Rassegna stampa 28 maggio

 

Napoli: detenuto si suicida, è il secondo caso in una settimana

 

Il Mattino, 28 maggio 2007

 

Due detenuti si sono suicidati nell’istituto penitenziario di Secondigliano in meno di una settimana. Per uccidersi, entrambi hanno utilizzato un lenzuolo. I due episodi si sono verificati domenica e venerdì. Protagonisti, nel primo caso, E.C., 55 anni, ex collaboratore di giustizia in carcere per pedofilia, e, nel secondo caso, un boss della mafia siciliana, Salvatore Grassonelli, 63 anni, famigerato capoclan di Porto Empedocle, condannato all’ergastolo per una serie di omicidi commessi durante lo scontro armato tra la "stidda", di cui faceva parte, e "cosa nostra" in provincia di Agrigento.

Il boss, declassato per buona condotta dal regime di 41 bis al circuito Eiv (elevato indice di sorveglianza), era ricoverato in infermeria per problemi cardiaci. Si è ucciso alle 7 del mattino, scegliendo un punto della cella non visibile al controllo esterno. Grassonelli ha legato il lenzuolo a un mobile. Prontamente soccorso, il boss è morto durante il tentativo di rianimazione. Sul letto del suicida, gli agenti hanno rinvenuto due lettere indirizzate al direttore del carcere e alla famiglia. Nelle missive, il detenuto, valutando la propria età e la propria posizione giudiziaria, giunge alla fredda conclusione di non volere più vivere.

Il boss non aveva mai dato segni di insofferenza e, anche per questo, aveva potuto lasciare il 41 bis. L’altro suicidio, quello di domenica scorsa, ha riguardato, invece, un detenuto condannato per pedofilia. L’uomo, in carcere da tempo anche per altri reati, era stato in passato collaboratore di giustizia. L’accusa di pedofilia gli era stata mossa dalla moglie, che gli attribuiva molestie sessuali nei confronti della loro bambina. Recentemente, durante un’udienza del processo, E.C. aveva tentato di aggredire la moglie in aula. L’uomo, in cattive condizioni di salute, era sotto osservazione medica, ma nulla aveva mai lasciato ipotizzare un gesto estremo.

Anch’egli, al pari del boss siciliano, era isolato per ragioni di sicurezza. Domenica scorsa, poco prima delle 13, gli agenti, che hanno aperto la sua porta per accompagnarlo all’aria, ne hanno scoperto il cadavere appeso all’aeratore in bagno. Secondo l’osservatorio "Antigone" di Dario Stefano Dell’Aquila, ammontano complessivamente a 9, compresi gli ultimi due, i suicidi verificatisi a Secondigliano dal 2003. Sarebbero 22, invece, i decessi per malattia e overdose nello stesso periodo. Va registrato, infine, il cambio di guardia al vertice del penitenziario. Nell’ambito di una serie di nomine, infatti, la direzione di Secondigliano è stata affidata a Liberato Guerriero, 45 anni, già responsabile del carcere di Benevento.

 

Da dicembre è il terzo suicidio nella mafia agrigentina (La Sicilia, 28 maggio 2007)

 

Si terranno questo pomeriggio alle 15.30 nella Chiesa Madre di via Roma i funerali di Salvatore Grassonelli, l’ex capo dell’omonima cosca mafiosa empedoclina, morto suicida venerdì scorso a 62 anni nel carcere di Secondigliano, dove stava scontando la pena dell’ergastolo. Si è trattato del terzo suicidio all’interno di una casa circondariale italiana tra coloro i quali hanno avuto un ruolo di vario livello nella grande "famiglia" di Cosa nostra agrigentina. A dicembre si uccise Roberto Di Gati, fratello del boss di Racalmuto Maurizio, mentre in aprile si tolse la vita Pietro Mongiovì di Sant’Angelo Muxaro. Mongiovì si era appena pentito, Di Gati rimase fedele al proprio passato, come aveva deciso di fare anche Salvatore Grassonelli, protagonista della guerra di mafia che tra la fine degli anni ‘80 e i ‘90 mise a ferro e fuoco le strade di Porto Empedocle e dintorni.

Il ricordo di quei cruenti giorni di sangue è ancora vivo nella mente di tanti empedoclini. E quanto accaduto nel penitenziario partenopeo ha fatto tornare indietro con la memoria molta gente. Gente che numerosa ieri mattina avrebbe voluto conoscere almeno i minimi dettagli di questa vicenda, acquistando i quotidiani che riportavano fatti e storia, in vendita in alcune zone del centro marinaro. Incredibile, ma vero, già alle 7 non c’era un solo giornale regionale in circolazione. Secondo quanto accertato dai carabinieri della locale stazione, informati dell’accaduto, qualcuno avrebbe "rastrellato" tutte le copie dei due maggiori quotidiani regionali, per impedirne la vendita.

Coloro i quali provvedono alla distribuzione dei giornali nelle edicole avrebbero svolto il loro compito come al solito, ma le copie non sono mai state vendute e quindi lette. Una vicenda che ha molto colpito gli empedoclini i quali, per conoscere qualche dettaglio sulla morte di Grassonelli, hanno dovuto recarsi ad Agrigento o nei comuni limitrofi per acquistare una copia di quotidiano. Sulla sparizione dei giornali le forze dell’ordine stanno comunque cercando di fare chiarezza.

Reggio Calabria: muore per infarto mentre ascolta la sentenza 

 

Il Mattino, 28 maggio 2007

 

Arriverà questo pomeriggio a Castel San Giorgio la salma di Giuseppe Cirillo, 68 anni, deceduto presso l’aula di Giustizia del Tribunale di sorveglianza di Catanzaro nel corso di un processo a suo carico "per omicidio ed altro", come si legge nella comunicazione pervenuta ai rappresentanti amministrativi e alle forze dell’ordine di Castel S. Giorgio. Venti anni di carcere da scontare, diceva la sentenza che stava ascoltando in aula. E forse proprio quella notizia l’ha fatto stramazzare davanti ai giudici, privo di vita. A comunicare la notizia agli amministratori di Castel San Giorgio la stessa direzione della casa circondariale di Catanzaro. Il decesso è avvenuto nel pomeriggio di giovedì, erano esattamente le 14.16, come riferisce al direzione del carcere, presso l’aula di Giustizia.

Immediati, quanto inutili i soccorsi. I sanitari hanno solo potuto constatare che l’imputato era deceduto "per arresto cardiocircolatorio" come hanno stabilito i medici. Giuseppe Cirillo si trovava detenuto nella casa circondariale di Catanzaro, ed era residente a Castel S. Giorgio, in Via Nocelleto, 9. Una vita turbolenta alle spalle, Cirillo era stato tratto in arresto, l’ultima volta, il 30 gennaio 2007.

Tempo fa si era sottoposto a un delicato intervento cardiaco dal quale era uscito, ma senza ristabilirsi del tutto. Inoltre, soffriva di diabete e qualche altro acciacco. Insomma, Giuseppe Cirillo era fortemente minato nel fisico. Con un passato burrascoso alle spalle,con arresti e periodi di libertà, e con lunghe e assidue frequentazioni con la malavita calabrese, salernitana e nocerina era stato in libertà un poco ovunque,sino alla fine del 2006. Ma i processi a suo carico, per trascorsi malavitosi non erano finiti. L’ultimo, quello che lo vedeva imputato davanti al Tribunale di Catanzaro il 24 maggio scorso. Le circostanze in cui il decesso è avvenuto non sono note nella loro interezza. Pare sia crollato durante l’ udienza per aver saputo che sarebbe tornato in libertà "con fine pena il 20 marzo del 2026", circa fra 20 anni.

Giustizia: media e politici, gli imprenditori della paura

di Sergio Segio (Associazione Società INFormazione)

 

Fuoriluogo, 28 maggio 2007

 

L’analisi dei dati del Dipartimento della Pubblica sicurezza non conferma l’allarme indulto lanciato dal Viminale.

I numeri sono (quasi sempre) inoppugnabili. Non così la loro interpretazione. È questo il caso dei dati statistici che il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha recentemente inviato alla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, la quale ha in corso una "Indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza in Italia". Cifre che, secondo il ministero dell’Interno e la polizia, evidenzierebbero "criticità" che vengono messe in relazione con l’indulto varato il 31 luglio 2006.

Così come avviene per parole e frasi che, estrapolate dal loro contesto, possono essere malintese e risultare fuorvianti, così trarre conclusioni e stabilire correlazioni sulla base di dati limitati risulta azzardato. Pure, dal Viminale viene affermato che "nel periodo agosto-ottobre 2006 si registra, a livello nazionale, un tendenziale incremento dei reati predatori" rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. La crescita viene quantificata in 1.952 rapine e 238.830 furti e sottolineata anche in quanto "fino al mese di luglio tali fenomeni presentavano una leggera flessione rispetto all’anno precedente". Sempre secondo il ministero, gli altri reati mostrano invece un lieve decremento.

Il ragionamento, in apparenza, potrebbe filare. Se non fosse che, appunto, per ricavare letture minimamente fondate, le cifre vanno necessariamente lette nelle loro sequenze storiche e nel medio-lungo periodo. Si può, ad esempio, osservare (avendo come fonte lo stesso ministero dell’Interno, con le Note sulla sicurezza in Italia presentate nell’agosto 2006), che anche negli anni precedenti, per quelle tipologie di reati, si era verificata una crescita nel secondo semestre. Nel 2004 i furti sono stati 702.147 nel primo semestre e 764.435 nel secondo; nel 2005 748.047 nel primo semestre e 754.937 nel secondo; nel primo semestre 2006 sono diminuiti a 709.895. Parzialmente diversa la curva delle rapine: 22.588 nel primo semestre 2004, 23.677 nel secondo; 23.718 nel primo semestre 2005, 22.160 nel secondo; 22.091 nel primo semestre 2006.

Ma le comparazioni andrebbero effettuate su periodi più significativi e soprattutto non collimanti con quelli della durata dell’una o dell’altra maggioranza di governo, come invece fa un precedente Rapporto del Viminale (Lo stato della sicurezza in Italia, dell’agosto 2005). Da cui, riguardo ai furti, si rileva che nel periodo luglio 2001-giugno 2005 si è registrata una flessione del 4% circa rispetto al quadriennio luglio 1997-giugno 2001 (5.453.752 contro 5.684.800), con una inversione della tendenza alla crescita manifestata in quest’ultimo periodo (+4,4%) rispetto ai 48 mesi precedenti (5.444.268 nel luglio 1993-giugno 1997).

Il dato vero è che - in un quadro di moderata crescita dei reati complessivamente denunciati nel decennio 1995-2005: +12,1% - l’andamento è altalenante, con continue piccole curvature in alto e in basso. Ma se allunghiamo il periodo di esame, la tendenza appare invece al ribasso, in particolare per alcune tipologie di reato. Ad esempio, se i furti erano stati 1.702.074 nel 1991, sono scesi a 1.480.775 nel 1999 e a 1.466.582 nel 2004, mentre il dato relativo al 2005 indica un aumento a 1.502.984.

Il "trucco" spesso usato è quello di aggregare i dati per l’uno o l’altro lasso di tempo (l’anno, il biennio, quadriennio, il decennio, oppure appunto pochi mesi), così da "far dire" ai numeri ciò che politicamente in quel momento si ritenga conveniente: vale a dire una crescita oppure una diminuzione dei reati. Con molti rischi e altrettante imprecisioni: ad esempio, i dati relativi al 2004, 2005 e 2006 sono disomogenei rispetto a quelli degli anni precedenti, perché sono stati modificati il sistema e l’universo di rilevazione.

Peraltro, all’aumento dei reati denunciati non necessariamente corrisponde un aumento della delittuosità, potendo dipendere unicamente da una maggiore propensione alla denuncia del reato subito e dunque da una riduzione della cosiddetta "cifra oscura", vale a dire dei delitti che non vengono registrati.

