento inventato da Storace ma che noi criticammo perché non era abbastanza competente, visto che mancavano figure come gli operatori dei servizi o magistrati o poliziotti - si limitò a dare un’indicazione sulla dose media singola. Il resto lo fece Giovanardi, che con una decisione tutta politica, inventò i "moltiplicatori variabili". Tanto che la stessa commissione se ne chiamò fuori. Noi abbiamo adottato lo stesso espediente perché avevamo capito che se non si elevava questo moltiplicatore decine di migliaia di semplici consumatori potevano incappare nel circuito penale.

 

E ora farete ricorso al Consiglio di Stato?

Credo che a questo punto bisognerà pensare a un annullamento d’ufficio del decreto firmato da Berlusconi e Castelli.

 

Col senno di poi non pensa che si sarebbe dovuto fare subito?

Poteva avere un senso abrogare da subito la tabella perché c’era una gran confusione nella magistratura su come applicare la legge e c’era la difficoltà di punire i consumatori come fossero spacciatori. È vero che anche oltre quelle soglie stabilite il giudice potrebbe non avviare un procedimento penale, ma questo dipende del magistrato. Ma l’abrogazione immediata non risolveva il problema perché l’impianto punitivo rimaneva molto pesante soprattutto per i piccoli spacciatori e avremmo lasciato la discrezionalità ai giudici.

 

Eppure le linee guida della nuova legge proposta da Ferrero prevedono di ridare un’ampia discrezionalità dei giudici.

Certo ma c’è anche un nuovo approccio verso i consumatori e l’idea di rimodulare le pene, per poter distinguere chi vive di spaccio da chi ne compra tanto ma sempre per uso personale. Oggi le pene per lo spaccio di droga sono a volte più alte di quelle previste per associazione mafiosa.

 

Sarà arrivato ora il momento di pensare all’abrogazione della Fini - Giovanardi?

Sì oggi diventa più urgente che mai.

 

Ma i Ds sono pronti a sostenere la battaglia?

Una bella domanda; abbiamo deciso di farlo ma senza strappi dentro la coalizione. D’altra parte anche la senatrice Binetti si dice contraria alle sanzioni penali per chi non è spacciatore. Sia chiaro che questo governo vuole fare una battaglia forte contro l’uso delle droghe ma senza accanirsi contro i consumatori.

Droghe: Baio Dossi (Margherita); no alla "riduzione del danno"

 

La Repubblica, 22 marzo 2007

 

"Sono contenta, questa sentenza rafforza in me il convincimento di aver fatto la scelta giusta, e spero che il ministro Turco tenga conto del "messaggio" contenuto nella decisione del Tar: la droga fa male sempre e comunque, non è questione di quantità o qualità".

Emanuela Baio Dossi, esponente teodem della Margherita, e capogruppo dell’Ulivo alla commissione Sanità del Senato, è stata una delle firmatarie dell’ordine del giorno che nel novembre scorso aveva cercato di bloccare il decreto del ministro della Salute che innalzava la "soglia" dell’uso personale di cannabis. Un affondo partito dalla maggioranza contro un’esponente della maggioranza, fuoco amico insomma contro un decreto del Governo.

 

Senatrice Baio Dossi, perché lei e altri esponenti della maggioranza, tra cui Paola Binetti e Anna Serafini, ritenevate "pericoloso" il decreto della Turco?

"Perché pur con il lodevole intento di evitare sanzioni penali ai consumatori, sanzioni che anch’io ritengo inutili e dannose, quel provvedimento era diseducativo. Non possono esserci distinzioni quando si parla di droga".

 

In che senso? Lei ritiene che sia giusto aver abrogato, come ha fatto la legge Fini - Giovanardi, la distinzione tra droghe leggere e pesanti?

"Francamente sì, ritengo che quello sia un punto da non cambiare. La droga è droga e basta. E lo dico sulla base di quanto ormai affermano autorevoli scienziati, a cominciare da Silvio Garattini. Oggi anche le sostanze cosiddette leggere hanno quantità di principio attivo talmente alte da non giustificare una distinzione con quelle pesanti. E l’autocritica fatta recentemente dagli scienziati inglesi che per anni avevano difeso la non dannosità della cannabis, mi sembra una prova più che evidente".

 

Lei quindi condivide l’attuale legge sulla droga, che invece il Governo ha annunciato di voler riscrivere?

"La condivido in alcuni punti ma credo invece che tutto l’aspetto delle sanzioni debba essere cambiato. Rispetto a chi è nel tunnel della tossicodipendenza non si può avere un atteggiamento solo punitivo, ma anche rieducativo. Né le pene amministrative, e ancora meno il carcere, hanno mai convinto un giovane ad uscire dalla droga. Sono convinta che la depenalizzazione sia la strada giusta, ma non nel senso che drogarsi è lecito, ma nel senso che è inutile punire chi si droga".

 

E quindi?

