Rassegna stampa 4 maggio

 

Roma: detenuto rumeno si uccide nel carcere di Rebibbia

 

Ansa, 4 maggio 2007

 

Un detenuto romeno di 31 anni, Giorgiu D., si è suicidato tagliandosi la carotide con una lametta nella sua cella nel braccio G11 del carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso. Lo rende noto il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni. L’episodio è avvenuto nel pomeriggio di domenica scorsa, ma solo oggi se ne è avuta notizia. A quanto si è appreso l’uomo era stato trasferito a Roma da circa un mese, proveniente dal carcere di Rieti. Era stato condannato in primo grado per tentato omicidio, aveva un fine pena previsto nel 2013 ed era in attesa dell’appello.

In questo mese al G11 di Rebibbia Giorgiu era in cella con altre due persone. Qualche giorno prima di togliersi la vita aveva sostenuto un colloquio con lo psicologo, il medico di reparto e con l’assistenza di una mediatrice culturale perché non sapeva esprimersi bene in italiano. Domenica scorsa, 29 aprile, Giorgiu ha tentato una prima volta di ferirsi ed è stato portato in infermeria poi, intorno alle 14.00 quando i suoi compagni di cella erano fuori per l’ora d’aria, si è chiuso in bagno e con la lametta si è reciso la carotide. Gli agenti di polizia penitenziaria lo hanno trovato in bagno ed hanno tentato di rianimarlo, ma è stato tutto inutile.

La morte dell’uomo è stata comunicata al consolato Romeno. A cinque giorni di distanza, tuttavia, il corpo è ancora all’obitorio perché in Italia non si trovano né parenti né familiari. "La morte di questo ragazzo colpisce perché è figlia della solitudine - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - Non possiamo imputare nulla, nell’emergenza, agli agenti e al personale del carcere, ma occorre che non si abbassi la guardia sulle problematiche della salute e sulla salute psichiatrica in particolare. Questo è un altro episodio di come vive la popolazione straniera nelle nostre carceri, quasi sempre abbandonata anche dalle proprie istituzioni diplomatiche. Purtroppo gesti di questo genere si ripetono troppo frequentemente".

Giustizia: "scoperti" 2 miliardi di euro in multe non pagate

 

Italia Oggi, 4 maggio 2007

 

Ci sono 2 miliardi di euro "virtuali" sui conti della Giustizia italiana. Ma non rendono nulla o quasi. Ce ne sono ben di più nelle tasche di cittadini condannati a pagare pene pecuniarie che nessuno però si presenta a chiedere. Con quei soldi il ministero della giustizia potrebbe non chiedere un cent a quello dell’economia per mantenere tutta la macchina giudiziaria, e avanzerebbe pure qualcosa di consistente da restituire agli italiani che lo meritano.

Quella montagna di sommerso nei conti degli uffici giudiziari italiani è stata scovata, tanto per cambiare, da un magistrato. Non uno qualcunque, ma una firma illustre del pool Mani pulite di Milano come il procuratore aggiunto, Francesco Greco.

Che ora, ha anche un’idea: Greco, infatti, guida insieme a un altro pm famoso come Piercamillo Davigo un’apposita commissione ministeriale che avrà il compito di arrestare gli sprechi pubblici e che la prossima settimana si riunirà per avanzare le sue proposte tecniche al ministro Clemente Mastella. Prima cosa: bisognerebbe fare pesare con una convenzione nel quadro nazionale quei 2 miliardi e più, frutto di sequestri e confische giudiziarie, oggi sparsi fra centinaia se non migliaia di libretti al portatore aperti dai singoli magistrati.

I soli interessi potrebbero fare funzionare al meglio più di una grande procura. Ma il vero tesoretto si nasconde invece fra quelle pene pecuniarie comminate e mai riscosse. Oggi affluiscono alle casse della giustizia circa il 5% delle sanzioni. Basterebbe affidarne la riscossione a un’agenzia specializzata e quei soldi virtuali diverrebbero sostanziali. Quel che ha scoperto Greco nel suo settore probabilmente è la chiave per scavare a fondo fra le pieghe di bilancio di gran parte dei ministeri. Se le somme sono di tale consistenza, diventa davvero colpevole inasprire la macchina fiscale quando lo Stato non ne avrebbe alcun bisogno. Ci vorrebbe però il clima politico adatto ad ascoltare i consigli di esperti così. E temo che non sia proprio aria.

Giustizia: Mastella; assemblea nazionale in autunno a Roma 

 

www.giustizia.it, 4 maggio 2007

 

Un’assemblea nazionale interamente dedicata alla Giustizia si terrà a Roma il prossimo autunno, su indicazione del ministro Clemente Mastella, d’intesa con il presidente del Consiglio Romano Prodi.

Il Guardasigilli ha già dato indicazione ai suoi uffici di avviare l’impostazione di questa tre giorni di confronto, nella quale saranno illustrati i progetti messi a punto e le iniziative assunte in questi mesi di lavoro (dalla riforma dei codici alla gestione organizzativa, al reperimento dei fondi per il funzionamento dell’amministrazione, per fare solo alcuni esempi) e nella quale si discuterà delle prospettive di una giustizia moderna ed efficace. Tempi, garanzie, organizzazione del servizio e utilizzo di nuove tecnologie sono alcuni dei temi su cui si aprirà il dibattito. Scopo della manifestazione è quello di riavvicinare la Giustizia al cittadino. E questo attraverso un dialogo che coinvolga le Istituzioni, le amministrazioni centrali e locali, i magistrati, gli avvocati, le associazioni, tutti gli operatori del settore e i sindacati, senza tralasciare il contributo che può arrivare dalle esperienze europee. "Muovendo dal principio costituzionale del processo equo e della ragionevole durata dello stesso, è necessario - ha detto il guardasigilli Clemente Mastella - che i cittadini si sentano protagonisti della Giustizia. Una giustizia che li metta al centro del servizio reso. Una giustizia rapida che non dimentichi le garanzie e sia in grado di dare risposte. Una giustizia certa, capace di realizzare sempre di più nel concreto l’obiettivo del fine rieducativo della pena per i condannati".