Fatto sta che secondo un recente Rapporto Crimine e sicurezza in Europa, finanziato dalla Commissione Europea, l’Italia sarebbe il Paese più sicuro dell’Unione, quanto a rapine e aggressioni. Viene da ricordare un ex direttore generale delle carceri, Francesco Di Maggio, allorché dichiarò che i dati statistici sugli istituti penitenziari e sui detenuti erano privi di fondamento e inverificabili.

Forse lo stesso si potrebbe talvolta dire relativamente alle statistiche criminali. Vi è da riconoscere che il ministero dell’Interno, anche nell’ultimo Rapporto, invita a prudenza e cautela nel valutare i dati, ma in sostanza dice e non dice: "Se è vero che non è possibile stabilire un diretto rapporto causa-effetto tra la liberazione anticipata di molti detenuti e l’aumento dei reati predatori […] tuttavia non può negarsi, in via generale, che le complessive esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica […] impongono, assieme ad un alto livello di attenzione e di impegno da parte delle forze dell’ordine, anche mirate misure di rafforzamento del sistema penale". E sposta - con qualche ragione - la responsabilità degli allarmismi sui media: "Va detto che i dati statistici sull’andamento della criminalità non indicano un peggioramento della situazione tale da ingenerare una sensazione di insicurezza generalizzata, quale si registra negli organi di stampa". I quali, in maggioranza, già all’epoca del dibattito parlamentare si distinsero per una battente campagna contro l’indulto.

D’altra parte, quando l’oggettività delle cifre smentisce i ricorrenti allarmi, c’è pronta la carta di riserva, perché per gli imprenditori politici della paura tutto fa brodo. L’ha di nuovo tirata fuori ultimamente Luciano Violante: "Per il cittadino è importante non solo la sicurezza in sé ma anche la percezione della sicurezza". L’intervista all’autorevole esponente Ds-Pd era significativamente titolata "Nella nostra cultura troppo perdonismo". Sarà. Ma solo se si osserva il mondo dall’alto delle stanze della politica e dei Palazzi.

Giustizia: lettera a un giovane apprendista assassino

di Adriano Sofri

 

Il Foglio, 26 maggio 2007

 

Caro ragazzo, che ti stai preparando a combinarla grossa in qualche stanza con le tende tirate. O hai già deciso di passare ai fatti, e allora hai una sola possibilità: fermarti sull’orlo. Se non lo farai, ti mostro che cosa sarà di te. Nello specchio di quelli che sono venuti prima. Non è vero, non crederci, che fossero migliori. Erano come te. Ma neanche peggiori. Pochissimi di loro direbbero in pubblico che lo rifarebbero, non uno lo direbbe a se stesso. È quello che ti aspetta, ma solo in capo a una discesa all’inferno. La discesa all’inferno, quella vera, non ha grandezza: è miserabile. Se sapessi che cosa sono i grandi criminali, una volta che li incontri in carne e ossa.

Se invece non hai ancora premeditato il tuo fatto, e ti alleni, con le parole e magari anche con le cose (le cose, che stanno al di qua dalle persone, salvo incidente), e giochi al rialzo, sappi che le parole ti prendono in ostaggio, ti sequestrano, e ti portano dove vogliono loro, alla prova del fatto. Si chiede perché in Italia sia durata tanto la violenza: perché erano durate tantissimo le parole.

Erano state a lungo parole che rispondevano a fatti. C’erano i manifestanti da una parte, e scandivano slogan, cantavano e gridavano a squarciagola. Di fronte altri manifestanti, altri slogan, altri canti. In mezzo, nemico, lo stato. Perfino in una manifestazione di strada, lo stato è silenzioso, finché suona tre squilli di tromba. Lo stato ha questo di distintivo, che deve usare meno le parole e più i fatti. Così per un lungo periodo bisogna rispondergli con le parole, e il loro rincaro: sui fogli firmati, sui muri, poi sui fogli anonimi, poi sui muri notturni. E più crescono i fatti del tuo nemico, più feroci e oltranziste diventano le tue parole. Finché non bastano più. Dopo che hai detto: "Fucili!", che altro puoi dire?

Devi andare a procurarti un fucile. E se non lo fai, perdi il rispetto per te. Se lo fai, perdi te. Quelli che lo fanno possono essere i migliori, che non hanno il coraggio di tradirsi, di tirarsi indietro, di non prendere sul serio le parole che hanno troppo gridato; o i peggiori, quelli che le parole non le sanno maneggiare, e hanno solo aspettato che venisse il momento di menare le mani, con l’autorizzazione della buona causa. Frustrati, invidiosi di paese - senza amore. Tu ragazzo che tipo sei? Fermati, aspetta un momento.

Hai una famiglia? Bisogna lasciare tutto e tutti, quando si passa la linea. Madri e fratelli, come Gesù Cristo. Poi, quando sarai in fondo al pozzo, ti ricorderai di aver avuto una famiglia - loro non se ne saranno mai dimenticati. Questa ridicola recita di una parte di italiani che amano la famiglia, e un’altra che la odierebbe. Tutti amano la famiglia, ed è là che cercano soccorso. Certo che esistono le famiglie che uccidono, che violentano… Ma la norma è un’altra. Le famiglie delle vittime, le famiglie dei carcerati, dei latitanti, degli assassini. Sono ostili e nemiche, ma ci sono momenti in cui sono confuse insieme. Le vedove, gli orfani…

Nel periodo in cui lo stato faceva male, e noi ci vendicavamo col rincaro delle parole, avemmo per la prima volta davanti agli occhi una vedova, due orfane. La vedova si chiamava Licia Pinelli, le orfane Silvia e Claudia, avevano 9 e 8 anni. Chi torni a sfogliare la collezione di Lotta Continua, per cercare di ricostruire l’aria disperata di quel tempo, troverà il disegno su un foglio di quaderno a quadretti, e la grafia infantile che dice: "Ieri, 15 dicembre 1969, hanno ucciso mio padre".

C’è un problema in più, con destini come Pinelli: che non rientrano nella categoria delle vittime del terrorismo, e nemmeno delle vittime. Non c’è riconoscimento dello stato, non c’è risarcimento. L’accusa contro i miei amici e me accomunava, per il movente, Pinelli e Serantini. Franco Serantini, appunto, senza famiglia, orfano da orfanotrofio. Fu massacrato da poliziotti in strada e in questura, abbandonato a crepare in una cella di isolamento. In che giorno della memoria toccherà a lui?

Perché ti scrivo, ragazzo? Non so. Un po’ per parlare ad altri. Del resto, le lettere pubbliche non si rivolgono mai al loro destinatario ufficiale, parlano ad altri. Ma con te c’è una ragione pratica: tu non hai un indirizzo, un nome, una faccia, per me. Posso provare a immaginarla, ma preferisco di no. La mancanza di faccia, l’anonimato, che nei tuoi conti ti tengono al riparo, sono ancora il tuo rifugio possibile. Puoi ancora salvarle, faccia e nome.

Penso di convincerti? Ma no! Nemmeno di incuriosirti. Figuriamoci se non lo so. Mi sarei messo a ridere se qualcuno mi avesse scritto una lettera simile, quando ero ragazzo, e sapevo tutto. Tutto. Anche tu sai tutto. Però io ce l’ho il titolo per scriverti. Io non sono uno che se la squaglia. Se tu pensi di saper affrontare il periglio estremo, o la galera, bene, io anche.

Non mi spaventa la galera, né il periglio estremo. Non occorre votarsi alla lotta armata per far fronte alla vita. Non mi sono fatto mancare molto. Le guerre, ci sono andato dentro, e le odio più di te, e non meno di chiunque. La galera, ci sono andato dentro, più volte, e per tanti anni. È più penoso le prime notti, poi gli anni volano. Se avessi detto che ero colpevole, che ero il mandante di un omicidio, non avrei trascorso un’ora in galera. Ce l’ho, il titolo a parlare con te, e con chiunque.

Io non l’ho superata, quella linea, e non so nemmeno se avrei saputo oltrepassarla: dico di sì, per non sospettarmi vile, e perché ho saputo che cosa significasse un riconoscersi gli uni negli altri. Dunque non accampo differenze morali. Uno che uccide uccide anche se stesso, e quando sia davvero ritornato a sé è la persona più degna di un dolore solidale. Può succedere davvero che l’assassino e la vittima si incontrino: ne dubito e ne diffido, ma l’altra sera ho sentito Antonia Custra dire all’assassino di suo padre di stare tranquillo, che lei è piena di amore. Succedeva in televisione, e tuttavia faceva rabbrividire. È merito del libro di Mario Calabresi. Sto parlando anche a lui.

Oggi io provo solo pena e dispiacere. Sono andato a vedere quel film di Per Fly, "Gli innocenti". Ha un intreccio rocambolesco, caratteri un po’ scontati. Però fa la domanda giusta: "Ma allora non finirà mai?" Tu ragazzo forse non puoi capirla, tu sei nel punto in cui la cosa sta solo cominciando - come potresti preoccuparti di trovare un modo per finirla? Eppure.

Non eravamo pazzi noi, nemmeno quando pensavamo e dicevamo e facevamo cose da pazzi. Eravamo capaci di intendere e di volere. Non erano pazzi nemmeno quelli che firmavano gli appelli che oggi si leggono con raccapriccio. Non c’entrai niente, e non avrei dato alcun peso a quell’appello e alle sue firme, ero troppo pieno di me e di noi. C’erano ottocento firme, anche le più illustri, anche le più degne. Si sa, le firme agli appelli, a quel tempo, e sempre: uno non chiede nemmeno che cosa dica, chiede chi altri ha firmato. Si sa, ti chiamano al telefono, dici di sì per liberartene. Qualcuno ancora oggi protesta che gli fu estorta, la firma. Però non può essere tutto qui. Non doveva essere facile estorcere firme, o carpirgliele sotto il naso, a persone che si chiamavano Primo Levi e Giorgio Amendola e Giancarlo Pajetta.

Intanto, non c’erano allora morti ammazzati per mano privata, ed erano, per i più, ancora impensabili. C’erano tutti quei morti "di stato", nella banca, nella questura. C’era uno scandalo che faceva soffocare. E credo che anche quegli illustri (illustri davvero) firmatari ricorressero a loro modo al rincaro delle parole. C’era scritto, in quell’appello, "torturatore" e "assassino". Come potevano crederci? - ci si chiede oggi. Come potremmo non crederci? - si pensava allora.

Non sto affatto evocando l’aria del tempo per riscattare errori e colpe. Tant’è vero che l’aria del tempo non era la stessa per tutti. Leggendo il libro di Mario Calabresi mi sono chiesto ancora una volta se e come pensassimo allora alla famiglia del commissario. Non ci pensavamo, io non ci pensavo.

Tuttavia altri, anche vicino a me, ebbero quel pensiero, e lo espressero. Dunque si poteva, e si doveva, fare. Mario Calabresi ha trovato su un numero del nostro giornale del ‘70 una vignetta in cui suo padre gli insegnava a giocare con la ghigliottina. (In realtà la vignetta disegnava una bambina, citando una notizia sbagliata di Panorama). Era agghiacciante. Non per noi. Il disegnatore si proponeva proprio le provocazioni più insopportabili, che spingessero alla querela. Si chiamava Roberto Zamarin, morì presto, una notte in cui correva nella nebbia per portare il giornale alla distribuzione. Mi vergognerei se non ripetessi ora che era un uomo meraviglioso.

Così ottusi fummo, ragazzo, e chissà come siamo. Torniamo alle parole rincarate: esse non servono solo a sfogare dolore e rabbia. Servono anche ad allontanare o dilazionare il passaggio ai fatti. Finché ci sono parole più grosse da gridare, ci si illude di esorcizzare il loro fatto. Questa è la lezione più importante, direi. È per questo che si deve temere che venga meno la memoria rispetto a un passato recente sì, ma già così lontano da escludere un paio di generazioni: che si possa ricominciare, che tu, ragazzo, possa persuaderti di disporre di una ennesima innocenza, di avere il diritto alla tua prima pietra - e di sentirti tenuto ad andar dietro alle tue parole.

