Rassegna stampa 3 maggio

 

Giustizia: Mastella; un pdl per riformare il "carcere duro"

 

Asca, 3 maggio 2007

 

La riforma del cosiddetto carcere duro, il 41 bis, per i boss di mafia potrebbe contenere un innalzamento della durata del cosiddetto "regime speciale". È quanto ha fatto intendere il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, che, nel corso di un’audizione alla Commissione parlamentare antimafia, ha annunciato un prossimo ddl governativo.

Secondo Mastella i tempi del 41 bis potrebbero essere allungati a tre anni e prorogabili per periodi successivi di durata non inferiori ai 2 anni. Tempi questi, ha spiegato il guardasigilli, che consentirebbero "giudiziariamente e amministrativamente di meglio gestire il carcere duro con una cadenza più distanziata nei rinnovi della misura".

Un altro problema che potrebbe trovare una soluzione in una prospettiva di riforma, ha poi aggiunto Mastella, è quello di "evitare la possibilità, oggi assai concreta, di un intervento giudiziario modificativo del contenuto delle misure adottate". In questo senso, il reclamo dovrebbe riguardare soltanto la legittimità del provvedimento di applicazione.

"I miei uffici - ha poi aggiunto Mastella in Commissione antimafia - hanno approfondito unitamente alla direzione nazionale antimafia, la possibilità che la normativa potrebbe addirittura sganciare il provvedimento dall’esigenza del controllo sull’attualità dei collegamenti con l’esterno, fissandone i requisiti nella pericolosità del soggetto, desumibile da una serie di indicatori" come l’operatività attuale della cosca di appartenenza, l’esistenza di latitanti o la scarcerazione di soggetti che in precedenza hanno trovato periodi di detenzione nello stesso istituto.

Anche per quanto riguarda l’inapplicabilità o il mancato rinnovo del regime del 41 bis questo, si sta pensando, dovrà poter avvenire solamente in presenza di elementi specifici e concreti in grado di supportare il convincimento del venir meno della pericolosità sociale del detenuto e della capacità di mantenere collegamenti con l’esterno. Comunque, ha concluso, il ministro Mastella, qualunque tipo di riforma del carcere duro dovrà avvenire con il massimo del consenso di Parlamento e magistratura.

"Subito dopo l’entrata in vigore della nuova legge sul 41 bis, e quindi a partire dal 2003, si è registrato - ha spiegato il Guardasigilli - un forte incremento dei ricorsi, e, parallelamente, una maggiore incidenza degli annullamenti dei provvedimenti applicativi". Per questo, ha detto il Guardasigilli per motivare la presentazione del ddl di riforma del carcere duro, si rende necessario un provvedimento di riforma della materia, di cui Mastella ha illustrato le linee principali, affidando poi all’Antimafia "il compito di discutere ed avanzare proposte".

In primo luogo, per Mastella "la durata del regime speciale potrebbe essere utilmente portata a tre anni (oggi è di un anno, ndr) prorogabili per periodi successivi di durata non inferiore ai due anni". "La persistenza e il radicamento sul territorio delle organizzazioni criminali di tipo mafioso, insieme con la permanenza della possibilità di collegamento con l’esterno di sodali, pure detenuti ma non usciti con certezza dal consorzio criminale di appartenenza, rendono ragionevole ed opportuna, oltre che giudiziariamente ed amministrativamente meglio gestibile, una cadenza più distanziata nei rinnovi della misura", ha argomentato. Ovvio che - e Mastella lo ha detto - se dovessero venir meno, "per qualunque sopravvenuta circostanza", le "condizioni legittimanti" del provvedimento applicativo, "quest’ultimo potrà essere revocato, anche prima della scadenza e d’ufficio, dallo stesso ministro della Giustizia".

"Altro problema che può trovare esplicita soluzione in una prospettiva di riforma - ha continuato Mastella - è quello di evitare la possibilità di un intervento giudiziario modificativo del contenuto delle misure adottate". Per Mastella, infatti, il "reclamo deve riguardare soltanto la legittimità del provvedimento di applicazione, nel senso che il Tribunale potrà accogliere o rigettare ma non modificare il provvedimento, aumentando, ad esempio, il numero dei colloqui, le ore di socialità o il numero dei pacchi". "Non trattandosi evidentemente di appello o di riesame, il reclamo - ha spiegato il ministro - deve vertere esclusivamente sulla sussistenza dei requisiti per l’applicazione o la proroga del provvedimento ministeriale".

Secondo Mastella, con la riforma del 41 bis si può "perfezionare" il sistema precisando "normativamente che il regime speciale può essere applicato, ove ne ricorrano le altre condizioni, agli autori dei reati previsti all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario "anche ove tali reati non costituiscano titolo di attuale detenzione". Si risolverebbe così - ha detto il ministro - il problema dello scioglimento del cumulo giuridico dei reati oggetto di condanna".

