Rassegna stampa 24 maggio

 

Polizia Penitenziaria negli Uepe: "no" deciso del volontariato

 

Redattore Sociale, 24 maggio 2007

 

Volontari e assistenti sociali non mollano: "No alla polizia penitenziaria negli Uffici per l’Esecuzione penale esterna". Contrarietà ribadita nel corso dell’Assemblea Nazionale del Volontariato Giustizia, dal gruppo di lavoro sulle "misure alternative alla detenzione". Dissenso anche dal Comitato di Solidarietà Assistenti Sociali.

"No" deciso della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia all’ipotesi di inserimento della polizia penitenziaria negli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna (Uepe). Il "no" è stato ribadito nel corso della IV Assemblea Nazionale del Volontariato Giustizia, dal gruppo di lavoro sulle "misure alternative alla detenzione".

"Premessa l’importanza della partecipazione della polizia penitenziaria al programma trattamentale all’interno degli istituti penitenziari e la necessità di una collaborazione fra tutti gli operatori - afferma la relazione conclusiva - si esprime netta contrarietà all’ipotesi della polizia penitenziaria negli Uepe e si denuncia l’incompatibilità che ne deriverebbe nella gestione delle misure alternative. Verrebbe infatti scissa, nella funzione trattamentale, la competenza di aiuto da quella di controllo, perno della misura alternativa stessa e innovazione fondamentale della nuova politica penitenziaria".

"Come dimostrato da diverse ricerche americane, - prosegue il documento - la riduzione del trattamento in libertà a puro controllo fa aumentare immediatamente la recidiva e questo fatto genera nuove carcerazioni e nuovi sovraffollamenti, agendo quindi in completo conflitto con le possibilità di trattamento in internato".

Afferma oggi la Conferenza nazionale volontariato giustizia: "Oggi le misure alternative, come la semilibertà o l’affidamento, si concludono con successo nell’80% dei casi seguiti e la recidiva riguarda principalmente le persone con problemi di tossicodipendenza. Chi sconta invece l’intera pena in carcere torna a delinquere in oltre il 70% dei casi. C’è da chiedersi perché e se non sia il caso di adeguare finalmente i programmi di trattamento all’interno degli istituti, ai criteri fissati dall’ordinamento penitenziario, offrendo maggiori e concrete possibilità di rieducazione e reinserimento, potenziando percorsi scolastici, formativi e lavorativi. In questo senso vediamo la necessità di un ruolo più incisivo della polizia penitenziaria, che oltre a garantire la sicurezza interna, può facilitare tali processi acquisendo maggiore professionalità e considerazione".

E conclude: "Affidare il controllo sul territorio alla polizia penitenziaria - senza tener conto degli organici, di cui si continua a lamentare l’insufficienza - avrebbe un senso se vi fosse un’adeguata formazione e integrazione con gli altri operatori e se a tale servizio non si sovrapponesse a quello svolto in modo sistematico dalle forze dell’ordine, che non è realistico immaginare possano rinunciare ad azioni di controllo preventivo di persone pregiudicate".

Da parte sua il Comitato di Solidarietà Assistenti Sociali, che con il proprio blog raccoglie giornalmente dichiarazioni, comunicati e critiche su tale progetto, chiede al Ministro e all’amministrazione penitenziaria, nonché alle forze politiche dell’attuale Governo, "di prendere in considerazione il motivato e documentato dissenso esistente sull’inserimento della polizia penitenziaria negli Uepe - dissenso manifestato dagli assistenti sociali di quasi tutti gli Uepe presenti sul territorio nazionale, da alcuni Sindacati, dalla Magistratura, dal Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia, nonché dalla Conferenza Nazionale del Volontariato Giustizia.

"L’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali - si ricorda - in occasione di un incontro avuto il 16 maggio con i vertici dell’amministrazione penitenziaria ha rappresentato e riportato le ragioni e le motivazioni di disagio e le preoccupazioni degli assistenti sociali degli Uepe. In data 17 maggio è stata presentata interrogazione parlamentare dall’On. Crapolicchio (vicepresidente comitato problemi penitenziari della commissione giustizia della Camera) - primo firmatario - contro l’attuale proposta di decreto ministeriale". "È incomprensibile - si afferma - che sia proprio l’attuale Governo attraverso un decreto del Ministro della Giustizia a concretizzare proprio quegli aspetti precedentemente criticati e non condivisi".