"Quindi bisogna potenziare gli aspetti carenti di questa legge, e cioè le campagne di prevenzione, il recupero, il reinserimento dei tossicodipendenti. Tenendo fermo un concetto: non esiste modica quantità, non esiste differenza di sostanze, e no non è praticabile a mio avviso nemmeno la teoria della riduzione del danno, se questa si limita al mero supporto sanitario di chi utilizza marijuana, ecstasy o cocaina. Il senso è: la droga è da respingere sempre e comunque. Per questo il decreto firmato da Livia Turco era dannoso e diseducativo".

Droghe: Barra (Cri); punire di più lo spaccio, non il consumo

 

Notiziario Aduc, 22 marzo 2007

 

"Il consumo di droga è una tragedia umana di portata planetaria, non un problema per contabili e pesatori". Nel condividere la posizione espressa dal ministro della Salute Livia Turco, il presidente della Croce Rossa Italiana Massimo Barra afferma che "la distinzione tra consumatore e spacciatore non può essere lasciata a un bilancino, ma deve essere valutata a seconda delle circostanze oggettive e soggettive".

Per Barra, "il criterio del peso è banale e fuorviante, addirittura paradossale perché la misurazione del principio attivo, ignota generalmente tanto a chi vende quanto a chi acquista, rischia di favorire i mercanti più disonesti, quelli cioè che, tagliando di più la droga, senza alcuno scrupolo, per guadagnare maggiormente vendono sostanze con meno principio attivo. Problema per laboratori di analisi e avvocati, ma che non cambia lo stato dei fatti".

Ricordando il summit di Roma dei presidenti di società di Croce Rossa e Mezza Luna Rossa, il presidente della Cri ribadisce "la necessità di basare ogni politica antidroga sul rispetto e la compassione nei confronti dei tossicomani e sulla necessità di favorire, anziché ostacolare, il lavoro delle strutture di terapia e recupero".

Droghe: il tossicologo; la nuova cannabis fa danni al cervello

 

Il Messaggero, 22 marzo 2007

 

"Lo spinello fa male. La nuova cannabis è 25 volte più potente e danneggia il cervello". Con questo messaggio l’altro giorno l’Independent ha fatto marcia indietro e ha chiesto scusa ai lettori della campagna per la depenalizzazione dello spinello, lanciata nel ‘97.

E in Italia? "È esattamente la stessa cosa. La cannabis in circolazione è cambiata, rispetto al passato ha una carica di principio attivo molto maggiore. È stata geneticamente modificata, nelle coltivazioni nasce con percentuali più elevate di tetracannabinolo", lo dice il tossicologo Enrico Malizia, ordinario dell’Università "La Sapienza " di Roma.

"Le piante sono state trasformate - avverte Malizia - e hanno una quantità superiore di sostanza attiva. Ecco perché gli effetti sono cambiati. Molti sintomi di schizofrenia, di dissociazione psichica, vengono dall’uso della cannabis potenziata. Il fenomeno non riguarda solo l’Italia. Questo tipo di cannabis è diffuso in tutto il mondo.

In Danimarca hanno fatto uno studio molto serio da cui risulta che su cento casi di schizofrenia settanta erano legati all’uso della sostanza. I disturbi psichici, dunque, possono essere molto gravi. Schizofrenia, riflessi alterati e indeboliti, dissociazione, fobie e in certi casi allucinazioni, come accade con l’uso degli acidi".

Ma quale la percentuale di principio attivo contenuta negli spinelli? "Varia dal 18 al 30 percento, con una media che si attesta intorno al 24 per cento". L’allarme sulla cannabis modificata non è nuovo. Due anni fa nella presentazione del rapporto al Parlamento un altro tossicologo, Gilberto Gena, allora membro del Dipartimento antidroga, spiegò che le cose erano cambiate.

"Si tratta di "super-spinelli" - disse allora Gena - che per avere simili concentrazioni probabilmente provengono da piante geneticamente modificate. Ovviamente non è escluso che ci siano altre manipolazioni, compresa quella che i narcotrafficanti possano tagliare in modo diverso la cannabis. Il problema non è da sottovalutare, le conseguenze per gli adolescenti, i giovani in genere, sono serie. Questo tipo di "erba" potenziata danneggia il sistema cognitivo e modifica profondamente aspetti della personalità".

Dello stesso parere Carmelo Fumali, tossicologo dell’Università Tor Vergata, che ha studiato gli effetti della sostanza. "Nei paesi dove viene coltivata liberamente - sostiene Fumali - danno un premio a chi produce la pianta con maggiore concentrazione di tetracannabinolo. La percentuale di principio attivo è perlomeno decuplicata, si tratta dello "skunk", il tipo di cannabis di cui parla l’Independent, ma esiste anche una variante che sul mercato si chiama "heads", sta ad indicare le teste, ovvero le infiorescenze più ricche di resine e quindi più cariche di sostanza.

Tutta la documentazione scientifica in nostro possesso dice che gli effetti sulla psiche dei consumatori possono essere molto gravi, soprattutto se si tratta di giovani". Ma da ieri il ministro Ferrero ipotizza tabelle differenziate: "Abbiamo proposto - dice il ministro - più tabelle per famiglie di droghe e per pericolosità delle sostanze".

 

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