"Credo inoltre - ha aggiunto il ministro proseguendo nella spiegazione delle linee guida della riforma che intende proporre - che le complessive performance del sistema, sia in sede di prima applicazione, del regime, che al momento dei suoi successivi rinnovi, potrebbero essere sostanzialmente migliorate riconoscendo autonomi poteri di istruzione, proposta e impugnazione, alla Dna e alle Dda territorialmente competenti".

"Allo stesso modo - ha detto ancora Mastella - mi sembra opportuno estendere l’applicabilità delle disposizioni sulla partecipazione al processo per videoconferenza anche al procedimento di reclamo avverso il provvedimento ministeriale di adozione o rinnovo del regime. Identiche ragioni di sicurezza ed economia rispetto al processo ordinario rendono infatti del tutto ragionevole prevedere questo meccanismo anche per il procedimento di reclamo, il quale vede protagonisti soggetti di grande pericolosità".

"Infine - ha concluso il ministro - è opportuna l’introduzione, richiesta da ultimo anche dalla Dna, di una norma sanzionatoria per chiunque ponga in essere comportamenti diretti a tenere o consentire collegamenti tra il detenuto sottoposto al 41bis e gli ambienti esterni. Infatti, nel caso di comportamenti del genere risultano inapplicabili al detenuto o ai suoi congiunti le fattispecie del favoreggiamento personale o della procurata inosservanza di pena".

Opg: Antigone, tra domani e dopodomani, li visita tutti e sei

 

Associazione Antigone, 3 aprile 2007

 

In occasione dell’avvio dei lavori dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione in Italia per l’anno 2007, nei giorni 4 e 5 maggio l’Associazione Antigone visiterà tutti gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto). La scelta di partire dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari si giustifica in ragione delle condizioni drammatiche di vita all’interno degli istituti suddetti e della necessità di una soluzione e del loro definitivo superamento. La delegazione di Antigone che visiterà gli Opg di Aversa e Napoli incontrerà la stampa all’uscita dell’istituto di Napoli il giorno 4 maggio alle ore 14.00.

Lettere: Mario, internato nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto

 

www.radiocarcere.com, 3 maggio 2007

 

Ho 56 anni e sono qui non so più da quando. Io ho dimenticato quello che ero... lavoravo sì, sì. Mò fuori non c’ho nessuno e allora sto qui... mi lasciano qui dentro: nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto. Sò anni che sto qui, sò un po’ un veterano. Non mi fanno più certe cose... hanno smesso di mettermi nel letto di contenzione, non mi legano più... ma io, io li vedo ancora quei ragazzi che stanno legati a quei letti per giorni e giorni. Letti strani, c’hanno un buco nel materasso per fare la cacca e la pipì. E le fasce per legarti. Stai legato lì finché non ti passa... la chiamano cura... io vedo gente legata a quei letti per giorni, imbottita di psicofarmaci e sporca di merda... sono persone? ...no!

Scusa sa se scrivo male, ma ho dovuto sputà la pasticca per scrivere, quella ti fa dormire. Io volevo scrivere a Radio Carcere. Qui tutto è vecchio e sporco. Muri che cadono a pezzi, uomini che cadono a pezzi. La notte sento urla che conosco poi... i farmaci, il sonno... non ti risvegli mai.. è nà giostra.

Grazie a un prete mangiamo un po’. Perché l’opg non ha soldi per darci da mangiare a sufficienza... far mangiare a noi matti con 3 euro a settimana... poi siamo noi i matti, vero? Quando finisci dentro un Opg, hai finito la vita... ogni tanto qualcuno di noi si ricorda di quello che è... allora sbatte la testa contro il muro, o si taglia le braccia... altri cercano di impiccarsi. Non lasciateci vivere così...

 

Mario, dall’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto

Lazio: il Consiglio avvia esame della legge su diritti dei detenuti

 

AGS Media, 3 maggio 2007

 

La prima legge regionale organica che sancisce e disciplina i diritti della popolazione detenuta nelle carceri del Lazio è da pochi minuti in discussione nel Consiglio Regionale del Lazio, presieduto da Massimo Pineschi. Si tratta di un testo che è passato al vaglio di molte commissioni, che l’hanno esaminata ciascuna per la parte di sua competenza, e che oggi ha ottenuto il parere favorevole della commissione Bilancio, presieduta da Claudio Mancini (Ds), riunitasi prima della seduta del Consiglio.