Per questo il Comitato, nel considerare legittima la posizione degli assistenti sociali al pari della richiesta della polizia penitenziaria di essere "valorizzata", chiede che "vengano trovati altri strumenti e soluzioni a quanto proposto dalla bozza di Decreto Ministeriale. Soluzioni che permettano di attenuare le forti opposizioni che in questo periodo si sono determinate tra i vari operatori penitenziari e che partano dal superamento della previsione di inserire presso gli Uepe i nuclei di polizia penitenziaria e di assoggettarli alla Direzione di tali Uffici (in alternativa possono essere individuate altre soluzioni in grado di garantire agli Uepe di poter continuare ad essere a tutti gli effetti dei Servizi Sociali della Giustizia, aperti alla multi - professionalità affine al Servizio Sociale) e dall’escludere tra l’eventuale competenza della polizia penitenziaria sulle misure alternative al carcere, proprio per la sua particolare caratterizzazione e nel rispetto art.72 dell’Ordinamento penitenziario e dell’art.118 del Regolamento d’Esecuzione, il controllo della misura alternativa dell’Affidamento in Prova al Servizio Sociale".

Il Comitato di Solidarietà chiede infine che tali proposte "escano da un progetto complessivo di riforma del sistema delle misure alternative (che tenga conto anche delle prospettive di riforma del codice penale e del disegno di legge Mastella sulla messa alla prova), al quale si può giungere attraverso lo strumento della "Conferenza Nazionale dell’Esecuzione Penale", proposto sulla stampa dal Sottosegretario On. Manconi. Conferenza che coinvolga in un percorso preparatorio, il personale degli Uepe, la polizia penitenziaria, i sindacati, le forze politiche, il volontariato ed il terzo settore e che affronti in modo concreto il tema delle riforme, del ruolo, dei mezzi, delle risorse che servono per fare funzionare meglio le misure alternative e gli Uepe, centrali in tale sistema".

Polizia Penitenziaria negli Uepe: il 29 si riapre il confronto

 

Comunicato stampa, 24 maggio 2007

 

L’Amministrazione Penitenziaria ha programmato per il 29 maggio 2007 un nuovo incontro con le organizzazioni sindacali- riaprendo il confronto sulla proposta del Ministro della Giustizia di sperimentare dei nuclei di Polizia Penitenziaria presso gli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna (Uepe) ai quali affidare il controllo delle misure alternative al carcere.

Il Comitato di Solidarietà Assistenti Sociali, che con il proprio blog raccoglie giornalmente dichiarazioni, comunicati e critiche su tale progetto, chiede al Sig. Ministro e all’Amministrazione Penitenziaria nonché alle forze politiche dell’attuale Governo, di prendere in considerazione il motivato e documentato dissenso esistente sull’inserimento della polizia penitenziaria negli Uepe - dissenso manifestato dagli Assistenti Sociali di quasi tutti gli Uepe presenti sul territorio nazionale, da alcuni Sindacati, dalla Magistratura, dal Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia, nonché dalla Conferenza Nazionale del Volontariato Giustizia (Cnvg) alla quale aderiscono importanti Associazioni e Coordinamenti nazionali di estrazione cattolica e laica quali Caritas Italiana, Arci-Ora d’Aria, Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario, Fondazione Italiana per il volontariato, Antigone, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, comitato per il Telefono Azzurro, Libera, Società San Vincenzo de Paoli.

Il Cnvg ha ribadito il no alla proposta del Ministero della Giustizia, in occasione della loro Assemblea Nazionale "Percorsi di Giustizia, Codice Penale e Inclusione Sociale" tenutasi a Roma il 17-18-19 Maggio.

L’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali in occasione di un incontro avuto il 16 maggio con i vertici dell’Amministrazione Penitenziaria ha rappresentato e riportato le ragioni e le motivazioni di disagio e le preoccupazioni degli assistenti sociali degli Uepe.