Giustizia: Sappe; l'assemblea? su carcere e polizia penitenziaria

 

Comunicato Sappe, 4 maggio 2007

 

"Sarebbe auspicabile che l’assemblea nazionale interamente dedicata alla Giustizia si terrà a Roma il prossimo autunno, su indicazione del ministro Clemente Mastella d’intesa con il presidente del Consiglio Romano Prodi, annunciata oggi dal Guardasigilli si occupasse anche del sistema penitenziario nazionale e coinvolgesse i Sindacati della Polizia Penitenziaria."

È l’auspicio della Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione più rappresentativa del Personale con 12mila iscritti, a commento dell’annuncio fatto oggi dal Ministro della Giustizia Clemente Mastella.

"Dispiace infatti che dopo l’indulto non siano ancora stati programmati dal Governo quegli interventi strutturali per il sistema carcere - chiesti anche dal Capo dello Stato Napolitano - necessari per non vanificare in pochi mesi gli effetti di questo atto di clemenza. Parliamo di provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci e potenzino gli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale. Di un maggior ricorso all’area penale esterna, destinando i soggetti a misure alternative alla detenzione e impiegandoli in lavori socialmente utili non retribuiti. Di una revisione della legge sugli extracomunitari che permetta espulsioni più facili piuttosto che la detenzione in Italia. Era davvero necessario ripensare il carcere, ma dobbiamo constatare che nulla di tutto ciò è stato fatto".

"Costituire un tavolo di approfondimento che esami realtà e prossimi interventi per il sistema penitenziario nazionale è certamente prioritario nell’agenda del Ministero della Giustizia" conclude il Sappe, che sottolinea come "a tutt’oggi non ci risulta che classe politica e governativa abbiano fatto seguire all’indulto i necessari interventi strutturali sull’esecuzione della pena, che garantiscano la giusta sanzione a chi commette reati soprattutto a tutela delle vittime della criminalità e che rendano la pena uno strumento efficace per ripagare la società del reato commesso. A cominciare dall’individuazione di provvedimenti legislativi che potenzino maggiormente l’area penale esterna e dall’incremento degli organici della Polizia Penitenziaria, unico Corpo di Polizia cui affidare completamente l’esecuzione penale esterna a tutto vantaggio della cittadinanza, destinando le unità di Carabinieri e Polizia di Stato oggi impiegate in tali compiti nella prevenzione e repressione dei reati, specie di quelli di criminalità diffusa".

Giustizia: il ddl sul Garante dei detenuti è fermo al Senato

 

Redattore Sociale, 4 maggio 2007

 

Nonostante un ritardo di 14 anni rispetto alla risoluzione Onu, il testo non è stato ancora assegnato alle Commissioni competenti. Il Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani sollecita Palazzo Madama.

"Scontando un ritardo di ben 14 anni rispetto alla risoluzione della Assemblea generale delle Nazioni Unite 48/134 circa la costituzione, nei Paesi membri, di una Istituzione nazionale indipendente per la tutela dei Diritti Umani e al termine di una discussione parlamentare tanto attesa e sollecitata quanto difficoltosa, è stato raggiunto un primo importante obiettivo: l’approvazione da parte della Camera dei Deputati del ddl 1463 che prevede l"istituzione, in Italia, della Commissione Nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani e la tutela dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale". Così il Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani, che si mostra soddisfatto per l’approvazione del ddl ma teme per il blocco della discussione al Senato.

Afferma infatti il Comitato: "Il testo approvato dalla Camera, risultante dall’unificazione dei disegni di legge d’iniziativa dei deputati Mazzoni (626); Mascia, Forgione, Farina, Frias e Russo (1090); Boato e Mellano (1441); De Zulueta (2018), colma una grave lacuna in materia di tutela dei diritti umani. L’Italia, infatti, non solo è uno dei pochissimi Paesi europei a risultare ancora oggi inadempiente alla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite 48/134 del 1993 e alla risoluzione del Consiglio d’Europa (97) 11 del 30 settembre 1997, ma è un Paese ove i diritti umani non sono ancora riusciti, come dimostrano i dati sulla violenza in famiglia, sul razzismo e la xenofobia, a divenire cultura diffusa di base e che presenta un panorama estremamente frammentato, caratterizzato da un continuo proliferare di organi governativi che a vario titolo si occupano di diritti delle donne, diritti dei bambini, diritti delle persone con disabilità e da un folto novero di istituzioni locali e regionali che operano alimentando il rischio di settorializzazione e di dispersione economica".