Aveva già dato parere favorevole la commissione Politiche sociali, presieduta da Maria Antonietta Grosso (Pdci). Primo firmatario della proposta di legge è l’assessore al Bilancio Luigi Nieri, ma è stata firmata anche da altri esponenti di Rifondazione comunista. Numerosi gli emendamenti da parte di consiglieri della maggioranza e dell’opposizione. La fase dell’esame della legge da parte delle commissioni è stata caratterizzata da un ampio confronto con operatori della sanità, ma anche con la popolazione detenuta, che è stata coinvolta sui contenuti della legge durante il giro delle carceri del Lazio effettuato dalla commissione Sicurezza e lotta alla criminalità, presieduta da Luisa Laurelli (Ds).

Nel testo esaminato oggi dal Consiglio, ha rilevanza l’aspetto sanitario della condizione carceraria. La relazione introduttiva l’ha svolta Luisa Laurelli, che ha ricordato il lungo iter di preparazione del testo approdato in Aula oggi. "Si tratta di una legge non demagogica, che sta con i piedi a terra e che si rivolge a persone fragili per le loro esperienze personali, per le quali la detenzione è una condizione difficile, che andava affrontata nella sua complessità. Nel Lazio siamo passati da circa 60 mila detenuti a circa 30 mila, per effetto dell’indulto. Pertanto abbiamo operato una ricalibratura di alcune norme contenute nella legge, essendo venuta meno l’emergenza del sovraffollamento".

Luisa Laurelli ha ricordato che c’è stato una concertazione anche con il Governo nazionale: "Il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi ci ha incoraggiato ad andare avanti su questa strada". Luisa Laurelli ha evidenziato come nella condizione carceraria uno dei diritti più importanti e difficili da garantire è il diritto alla salute. "Questa legge intende seguire i detenuti dal punto di vista sociale, aiutandoli anche in percorsi di studio. Intende dare loro delle possibilità per poter costruire un futuro, una volta usciti dal carcere.

Tra gli impegni concreti, c’è il problema di garantire il personale sufficiente agli istituti penitenziari, personale che vive condizioni analoghe a quelle degli stessi detenuti. Nelle carceri manca poi la figura del mediatore culturale, indispensabile visto che circa un terzo dei detenuti è costituito da cittadini extracomunitari". La Presidente della commissione Sicurezza e Lotta alla criminalità ha poi ricordato l’impegno della Regione, onorato con questa legge, sul fronte della formazione. Ha poi ricordato i due reparti ospedalieri che hanno come mission la cura dei detenuti, uno a Belcolle a Viterbo, l’altro presso il "Pertini" a Roma.

"Siamo l’unica Regione, assieme alla Lombardia, ad avere questi mini-reparti. Il problema è oggi di estendere l’utilizzazione di queste strutture da parte di detenuti di altre Regioni, per evitare che restino letti vuoti. Ciò implicherà un contributo finanziario per questo servizio offerto ad altre Regioni". Luisa Laurelli ha poi detto che le strutture carcerarie del Lazio sono mediamente buone, con criticità a Latina e a Paliano.

Il carcere di Paliano potrebbe essere trasformato in museo, non essendo adatto per ospitare detenuti, trattandosi di un vecchio immobile medievale. "Le carceri non sono luoghi adatti a ospitare bambini al seguito di mamme detenute, perché resterebbero segnati per tutta la vita. Riteniamo che le mamme detenute con figli debbano espiare la pena in altre strutture, case-famiglia vigilate". Luisa Laurelli ha infine annunciato che è quasi pronta la relazione finale della commissione sulle visite effettuate in tutte le carceri del Lazio. Da questa relazione si svilupperà il dibattito e quindi si avvierà la votazione sulla legge

Sardegna: 1.700 indultati; 70 in un progetto d'inclusione sociale

 

Sardegna Oggi, 3 maggio 2007

 

Sono 1.752 i detenuti che hanno beneficiato dell’indulto in Sardegna al primo settembre 2006: di questi, 70 saranno coinvolti nel progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto" di reinserimento lavorativo promosso dai ministeri del Lavoro e di Giustizia in 14 città, tra cui Cagliari, con un finanziamento di 11 milioni e 500 mila euro in ambito nazionale.

Analizzando i dati sardi sull’indulto emerge che ne hanno usufruito 985 detenuti nelle carceri dell’isola e 767 sottoposti a regimi alternativi alla reclusione. Di questi ultimi 446 ricadono sotto la competenza dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (Uepe) della Provincia di Cagliari, e in particolare 348 sono anche residenti nella stessa provincia (203 a Cagliari e 63 a Quartu). Cagliari è tra le 14 aree metropolitane italiane inserite nel progetto che coinvolgerà in tutta Italia 2.000 ex detenuti. Le altre città sono Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia.