Negli ultimi anni ci sono stati assassinii orrendi e futilmente sporadici, Massimo D’Antona, Marco Biagi, Emanuele Petri, prodotti da parole vecchie, tramandate dalle seconde e terze e ultime linee. La tradizione catacombale di queste parole le conserva, la luce del sole le ridurrebbe in polvere, come antiche mummie.

Anche tu, ragazzo, tieni tirate le tende della tua finestra e ti addestri al buio: chi non vuole essere visto, finisce presto per non vedere più. Tu non hai bisogno di quella lingua morta, se non come un pretesto. Certo la "tradizione" conta, perfino questa, il morto afferra il vivo. Ma si trovano sempre nuove ragioni per scendere in guerra in proprio. Nel mondo c’è la guerra, c’è la fame, c’è la consumazione della natura, c’è il precariato giovanile. Basta metterci la maiuscola, e il più è fatto: la Guerra, la Fame, il Precariato. Il ministro dell’Interno ha appena dato l’allarme: "Il terrorismo non è ancora estirpato". "Pensavamo - ha detto - che, trent’anni dopo, il terrorismo fosse cancellato". In una fabbrica torinese hanno scritto: "Siamo tornati". Ma non è vero. Scommetterei che l’ha scritto un ragazzo come te, uno che non è tornato, perché non c’era.

Sarebbe un errore credere che il "terrorismo" di oggi sia soprattutto un avanzo di quello dell’altro ieri. Farsi impressionare dalla continuità impedisce di vedere la novità: il "terrorismo" che sta incubando si trova i suoi pretesti tutti nuovi nella condizione d’oggi, e l’epopea brigatista è un arredo d’epoca. Gli stessi "combattenti" maturi e addirittura anziani sono, alla lettera, dei sopravvissuti, simili ai rari superstiti della generazione dell’eroina. Del buco di eroina si moriva presto, e forse per questo sembrava che l’eroina fosse affare di giovani, e che non stesse bene bucarsi da grandi: semplicemente, non si arrivava a essere grandi. Qualcosa del genere succedeva per i "terroristi": non sta bene esserlo a cinquant’anni, o sessanta. O semplicemente, si è morti prima.

Ce ne sono, di nuove nicchie per dei giovani che vogliano sradicarsi dalla società ufficiale e dal suo ordine costituito. Cattiveria del mondo globale, ottusità della generazione adulta e dei suoi modi di vivere, un terzomondismo rinnovato dalla prossimità domestica coi migranti, una paradossale idea della pace e della nonviolenza tradotta in impulso alla violenza riparatrice, distanza cercata dalla propria generazione e dal conformismo dei suoi desideri, spettacolo universale della guerra - possono spingere pochissimi giovani all’attivismo armato, e non pochi alla simpatia e alla solidarietà.

Ci si è fermati sugli attempati cospiratori presi nella retata ultima, che colpiva invece per i giovani, e la loro milizia politica e sindacale. Li si immagina reclutati dagli anziani, e ci si chiede che cosa li renda ancora vulnerabili al richiamo brigatista da anni Settanta, e probabilmente sono quegli sparuti anziani spostati a venir reclutati dai giovani, con la benevolenza che si assegna a chi è invecchiato senza trovare casa.

Mostrare la miseria dell’epopea terrorista è lodevole, se non altro perché è vero: ma a te non basterà, ragazzo. Ci sono sottomondi che si dissociano dalla conversazione comune per sentirsene esclusi e insieme esclusori e nemici, e comunicano in una lingua loro peculiare e irriducibilmente straniera. In quella lingua diventano possibili, plausibili e anzi doverosi pensieri e gesti che altrove suonano deliranti, e suoneranno deliranti a loro stessi quando avverrà loro di uscire dalla nicchia.

Il punto insuperabile delle ormai innumerevoli testimonianze degli attori della "lotta armata" degli anni Settanta e Ottanta è proprio qui: che loro stessi non sanno più capire come abbiano potuto vivere e agire in quel modo, e lo sforzo di rendere l’idea della temperie perduta può essere narcisista o angosciato, ma resta evasivo, come il racconto di un’ubriacatura molesta della notte prima. La violenza è ogni volta di nuovo incubata nel grembo del nostro mondo, e ogni volta la sua parabola si alza e poi ricade. È difficile che ricada senza essere andata oltre. Limitare i danni è questione che riguarda tutti, per un verso, e riguarda la polizia, per l’altro.

Noi avevamo smesso di chiamarla "strage di stato", per stanchezza, per rigetto, quando cominciarono i magistrati competenti a chiamarla così. È diventata la dizione d’ufficio. Luigi Calabresi era un "fedele servitore dello stato", come recitano oggi le lapidi? Sì. Ma di quale stato? A quale fedeltà è stato tenuto, o indotto?

Qui non posso avere la stessa convinzione di sua moglie o dei suoi figli, benché mi dispiaccia terribilmente di ferirne i sentimenti. Quello stato era fazioso e pronto a umiliare e violentare. Lo so. Una volta uno dei suoi più alti esponenti venne a propormi un assassinio da eseguire in combutta, noi e i suoi affari riservati.

Nella primavera del 1969 ci fu una sequela di attentati a Milano. Erano fascisti, e delle stesse mani che avrebbero colpito all’ingrosso il 12 dicembre, a piazza Fontana. Furono accusati e incarcerati anarchici e persone di sinistra. Di quella indagine Calabresi fu dei principali autori. Per convinzione della colpevolezza degli anarchici, per fedeltà allo stato, per ambedue le ragioni, o per una sola?

Il 12 dicembre fu il perfezionamento di quella vicissitudine, e lo stato, Roma e il questore Guida, vollero l’anarchico colpevole, e toccò a Pietro Valpreda, e per sovrappiù a Pino Pinelli. Perché Pinelli? Perché viene tenuto per tre giorni, illegalmente (il vicequestore Allegra fu solo amnistiato per questo reato)? Perché si dice di lui, perfino dopo lo schianto, che si è riconosciuto colpevole, che ha gridato: "È la fine dell’anarchia", che è stato schiacciato dalle prove?

D’Ambrosio ha giudicato che Calabresi fosse uscito dal suo ufficio. Bene. (Anni fa, D’Ambrosio, tradito dalla memoria, disse che era stato l’anarchico Valitutti a confermare: ma Valitutti aveva detto il contrario). Calabresi era fuori dalla stanza, a far firmare i verbali. E i quattro che comunque nell’ufficio di Calabresi erano rimasti? Di cui D’Ambrosio accerterà che mentirono? E che furono promossi, tutti? E che non hanno detto più una parola? E che nessuno è andato più a interpellare, in un paese in cui dodici richieste di intervista non si negano a nessuno?

Quello stato che abbandonò Calabresi durante il linciaggio di cui noi fummo la punta avanzata, dovette garantirsi bene della fedeltà degli altri quattro. E poi la sequenza dei processi, la ricusazione di un giudice colpevolista, le omertà…

Ce n’era abbastanza per agitare le notti dei paladini di vedove e orfani. E un delitto commesso dallo stato è peggiore di uno privato. Il delitto privato coinvolge la responsabilità del suo autore, quello dello stato vuole rendere complice l’intera comunità. È vero che allora in tanti vedevamo la società così radicalmente spaccata in due parti, che noi stessi pensavamo come se fossimo l’altro stato, ed evocassimo e usurpassimo una giustizia in nome del proletariato, e in anticipo sul futuro.

(Diceva questo il mio comunicato dopo l’uccisione di Calabresi, distorto in quell’inventato "Giustizia è fatta"). Per questo si può avversare la pena di morte e compiere un omicidio. Dì la verità, ragazzo: tu sei contro la pena di morte, vero? Fin dove arriveresti per combattere la pena di morte? Fino all’omicidio, e oltre - non è vero?

Io, che non conosco più il mondo, se non in certi suoi ripostigli tormentati, mi chiedo se tu, sul punto di passare la linea, non ti ritenga anche un adepto della nonviolenza. La nonviolenza - che è il cammino più paziente, tortuoso e arrischiato da intraprendere - è arrivata per alcuni così repentinamente da riuscire perfino a rianimare le motivazioni della violenza. Grammatica nonviolenta, pratica violenta. Ti piacerebbe ammazzare un gran sindaco, un gran cardinale? Sapevi chi erano D’Antona, Biagi?

Gli inquirenti hanno citato un passo della brutta copia della lettera di una brigatista recente a un suo compagno: "A mia sorella ho urlato che, fosse stato per me, Biagi l’avrei torturato prima di giustiziarlo, ed è proprio così, per quello che ha fatto al proletariato". (Il brano non è stato poi copiato nella lettera spedita). Delirio impensabile, o una corazza fortunosa arrivata al punto di spezzarsi - o tutt’e due. E tu, ti piacerebbe torturare Cofferati, per quello che ha fatto al proletariato? E se anche fosse così, tu resti contrario alla tortura, immagino, no?

L’ho già detto: non mi illudo che tu mi stia a sentire. Eppure potresti almeno scommettere un centesimo sulla mia conoscenza del prossimo. I compagni combattenti, di ieri e di oggi, sono fessi. Non sanno quello che fanno. Fraintendono. Guardano un bravo professore laburista in bicicletta, e lo scambiano per un aguzzino del proletariato. Guardano un bravo sindaco di sinistra, e lo prendono per un boia imperialista.

Sono fessi. La cosa peggiore è che fraintendono anche se stessi: si guardano allo specchio, e vedono, invece che un giovane precario, un po’ incazzato, cui piacerebbe quella lì, loro vedono un intrepido giustiziere antimperialista. È una malattia degli occhi. Poi passa. Si smette di essere fessi. Prima o poi.

Dunque ti stai allenando. Magari hai già un "ferro" da montare e rismontare, calcolando la velocità. Immagini già lo scenario della tua azione. Provi già la frase: "Mi dichiaro prigioniero politico". No: "Prigioniero Politico". Anzi: "PRIGIONIERO POLITICO".

Tu, ora, puoi essere lusingato. Puoi farla grossa davvero. Vedi il discredito della vita pubblica. Vedi le grandi manovre di piccoli partiti che corrono a occupare "lo spazio appena lasciato vuoto" dal partito adiacente. Perfino tu potresti speculare su questa rincorsa alla geometria solida: "lo spazio lasciato vuoto" dalla crisi della lotta armata è una prateria ai tuoi piedi. Hai l’acquolina in bocca a figurarti il danno che puoi fare.

Ributtare ciascuno nel proprio angolo, ciascuno coi propri morti. Appena arriverà un morto nuovo, il tuo, sarà tutto compromesso, giornata della memoria e lapidi e strade intitolate. E tu avanzerai lungo il cammino che porta a vedere nel proprio compagno un traditore, e a tradire, e poi a pentirsi o dirsi irriducibile, a morire "in combattimento" o compilare istanze per un permesso premio e preparare in cella l’esame di diritto internazionale. Nessuno tiene a prendere trenta all’esame quanto un ex clandestino.

Ma allora davvero non avrà mai fine? Avevo immaginato che la mia galera potesse servire ad avvicinare la fine, e a favorire il ricominciamento di cui c’è bisogno. Ho detto che il film di Fly ha una trama rocambolesca. Ma la concatenazione incredibile che i grandi romanzi riescono a rendere verosimile è anche la vera anima della vita. In questa catena nessuno è libero. Si può provare a spezzare il proprio anello. Tu, apprendista della camera oscurata, puoi ancora spalancare la finestra, respirare fondo, e disertarla, la catena. Hai un mondo da conquistare, ragazzo.