"In questo contesto - continua -, l’istituzione di una autorità nazionale e indipendente per la protezione di tali, fondamentali diritti, che si ponga come punto di riferimento e guida, strumento di promozione a 360° di tutti i diritti, civili, culturali, economici, politici e sociali, nella loro indivisibilità e interdipendenza, esercitando competenze e funzioni propositive, consultive e accertative, rappresenta dunque una risposta forte alle istanze della società civile tutta, risposta sollecitata e perseguita, anche con numerose azioni a livello istituzionale, dal Comitato per la Promozione e Protezione dei Diritti Umani, coalizione di 72 Associazioni e Organizzazioni Non Governative da cinque anni attivamente impegnate su questo fronte".

"Il disegno di legge approvato dalla Camera è sicuramente perfettibile e in più punti non in linea con i Principi di Parigi (nomina dei membri, cooperazione della Commissione con la società civile, rimedi alternativi non giurisdizionali) ma costituisce un buon punto di partenza per un dibattito serio e partecipato al Senato - dichiara Carola Carazzone, portavoce del Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani -.

Da parte nostra continueremo a batterci perché la futura Commissione sia indipendente a livello decisionale, gestionale e finanziario, abbia un ampio mandato, sia pluralista nella sua composizione, sia collaborativa e sia accessibile a tutte le persone. Ora il rischio è che il disegno di legge si areni. È trascorso un mese dall’approvazione il 4 aprile da parte della Camera e ancora il disegno di legge non è stato assegnato dal presidente del Senato alle Commissioni competenti. Scontiamo un ritardo troppo grave e non possiamo più tergiversare".

"Se l’Italia vuole entrare nel nuovo Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite - conclude la Carazzone - deve avere una Commissione nazionale indipendente in linea con la risoluzione 48/134 e i Principi di Parigi. Considerando poi che il disegno di legge presentato durante la scorsa legislatura non era neppure mai stato messo all’ordine del giorno, allora è evidente che i diritti umani non sono una priorità per un Paese come il nostro che invece, troppo spesso, nel definirsi democrazia avanzata ha la presunzione di non avere nulla da imparare in materia di diritti umani e di potersi esimere dal rafforzarne ulteriormente la promozione e protezione o addirittura dal rispettare obblighi internazionali vecchi quattordici anni. L’auspicio è che al Senato possa esserci più attenzione alle istanze della società civile e più collaborazione. Purtroppo, nonostante due raccomandazioni specifiche delle Nazioni Unite, alla Camera il dibattito si è svolto a porte chiuse senza neppure una audizione della società civile che è fra le più attive su questo fronte".

Giustizia: Lazio; in arrivo nuova legge regionale per i detenuti

 

Roma One, 4 maggio 2007

 

Alla Pisana in discussione provvedimento che, oltre a norme di carattere generale, affronta la sanità penitenziaria e la tutela dei diritti dei detenuti. Prevista anche una soluzione per la carenza d’organico.

Mettere ordine in un argomento delicato come la vita da reclusi non è affatto facile: ci sta provando la regione Lazio con una proposta di legge, ancora in discussione alla Pisana, che oltre a provvedimenti di carattere generale, affronta la tutela dei diritti dei detenuti.

Diciassette articoli divisi in quattro parti, che trattano il ruolo di coordinamento del Garante regionale dei detenuti e la necessità di tutelare i diritti umani delle persone private della libertà.

Nella seconda parte, invece, la questione della sanità penitenziaria ed è finalizzata a dare attuazione alla riforma Bindi del 1999 sulla questione, che prevedeva il passaggio di competenze dal ministero della Giustizia al ministero della Sanità. Era prevista una sperimentazione in sei regioni tra cui il Lazio.

La proposta di legge prevede che ‘ci sia una diretta assunzione di responsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale e delle Asl. Il tutto - si legge nella relazione che accompagna l’articolato - in ossequio al principio della universalità delle prestazioni sia per le persone libere che

per le persone detenute. In ogni istituto penale l’Asl competente dovrebbe dotarsi di un dipartimento ad hoc con personale dedicato ai detenuti. Va ridato slancio ai Ser.T. La regione Lazio sarebbe la prima a fare una cosa del genere. Il tutto preceduto da una indagine sulla sanità penitenziaria regionale affidata ad una commissione consiliare.

La proposta si occupa anche di "ridare forza e risorse al lavoro penitenziario e alla formazione professionale, attualmente stretti tra inefficienza e scarsa qualificazione. In tal senso - viene detto dal relatore - vanno individuate risorse private e pubbliche, vanno coordinati gli interventi degli enti locali, va organizzato un network di imprese disponibili a offrire commesse di lavoro".

Sul trattamento penitenziario la legge intende sopperire temporaneamente alle "gravissime carenze di organico degli educatori negli istituti penitenziari del Lazio". Gli effetti sono dirompenti perché ‘non solo si vanifica il dettato costituzionale in relazione alla rieducazione e al reinserimento sociale della popolazione detenuta, ma si priva lo stesso universo carcerario laziale di un essenziale ruolo di interlocuzione e mediazione. A risentirne - viene spiegato - è la vita interna, spesso già esasperata da cronici sovraffollamenti".

Ad oggi nel circuito carcerario regionale la popolazione detenuta ha indici di sovraffollamento particolarmente alti. La pdl ha l’obiettivo di ottenere il potenziamento della dotazione di queste figure professionali. Il ruolo di questi educatori, è ritenuto ‘fondamentale, non solo perché seguono i detenuti mentre scontano la pena, ma anche perché riassumono i progressi o le eventuali regressioni in relazioni che, unite al giudizio dello psicologo, dell’assistente sociale e della polizia penitenziaria, sono indispensabili per permettere al magistrato di sorveglianza di decidere sulla concessione dei benefici".