"Al progetto collaborano anche le Province che - ha osservato il presidente Graziano Milia - attraverso i centri servizi per il lavoro (CSL), favoriranno l’incontro tra domanda e offerta coinvolgendo le imprese che dovranno dare la loro disponibilità per l’avvio di tirocini formativi della durata di 6 mesi, preliminari alla riqualificazione professionale di coloro che hanno usufruito dell’indulto".

La Provincia di Cagliari avvierà inizialmente 70 tirocini e potrà arrivare a un numero massimo di 140 tirocini. "Non sarà facile individuare i 70 tirocinanti di cui conosciamo solo il domicilio - ha detto l’assessore al Lavoro, Maria Carla Floris - Cercheremo di avviare contatti con il mondo dell’agricoltura, le cantine vinicole e con i settori del mondo produttivo dove pensiamo ci siano maggiori possibilità di inserimento per coloro che hanno beneficiato dell’indulto".

Il progetto non prevede solo misure di sostegno al reddito per i beneficiari del Progetto, che potranno contare su 450 euro mensili per 6 mesi, ma anche incentivi economici per le aziende coinvolte, che riceveranno un contributo di 1.000 euro per le attività di formazione, a fronte di un’assunzione a tempo determinato da 12 mesi in poi o a tempo indeterminato. Qualora un’azienda dovesse assumere un tirocinante prima della fine del suo percorso formativo, i contributi mensili per i mesi di tirocinio non svolti andranno all’impresa stessa.

Palermo: mafia più forte dello Stato per il 71% degli studenti

 

L’Unità, 3 maggio 2007

 

La mafia è più forte dello Stato. Ne sono convinti i ragazzi del liceo "Giovanni Meli" di Palermo. Tantissimi (71,9%). Un po’ meno, ma sempre tanti (66,7%), se hanno partecipato al "Progetto educativo antimafia" recentemente organizzato dal Centro Pio La Torre. Pensano al voto di scambio e alle varie forme di connivenza o collusione in base a cui "lo Stato permette alla mafia di esistere".

Qualcuno - c’è da scommetterci - cercherà di svalutare l’opinione dei ragazzi accusandoli di radicalismo, immaturità, superficialità... Si dà il caso, invece, che i ragazzi di oggi leggano (specie su internet) un sacco di roba, tanto da essere - spesso - ben informati. In ogni caso, la loro percezione della forza mafiosa e della debolezza dello Stato va confrontata con alcune vicende degli ultimi 15 anni (naturalmente mi riferisco ai fatti, non all’evaporazione di essi che la black propaganda cerca di contrabbandare).

I fatti sono questi. La stagione di grande tensione seguita alle feroci stragi del 1992 ha determinato, anche fra i giudici, una crescita di attenzione alla complessità del fenomeno mafioso e alla sua non riducibilità esclusivamente alla cosiddetta "ala militare". Di qui l’apertura (anche) di procedimenti a carico di imputati "eccellenti" appartenenti alla borghesia politica, imprenditoriale e professionale (cioè a settori che da sempre, secondo le analisi più accreditate, hanno un ruolo centrale nella storia della mafia).

Ovviamente non in base a teoremi politico sociologici ma a precise emergenze probatorie, valutate con serietà e senza timidezze. Le cosiddette "relazioni esterne" sono, infatti, lo specifico della mafia rispetto alle altre organizzazioni criminali. Se si indagasse soltanto sulla faccia "illuminata" del pianeta mafia, e non anche sulla sua parte "in ombra", si garantirebbe l’impunità al vero perno della potenza mafiosa.

Ma l’abbandono dell’antico, consolidato sistema (ammettere in teoria i rapporti fra mafia e politica per negarli poi nella prassi giudiziaria) non è stato indolore: pur di scongiurare il salto qualitativo nell’azione di accertamento dei legami e delle collusioni con Cosa Nostra, lo Stato (o, più esattamente, alcuni suoi rilevanti settori) ha preferito tirare il freno e si è così persa una grande occasione di vincere la guerra con la mafia.

Le tappe di questa strategia rinunciataria sono note: la definizione della ricerca della verità come inaccettabile "cultura del sospetto"; l’accusa a pubblici ministeri e giudici di costruire teoremi per ragioni politiche; la delegittimazione pregiudiziale dei "pentiti" di mafia, intrecciata con l’insinuazione di un loro scorretto rapporto con gli inquirenti (diffusa già ai tempi del "pool": chi non ricorda le ironie sul fatto che Falcone portasse cannoli a Buscetta?).