In data 17 maggio è stata presentata interrogazione parlamentare dall’On. Crapolicchio (vicepresidente comitato problemi penitenziari della commissione giustizia della Camera) - primo firmatario - contro l’attuale proposta di decreto ministeriale.

Con l’occasione il Comitato di Solidarietà ricorda che, durante la precedente legislatura e in occasione del Dibattito parlamentare del 3.05.2005 sull’art. 3 della legge Meduri divenuta in seguito Legge (L. 154 del 27 luglio 2007) che ha trasformato i Centri di Servizio Sociale Adulti (Cssa) in Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna (Uepe), numerosi esponenti dell’attuale maggioranza parlamentare, in rappresentanza dei vari partiti all’epoca dell’opposizione, avevano fatto proprie le preoccupazioni e le motivazioni attualmente manifestate dagli assistenti sociali e dalle associazioni di volontariato.

È incomprensibile che sia proprio l’attuale Governo attraverso un decreto del Ministro della Giustizia a concretizzare proprio quegli aspetti precedentemente criticati e non condivisi.

Il Comitato di Solidarietà nel considerare legittima la posizione degli assistenti sociali al pari della richiesta della polizia penitenziaria di essere "valorizzata", chiede che vengano trovati altri strumenti e soluzioni a quanto proposto dalla Bozza di Decreto Ministeriale. Soluzioni che permettano di attenuare le forti opposizioni che in questo periodo si sono determinate tra i vari operatori penitenziari e che partano dal superamento della previsione di inserire presso gli Uepe i Nuclei di Polizia Penitenziaria e di assoggettarli alla Direzione di tali Uffici (in alternativa possono essere individuate altre soluzioni in grado di garantire agli Uepe di poter continuare ad essere a tutti gli effetti dei Servizi Sociali della Giustizia, aperti alla multi - professionalità affine al Servizio Sociale) e dall’escludere tra l’eventuale competenza della polizia penitenziaria sulle misure alternative al carcere, proprio per la sua particolare caratterizzazione e nel rispetto art.72 dell’Ordinamento penitenziario e dell’art.118 del Regolamento d’Esecuzione, il controllo della misura alternativa dell’Affidamento in Prova al Servizio Sociale.

Il Comitato di solidarietà chiede che tali proposte escano da un progetto complessivo di riforma del sistema delle misure alternative (che tenga conto anche delle prospettive di riforma del codice penale e del disegno di legge Mastella sulla messa alla prova), al quale si può giungere attraverso lo strumento della "Conferenza nazionale dell’esecuzione penale" proposto sulla stampa dal Sottosegretario On. Manconi. Conferenza che coinvolga in un percorso preparatorio, il personale degli Uepe, la polizia penitenziaria, i sindacati, le forze politiche, il volontariato ed il terzo settore e che affronti in modo concreto il tema delle riforme, del ruolo, dei mezzi, delle risorse che servono per fare funzionare meglio le misure alternative e gli Uepe, centrali in tale sistema.

 

Comitato di Solidarietà Assistenti Sociali

Giustizia: Rutelli; pene più severe per vandali e ladri d’arte

 

Ansa, 24 maggio 2007

 

Giro di vite del governo su furti e danneggiamenti di beni culturali. Francesco Rutelli, Margherita, ministro dei Beni culturali e vicepremier a illustrare il disegno di legge varato ieri dal Consiglio dei ministri che inasprisce le pene in alcuni casi raddoppiando il periodo di carcere, da tre a sei anni. "Chi ruba un quadro notificato è punito più di chi ruba un orologio dello stesso valore", aggiunge Rutelli sottolineando come sia esteso il reato di ricettazione anche per chi detiene illecitamente beni culturali "provenienti da delitto".