La figura dell’educatore regionale, provvisoriamente e sperimentalmente istituita dalla regione Lazio, per la durata di tre anni, avrebbe la funzione di erogare attività trattamentali nei confronti della popolazione detenuta, seguendo le direttive del ministero della Giustizia ed osservando le disposizioni impartite dalla Direzione degli istituti e dell’Amministrazione penitenziaria. Consentirebbe soprattutto, in via d’urgenza, di assicurare le necessarie prestazioni professionali in attesa di una più adeguata e prossima copertura di educatori sociali.

Giustizia: Sappe; no agli obiettori nella Polizia Penitenziaria

 

Comunicato Sappe, 4 maggio 2007

 

"Giudichiamo molto grave l’approvazione, alla Camera dei Deputati, di un disegno di legge "salva furbi" che mira a consentire a quanti hanno rifiutato di svolgere il servizio militare di revocare la dichiarazione di obiezione di coscienza e quindi permettendo loro, tra le altre cose, l’arruolamento nelle Forze Armate, nei Corpi di Polizia dello Stato e della Penitenziaria in particolare. Ed altrettanto grave è che ciò avvenga senza alcuna pubblicità, nel segreto delle stanze parlamentari.

Nessun dibattito pubblico, articolo o commento sull’iniziativa sono apparsi sugli organi di stampa, ad eccezione di una lettera dell’On. Carlo Giovanardi e di una ferma presa di posizione del Presidente nazionale dell’Associazione Alpini Corrado Perona. Ma la proposta in sé è assurda e offensiva: che senso logico ha permettere oggi l’assunzione degli obiettori di coscienza - molti dei quali a suo tempo si sono dichiarati obiettori di coscienza per non usare armi solo per evitare di prestare servizio militare - nei Corpi di Polizia e della Polizia Penitenziaria in particolare, Istituzione militarmente organizzata che però già paradossalmente è posta gerarchicamente alle dipendenze di persone che non hanno mai fatto il militare, come alcuni Direttori e Provveditori Regionali? Così si snatura un Corpo di Polizia dalla secolare tradizione militare."

La denuncia è della Segreteria generale del Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo della Polizia Penitenziaria con oltre 12mila iscritti, alla notizia dell’approvazione alla Camera dei Deputati del disegno di legge che prevede la possibilità di revocare la dichiarazione di obiezione di coscienza permettendo agli ex obiettori di andare a caccia, di fabbricare e commercializzare armi, di partecipare ai concorsi per diventare poliziotto penitenziario e di Stato, carabiniere, etc.

Spiega il segretario generale Donato Capece: "Trovo inaccettabile questo sorta di "colpo di spugna" o, se preferite di "condono" per tutti quei obiettori di "comodo" che hanno mentito per evitare la naja e che oggi mal sopportano le limitazioni che sono loro imposte (sostanzialmente il divieto di ottenere il porto d’armi).

Questi obiettori di coscienza, prima della sospensione della leva obbligatoria dal 1° gennaio 2005, hanno prestato servizio civile sostitutivo, ed in base alla legge 230 del 1998 non possono successivamente detenere e usare armi nonché assumere ruoli imprenditoriali o direttivi nella fabbricazione e commercializzazione di armi e non possono partecipare ai concorsi per l’arruolamento nelle forze armate e negli altri corpi armati dello Stato o per qualsiasi altro impiego che comporti l’uso delle armi.

Sia chiaro che non contestiamo affatto il diritto all’obiezione di coscienza, sempreché esso sia stato genuino, sincero, convinto. Ma non è serio, anzi è offensivo per tutti che la storia dell’obiezione di coscienza e del servizio militare obbligatorio finisca in una specie di pulcinellata generale, gettando ombre sulla genuinità e sincerità di chi in coscienza non voleva e poteva maneggiare armi, e dando credito alle malignità di chi sosteneva che si trattava soltanto di scelte di comodo magari solo per poter continuare a coltivare vicino a casa i propri interessi di lavoro o di studio.

Consideriamo persone serie i giovani che, quando gli è stata notificata la cosiddetta cartolina, hanno svolto il servizio militare - alpini, bersaglieri, fanti, marinai, anche poliziotti penitenziari -, a volte a centinaia di chilometri da casa, interrompendo le loro attività lavorative e di studio e ritenendo in coscienza di dover rispondere a quella chiamata. Considero persone altrettanto serie quelle che, dinanzi al precetto, hanno obiettato che, per ragioni personali di convinzioni profonde morali, civili e religiose, non potevano imbracciare le armi e si sono dichiarati obiettori di coscienza svolgendo un servizio sostitutivo. Ma non sarebbe né giusto né serio oggi varare una legge "salva furbi" verso coloro che hanno fatto obiezione di coscienza perché non potevano portare un’arma e che adesso vogliono andare a caccia, vogliono fare il poliziotto penitenziario, il carabiniere o il finanziere".

Brescia: Carcere e Territorio; sull'indulto un bilancio positivo

 

Giornale di Brescia, 4 maggio 2007

 

Sono i dati a contraddire i sostenitori della tesi di un indulto pensato quale scambio di prigionieri in favore dei colletti bianchi. Ma anche i timori di una crescita della delinquenza causata dallo spopolamento delle prigioni sono smentiti dai primi numeri sul bilancio della legge, a meno di un anno dall’entrata in vigore.