Alla fine, si è inscenato un vero e proprio processo alla stagione giudiziaria che ha seguito le stragi del ‘92, deliberatamente ignorando gli imponenti risultati investigativi e processuali ottenuti in questi anni. Il problema da risolvere ( invece che i mafiosi ed i loro complici) sono diventati... i magistrati antimafia. E questo vergognoso andazzo continua tutt’ora, favorendo quella che Francesco La Licata, in un suo vecchio libro, ha chiamato la "cultura dell’amnesia" propria del "partito dell’oblio": con sullo sfondo la "scelta del quieto vivere che storicamente sta alla base del successo di Cosa Nostra".

È difficile, allora, dire che i ragazzi del liceo "Meli" prendono cantonate se percepiscono in un certo modo i rapporti fra Stato e mafia. Forse non lo sanno, ma la pensano come uno dei più autorevoli storici della mafia, Salvatore Lupo, che spesso ha sostenuto esservi addirittura una "richiesta di mafia" nel nostro Paese, presente in parti della società civile, dell’imprenditoria, della politica, del sistema economico-finanziario e delle istituzioni.

Al punto che, secondo Lupo, i positivi risultati nel contrasto alla mafia sono stati ottenuti non dallo Stato - che anzi avrebbe ampiamente ostacolato il lavoro svolto da altri - ma da esponenti, minoritari in tutti e tre in settori, dell’opinione pubblica, della politica e delle istituzioni (il che spiega perché tali positivi risultati siano fin qui stati non definitivi ma solo ciclici). Dunque, perché i ragazzi del "Meli" cambino idea, occorre che questa minoranza diventi finalmente maggioranza. Un traguardo, purtroppo, che non sembra vicino.

Campobasso: progetto per combattere emarginazione sociale

 

Il Tempo, 3 aprile 2007

 

Favorire l’inclusione di tutti i cittadini, anche di quelli posti normalmente ai margini della società, perché tossicodipendenti, alcolisti, ex detenuti o perché semplicemente considerati diversi, nelle diverse accezioni che questo termine comporta. Un obiettivo perseguito nel progetto "Percorsi di inclusione", promosso dal Gal Molise verso il 2000 e curato dalla cooperativa Sirio, che sarà illustrato lunedì in un convegno a Campobasso, alle 16,30 alla biblioteca Albino, e del quale oggi saranno forniti i dettagli in una conferenza stampa.

La comunicazione e la necessità di promuovere forme di accesso alle informazioni sarà uno dei temi centrali dell’incontro, nel corso del quale sarà anche presentato un Cd rom realizzato per l’occasione. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di sostenere le persone svantaggiate, nella delicata fase dell’inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro e nella società. Previste le testimonianze di uno dei responsabili del Cels, Centro italiano di solidarietà di Roma, mentre Riccardo Salas racconterà l’esperienza di operatori che, sulle orme di Don Picchi, sono in tutto il mondo opportunità di cambiamento.

Cagliari: giornata sul carcere, il teatro e l’inclusione sociale

 

Redattore Sociale, 3 aprile 2007

 

Il 12 maggio due appuntamenti organizzati da Laboris, laboratorio per l’orientamento e l’inserimento sociale e dalla comunità la Collina Onlus di Serdiana, con la collaborazione dell’Isfor Api e della Regione. Una giornata dedicata al carcere, al teatro e all’inclusione sociale. A Cagliari il 12 maggio due appuntamenti organizzati da Laboris, laboratorio per l’orientamento e l’inserimento sociale e dalla comunità la Collina Onlus di Serdiana, con la collaborazione dell’Isfor Api e della Regione Autonoma della Sardegna.

Alle 16,30, nella sala conferenze della Sardafidi a Elmas, si terrà il seminario "Carcere, teatro, inclusione sociale", moderato da don Ettore Cannavera, presidente e fondatore della comunità La Collina. Al convegno prenderanno parte, tra gli altri, Patrizia Patrizi, professore straordinario di Psicologia Sociale dell’Università di Sassari, Giuseppe Zoccheddu, direttore dell’Istituto penale minorile di Quartucciu, Antonio Turco funzionario Area Pedagogica della Casa di Reclusione di Rebibbia di Roma e Antonio Lauritano regista di Rai Utile.

Subito dopo la chiusura dei lavori, la serata si concluderà all’teatro Alfieri di Cagliari con "Tutti i colori della notte", lo spettacolo della compagnia "Stabile Assai" della casa di reclusione di Rebibbia. Si tratta di una piece dedicata ai temi della notte e alle suggestioni che evoca, un viaggio lungo secoli dell’emarginazione. Le paure , le ansie , le attese , le speranze sono al centro di rappresentazione che si dipana attraverso testi poetici e monologhi e brani musicali. Lo spettacolo propone un suo itinerario emotivo. I luoghi della memoria sono quelli della storia, dell’amore, della follia, dell’emarginazione. Tutte le citazioni sono accompagnate da una colonna sonora, in cui emergono alcuni brani inediti della compagnia. I colori della notte sono tinte cupe di melanconia, disperazione agonia per la solitudine a cui l’uomo è condannato e per la perdita di una libertà che non esiste o che si paga al prezzo della vita. La storia della compagnia "Stabile Assai", la più antica compagnia teatrale penitenziaria italiana, risale al 1982. Al 5 Luglio la data di esordio al Festival di Spoleto con la messa in scena di "Sorveglianza Speciale" di Jean Genet. Gli attori sono perlopiù non professionisti, fra cui detenuti, ex detenuti e d operatori penitenziari.