Il termine di prescrizione è sospeso per tutto il tempo in cui il bene è detenuto. "Se qualcuno compera in maniera illecita un’opera e la sistema in un caveau trascorso il termine di legge della prescrizione ora può sistemarlo dove vuole. Una volta approvate le nuove misure non sarà più possibile", ha spiegato Rutelli. Il reato è esteso anche a chi detiene illecitamente il bene all’estero. Specifiche aggravanti ed inasprimento delle pene fino a quattro anni per il danneggiamento di beni culturali, aggravanti specifiche per il furto d’arte con pene fino ai sei anni, inasprimento delle sanzioni per i tombaroli, che rischiano fino a quattro anni se agiscono, per esempio con un metal detector. Anche il turista incauto, può incorrere, se provoca un danno grave, in una condanna penale. In tutti i casi sono previsti "premi" con sconti di pena, sospensione condizionale per chi collabora alla riacquisizione dei beni trafugati o a riparare i danni prodotti.

Pedopornografia: Mastella; legge per colpire chi sfrutta mercato

 

Redattore Sociale, 24 maggio 2007

 

Durante la riunione del G8 a Monaco di Baviera, il ministro della Giustizia ha parlato dell’urgenza di contrastare la criminalità organizzata che si arricchisce attraverso internet, riducendo in schiavitù i minori.

"È assolutamente necessario intensificare la lotta al commercio di materiale pornografico che coinvolge i minorenni soprattutto attraverso internet. La pedopornografia fa ricorso al web a causa della straordinaria facilità e rapidità di comunicazione e della difficoltà a colpire i provider che, di tali materiali, sono i diffusori. Anche in questo caso è la criminalità organizzata ad arricchirsi e i minorenni a soffrire per l’ignobile sfruttamento cui sono sottoposti e per lo stato di dipendenza e schiavitù cui sono costretti dai loro aguzzini". Lo ha affermato il Guardasigilli, Clemente Mastella, durante la riunione dei ministri della Giustizia e degli Affari Interni che si svolge a Monaco di Baviera.

"Mi adopererò - ha proseguito il ministro ­ affinché l’Italia ratifichi al più presto la Convenzione europea sul Cyber Crime che rappresenta uno dei nostri migliori strumenti per contrastare questo fenomeno. Occorrerà, comunque, dare attuazione in tempi brevi alla legislazione internazionale su questo tema, dando ad esempio una definizione comune alla pornografia infantile, fissando a 18 anni l’età fino alla quale il minore deve essere protetto e reprimendo, attraverso pene severe, tutti gli aspetti afferenti alla pornografia minorile".

"È infatti soprattutto attraverso una migliore collaborazione a tutti i livelli, nazionale e internazionale, che si potrà tentare di reprimere questo fenomeno rintracciando, ad esempio, le comunicazioni in rete dei criminali e identificandone gli autori". Al riguardo, "su suggerimento della delegazione italiana, è stato inserito nel documento finale il riferimento all’opportunità di coinvolgere i cosiddetti Internet Service Providers che, in base alla legge italiana, sono tenuti a comunicare all’autorità giudiziaria ogni utile informazione in ordine alla commissione di tali delitti appresa nello svolgimento della propria attività". "Dobbiamo reprimere con uguale fermezza - ha concluso Mastella - sia chi sfrutta il mercato con la pedopornografia sia chi lo alimenta attraverso la domanda. Non ci sarebbero infatti né sfruttatori né vittime se non vi fossero ‘clienti’ senza scrupoli, che diventano complici di quei criminali che gestiscono questa nuova tratta degli schiavi".

Lazio: la Regione vara la legge per i diritti dei detenuti

 

Redattore Sociale, 24 maggio 2007

 

Assistenza sanitaria, estesa anche ai minori, ricorso a misure alternative, promozione di attività culturali, inserimento sociale dei detenuti scarcerati. Antigone: "Legge di straordinaria importanza".

Assistenza sanitaria ai detenuti nelle carceri del Lazio, estesa anche ai minori, misure tendenti a favorire misure alternative alla detenzione, promozione di attività culturali per migliorare la qualità del trattamento di detenzione, inserimento sociale dei detenuti scarcerati anche attraverso corsi di preparazione al reinserimento sociale; diritto allo studio per i detenuti, valorizzazione della professionalità e miglioramento delle condizioni lavorative degli operatori penitenziari; miglioramento delle strutture sportive all’interno delle carceri. Sono queste alcune delle misure contenute nella legge approvata oggi pomeriggio dal Consiglio Regionale del Lazio che stabilisce "Interventi a sostegno dei diritti della popolazione detenuta nella regione Lazio". La legge è stata approvata con i voti della maggioranza e l"astensione dell’opposizione.