Solo l’11,11 per cento dei beneficiari della legge è ritornato tra le quattro mura, e il tasso di delinquenza nel Paese è rimasto pressoché simile a quello registrato prima del provvedimento di clemenza. Il dato emerso è stato commentato da Carlo Alberto Romano, presidente dell’associazione Carcere e Territorio, durante un incontro organizzato dal circolo di Brescia dell’associazione "Libertà e Giustizia" al quale ha partecipato anche il garante dei detenuti Mario Fappani, che ha illustrato i problemi e le misure adottate in provincia nel luglio scorso, quando per centinaia di reclusi si sono aperte le porte di Canton Mombello e Verziano.

Ammontano a 25 mila 834 le persone che hanno usufruito dell’indulto, su una popolazione carceraria che nel 2005 oltrepassava le 60 mila unità, a fronte di una capienza massima di 43 mila posti. Un sovraffollamento tale che trasformava il disagio in vere e proprie situazioni d’illegalità. Dal 1997 al 2001 si sono verificati ben 597 suicidi, senza contare l’impossibilità di garantire ai carcerati condizioni igieniche elementari come i servizi esterni alla cella o l’illuminazione. Precaria la salute per molti, con un 26 per cento rappresentato da tossicodipendenti.

Altro che colletti bianchi... in carcere finiscono in prevalenza "poveri cristi". Ne è convinto il presidente dell’associazione, che durante l’emergenza bresciana ha svolto il difficile compito di centro d’ascolto e collegamento con le istituzione del territorio per portare aiuto ai molti usciti solo con un sacchetto di plastica contenente qualche oggetto personale.

Ebbene, per comprendere il perché di una legge tanto contestata, deve essere chiaro il panorama carcerario nazionale, raffrontato alle realtà di altri Paesi. Il docente di criminologia dell’ateneo bresciano ha citato una ricerca di alcuni colleghi torinesi e ha evidenziato come la densità carceraria locale imponesse una soluzione urgente per riportare l’Italia almeno nei parametri europei.

Il primo bilancio post indulto possiede dati che si arrestano al febbraio del 2007, ma contro ogni pessimistica previsione, comprese quelle del relatore, il tasso di recidiva risulta piuttosto basso. Dei 25 mila 834, solo 2.855 hanno commesso un nuovo reato: il tasso di recidiva si attesta dunque su un positivo 11,11 per cento. Scorrendo l’età dei fruitori della legge, emerge che la maggior parte rientra nella fascia tra 30 e 45 anni, mentre per quanto riguarda la provenienza, sono rientrati in carcere il 12,28 degli italiani e il 10,59 degli stranieri.

Anche in questo caso è dunque smentito il dilagante pregiudizio sulla pericolosità maggiore degli extracomunitari, un convincimento dell’opinione pubblica che, a parere di Carlo Alberto Romano, risale anche ai titoli dei mass media, un po’ troppo solerti nel sottolineare le falle di una legge anche quando rappresentano l’eccezione di un sistema nel complesso funzionante.

Cosa ha significato fronteggiare le "uscite" bresciane lo ha raccontato alla platea il garante Mario Fappani, che ha descritto il lavoro dei volontari e delle istituzioni, impegnati a normalizzare le difficili, talvolta grottesche situazioni, innescate da una legge doverosa alla quale però nessuno era preparato. Se lavoro e casa continuano a rappresentare la nota dolente per il reinserimento degli ex detenuti, a luglio la semplice mancanza di una residenza ha gettato centinaia di persone nel limbo dei non giuridicamente esistenti.

Una condizione con ripercussioni pericolose soprattutto sull’assistenza sanitaria: molti gli indultati in trattamento con farmaci salvavita che, usciti con una dose per 48 ore fornita dall’Amministrazione Penitenziaria, hanno rischiato di morire. È stata necessaria una circolare del prefetto per obbligare i sindaci a fissare la residenza dei senza dimora nel Comune di nascita, e grazie ad accordi con l’Asl sono state assicurate le prestazioni sanitarie. Un’attività della quale si discuterà nel Consiglio comunale straordinario della settimana prossima a Canton Mombello.

Brescia: la direttrice; il lavoro, per evitare ripetersi dei reati

 

Giornale di Brescia, 4 maggio 2007

 

Un appello alla società civile, affinché capisca l’importanza di una attività lavorativa per un carcerato, facilitando il suo reinserimento nella comunità. Per questo ieri i vertici bresciani di Confcooperative, insieme alla direttrice della casa circondariale di Brescia e Verziano Maria Grazia Bregoli e a Severina Panarello (direttrice dell’Ufficio esecuzione penale esterna del Ministero di Giustizia) si sono promessi maggiore sinergia: oggi infatti sono solo una ventina (su 470) i detenuti che quotidianamente escono dalle carceri bresciane per svolgere esternamente un’attività lavorativa.

Quattordici di loro - residenti nella casa circondariale di Verziano - sono stati assunti dalla cooperativa Carpe Diem, altri sei - carcerati a Canton Mombello - lavorano per la Fraternità Servizi (due realtà appartenenti a Confcooperative). "Ci stiamo impegnando affinché il numero dei lavoratori possa essere aumentato - ha spiegato Lidia Copeta, presidente della cooperativa Carpe Diem - ben sapendo che non è semplice superare pregiudizi della collettività". Ma è comunque una sfida che va intrapresa. "Forti di una collaborazione quasi ventennale con le carceri bresciane - aggiunge il presidente del settore solidarietà di sociale Confcooperative Brescia - dobbiamo intensificare le prospettive di inserimento sociale per altri detenuti".