Giustizia: lettera di Sofri; in molti chiedono "dica tutta la verità"

 

Corriere della Sera, 28 maggio 2007

 

"Di solito ci si rivolge a qualcuno per fare un omicidio solo se si sa che è del ramo...". Marco Travaglio riflette a voce alta sulle dichiarazioni di Adriano Sofri. L’ex leader di Lotta continua, a proposito dei pezzi deviati dello Stato, ha raccontato al Foglio: "Una volta uno dei suoi più alti esponenti venne a propormi un assassinio da eseguire in combutta, noi e i suoi affari riservati". Queste dichiarazioni di Sofri, condannato a 22 anni di carcere per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi (e ora in regime di differimento pena per motivi di salute), hanno aperto una feroce polemica.

Travaglio pone tre interrogativi: "Ammesso che sia vero il racconto, primo: perché si sono rivolti a lui? Sapevano di potersi fidare? Secondo: se sei dei servizi deviati perché fai a Sofri quella proposta se poi sai che può denunciarti? Terzo: perché Sofri ha taciuto finora? Lui ha sempre detto che in Lotta continua era l’idealista. Ma ora, forse, è tutto da rivedere".

Polemiche anche da parte dell’associazione vittime del terrorismo "Domus Civitas". Le famiglie, attraverso il presidente Bruno Berardi, chiedono a Sofri più trasparenza: "Snocciola dopo 30 anni sul Foglio storie inedite che abbiamo sempre intuito. Gli chiediamo di raccontare subito la verità". Anche il prodiano Franco Monaco chiede: "Faccia nomi e cognomi". Mentre Maurizio Gasparri (An), che porterà il caso in Parlamento, aggiunge: "Sofri fornisca le prove".

Giustizia: Violante; Sofri ha il dovere civile di chiarire la vicenda

 

Corriere della Sera, 28 maggio 2007

 

"A questo punto Adriano Sofri ha il dovere civile di dire chi, come e quando gli propose di commettere insieme un omicidio". Luciano Violante, ex presidente della Camera, oggi guida la commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, ma ha anche un passato di magistrato impegnato contro l’eversione.

Alla rivelazione di Adriano Sofri sul Foglio di sabato, circa un’offerta di patto scellerato rivoltagli negli anni di piombo da un funzionario dello Stato, l’esponente dei Ds reagisce invocando chiarezza: "L’ex capo di Lotta Continua deve dire tutto quello che sa: in quale contesto avvenne l’approccio, perché fu indirizzato al suo gruppo e chi era la vittima designata. Quando saranno noti i termini della vicenda, sarà possibile esprimere delle valutazione serie".

 

C’è qualcosa che l’ha colpita in quella dichiarazione?

"Indubbiamente viene da domandarsi perché qualcuno pensasse che un leader di Lotta Continua fosse disposto a concludere accordi per effettuare omicidi".

 

Tra l’altro, a sentire Sofri, si trattava di uno dei più alti esponenti dello Stato.

"Sì, ma anche questo è un riferimento assolutamente generico. Vorrei ricordare che diversi uomini che erano al servizio dello Stato vennero assassinati dai terroristi in quegli anni tragici".

 

Che ne dice dell’accenno ad "affari riservati", nell’articolo di Sofri, che richiama subito l’omonimo e chiacchierato ufficio del ministero dell’Interno, diretto fino al 1974 da Federico Umberto D’Amato?

"Credo che in quell’ufficio lavorassero trecento persone. Per questo non bisogna lanciare messaggi così vaghi. Trasparenza e onestà vorrebbero che si dicesse tutto, senza infangare persone che non c’entrano o salvarne altre, magari responsabili di quel genere d’istigazioni. In particolare un intellettuale di prestigio come Sofri, che scrive sui grandi mezzi di comunicazione e ha quindi una grossa responsabilità nella formazione dell’opinione pubblica, non si può limitare a mandare un messaggio simile".

 

Secondo lei si tratta di un segnale rivolto a qualcuno?

"Sofri ha troppa esperienza nel campo dell’informazione per non capire l’effetto di un’affermazione del genere. È bene quindi che chiarisca tutto e lo faccia al più presto"

Giustizia: udienze celebrate on-line, per il risparmio e l’efficienza

 

La Repubblica, 28 maggio 2007

 

Un progetto sperimentale sulla dematerializzazione dei fascicoli finanziato dal Ministero di Giustizia con il Cnipa, e realizzato dalla Digit.

Un’aula di tribunale virtuale nella quale udienze e sentenze sono però assolutamente reali. Testimoni ascoltati in videoconferenza, fascicoli processuali consultati da un personal computer, file condivisi in tempo reale e persino atti e sentenze sottoscritti con una semplice firma digitale. Lo scenario è quello sperimentato dal Tribunale di Cremona nell’ambito del progetto Digit, cofinanziato da ministero della Giustizia e Cnipa per la dematerializzazione dei fascicoli processuali penali.

Un progetto ambizioso, che prevede in tutta Italia la scannerizzazione e l’acquisizione digitale di 35 milioni di pagine l’anno di fascicoli processuali cartacei a partire dal 2007, e che già a Cremona ha reso disponibili in formato pdf (il supporto tecnico al progetto è fornito da Adobe) 400 fascicoli e 2.500 sentenze per un totale di oltre 200mila pagine di atti.

I vecchi fascicoli cartacei (i nuovi vengono realizzati già in digitale), una volta passati allo scanner vengono sottoposti al riconoscimento ottico dei caratteri in modo da essere accessibili alla ricerca di parole all’interno del testo, quindi vengono protetti dal sistema Drm Adobe. "La tecnologia è sicura e anche semplice", spiega Andrea Valle, business manager di Adobe Systems.

"Chiunque abbia un’infarinatura di informatica può capire come consultare o creare un fascicolo informatico con l’affiancamento di un esperto per 23 ore. Con la partecipazione a distanza alle udienze si riducono anche i costi delle udienze". Oltre che economico, il sistema è proficuo. "Abbiamo calcolato che dando ai difensori copie digitali anziché cartacee dei documenti - afferma Pierpaolo Beluzzi, referente per l’informatica della Corte d’appello di Brescia e promotore del progetto Digit il sistema in tre anni avrà realizzato ricavi di 356mila euro, con un risparmio di sei milioni di fogli di carta.

Raggiungeremo il pareggio economico in tre anni con la cessione del 46% delle copie in formato digitale. Tenendo conto delle spese per il trasferimento dei detenuti e di quelle sostenute per la formazione che potremo effettuare sempre con la piattaforma Digit, si arriva a un risparmio di oltre un milione di euro". Inoltre, consultare i fascicoli elettronici anziché quelli cartacei consente di risparmiare oltre la metà del tempo.

Il vantaggio cresce percentualmente tanto più sono voluminosi i fascicoli, il che ha anche un’evidente ricaduta in termini di tempi processuali". Non a caso, una cospicua parte dei documenti già digitalizzati riguarda proprio i fascicoli processuali più voluminosi, come quello della Strage di Piazza della Loggia, realizzato dalla procura della Repubblica di Brescia nell’ambito del più generale progetto di un Centro permanente nazionale per la dematerializzazione dei processi per strage da costituire a Cremona.

Genova: visita dei Radicali a Ponte X; non dimenticare il carcere

 

Genova, 28 maggio 2007, 28 maggio 2007

 

Venerdì scorso, 25 maggio, una delegazione di radicali ha visitato la casa circondariale di Genova Pontedecimo. Alessandro Rosasco, membro del Comitato nazionale di Radicali Italiani e candidato capolista nei Verdi per le comunali e le provinciali, ha accompagnato il deputato radicale della Rosa nel Pugno Bruno Mellano e il radicale genovese Stefano Petrella, nella visita al carcere. La delegazione è stata accolta ed accompagnata nella visita all’istituto dal direttore Giuseppe Comparone e dal commissario Bruzzone. Nei mesi scorsi Rosasco e Mellano, accompagnati dal capogruppo dei Verdi in Regione Liguria Cristina Morelli, avevano visitato la casa circondariale di Genova Marassi, mentre Rosasco e Morelli hanno visitato il carcere di Pontedecimo nel giugno scorso.

Oggi in carcere erano presenti 92 detenuti, di cui 57 maschi e 35 femmine. Con il provvedimento dell’indulto sono stati messi in libertà complessivamente 103 detenuti: la situazione all’inizio dell’agosto 2006, precedente alla norma di clemenza, vedeva una presenza di 180 persone incarcerate, con ospiti anche 6 bambini sotto i tre anni, detenuti con le madri. Oggi era presente un solo minore, Maya di nove mesi, figlia di una detenuta russa.

Buono il rapporto con il Sert locale, l’equipe è formata da due medici ed una psicologa: il metadone viene utilizzata regolarmente. Ad oggi fra maschi e femmine vi sono 11 trattamenti con il metadone, 8 a scalare e 3 a mantenimento. È utilizzato anche il subutex ed altri farmaci sostitutivi. Buona anche il rapporto con il limitrofo Ospedale Gallino.

Lavori in corso per una manutenzione straordinaria sono stati iniziati dopo lo sfollamento dovuto all’indulto: si stanno adeguando le celle ed in particolare i bagni, con la costruzione di docce interne alle stanze (come da anni previsto dal regolamento penitenziario).

Lunedì 2 nuovi semiliberi inizieranno a lavorare all’esterno con il comune di Sant’Olcese; altri semiliberi sono impegnati nei lavori agricoli e forestali dell’ampia area demaniale interna ed esterna alle mura del carcere. Il personale previsto dall’organigramma è di 180, sono in forza solo 140 agenti, fra uomini e donne, di cui ben 35 risultano essere in distacco presso altre strutture.

Alessandro Rosasco ha dichiarato: "La città di Genova non può dimenticarsi delle due carceri cittadine, Marassi e Pontedecimo. Noi radicali candidati nei Verdi abbiamo fatto inserire uno specifico punto nel programma della lista. Ci attendiamo che Marta Vincenzi e Alessandro Repetto, che in campagna elettorale non quasi hanno parlato dei detenuti (perché non fanno voti) se non con proposte non condivisibili (come lo spostamento fuori città del carcere di Marassi), sappiano essere operativi e concreti, ad esempio aiutandoci a far finalmente decollare la progettazione finanziabili con la Cassa delle Ammende (118 milioni di euro disponibili per il reinserimento lavorativo e sociale) finora sconosciuta e sottoutilizzata, anche dagli enti locali"

Vicenza: il Rotary Club dona ai detenuti 100 libri in lingua araba

 

Il Gazzettino, 28 maggio 2007

 

Domani alla Casa Circondariale di Vicenza, alla presenza del Presidente del Rotary Club Vicenza Berici Gianfranco Alghisi, del Consigliere delegato della Biblioteca Bertoliana Luigi Marchetto e della Direttrice dell’istituto Irene Iannucci, avverrà la consegna dei cento libri in lingua araba acquistati dal Rotary a favore della biblioteca interna all’istituto di detenzione vicentino.

L’iniziativa si iscrive nella collaborazione che da alcuni anni si è formalizzata tra la Biblioteca Civica Bertoliana e l’istituto di detenzione per la realizzazione e la crescita della biblioteca interna a quest’ultimo. Per questo è partito ormai da due anni il progetto "Liberi di leggere" attivo presso le librerie vicentine e volto ad arricchire le raccolte librarie a disposizione del personale e dei detenuti ospiti della Casa Circondariale, con il contributo di molti vicentini che acquistano in libreria e donano opere.

Vista la presenza di numerosi detenuti stranieri il Rotary Club e la Biblioteca Bertoliana hanno pensato di arricchire il nucleo di libri in arabo già presente nella biblioteca carceraria, con una scelta di 100 volumi (soprattutto narrativa e poesia dei maggiori autori dell’area medio-orientale e magrebina) che potessero così offrire anche a questo tipo di pubblico il piacere di una lettura in lingua originale. L’intento è quello di realizzare un catalogo di questo materiale a disposizione di tutti tramite il sito internet del Servizio Bibliotecario Provinciale di Vicenza di cui la Biblioteca Bertoliana è ente capofila.