E" soddisfatta, Alessandra Mandarelli assessore alle Politiche sociali della Regione Lazio. "La legge regionale varata oggi in Consiglio - ha commentato a margine della riunione del Consiglio che ha visto l’approvazione del provvedimento legislativo - punta al pieno riconoscimento dei diritti dei detenuti affrontando in modo organico alcuni dei problemi più gravi legati alla detenzione. Il Pdl si occupa infatti di sanità, lavoro, istruzione e cultura, cercando di dare risposte adeguate alle necessità dei detenuti che spesso vivono in condizioni drammatiche la loro detenzione". "Sono particolarmente soddisfatta dell’approvazione - ha aggiunto - degli emendamenti da me promossi, in sede di Commissione, a tutela dei minori reclusi negli istituti penali. Ho sostenuto il provvedimento assieme al mio partito nella convinzione che supportare iniziative di risocializzazione negli istituti di pena vuol necessariamente dire, non solo promuovere le condizioni di vita e la dignità della popolazione carceraria, ma anche la sicurezza nelle carceri e del personale che vi lavora".

"È una legge quadro che tocca tutti i punti della vita detentiva. È una legge ispirata a principi di equità e solidarietà. La sicurezza si costruisce assicurando legalità e diritti, dando fiducia. In questo modo avremo una comunità più coesa e meno rischi di fratture sociali. I diritti alla salute, al lavoro, alla formazione professionale, all’istruzione sono diritti costituzionali e universali. Valgono per tutti, a prescindere dalla condizione reclusa o libera. Questo abbiamo voluto ribadire nella legge, prevedendo azioni e iniziative concrete, supportate da dichiarazioni di principio. Il tutto nel pieno rispetto delle prerogative statali. Ringrazio tutto il Consiglio per la discussione ampia, profonda, di qualità". Commenta il presidente del Consiglio Regionale del Lazio Massimo Pineschi. "Con la legge oggi approvata si è voluto dare una risposta al problema umano della popolazione detenuta nelle carceri, rivolgendo una particolare attenzione alla condizione delle detenute donne e madri". Pineschi ha aggiunto: "La mia soddisfazione è dovuta al fatto che la Regione Lazio ha dimostrato una grande sensibilità nei confronti dei problemi reali del mondo penitenziario e nei confronti dell’appello del Capo dello Stato a favore del rispetto dei diritti dei detenuti. Le misure previste a tutela della salute, per il godimento dei diritti umani, per garantire livelli adeguati di assistenza ed agevolare attraverso percorsi di formazione la prospettiva di inserimento nel campo del lavoro e di recupero sociale, potranno garantire una vita carceraria più dignitosa anche per le famiglie dei detenuti migliorando la condizione complessiva del sistema penitenziario. Devo dare atto - ha concluso Pineschi - all’assessore agli Affari Istituzionali Daniele Fichera per il lavoro eccellente svolto per garantire una efficace sintesi e un coordinamento delle molteplici istanze espresse dall’Aula da parte di tutte le forze politiche". Positivo anche il giudizio delle associazioni.

"La legge oggi approvata dal Consiglio regionale del Lazio, che prevede interventi e misure a favore della popolazione detenuta, è una legge di straordinaria importanza. - commenta Antigone - Due sono i motivi che la rendono di particolare rilievo: l’assunzione di responsabilità della regione Lazio per ciò che riguarda la sanità penitenziaria; la previsione di assunzione di nuovi operatori sociali che andranno ad affiancare lo scarso numero oggi presente all’interno degli istituti. Speriamo che questo sia di auspicio per analoghe iniziative di altre regioni".