Lavoro come "cura" sociale per carcerati ma non solo. "Ci sono molte persone soggette a procedimenti giudiziari che possono scontare la pena anche fuori dal carcere, in regime di semilibertà o con l’affidamento in prova ai servizi sociali - aggiunge Panarello, dirigente delle esecuzioni penali a Brescia, Bergamo e Crema -. Elementi essenziali per scontare la pena fuori dal carcere sono però il possesso di una casa e di un lavoro". È questo il percorso della "giustizia riparativa" che - dati alla mano - porta un migliore reinserimento sociale e una minore probabilità che il reato venga reiterato. "È dimostrato dalle statistiche - prosegue Panarello -: oggi la recidiva è commessa nel 70 per cento dei casi dalla popolazione reclusa; la percentuale si abbassa al 19 per cento se andiamo ad analizzare la popolazione penale esterna". Anche in questo percorso Brescia risulta essere una realtà all’avanguardia: ad oggi sono un’ottantina le persone soggette a provvedimenti penali esterni (150 tra Brescia, Bergamo e Crema) e in affidamento ai servizi sociali. Molti di loro svolgono anche attività di volontariato in associazioni laiche, religiose o nelle parrocchie.

Insomma, la società civile deve capire che il modo più efficace per impedire il ripetersi del reato è quella di dare una "chance lavorativa" a chi lo ha commesso. Questa in sintesi la tesi della direttrice del carcere di Brescia e Verziano, che ha ricordato l’efficacia dell’incontro avuto dieci giorni fa tra Giuseppe Soffiantini e i carcerati di Canton Mombello: "Questo è un buon modo per iniziare a parlare di reinserimento sociale. Se è riuscito a farlo Soffiantini, a maggior ragione tutti noi possiamo adottare un diverso approccio nei confronti del detenuto".

Roma: manifestazione di sostegno agli arrestati di Rignano

 

Asca, 4 maggio 2007

 

"Una medaglia al valore e non il carcere" con questa frase gridata da 250 persone venute da Rignano insieme al parroco del paese, don Enrico. Con decine di cartelli e striscioni che incitano a non credere che Rignano Flaminio sia un paese di pedofili o di mostri. I tanti cittadini seguendo una chitarra ed un canto sono arrivati fin sotto le finestre del carcere di Rebibbia nella sezione femminile dove sono rinchiuse le maestre accusate di atti contro i bambini. Una persona più delle altre urla la propria idea: "Eravamo tutte una famiglia - ha raccontato - sono colleghe che hanno dato la vita per i bambini. Voglio per loro la medaglia al valore, riconosciuta da tutti, e non il carcere". Lina Pellegrino è nettamente contro la magistratura che sta lavorando per scoprire i fatti.

Ma dal carcere però non arrivano né lacrime né applausi, i detenuti di Rebibbia non li vogliono, urlano "pedofili" alla volta dei 250 manifestanti . "Andate via", "Fate anche delle manifestazioni per questi zozzoni pedofili" dicono dalle celle. Non vogliono neanche avere nulla a che fare con gli arrestati, in carcere, anche li, i bambini non si toccano e la pedofilia è odiata, in piena sintonia con il mondo esterno.

"Bisogna cambiare il metodo con cui vengono ascoltati i bambini ". Secondo il marito di Marisa Pucci, una delle maestre detenute, le indagini non sono portate avanti in modo corretto, non dovrebbero essere ascoltati i bambini e molte delle maestre arrestate non sono state ascoltate dagli inquirenti e pure dei genitori che ora le accusano hanno scirtto, sempre secondo Luciano Giugni, hanno scritto lettere di apprezzamento per la donna. Ieri il gip del Tribunale di Tivoli Elvira Tamburelli ha respinto la richiesta di scarcerazione, e in subordine di arresti domiciliari per tutti i detenuti. Le persone indagate potrebbero reiterare il reato o inquinare le prove.

A prescindere dal credere o meno alle accuse una cosa che si può dire è l’assoluta novità di una manifestazione verso persone accusate di un reato tanto odioso quanto immondo quale la pedofilia, la sicurezza che ostentano i manifestanti fa pensare. Sia per la presenza di un prete tra di loro sia per l’assoluta certezza di tutti, una certezza che nessuno al mondo potrebbe avere. Forse, per chi chiede di non sentire i bambini negli interrogatori , bisognerebbe che gridasse, oltre all’innocenza dei detenuti anche alla solidarietà verso quei piccoli che sono ora in una situazione orribile a cui nessun bambino dovrebbe assistere.

Padova: i detenuti pasticceri premiati con un piatto d'argento

 

Padova News, 4 maggio 2007

 

Dal Caffè Pedrocchi al carcere Due palazzi, una premiazione in due tappe per l’Accademia Italiana della cucina, che ha voluto dare un riconoscimento all’attività dei detenuti pasticceri e alle loro specialità artigianali. Dopo la mattinata al Pedrocchi, in cui il presidente prof. Giuseppe Dell’Osso ha voluto presentare il convegno internazionale dell’Accademia che si svolge in questi giorni ad Abano Terme, nel primo pomeriggio ci si è trasferiti alla Casa di reclusione in cui una folta schiera di giornalisti e cineoperatori attendeva gli accademici.

In primo luogo il gruppo si è recato nel laboratorio di cucina gestito dalla cooperativa sociale Work Crossing, una delle quattro che compongono il consorzio Rebus, alla presenza di circa 25 detenuti e del personale esterno che lavora ai fornelli del carcere. Qui il direttore della casa di reclusione Salvatore Pirruccio ha salutato i presenti ricordando l’importanza del lavoro nel percorso di reinserimento sociale per i detenuti, ma anche il ruolo che l’attività culinaria può svolgere in questo contesto.