Roma: in mostra i mosaici realizzati dai detenuti di Rebibbia

 

Roma Sette, 3 aprile 2007

 

Si apre martedì 8 maggio presso la dépendance della Casina delle Civette a Villa Torlonia la VII edizione de "L’Arte del Mosaico". In mostra fino al 13 maggio ci saranno copie di decorazioni romane ispirate da capolavori ritrovati lungo tutto il bacino del Mediterraneo, ma anche interpretazioni e dettagli di opere di artisti contemporanei come Capogrossi, Klee ed Escher.

In tutto oltre 75 manufatti di artigianato artistico. Opere individuali e collettive, realizzate nell’ultimo anno dai 50 alunni della Scuola di Mosaico di Gianfranco Romani che frequentano il Centro territoriale permanente per l’educazione degli adulti, ma anche dai 25 corsisti detenuti della Terza Casa per tossicodipendenti e Casa di reclusione maschile del carcere di Rebibbia. L’esposizione infatti è il risultato di un progetto a cura del secondo Centro territoriale permanente per l’educazione degli adulti realizzato con il patrocinio dell’Ufficio scolastico regionale del Lazio e con il sostegno tecnico del III municipio, dove ha la sua sede centrale la Scuola di Mosaico nata nel 1993 da un’idea del docente di educazione artistica Gianfranco Romani proprio presso la Terza Casa Circondariale di Rebibbia.

Nel corso degli anni, spiegano alla Scuola, "questa attività si è rivelata una vera e propria opportunità di lavoro: una fonte di sostentamento importante per i detenuti e per le loro famiglie, in grado di rispondere sia al bisogno di formazione degli adulti che a quello di inserimento professionale". Come è stato per Mario, Sergio e Vincenzo, che in regime di semi-libertà hanno ottenuto un contratto a tempo indeterminato presso uno studio privato con la qualifica di mosaicisti. Oggi all’interno di Rebibbia sono attivi due laboratori nei quali i detenuti hanno trovato spazio per esprimere la loro fantasia e creare minuziose opere d’arte, e due nella sede centrale. La mostra rimarrà aperta dal martedì alla domenica, dalle 9 alle 19. Per informazioni: tel. 06.82059127, tutti i giorni dalle 9 alle 13.

Nisida: quando con il cinema si racconta il carcere minorile

 

Asca, 3 aprile 2007

 

Oggi, alle ore 20.30, nell’ambito degli eventi organizzati in occasione della conferenza internazionale sull’esclusione sociale dei minori indetta a Firenze dall’Istituto degli Innocenti (3 - 5 maggio 2007) per il progetto Childinclusion, presso il Cinema Ciak verrà proiettato, a cura di CAMeRA e del Festival dei Popoli, Nisida. Grandir en prison (Nisida. Crescere in prigione), un documentario di Lara Rastelli.

Il film racconta le storie di Enzo, Rosario e Samir, tre ragazzi detenuti nel carcere minorile di Nisida, a Napoli. L’istituto di pena ospita circa quaranta adolescenti di varie nazionalità e di età compresa tra i quattordici ai ventuno anni, detenuti per i reati più diversi: si tratta di un piccolo mondo fuori dal mondo, situato per l’appunto su un’isola unita alla terraferma soltanto da uno strettissimo istmo, un luogo vicinissimo al caos della città, ma allo stesso tempo isolato da esso. Seguendo i ragazzi nella quotidianità delle loro giornate per un arco di tempo di circa due anni, la regista esamina uno degli aspetti più controversi della carcerazione, di quella minorile a maggior ragione, ovvero la rieducazione e il recupero del condannato per un positivo reinserimento nella società al termine della pena. Con il volto sempre coperto da maschere che ne tutelano l’identità, i ragazzi raccontano il proprio passato, riflettono sulla loro condizione presente, soprattutto sul significato della loro detenzione, nonché sulle modalità concrete e sulla possibilità di un loro "recupero", provano a immaginare un futuro migliore sul quale, tuttavia, gravano i pesanti handicap dovuti a una condizione sociale svantaggiata comune a tutti loro.