Il progetto è ambizioso e piuttosto complesso, data la non facile catalogazione dei libri in alfabeti non latini mancanti di una traslitterazione univoca che ne rende difficoltosa la visualizzazione delle informazioni per chi non conosce l’arabo, e data la necessità di mantenere per chi legge in tali lingue le informazioni utili a riconoscere i libri nell’alfabeto originale.

Sulla scorta di esperienze fatte in varie biblioteche italiane si sta realizzando un elenco, prossimamente consultabile sul sito, che riporta, oltre alla scansione del frontespizio originale parlante per chi conosce l’arabo, anche una breve descrizione della pubblicazione in italiano, utile a chi voglia conoscere rapidamente questa raccolta. Tutto questo farà sì che il prestito, già attivo da alcuni anni tra le biblioteche appartenenti al Servizio Bibliotecario Provinciale di Vicenza e la biblioteca interna alla Casa Circondariale tramite un furgoncino che porta due volte la settimana i libri richiesti, possa questa volta avvenire anche in senso contrario. Sarà, infatti, la biblioteca carceraria a poter a sua volta prestare materiale utile al pubblico vicentino che frequenta le biblioteche in cerca di libri in arabo.

Catanzaro: all’Ipm iniziativa culturale per i ragazzi detenuti

 

Asca, 28 maggio 2007

 

Sarà un pomeriggio particolare, domani, 29 maggio, all’Istituto Penale per i Minorenni "Silvio Paternostro" di Catanzaro: i ragazzi detenuti avranno, infatti, la possibilità di trascorrere un’ora in compagnia del noto cabarettista catanzarese Piero Procopio, insieme agli attori dell’associazione da lui presieduta.

L’iniziativa è stata promossa e organizzata dalla Commissione Giovani e devianza del Servizio diocesano di Pastorale giovanile, guidato da Frate Franco Lio, in particolare da Giampiero Rullo e Maria Santise dell’Associazione di promozione sociale "Arbor", grazie alla sensibile e disponibile professionalità di Francesco Pellegrino, direttore dell’Istituto penale, che da diverso tempo accoglie con entusiasmo le diverse proposte della Commissione.

Piero Procopio, unitamente all’associazione "Hercules" di cui è presidente, non trascura di impegnarsi nel sociale, cercando di regalare un sorriso e qualche momento di spensieratezza a chi ne ha più bisogno, nell’ambito di manifestazioni organizzate, per esempio, da istituzioni penitenziarie e di assistenza e/o cura di soggetti diversamente abili. Attualmente è impegnato nella costruzione di un piccolo teatro stabile in Catanzaro Sala, che prenderà il nome di "Teatro dei sogni".

La Commissione Giovani e devianza della pastorale giovanile intende cosi proseguire il suo percorso di accompagnamento e animazione, all’interno dell’istituto penale, non solo per i momenti religiosi ma per ogni occasione che può contribuire, sia ai giovani detenuti che ai giovani della diocesi, alla condivisione di quanto è un loro sentire comune, ovvero l’adolescenza, lontano dagli steccati soliti della indifferenza, del pregiudizio, della paura.

Droghe: cocaina nei polmoni dello studente morto in classe

 

La Repubblica, 28 maggio 2007

 

Tracce di cocaina nei polmoni. Sono questi i primi risultati degli esami tossicologici su Dario Evola, il 15enne di Cusano Milanino che il 16 maggio scorso è morto in classe per un malore dopo aver fumato uno spinello con alcuni compagni di scuola, disposti dalla magistratura per capire se il ragazzo avesse fumato insieme alla cannabis qualche sostanza nociva. Gli esiti di questi accertamenti, sebbene ci vogliano una ventina di giorni per avere un quadro completo, non avrebbero evidenziato nel corpo del giovane residui di hascisc. Ed è proprio in base a questo che ora gli inquirenti ipotizzano che il ragazzo abbia fumato o inalato, sembra due o tre tiri, "cocaina crackata", i cui effetti sono di gran lunga superiori rispetto al normale. Inoltre la procura di Monza, titolare dell’inchiesta per morte come seguito di altro reato, ancora a carico di ignoti, hanno disposto ulteriori e più approfonditi accertamenti per scoprire se Dario, al quale era già stato riscontrato il cuore leggermente ingrossato, non avesse altre anomalie o malformazioni congenite.

Droghe: il ministro Turco; i Nas ispezionino a tappeto le scuole

 

Notiziario Aduc, 28 maggio 2007

 

Ispezioni dei Nas a tappeto nelle scuole di tutta Italia: questa è la proposta che il ministro della salute Livia Turco sottoporrà al suo collega di governo Giuseppe Fioroni, titolare del dicastero dell’istruzione. La proposta è stata annunciata ieri mattina a Milano dallo stesso ministro della salute come una delle strade per arginare l’allarme droga, soprattutto per quanto riguarda lo spaccio, tra gli studenti di licei e istituti tecnici italiani. Allarme che desta sempre più preoccupazione dopo che lo scorso 16 maggio un ragazzo di 15anni è morto in classe per un malore: all’intervallo avrebbe fumato con alcuni compagni uno spinello nel quale, si teme, sia stata inserita una sostanza altamente tossica.

Allarme sorto anche per la vicenda del preside di un liceo di Torino che, con una lettera, ha chiesto ai carabinieri di fare un sopralluogo nella scuola: alcuni dei suoi alunni erano stati male e temeva facessero uso di sostanze stupefacenti. Timori fondati, perché durante il blitz un ragazzo e stato "beccato" mentre si preparava uno spinello e in un sottoscala sono stati trovati cinque dosi di hashish.

"Proporrò al ministro Fioroni un’attività ispettiva dei Nas nelle scuole", dice convinta Livia Turco prima di lasciare il Tetro Nuovo di Milano, al temine delle celebrazioni per l’80esimo anniversario dell’Avis. "Ci ho pensato un po’ e credo sia utile un’ispezione a tappeto dei Nas", ripete sottolineando la necessità di un coordinamento con il collega dell’Istruzione. Anche perché per tutelare i ragazzi in preda alle sostanze stupefacenti, non di rado tagliate con sostanze altamente nocive, c’è, inoltre, un lavoro educativo da fare ed è la cosa più faticosa ma è fondamentale. E poi è necessario combattere i trafficanti. Abbiamo una legge severissima che colpisce il consumo, ma ciò non serve a nulla. Bisogna, invece, colpire duramente il traffico. È quello che abbiamo intenzione di fare".

Quindi per rispondere all’allarme droga nelle scuole e tra gli adolescenti è fondamentale, come pare dalle parole del ministro, agire su più piani. Accanto al Governo, "le forze dell’ordine - prosegue - facciano fino in fondo la loro parte" così come i presidi, gli insegnanti e i genitori. "Non è più tollerabile questa diffusione capillare delle sostanze stupefacenti, non possiamo lasciare i nostri ragazzi in preda alle varie droghe. Il mio appello è l’assunzione di responsabilità da parte di tutti".

E ancora il ministro della salute, ritorna a constatare che "la normativa in vigore sulle dipendenze è molto dura nei confronti degli stupefacenti, ma purtroppo risulta inefficace. Quindi - conclude il ministro - ciascuno deve fare la sua parte e nello stesso tempo è necessario cambiare questa normativa che voleva tanto essere severa e che, in realtà, ha dato scarsi risultati".

 

Commenti

 

No ai Nas nelle scuole, sì al controllo del territorio, alla prevenzione e all’informazione. È la posizione dell’Unione Italiana Genitori. "La proposta della ministra Turco di inviare i Nas nelle scuole non ci trova d’accordo", perché, spiega in una nota il presidente dell’Unione genitori, Donatella Poselli, "la scuola non può diventare il luogo della repressione e del controllo sui ragazzi ed i loro comportamenti da parte delle forze dell’ordine".

Per l’Unione genitori il problema droga va risolto a monte con prima di tutto una preventiva e capillare informazione a tutti gli studenti, a partire dalle scuole medie, sugli effetti che le sostanze stupefacenti hanno sulla loro salute. Ben venga il controllo dei Nas ma sul territorio: le forze dell’ordine devono intervenire per reprimere lo spaccio nei luoghi maggiormente frequentati dai ragazzi e cioè fuori dalle scuole, discoteche, palestre, ecc..

"Fioroni accolga la proposta del Ministro Turco e si avvii un’operazione seria di ricognizione nelle scuole rispetto a presenze indesiderate e indesiderabili che arrivano a fornire ai ragazzi non solo sostanze stupefacenti ma spesso anche impure che compromettono, a volte definitivamente, la vita dei nostri giovani". Lo dichiara Valentina Aprea, responsabile scuola di Forza Italia, per la quale "se finora c`è stata tolleranza soprattutto rispetto alle cosiddette droghe leggere, si cominci a far sentire a chi continua a spacciare droga nelle scuole superiori italiane il fiato sul collo della presenza istituzionale. La scuola è un bene di tutti ma è soprattutto il luogo in cui i giovani devono trovare opportunità e sostegno per la propria crescita. Non possiamo per questo accettare che, al contrario, diventi un luogo in cui è facile perdersi e inseguire falsi miti".

"I carabinieri nelle scuole già ci vanno. Il controllo è previsto. Sia fuori che dentro". È quanto afferma il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni, al Messaggero.

"Non ho aspettato le dichiarazioni del ministro della Salute per decidere le misure di contrasto alla diffusione degli stupefacenti - dice Fioroni a Repubblica -. A settembre i dirigenti scolastici avranno nuove direttive", afferma e sottolinea che "se la situazione dovesse rivelarsi grave arriveranno gli ispettori del ministero. Solo dopo un’attenta analisi della situazione - avverte Fioroni - si potrà passare a misure più drastiche".

Il ministro dice quindi che nelle scuole "da tre mesi è scattato un piano contro gli abusi" e "a proposito di regole - aggiunge - mi sono arrivate più di 150 foto di studenti che fumano all’interno degli edifici scolastici, in barba ai cartelli con la scritta divieto di fumo. Se non si possono fumare le sigarette - dice Fioroni - ci mancherebbe che si tollerassero gli spinelli. A questo punto devono essere i presidi -sottolinea- a intervenire e far applicare le sanzioni".

"Non può esserci un potere assoluto dei Nas. L’intervento va concordato con preside e docenti perché la funzione educativa è delicata e non va compromessa". Lo dice al Corriere della Sera l’ex ministro dell’Istruzione, Luigi Berlinguer, commentando al proposta del ministro della Salute Livia Turco e sostenendo che "bisogna prima di tutto parlare con i ragazzi. Che non hanno bisogno della paternale - avverte -. Va loro spiegato cosa è sbagliato, cosa è contro la legge, vanno rispettati, informati. Altrimenti è meglio lasciar perdere - dice - Non servono arresti né criminalizzazioni".

"Finalmente il ministro Turco ed il ministro Fioroni si rendono conto che la droga circola tranquillamente nelle scuole (e nelle università?). Peccato che ci doveva scappare una disgrazia. Non pensiamo che i carabinieri siano l’unica risposta, soprattutto se estemporanea, ad un problema così serio come la diffusione e lo spaccio di sostanze stupefacenti all’interno delle scuole italiane.