Il presidente del Consorzio Rebus Nicola Boscoletto ha voluto poi ricordare che un’opera come le cucine e la pasticceria del carcere è il risultato del lavoro di squadra di istituzioni, mondo carcerario, imprenditoria, volontariato e mondo cooperativo. "Un esempio di sussidiarietà applicata in un contesto di rete", l’ha definito, "tanto più significativo nel momento in cui la cucina italiana e padovana incontra grandi riconoscimenti", annunciando poi la partecipazione della Work Crossing alla fiera Tuttofood di Milano.

Il presidente del consorzio ha poi lanciato quello che ha definito "un grido di speranza ma anche di allarme". "Meno del dieci per cento dei detenuti lavora, e si tratta quasi sempre dei cosiddetti lavori domestici all’interno del carcere. Solo l’uno per cento esegue lavori che preparano a reinserirsi veramente nel mondo esterno". Non è per buonismo che il consorzio opera a favore di queste persone, ha concluso Boscoletto citando Dostoevskij, ma per prendere in considerazione "la pena che portano nel cuore" coloro che delinquono: "La nostra civiltà che nasce dall’incontro con il cristianesimo ci suggerisce di dare sempre una possibilità di recupero a queste persone".

Dopo gli interventi del vicesindaco di Padova Claudio Sinigaglia e di Ubaldo Lonardi, presidente dell’Azienda Turismo Padova Terme Euganee, ha parlato il presidente del tribunale di sorveglianza Giovanni Tamburino: "Il vostro lavoro compiuto bene", ha ricordato ai detenuti, "è un’opera socialmente importante, ma anche un messaggio, un dono che fate alle altre persone, che vi aiuta a recuperare la vostra dignità".

Poi il presidente Dell’Osso ha consegnato il premio a Roberto Fabbris, dirigente della Work crossing responsabile della ristorazione carceraria: un piatto d’argento "che consegniamo solo ai migliori chef che onorano la cucina italiana". Dell’Osso ha poi raccontato un aneddoto: "Due nostri accademici sono valenti chirurghi e nel cucinare trovano un momento di relax e di pace in seguito alle grandi responsabilità e allo stress accumulato durante gli interventi. Io credo che anche per voi, in un contesto così diverso, il cucinare possa essere occasione di ritrovare la pace con voi stessi e una possibilità di riscatto personale". Al direttore Pirruccio ha poi consegnato la medaglia dell’Accademia.

Al termine i detenuti hanno dato dimostrazione dal vivo della realizzazione di diverse fasi di un nuovo dolce ideato in carcere a partire da un’antica ricetta: la Veneziana, una specie di focaccia ricoperta con glassa di mandorle, granella di zucchero e mandorle. "Un dolce del tutto artigianale", ha commentato Matteo Florean, gastronomo e sommelier, "che richiede un’alta manualità con le sue 36 ore di lavorazione di cui 17 di lievitazione".

La giornata si è conclusa con l’annuncio che verrà presentato al ministero della Giustizia un progetto di ampliamento di 200 metri quadri delle cucine del "Due Palazzi". Ciò permetterà di servire non solo i detenuti e gli agenti, ma anche di gestire il catering per strutture esterne. Infine il consorzio Rebus sta per varare un concorso tra i 500 detenuti padovani, provenienti un po’ da tutto il mondo: verranno premiate le migliori dieci ricette.

Televisione: il 6 maggio su Rai Tre "Report: a norma di legge"

 

Comunicato stampa, 4 maggio 2007

 

Domenica 6 maggio, alle 21.30 su Rai Tre, andrà in onda la puntata di "Report" dal titolo "A norma di Legge", a cura di Michele Buono e Piero Riccardi.

Quando si parla di giustizia si evoca spesso il principio della certezza della pena. Prima ci si potrebbe chiedere se esiste la certezza del processo penale. Perché? In media un processo penale dura 10 anni, se invece sono previsti più capi di imputazione e molti imputati, anche di più. Diciamo che circa il 70 per cento dei processi che vengono portati a giudizio ha una durata massima di prescrizione di sette anni e mezzo.

Questo significa che tutta la macchina giudiziaria lavora per la prescrizione. Un imputato che ha soldi e quindi la possibilità di resistere in giudizio, è inutile che acceda a riti abbreviati, patteggiamenti se, andando in dibattimento, può vedere il suo processo evaporare a norma di legge. Notifiche sbagliate, abbondanti possibilità di rinvio, impugnazioni automatiche fino alla Cassazione, un giudice del collegio che cambia in corso d’opera e quindi si ricomincia da principio. E intanto il tempo passa. A partire dalla riforma del codice di procedura penale del 1989 fino ad oggi il legislatore, di riforma in riforma e magari in buona fede, non ha fatto altro che offrire a piene mani cavilli che incentivano tattiche dilatorie per difendersi piuttosto che nel processo dal processo. Nella giustizia civile le cose i tempi sono ancora più lunghi.

L’eccessiva durata del processo è una violazione dell’art. 6 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo e l’Italia è il primo Stato nella graduatoria delle condanne inflitte dalla Corte europea di Strasburgo. Per queste condanne l’Italia ha pagato e continua a pagare centinaia di milioni di euro, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa considera il nostro paese un "sorvegliato speciale" e si è chiesto addirittura se in Italia sussistano ancora le condizioni di uno Stato di diritto.