Nisida. Grandir en prison ha ricevuto grande apprezzamento da parte del pubblico e della critica alla 29° edizione del festival Cinéma du réel tenutosi a Parigi nel marzo scorso ed ha ottenuto una Menzione speciale dalla giuria del 2° Alba International Film Festival (29 marzo - 4 aprile 2007).

Cagliari: il 9 maggio reading di Italo Svevo nel carcere di Isili

 

Sardegna Oggi, 3 aprile 2007

 

Ci sarà anche la Sardegna alla prestigiosa "Maratona europea di lettura", prevista mercoledì prossimo in nove nazioni europee: dalla Bulgaria alla Finlandia, dalla Grecia alla Polonia, dalla Romania, alla Serbia, dalla Spagna al Regno Unito, passando appunto per l’Italia, dove la manifestazione si svolgerà a Verona e - in via del tutto eccezionale - anche all’Istituto penitenziario di Isili.

Per tutta la giornata del 9 maggio all’interno del carcere sardo ci sarà la lettura del romanzo "La coscienza di Zeno", il capolavoro di Italo Svevo, probabilmente l’autore italiano più europeo del Novecento. L’iniziativa - presentata stamattina a Cagliari dall’assessore regionale ad interim della Cultura, Carlo Mannoni, e da Carlo Porcu, direttore del penitenziario, è organizzata sin dal 2002 dalla Fondazione Aida di Verona, che questa volta ha voluto coinvolgere anche l’isola, e in particolare la colonia penale agricola di Isili.

"Questo perché - ha spiegato Porcu con un certo orgoglio - l’anno scorso il nostro istituto si è distinto particolarmente ospitando una manifestazione chiamata ‘Lettura liberà, che coinvolgeva in prima persona detenuti, educatori, bibliotecari, scrittori e personaggi dello spettacolo".

Un riconoscimento, dunque, al lavoro di avvicinamento alla lettura di una fascia di pubblico generalmente trascurata, come quella di chi deve scontare una pena in carcere. Entusiasmo anche da parte dell’assessore Mannoni: "Mi ha davvero sorpreso - ha detto - capire quante cose utili e formative si possono fare coinvolgendo i detenuti".

Al reading di mercoledì prossimo parteciperanno anche attori, registi e musicisti sardi con il compito di intervallare la lettura del libro con momenti di spettacolo musicale e teatrale, sempre inerenti al testo. Scelta dagli stessi detenuti, anche la frase a loro avviso più significativa del romanzo di Svevo: "La vita non è né brutta né bella, ma è originale".

Napoli: grazie alla Caritas arrivano gli "Avvocati di strada"

 

Comunicato stampa, 3 aprile 2007

 

La Caritas Diocesana di Napoli in questi ultimi anni, di fronte ad una progressiva emersione di nuove forme di povertà e di marginalità, ha indirizzato la propria azione anche nei confronti delle persone senza dimora cercando di fornire loro, oltre ai più elementari servizi di prima accoglienza, un minimo di supporto informativo sulle possibilità di tutela dei loro diritti.

Ritenuto opportuno e necessario inserire nell’ambito delle proprie attività anche un servizio di assistenza legale a favore di detti soggetti, sono stati contattati alcuni avvocati del Foro di Napoli per avviare anche in questa città il progetto "Avvocato di strada", il cui scopo principale è fornire alle persone senza fissa dimora una tutela giuridica qualificata ed organizzata sotto forma di volontariato ed in modo del tutto gratuito.

Il progetto "Avvocato di Strada" è stato già avviato ed è operativo in diverse città italiane come Bologna, Bari, Bolzano, Ferrara, Foggia, Lecce, Padova, Pescara, Reggio Emilia, Rovigo, Taranto, Trieste, Verona e Venezia con la creazione, nell’ambito di diverse strutture associative no profit, di uno "sportello" che coordina e gestisce l’attività di informazione e di assistenza legale ai soggetti senza fissa dimora.

Anche lo Sportello di Napoli si avvarrà della collaborazione di alcuni avvocati che hanno già segnalato la loro disponibilità e di quanti altri eventualmente vorranno farlo, oltre che della collaborazione di qualsiasi altro soggetto che vorrà condividere lo spirito e le finalità dell’iniziativa.

Droghe: Chiamparino; norme più severe contro lo spaccio

 

Notiziario Aduc, 3 aprile 2007

 

Contro "chi vende droga servono misure più drastiche ma deve anche diminuire il consumo, altrimenti chi reprime si trova a svuotare il mare con un cucchiaio". È la riflessione alla quale il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, ha invitato oggi gli studenti del prestigioso liceo D’Azeglio, che ha incontrato nell’aula magna dell’istituto.