La risposta del governo Prodi ci sembra schizofrenica perché un giorno propone l’innalzamento della quantità minima consentita di cannabis, il giorno dopo propone i Nas dentro le scuole, nella stessa maggioranza poi c’è chi ancora sostiene la liberalizzazione di tutte le droghe e chi, come il ministro Amato, vuole fare i test anti doping pre-esami". Lo afferma Beatrice Lorenzin, coordinatore dei giovani di Forza Italia, che aggiunge: "La questione per noi giovani di Forza Italia è molto seria, riguarda innanzitutto una vera campagna di prevenzione che passi attraverso la cultura della responsabilità e soprattutto la sconfitta della cultura della normalizzazione dell’uso di droga, imperante negli ultimi decenni nel nostro paese, attraverso un rafforzamento del ruolo dell’istituzione scolastica e un sostegno concreto alle famiglie. Per questo il 26 giugno, in occasione della Giornata Mondiale contro la droga, i giovani di Forza Italia organizzeranno una serie di iniziative in tutto il paese per sensibilizzare ragazzi e genitori ad un corretto e sano stile di vita senza droga e alcool".

Il Codacons e l’Associazione per la difesa dei diritti civili della scuola si oppongono fermamente alla proposta del Ministro della Salute Turco di inviare i carabinieri dei Nas nelle scuole. "Esistono già ferree leggi in tal senso, ed esiste chi deve farle rispettare", afferma per conto delle due associazioni l’avvocato Carlo Rienzi in un comunicato. "Se si vuole lottare contro fumo e droga nelle scuole, i docenti che vedono fumare uno studente all’interno delle strutture scolastiche devono necessariamente proporne la sospensione. Non solo. Gli istituti scolastici devono approvare a inizio anno, in sede di collegio dei docenti e dei genitori, un regolamento interno che preveda il divieto assoluto di fumo e l’applicazione automatica della sospensione per chi lo viola, assegnando ad almeno tre docenti il compito di ispezioni e controlli".

"I Nas e le forze dell’ordine semmai - prosegue Rienzi - devono operare fuori e davanti le scuole, e concentrare gli sforzi contro gli spacciatori, che tutti sanno dove e come operano". "Dopo il raddoppio delle dosi massime di cannabis consentite per uso personale volute da questo Governo, e annullato grazie al ricorso del Codacons al Tar del Lazio, proporre ora un eccesso opposto - e cioè l’invio dei Nas contro gli spinelli a scuola - ci sembra un comportamento schizofrenico e incomprensibile".

"È facilmente intuibile che cosa sarebbe accaduto nel Paese se la proposta Turco di inviare i Nas nelle scuole a caccia di droga l’avesse fatta il centrodestra... Ma comunque, il ministro della salute ha il merito di aver scoperto la verità: la droga fa male". Lo dice Francesco Storace, senatore di Alleanza nazionale ed ex ministro della Salute.

"Ora - avverte Storace rivolto a Livia Turco - ci spieghi come fa a considerare un diritto drogarsi e non un delitto contro se stessi, contro la propria famiglia, contro la società".

"La proposta lanciata dal Ministro Livia Turco circa la possibilità di utilizzare i Nas per effettuare controlli antidroga nelle scuole è molto positiva e mi auguro che il Ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni la accolga quanto prima". Lo auspica Silvana Mura deputata di Idv, secondo la quale "le notizie delle ultime settimane hanno evidenziato come in alcuni istituti scolastici i ragazzi non solo introducono sostanze stupefacenti, ma in più di un caso le consumano lungo i corridoi, nei bagni e, come mostrano alcuni filmati anche in classe".

"È inammissibile che una istituzione che deve preparare i giovani al futuro, come la scuola, possano circolare abbastanza liberamente sostanze che rischiano di metterne fortemente a rischio la salute. Le ispezioni dei Nas all’interno delle scuole possono essere molto utili a limitare questo fenomeno ed è per questo che riteniamo si dovrebbe procedere quanto prima già a partire dall’inizio del prossimo anno scolastico. Non si tratta affatto di militarizzare le scuole ma di tutelare al meglio la salute dei ragazzi", conclude Mura.

"Io non so cosa pensare. Mi sembra una proposta non so quanto meditata, mi pare non molto, probabilmente impraticabile, parole in libertà... Sono rimasta senza parole. Io penso che responsabilità vuol dire fare proposte che siano intanto praticabili, e poi in linea con un qualche principio che uno ha in testa. Mi pare che questa manchi di entrambi i requisiti". Lo ha detto Emma Bonino, intervistata da Radio Radicale sulla proposta di Livia Turco sui Nas nelle scuole.

"Al ministro Turco suggeriamo la proposta di svolgere le lezioni scolastiche direttamente nelle caserme dei carabinieri". Questo il commento ironico di Francesco Mosca, segretario nazionale della Federazione dei Giovani Socialisti. "Volendo - conclude il giovane dirigente Mosca - i professori potrebbero essere sostituiti dai marescialli".

"Il Ministro Turco sembra finalmente svegliarsi dal torpore antiproibizionista e prendere coscienza della gravità sociale della droga". Lo afferma il leader di Alternativa Sociale, Alessandra Mussolini, che condivide la proposta del Ministro della Salute di inviare i Nas nelle scuole per i controlli contro la droga. "La proposta fu fatta qualche giorno fa da me e dall’On. Casini - precisa la Mussolini - all’indomani della morte del quindicenne della provincia di Milano dopo avere fumato uno spinello. Quindi, accolgo con il massimo favore questa iniziativa del Ministro che è in linea con la proposta fatta da AS. Ora bisogna andare avanti e mettere mano al codice penale, prevedendo espressamente che chi si droga commette un reato grave".

"Livia Turco è veramente una persona tempestiva. Bisognerà informarla che tra qualche giorno le scuole chiudono. Dove li farà questi controlli?". Questo è quanto si domanda il deputato di An, Maurizio Gasparri, sulla proposta del ministro della Salute di mandare i carabinieri nelle scuole. "Quando eravamo nel pieno dell’anno scolastico - continua Gasparri - ha proposto il raddoppio della quantità di cannabis che a suo avviso poteva legalmente circolare. Ora condivido questa ipotesi e sono fautore da tempo di una politica di prevenzione nei confronti della droga, ma Livia Turco dovrebbe essere più coerente".

No quindi, per Gasparri a "proporre più droga per tutti un giorno, e poi più carabinieri nelle scuole quando chiudono: sembra - sottolinea l’ex ministro delle Comunicazioni - che stia giocando con un problema serio". Necessario sarebbe, invece, "rinunciare alle proposte di archiviare la legge vigente sulla droga e impegnarsi per applicarla con maggiore determinazione, oltreché a sostenere di più le comunità come quella di don Gelmini, che rappresentano le uniche risposte serie nella lotta alla droga a differenza della disastrosa azione dei Sert - conclude Gasparri - che sono soltanto un luogo di promozione della tossicodipendenza".

"Il governo si chiarisca le idee. Al ministro Turco dico che se c’è una svolta in senso rigorista, siamo disponibili a lavorare con il governo". Lo afferma il leader dell’Udc, Pierferdinando Casini, a margine di un convegno alla Fondazione Monte dei Paschi di Siena.

"Non è possibile - insiste - un giorno elevare la soglia di cannabis per uso personale, e il giorno dopo proporre le ispezioni nelle scuole". Secondo Casini, il tema "è terribilmente serio per il futuro dei nostri figli, la linea del rigore è giusta e va perseguita con coerenza e serietà. Drogarsi è illecito. A Turco chiedo coerenza".

"La proposta Turco è condivisibile perché si muove nella giusta direzione del ripristino dei principi di autorità e di legalità negli istituti scolastici ove permangono gli effetti disastrosi prodotti dagli anni ‘70". Così Maurizio Sacconi, senatore di Forza Italia commenta la proposta del ministro della Salute di inviare i Nas nelle scuole per controllare il consumo di stupefacenti. "Altri atti sono necessari in questo senso - continua Sacconi - per sottolineare che la lunga ricreazione è finita, che è suonata la campanella e si ritorna al riconoscimento del merito e del demerito nell’insegnamento come nello studio, al potere gerarchico e alla connessa responsabilità dei dirigenti scolastici, al rispetto assoluto di ciascuna persona - conclude il senatore forzista - qualunque sia il ruolo, il sesso, la razza, il credo".

"Su un tema delicato come la droga le ironie non servono. Se il ministro Turco ora si ravvede io dico meglio tardi che mai. La droga è uno di quegli argomenti su cui le forze politiche devono sforzarsi per approdare a un terreno di confronto sereno e costruttivo".

Lo dichiara il segretario della Democrazia Cristiana per le Autonomie, Gianfranco Rotondi.

"Piuttosto che inviare i Nas negli istituti, bisogna combattere i grandi trafficanti di droga e, nel contempo, rafforzare il ruolo di controllo sociale proprio della famiglia e della scuola, lavorando sempre più in termini di prevenzione". Così il capogruppo dei Verdi alla Camera Angelo Bonelli commenta la proposta del ministro della Salute Livia Turco.

"Attivare apposite ispezioni dei Carabinieri nelle scuole rischierebbe di alimentare la voglia di trasgredire e di lanciare un messaggio diseducativo: i controlli - ha osservato - vanno sì svolti, ma come in qualsiasi altro luogo". Secondo il capogruppo verde, "nelle scuole devono andare professori e studenti: la repressione va fatta nei confronti dei trafficanti di droga, non certo militarizzando gli istituti scolastici. È bene riflettere, invece - ha concluso Bonelli - su come far sempre più comprendere ai giovani che l’uso della droga danneggia la loro vita".

"La distinzione tra le droghe leggere e pesanti è un elemento importante per avere un piano di realtà, averlo rimosso sta provocando danni enormi". Questo è quanto afferma Francesco Piobbichi, responsabile politiche sociali del Prc sui danni provocati, secondo lui, dalla legge Fini-Giovanardi.

Quella contro la cannabis, per Piobbichi è "una campagna emotiva, che si inserisce nel tentativo di spostare le questioni sociali in questioni di ordine pubblico e nella quale purtroppo anche i politici dell’Unione sono caduti incautamente con dichiarazioni che sembrano inserirsi più nella logica repressiva della legge Fini che rispetto al programma che hanno sottoscritto con il popolo che li ha eletti".

Per il responsabile politiche sociali del Prc quella del precedente governo è "una legge scritta da incompetenti che hanno addirittura reso la cocaina più tollerata della cannabis come quantità minima nelle tabelle, le sostanze hanno differenti pericolosità, averle messe indistintamente tutte sullo stesso piano ha fatto si che oggi per i nostri ragazzi farsi una sigaretta con la cocaina - conclude Piobbichi - è la stessa cosa che farsi uno spinello".

"Viste le reazioni, se il ministro Turco non vuole trovarsi in sintonia solo con la destra, ritiri immediatamente la proposta di inviare i Nas nelle scuole". Questo è quanto afferma il deputato Verde Paolo Cento, sottosegretario all’Economia spiegando che "non c’è infatti alcun bisogno di rincorrere la destra sul terreno del proibizionismo e dell’intervento di polizia e carabinieri negli istituti scolastici". L’invito di Cento è, invece, quello di "abrogare rapidamente la Fini-Giovanardi e potenziare le strutture di prevenzione e informazione, lasciando la scuola a insegnanti genitori e studenti e la repressione dello spaccio sul territorio alle forze dell’ordine - conclude il sottosegretario all’Economia - senza alcuna confusione di ruoli".

I Nas nelle scuole? "Mi auguro che il ministro si ravveda" su questo provvedimento. Laura Bianconi, senatrice e capo gruppo di Forza Italia in Commissione Igiene e Sanità a palazzo Madama, "il clima impazzito ha effetti negativi anche sul Governo".

"Ormai - dice Bianconi - assistiamo a ministri che rilasciano puntualmente dichiarazioni contraddittorie con quanto affermato solo poco tempo prima, uno degli ultimi casi è quello che vede coinvolta il Ministro Turco, passata dal sostenere che per combattere la droga non servono le forme repressive tanto da aumentare l’uso detenibile di cannabis e invece dopo i recenti fatti di cronaca che hanno ancora una volta dimostrato come la cannabis, lo stupefacente più usato dai giovani, sia una droga a tutti gli effetti in grado di portare alla morte, ha cambiato idea".