Libri: Firenze; "Dentro… le storie, testimonianze da Sollicciano"

 

Toscana In, 4 maggio 2007

 

Sabato 5 maggio EquAzione, la bottega del commercio equo e solidale delle Piagge, compie un anno. Un luogo dove poter acquistare prodotti alimentari e artigianali che non sfruttano i lavoratori e non devastano l’ambiente, ma anche un luogo dove praticare il consumo critico, dove informarsi su giornali e periodici alternativi, dove incontrare persone che hanno voglia di costruire un’alternativa all’attuale società liberista.

Nell’occasione sarà presentato il primo libro stampato dalla neonata Edizioni Comunità delle Piagge, "Dentro… le storie, testimonianze di vita dal Carcere di Sollicciano". L’appuntamento è per le ore 16.00 al Centro Sociale "Il Pozzo" di via Lombardia insieme ad alcuni ex detenuti, ad Alessandro Margara presidente della Fondazione Michelucci, Christian De Vito di Voci dal carcere, Giuliano Capecchi dell’associazione Pantagruel e Alessandro Santoro della Comunità piaggese. Sono stati invitati rappresentanti delle istituzioni e del carcere.

Droghe: Lancet; la cocaina è una "lama affilata" al cuore

 

Notiziario Aduc, 4 maggio 2007

 

La cocaina è una "lama affilata" al cuore: non solo può causare ischemia ed infarto, ma anche dilatazione ventricolare che compromette la funzione cardiaca. Lo dimostra il caso di un giovane italiano ricoverato al Dipartimento di Emergenza del Policlinico "Le Scotte" di Siena nel 2005 per una dilatazione ventricolare grave, poi rivelatasi il risultato dell’abuso di questa pericolosa e sempre più diffusa droga. Nondimeno, come riferito sulla rivista britannica Lancet da Valerio Zacà, smettendo l’assunzione dello stupefacente, il cuore del trentunenne è migliorato molto: la dilatazione si è ridotta e la funzionalità cardiaca è aumentata.

I consumi di cocaina hanno raggiunto livelli spaventosi in molti paesi occidentali e l’Italia non fa eccezione. Già in passato i medici hanno allertato sui rischi dell’abuso di cocaina per il cuore, e più casi di infarto e ischemia sono stati registrati tra gli habitué della "polvere bianca". Quando il giovane è giunto al dipartimento di emergenza del nosocomio senese, racconta Zacà, presentava sintomi quali dolore toracico, dispnea, fatica.

Agli esami eseguiti risulto che il trentunenne aveva una dilatazione del ventricolo sinistro di entità considerevole: 80 millimetri di diametro, con conseguente malfunzionamento cardiaco.

Poiché il ragazzo non aveva una storia clinica di alcun tipo il sospetto dei cardiologi, poi confermato dalla stessa "confessione" del giovane, è ricaduto sul consumo di cocaina. Dopo tutti gli accertamenti il giovane è stato seguito farmacologicamente ed ha smesso di assumere la droga. A distanza di un anno il suo diametro ventricolare si è ridotto a 57 millimetri e il cuore ha ripreso in parte la sua funzionalità. Questa storia, osservano gli esperti, insegna ancora una volta quanto può essere pericoloso assumere cocaina e deve allertare i medici a sospettarne l’abuso di fronte a giovani con cardiopatie ma senza alcun precedente clinico di questo tipo. L’astinenza prolungata dalla droga, concludono i cardiologi, può migliorare le condizioni in cui il cuore versa a causa dell’abuso.

Droghe: "induzione al consumo"; condannato un insegnante

 

Notiziario Aduc, 4 maggio 2007

 

Un insegnante dell'Istituto Tecnico "Besta" di Sondrio è stato condannato ad otto mesi di reclusione ed 800 euro di multa per induzione al consumo di stupefacenti. Secondo l’accusa, Manlio Amelio (34 anni), al tempo supplente presso l’Istituto Tecnico "Besta", avrebbe più volte invitato i propri alunni, tutti minorenni, a fumarsi uno spinello. Ma la difesa, che ha già annunciato il ricorso in appello, sostiene che Amelio ha semplicemente espresso delle opinioni parlando di problemi come droga e sigarette. Il processo è partito dopo la denuncia fatta da alcuni genitori ad un dirigente dell’istituto, risultata anche nel licenziamento del supplente.

Nel capo di imputazione si legge che nel 2003 Amelio avrebbe detto in classe: "L’hashish e la marijuana non provocano dipendenza", "Anch’io a volte, prima di venire a scuola, mi faccio una canna", e "Se qualcuno vuole provare una canna può venire a casa mia, che sono in grado di procurarmi hashish o marijuana".

Ma per l’avvocato Giovanni Capanni, sono "tutte frasi che in quei termini il mio assistito non ha mai pronunciato. Non c’è evidentemente alcuna induzione al consumo di stupefacenti, visto che la maggior parte delle ragazze che hanno testimoniato hanno dichiarato di non ricordarsi nemmeno degli episodi contestati e che quelle che ricordavano qualcosa hanno spiegato chiaramente di aver preso quelle frasi per quello che erano, cioè delle semplici battute, delle provocazioni".

Anche Amelio non si da per vinto: "Altro che Appello, sono disposto ad arrivare fino alla Cassazione, questa condanna non sta in piedi. È una sentenza liberticida, che non tiene conto degli articoli 21 e 33 della nostra Costituzione che garantiscono, rispettivamente, la libertà di manifestare il proprio pensiero e la libertà di insegnamento".

 

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