In quasi due ore di relazione e poi di confronto con i giovani, il sindaco ha affrontato molti temi d’attualità, dalla sicurezza al Partito Democratico, dalla Tav alla legge sull’immigrazione. E ha invitato i ragazzi a trarre insegnamento dalla lezione olimpica. "Il coraggio di investire in sfide impegnative paga quando si fa uno sforzo e si getta il cuore oltre l’ostacolo, si scopre, come ha fatto Torino durante i Giochi, di avere risorse maggiori rispetto a quanto si pensava".

Grazie all’Olimpiade Torino ha scoperto la sua vocazione turistica, ma sotto la Mole restano problemi legati all’immigrazione e alla sicurezza, preoccupazioni esternate dai liceali: "Abbiamo chiesto al ministro Amato più agenti e la nuova legge sull’immigrazione sta nascendo bene: permetterà a chi lavora di non vivere nell’illegalità e consentirà di essere più determinati nei confronti di chi esercita attività illegali. Ma dobbiamo ripensare al problema della droga - ha aggiunto il sindaco di Torino - perché tutta l’illegalità ruota attorno al commercio e al consumo di sostanze stupefacenti. Serve una revisione legislativa, misure più severe, ma potrebbero non bastare se il consumo di droghe di ogni ordine e grado continuerà a crescere".

Droghe: positività epatite "C" per 60% dei tossicodipendenti

 

Notiziario Aduc, 3 aprile 2007

 

Dopo il flagello dell’Aids, l’epatite da Hcv è la patologia più importante nei soggetti che fanno uso di droghe, con una percentuale di positività - molto più elevata rispetto alla restante popolazione - che raggiunge il 60%.

Due ricercatori catanzaresi, il prof. Vincenzo Guadagnino, Direttore della Cattedra di Malattie Infettive dell’Università "Magna Graecia" di Catanzaro, e il dott. Franco Montesano, attualmente direttore sanitario dell’Azienda sanitaria 7, ma con lunga esperienza nel settore delle tossicodipendenze, hanno per primi affrontato questa problematica, proponendo adeguati e concreti interventi nel settore specifico.

Oggi, il loro lavoro, frutto di una esperienza e di una collaborazione reciproca ormai quasi ventennale, è stato oggetto di una importante pubblicazione monotematica sulla prestigiosa rivista nazionale di Medicina delle Tossicodipendenze "The Italian Journal of the Addiction".

Quando i due ricercatori iniziarono a collaborare per curare l’epatite C dei tossicodipendenti era davvero difficile superare i preconcetti e le diffidenze che la stessa classe medica nutriva nei confronti di questi giovani; nella maggior parte dei sanitari era diffusa la percezione che il trattamento del tossicodipendente fosse inevitabilmente destinato all’insuccesso, per cui "tanto valeva lasciar perdere".

Il lavoro pubblicato riporta i risultati degli ultimi cinque anni di un progetto nazionale, partito dalla Calabria, denominato "Nocchiero". Lo studio "Nocchiero" si è rivelato così importante da essere esteso ad altri Ser.T. della Calabria e d’Italia, configurandosi come un vero e proprio studio multicentrico. I risultati pubblicati comprendono 169 utenti tossicodipendenti, in trattamento sostitutivo nei Ser.T. di riferimento, con una età media di 32,5 anni, affetti da epatite cronica da virus C. La durata media della tossicodipendenza per via endovenosa era risultata di 100,3 mesi mentre la presunta durata media dell’epatite C era di 55,7 mesi.

Il 58,% dei soggetti ha risposto positivamente al trattamento (contro una media assai più bassa nella popolazione generale attorno al 20%), ed è risultata sieronegativa anche a distanza di tempo, in follow-up. Il lavoro scientifico ha dimostrato innanzitutto che è possibile curare i soggetti tossicodipendenti affetti da epatite C e che è necessario iniziare il trattamento precocemente in quanto, per la loro giovane età, il periodo relativamente breve di malattia e per le caratteristiche genotipiche del virus infettante, la risposta alla terapia specifica è migliore rispetto alla popolazione normale.

Alla ricerca sperimentale multicentrica, coordinata da Guadagnino, hanno preso parte i Sert calabresi di Soverato, Catanzaro, Corigliano, Cosenza, Crotone, nonché i Ser.T. di Tarquinia, Viterbo, Civitacastellana, Enna, Benevento e Sassari; inoltre, hanno collaborato le Unità di Malattie Infettive delle Aziende Ospedaliere di Benevento, Cosenza, Enna, Crotone, Sassari, Viterbo, l’Istituto Scientifico "Spallanzani" di Roma, le Cattedre di Malattie Infettive e di Farmacologia dell’Università di medicina "Magna Graecia" di Catanzaro.

 

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