"Sono sbalordita dalla decisione repressiva del Ministro che ha deciso di inviare i carabinieri dei Nas nelle scuole con tanto di cani anti-droga per frugare tra gli zaini dei ragazzi. Mi auguro - precisa - che il ministro si ravveda e non porti avanti questo assurdo provvedimento che da tempo dovrebbe invece essere utilizzato davanti alle scuole e alle discoteche, ma all’interno dell’istituto scolastico assolutamente no. Esistono - aggiunge - dei regolamenti e delle leggi ben precise che vietano il fumo e l’uso di droghe nelle scuole, quindi spetta a tutto il corpo insegnante verificare che questo non accada, altrimenti è prevista la sospensione automatica per chi viola le leggi".

"Forse - conclude la senatrice - invece che inutili ispezioni sarebbe più saggio, come ha sottolineato anche il Min. Fioroni, che il Governo sostenesse le scuole e i genitori per combattere questo dilagante problema della droga, che coinvolge ragazzi sempre più giovani, con azioni più coerenti e migliori modelli sociali".

L’intervento dei Nas a scuola per evitare l’uso di droghe da parte dei ragazzi? "Deve rimanere un caso eccezionale, e deve essere sempre concertato con l’autorità scolastica". Ne è convinto il "capo" dei presidi italiani, Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), quella che raccoglie il maggior numero di dirigenti.

Secondo Rembado, infatti, "l’azione fondamentale per tenere lontani i giovani dalla droga è quella di informazione ed educazione alla salute fatta ad opera di docenti e di personale qualificato che l’istituto può anche reperire all’esterno in collaborazione, ad esempio, con le Asl". "Solo in casi eccezionali e, comunque, previa concertazione con le autorità scolastiche - continua - può essere usato l’intervento dei Nas". Il presidente dei presidi è perentorio: "non deve trattarsi di interventi a tappeto. Non serve un piano nazionale deciso dall’esterno e non condiviso con le scuole".

"Invitiamo il ministro della Sanità, Livia Turco, a farsi accompagnare dal sindaco Veltroni in una passeggiata per Roma. In questo modo si potrà facilmente render conto di come il problema del consumo di droga fra giovani e giovanissimi sia dilagante nella Capitale". Lo dichiara in una nota Giancarlo Miele, coordinatore di Forza Italia Giovani del Lazio.

"Dalle piazze di Trastevere a quelle di San Lorenzo, da Villa Ada a Villa Borghese a Villa Balestra - continua l’esponente azzurro - il ministro potrà constatare come a Roma il consumo indisturbato di droga sia realtà. È inaccettabile che il ministro, artefice di una politica antidroga assurda e contraddittoria, utilizzi in modo schizofrenico slogan come consumo zero. Le ricordiamo - conclude Miele - che è suo il provvedimento che aumenta le quantità di droga consentita e che la situazione attuale si è determinata a causa del messaggio normalizzatore rispetto al consumo della droga di cui per anni si è fatta portavoce la sinistra irresponsabile e post-sessantottina".

L’iniziativa del Ministro Livia Turco di inviare nelle scuole i Nas dei Carabinieri per i controlli antidroga "è opportuna e condivisibile. Per ottenere qualche risultato serio è però necessario dilatare il quadro degli interventi, altrimenti destinato a restare simbolico". Lo ha affermato l’ex sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano (An).

"Le unità che compongono i Nas sono poche centinaia - ha spiegato Mantovano - svolgono vari compiti e non si occupano solo di droga. Quand’anche fossero impegnate tutte, ed è materialmente impossibile, il loro intervento riguarderebbe un numero di scuole assai ristretto. Sarebbe utile immaginare un piano complessivo di prevenzione, che coinvolga le Regioni, gli enti territoriali, le strutture che si occupano del recupero e la realtà scolastica, che punti al coinvolgimento delle famiglie e favorisca, per fare un esempio fra i tanti, la presenza davanti alle scuole, in occasione dell’inizio e della fine delle lezioni, di volontari che svolgano una sorveglianza mirata. È ovvio che ogni iniziativa di questo tipo ha senso se parte dal presupposto che ogni droga fa male, e che quindi non ha senso distinguere fra stupefacenti cosiddetti leggeri e pesanti".

Droghe: don Gino Rigoldi; non sappiamo più parlare ai ragazzi

 

Redattore Sociale, 28 maggio 2007

 

La proposta del ministro Turco di far fare ai Nas controlli nelle scuole. Il fondatore di Comunità Nuova: "Ogni settimana scopro che insegnanti, genitori e studenti non si parlano e sanno poco di droghe".

"Sono desolato: non sappiamo più parlare ai ragazzi e allora chiamiamo i carabinieri": per don Gino Rigoldi, fondatore di Comunità Nuova, la proposta di Livia Turco, ministro della Salute, di prevedere ispezioni antidroga nella scuole ha il sapore di una sconfitta degli adulti che non sanno più cosa fare di fronte alla diffusione degli stupefacenti fra gli studenti. Don Gino Rigoldi sabato scorso ha incontrato gli studenti della scuola di Paderno Dugnano dove, il 16 maggio, è morto uno studente che aveva fumato uno spinello: "Ho trovato dei giovani che hanno bisogno di parlare e di incontrare adulti competenti che con serietà sappiano confrontarsi con loro".

Secondo il sacerdote non servono i carabinieri nelle scuole. Ed è inutile anche il kit antidroga, al quale i genitori dovrebbero sottoporre i figli adolescenti. Il Comune di Milano settimana scorsa ha iniziato a spedire alle famiglie il coupon per ritirarlo gratis in farmacia. "Rivelano la nostra incapacità di parlare con gli adolescenti e i giovani di oggi - sostiene don Gino Rigoldi -. Il problema vero è che nella scuola italiana mancano due cose fondamentali: il lavoro di equipe fra gli insegnanti e la formazione specifica di docenti e genitori sul tema droga. Il mio ragionamento può sembrare banale, ma andando nelle scuole ogni settimana scopro che insegnanti, genitori e studenti non si parlano e sanno poco di droghe". Gli insegnanti dovrebbero essere i primi ad accorgersi se nella scuola girano stupefacenti. "In qualsiasi azienda si lavora in equipe e ci si confronta per capire come vanno le cose - sottolinea il sacerdote -. In molte scuole questo non avviene: manca la voglia di scambiarsi le esperienze che ognuno vive in classe e di intervenire quando c’è bisogno".

Agli studenti bisogna inoltre saper parlare. "Non serve essere catastrofici o autoritari, perché ti ridono in faccia - aggiunge don Gino Rigoldi-. Ci vuole una buona preparazione sia sul tema droga sia sul modo con cui parlarne ai ragazzi". Le forze dell’ordine vanno impiegate, invece, per combattere lo spaccio. "Il discorso è ben diverso per quanto riguarda i trafficanti di droga e gli spacciatori - precisa il sacerdote -. Carabinieri e polizia sanno già cosa fare, mentre le ispezioni nelle scuole non servirebbero a niente".

Droghe: don Mimmo Battaglia (Fict); la politica è fuori strada

 

Vita, 28 maggio 2007

 

Fuori strada, come l’autobus di Vercelli guidato da un ragazzo col vizio della canna, che ha falciato la vita di due bambini. Fuori strada, come le politiche del governo, di destra o sinistra che sia, schiavo di preconcetti, tragicamente inefficaci. Fuori strada, infine, come l’approccio di un privato sociale, spesso ancora legato a schemi troppo vecchi per essere credibili.

Chi lo conosce da vicino, lo descrive come un personaggio carismatico e, al tempo stesso, pacato. Calabrese di Satriano, da un anno al timone della rete dei 49 centri della Fict (la Federazione italiana comunità terapeutiche) e lui stesso operatore di frontiera del Centro calabrese di solidarietà che dall’87 ad oggi ha ospitato 2mila ragazzi con problemi di droga, il 65% dei quali oggi conduce una vita regolare, di don Mimmo Battaglia molto si può dire, eccetto che gli piacciano le interviste.

"Da quando ricopro questo ruolo di rappresentanza, la cosa che più mi manca è la vita comunitaria": la reale cifra della sua personalità si ritrova al 100% in questa frase che suole ripetere ad ogni incontro associativo. Questa volta il silenzio è colpevole: "Dopo la morte di quei due bambini, stare zitti non si può".

 

Per dire cosa?

Che la rabbia è tanta. Che a Vercelli non è stato il destino ad uccidere. Che l’autista del pullman ha una grandissima responsabilità per quello che è accaduto. Ma non è l’unico colpevole. Che la strada che ha imboccato questo Paese sul versante della lotta alle dipendenze ci ha condotti in un vicolo cieco. Vita: Il rischio è che dicendo che è colpa di tutti, nessuno si assuma per davvero le responsabilità? Battaglia: Ma lì vedete i ragazzi di oggi? Parlano la stessa lingua, vestono allo stesso modo. Li stiamo omologando, uniformando al modello televisivo. Sono replicanti. Per questo dico: consentiamogli la trasgressione. Che oggi è la libertà di non farsi le canne.

 

Il diessino Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, da ex antiproibizionista oggi sostiene che il consumo va punito...

L’ideologia della punizione cara alla destra e quella della prevenzione, vecchio cavallo di battaglia della sinistra vanno accantonate. La partita si gioca tutti i giorni sul piano dell’educazione. Chiamparino pone un problema vero. Ma per tagliare il traguardo della sicurezza non vanno imboccate scorciatoie. Ghettizzare i consumatori non serve. L’autista di turno bisogna intercettarlo prima che incominci a fumare cannabis, non punirlo dopo che ha provocato l’incidente. Anche perché i ragazzi ignorano le regole imposte dalla politica. Le leggi nemmeno le conoscono. Introdurre norme più punitive servirebbe a ben poco.

 

Crede davvero che si possano intercettare tutti i consumatori di sostanze?

Quei due bambini non sono stati uccisi dal fato. Lo ripeto: l’incidente di Vercelli non è capitato. La parola chiave è educazione. Educare i nostri ragazzi fin da piccoli.

 

Illustrando gli effetti delle droghe a un bambino di sei anni non si rischia anche di generare curiosità?

Non ho mai detto che si debba spiegare cos’è la cocaina o la cannabis. Tutt’altro. Occorre interessarli alla vita e consentirgli di tirare fuori tutta la ricchezza che hanno dentro.

 

Lei sta tracciando i confini di una crisi di sistema. Ritiene che le comunità terapeutiche siano esenti da responsabilità? Don Gino Rigoldi sostiene che molti centri ormai sono mezzi vuoti…

Il nostro è un mondo che va ripensato. Aspettare che i ragazzi vengano a bussare alla porta non paga più. Io la chiamo "politica della strada". Significa andare nelle piazze, sul muretto, in discoteca e nei luoghi dove i giovani consumano il tempo. Che ormai non sono le case e tanto meno le chiese. I predicatori non servono; c’è bisogno di maestri, di testimoni, che non cerchino il dialogo con già in tasca le risposte, ma che siano in grado di guadagnarsi credibilità provocando nelle mente dei ragazzi tanti perché.

 

Crede che così le comunità possano tornare a riempirsi?

L’obiettivo non è questo. La comunità è una risposta, fra le mille. Quando scendo in strada non ho la pretesa di trascinare nessuno nel mio centro. Lo scopo è la costruzione di un percorso.

 

Non ha fatto cenno alle famiglie...

Le famiglie si portano addosso la responsabilità dell’assenza. Occorre interrogarsi sulle ragioni di questa latitanza.

 

Un aiuto potrebbe venire per esempio anche dal test antidroga che i genitori possono somministrare ai figli, ideato dal Comune di Milano?

Rispondo con una domanda. Quando hai capito che il tuo ragazzo si droga cosa fai? Forse il kit può essere utile ai genitori. Se arrivi a richiederlo significa che con i figli non ci stai mai ed è venuto il momento di porsi degli interrogativi.

Droghe: quando "dipendenza" fa rima con "malattia mentale"

 

Vita, 28 maggio 2007

 

La difficoltà di stabilire quale dei due disturbi venga prima ha preso in contropiede gli operatori. Chi deve intervenire: i dipartimenti psichiatrici o Sert e comunità?

Nella settimana in cui lo spinello è tornato sotto i riflettori, un po’ per le dichiarazioni di Chiamparino un po’ per via dell’autista che a Vercelli ha fatto ribaltare un bus di bambini in gita scolastica, molti operatori del settore erano impegnati a ragionare sulla doppia diagnosi. In termini tecnici si chiama "comorbilità psichiatrica nelle tossicodipendenze ": si tratta di persone che hanno contemporaneamente un problema di tossicodipendenza e uno di disturbo psichiatrico e pare essere un fenomeno che cresce di giorno in giorno.

I due erano eventi distinti: a Bolzano il convegno nazionale Fict, incentrato sulla rete tematica "doppia diagnosi", a Roma il corso di aggiornamento della Sip - Società italiana di psichiatria, dedicato a cannabis, alcol e disturbi psicotici: ma il fatto che tutti ragionassero sul nesso tra dipendenze e salute mentale vorrà dire qualcosa.

 

Tre volte più difficile

 

"Vuol dire che la gran parte delle persone che arrivano ai servizi psichiatrici consumano sostanze", dice Mariano Bassi, presidente della Sip. Un fenomeno nuovo che si spiega così: "Gli adolescenti che arrivano da noi fanno quasi tutti uso di cannabis o sono policonsumatori per cui è difficilissimo stabilire qual è la dipendenza primaria.

Certo che c’è una distinzione fra sintomi psicotici e malattie psichiatriche, però è risaputo che su sette adolescenti che consumano cannabis, uno diventa dipendente e che la dipendenza da cannabis genera due rischi: passare al consumo di altre sostanze e manifestare sintomi depressivi e piscotici, in particolare la schizofrenia. E non serve arrivare alla dipendenza: il semplice uso di sostanze è un elemento sfavorevole nel decorso dei disturbi mentali. Diciamo che rispetto a un giovane affetto da disturbo mentale, la dipendenza rende tre volte più complicata la cura e la presa in carico. Moltissimi poi concepiscono le sostanze come una forma di autoterapia e rifiutano una cura farmacologica".

 

Bassi cita poi alcune ricerche europee che provano la "relazione statisticamente significativa tra uso di cannabis e rischio di ammalarsi di schizofrenia ", rischio che cresce in base alla quantità di principio attivo assunto e alla precocità del consumo. In particolare cita lo studio svolto in Svezia su 50mila militari di leva, durato 27 anni e terminato nel 2003: a fronte di un consumo intensivo di cannabis, il 5% dei giovani sviluppa malattie psichiatriche, ma il dato schizza al 20% tra chi aveva già manifestato sintomi di disagio. E conclude: "Occorre sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che gli spinelli non sono né innocui né indolori".

 

Svolta italiana

 

I primi numeri in Italia sulla questione sono quelli della rete tematica "doppia diagnosi" della Fict. Donatella Peroni ne è la coordinatrice. Sulle 2.744 persone in trattamento nelle comunità Fict nel 2006, in 632 si riscontrava una doppia diagnosi. Si tratta di un maschio celibe, tra i 30 e i 40 anni, con un diploma di scuola media, disoccupato (con quel che ne deriva in termini di reinserimento), che ha in genere disturbi comportamentali e di personalità: il 26% è già passato attraverso un’esperienza in una comunità terapeutica classica. La Peroni usa questo aggettivo perché nella rete Fict, dalla fine degli anni 90, esistono anche 16 comunità ad hoc per persone con doppia diagnosi e 5 moduli specifici in comunità normali: sui 49 centri Fict, 21 quindi si sono specializzati sulla doppia diagnosi.

"Il numero delle persone con doppia diagnosi aumenta sia per l’uso di cocktail di sostanze e per la poliassunzione, sia perché le comunità si fanno più attente. Un tempo le persone con patologie psichiatriche venivano rifiutate dalle comunità, oggi abbiamo costruito gruppi multidisciplinari e progetti ad hoc". Ma il nesso causale tra cannabis e disagio mentale c’è o no? "È una questione dibattuta ", risponde la Peroni. "A volte è difficile stabilire quale problema sia insorto per primo. E comunque per il trattamento è poco significativo stabilirlo: quello che importa è che i due canali lavorino insieme".

Al bando la scelta tra l’uovo e la gallina: il dato concreto è che ancora troppo spesso tra i dipartimenti di salute mentale e le comunità terapeutiche c’è una delega reciproca della presa in carico di queste persone, mentre è essenziale sviluppare percorsi flessibili e condivisi, fin dall’inizio. Come fa la Provincia di Bolzano, ad esempio, che ha un protocollo congiunto dei due servizi fin dalla presa in carico: la doppia diagnosi diventa quasi unica.

Droghe: nella scuola italiana arriva il cane antiproibizionista

 

La Stampa, 28 maggio 2007

 

Ma come, questa non era la scuola dell’accoglienza e del dialogo? La scuola che istituisce sportelli di aiuto, ore di ascolto, percorsi di recupero? Quella che organizza educati convegni sull’educazione eventualmente da impartire ai giovani? Che crede nell’inclusione totale, nella comprensione reciproca, nella tolleranza? Che non punisce, non seleziona e non sanziona? Sì, era lei, me la ricordo benissimo perché fino a ieri era così. E adesso, cosa succede? Di colpo, ci svegliamo al mattino, raggiungiamo ancor pieni di sonno l’edificio scolastico e... troviamo ad attenderci i cani!

Squadre di cani ringhiosi e addestrati, al guinzaglio dei carabinieri - come accaduto alcuni giorni fa in un liceo di Torino -, fermi al cancello che aspettano al varco poveri studenti ignari per sottoporli a un accurato e umiliante esame olfattivo. Cani invadenti e inopportuni che, al fine di scovare anche quel milligrammo di droga sul quale fino a ieri eravamo pronti a chiudere un occhio, si permettono di rovistare col muso negli zaini e mordicchiare libri di testo, nonché, nei casi fortunati, buoni panini al prosciutto e maionese confezionati all’alba da mamme premurose.

Mi riaffiora un ricordo: ma la ministra Turco non è quella stessa che qualche mese addietro, per l’esattezza il novembre scorso, propose di raddoppiare la dose personale consentita di sostanze stupefacenti? Com’è possibile?

Tento di darmi qualche risposta: una cosa è l’autunno, una cosa è la primavera inoltrata, e non è detto che ciò che si pensa in novembre si pensi ancora a maggio. Inoltre, cos’è questo amore per le tesi coerenti e non contraddittorie? Ben vengano le aperture ossimoriche, per cui la proposta di mandare i carabinieri nelle scuole potrebbe essere definita: "antiproibizionismo con cani", ovvero: cari ragazzi, noi continuiamo a chiudere un occhio sulle droghe leggere, a interrogarci pensosi e benevoli sul "disagio giovanile", a non demonizzare gli stupefacenti, però vi sguinzagliamo contro i cani che ve li scovino addosso. Vi lasciamo tranquillamente comprare le vostre dosi giornaliere, che vi avevamo appena aumentato, però vi chiediamo semplicemente di volercele consegnare all’entrata.

Non so come chiamarla: inversione a U, folgorazione mistica, sindrome schizofrenica. Non so cosa stia succedendo, ma la sinistra cambia strada, volta pagina, inverte la rotta. Credo per due ragioni: primo, forse si è improvvisamente accorta che la droga nuoce fortemente alla salute, e inoltre non è - come dire? - del tutto consona all’ambiente scolastico: non sta bene che un ragazzo vada a scuola, luogo deputato allo studio e alla serietà dell’impegno in vista del suo futuro, e poi spinelli bel bello nei cortili, bagni o corridoi; secondo, la sinistra ha fiutato il vento e vuole "sarcosizzarsi" un po’.

A pochi giorni dalle elezioni francesi, sta subendo un effetto Sarkozy istantaneo: improvvisamente prende atto che va di moda la disciplina, l’autorevolezza, la briglia stretta, il controllo, le regole, la legalità. Chissà, forse di questo passo arriverà anche a imporre il grembiulino nero alle elementari, e chiederà agli insegnanti di prendere a ceffoni i ragazzi che non fanno i compiti. Intanto, meno male che ci sono i cani.

Perché loro non si fanno tante domande sul bene e il male, severità e tolleranza, cultura dei diritti e cultura dei doveri. Loro hanno l’olfatto! E riusciranno, a colpi di naso, a eliminare le droghe dalla scuola.

Peccato che noi, usando le armi che ci sono proprie come educatori (per esempio inculcando l’amore per la cultura, il rispetto delle regole e il sentimento di una personale dignità), non ci siamo riusciti.

Stati Uniti: pena di morte; un’ora per giustiziare detenuto obeso

 

Ansa, 28 maggio 2007

 

Christopher Newton, 37 anni, è stato messo a morte in Ohio con oltre un’ora di ritardo perché i boia non riuscivano a trovare le vene per infilare gli aghi per l’iniezione fatale. Newton, che pesava oltre 150 chili ed aveva gravi problemi mentali, ha atteso con pazienza per oltre un’ora nel braccio della morte del Southern Ohio Correction Facility mentre una squadra di boia cercava con scarso successo di trovare le vene adatte.

Sono occorsi almeno 20 minuti per trovare una vena nel braccio sinistro ed altri 30 minuti per trovare il punto giusto nel braccio destro. Newton ha subito con rassegnazione la frenetica procedura, scambiando anche qualche battuta di spirito con le guardie carcerarie. Ad un certo punto, mentre proseguiva la ricerca delle vene, ha chiesto di poter andare alla toilette. Le guardie del carcere avevano avuto difficoltà in passato a trovare le sue vene anche per le periodiche analisi del sangue a causa della obesità del detenuto.

Newton era stato condannato a morte nel 2003 per la uccisione due anni prima di un compagno di cella, a sua volta con problemi mentali, per un litigio avvenuto durante una partita a scacchi. Newton aveva chiesto al giudice di essere messo a morte, perché non voleva più restare chiuso in carcere, rifiutandosi di presentare appelli e di inoltrare una richiesta di clemenza al governatore dell’Ohio.

Aveva avuto una infanzia terribile, con padre violento e pedofilo, finendo spesso in carceri minorili e quindi nelle prigioni per adulti. Molti ritenevamo che Newton avesse ucciso il compagno di cella solo per farsi condannare a morte. Per questo aveva rifiutato qualsiasi appello. Gli attivisti contro la pena di morte avevano definito la sua esecuzione "una forma di suicidio assistita dallo Stato".

La esecuzione di Newton era stata programmata questa mattina alle dieci locali. Ma erano sorte presto difficoltà. "Non riescono a trovare la vena, a trovare il punto giusto di inserimento degli aghi, aveva ammesso durante la mattinata un portavoce del carcere. Newton era stato portato nella camera della morte, con gli aghi già applicati alle braccia, solo alle 11.30 per la fase finale della esecuzione: il collegamento agli aghi dei tubicini con i liquidi mortali. Il medico del carcere ha certificato che la morte è avvenuta alle 11.53 locali.

Già un anno fa la esecuzione di un altro detenuto in Ohio, Joseph Lewis Clark, ritardata per un’ora per la difficoltà nel trovare la vena giusta, aveva provocato polemiche ed era stata citata dagli attivisti contro la pena di morte come una ulteriore dimostrazione della crudeltà delle esecuzioni. Quella di Newton è la ventunesima esecuzione avvenuta quest’anno negli Stati Uniti.

 

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