"Saluto con grande soddisfazione il voto con cui il Consiglio Regionale del Lazio ha approvato la nuova legge a sostegno della popolazione detenuti nelle carceri. Credo che l’Assemblea possa essere contenta del lavoro svolto in ordine alla proposta che ha visto protagonisti gli assessori Luigi Nieri e Daniele Fichera". Questo invece il commento del Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni. Secondo il Garante, quello licenziato oggi "è un provvedimento che introduce ulteriori tutele per i diritti fondamentali dei detenuti, soprattutto per quanto riguarda la salute. Questa legge, infatti, sollecita la piena applicazione del D.Lgs 230/99 che prevede il passaggio delle competenze sulla salute dei detenuti dal Servizio Sanitario Penitenziario alle Asl contribuendo a far si che anche i detenuti possano essere considerati cittadini a pieno diritto".

Nuoro: detenuto in sciopero della fame da venti giorni

 

Asca, 24 maggio 2007

 

"Un detenuto pugliese di 45 anni, Alessandro Bozza, che sta scontando la pena dell’ergastolo nel carcere di Bad’e Carros, è in sciopero della fame da venti giorni per restare solo in cella. L’ergastolano, che dal 3 maggio rifiuta di sottoporsi al controllo del peso, avrebbe perso 14 chili e sarebbe in procinto di astenersi anche dall’assunzione di liquidi".

Lo denuncia la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Sdi-RnP), segretaria della Commissione "Diritti Civili", esprimendo preoccupazione per la situazione venutasi a creare e per le condizioni di salute del detenuto.

"Penso che il dialogo - ha osservato l’esponente socialista - sia l’unico strumento utile per far incontrare le persone, anche quando le situazioni sono tese e complicate. Rivolgo, quindi, un invito al detenuto affinché interrompa lo sciopero della fame e al Direttore affinché trovi il modo di ristabilire un rapporto diretto con Alessandro Bozza. Sono convinta che in un istituto di pena sia determinante il clima di collaborazione altrimenti anche progetti innovativi e importanti, di grande valenza culturale, quali quelli promossi a Bad’e Carros con il coinvolgimento dei detenuti, tra cui Alessandro Bozza, e di personalità del mondo della letteratura, rischiano di perdere il loro significato principale"."L’umanizzazione delle strutture carcerarie si misura innanzitutto dal rispetto di ciascuno e penso che ciò debba avvenire a partire innanzitutto da chi ha maggiori titoli e responsabilità come il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria).

Mi auguro che la situazione si chiarisca al più presto e si ristabilisca, ricorrendo al buon senso, anche istituzionale, un clima più sereno. Nel più generale progetto di territorializzazione delle pene, previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario, sarebbe infine più corretto - ha concluso Caligaris - che ogni detenuto scontasse il debito con la società nella regione e nella città più prossima a quella dei suoi familiari. Ciò ridurrebbe, ne sono certa, perfino le incomprensioni. L’affettività dei detenuti è un aspetto finora troppo trascurato. Scontare le pene con la privazione della libertà è sufficiente".

Lettere: detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 24 maggio 2007

 

Guido dalla casa di reclusione di Civitavecchia

"Caro Riccardo, ti scrivo per informati del calvario che sta vivendo un ragazzo che è detenuto nella sezione G11 di Rebibbia. Questo ragazzo si chiama Marco ha l’Hiv conclamata e ha un residuo pena di 4 anni frutto di un cumulo per reati minori. Beh, devi sapere che anche se Marco ormai si trova nella fase terminale della sua malattia (come diagnosticato dall’Ospedale Spallanzani di Roma), il Tribunale di Sorveglianza di Roma è di diverso avviso, tanto che ha rigettato l’istanza di Marco per una detenzione ospedaliera o domiciliare. Questo tradotto significa che Marco deve morire in cella. Sono addolorato, non solo perché conosco Marco, ma perché la sua storia è così simile a tante altre. Ti ringrazio Riccardo e ti abbraccio".

 

Alfio dal carcere di Catanzaro

"Cara Radio Carcere, vi volevo ringraziare per il vostro impegno a denunciare la mancanza di cure mediche per chi è detenuto. Io vivo sulla mia pelle la violazione del diritto alla salute in carcere. Sono stato condannato a più di 20 anni di detenzione e sono nullatenente. Da quando sono in carcere, tra i vari problemi che ho avuto, c’è stato quello ai denti. In poche parole non li ho più e avrei bisogno di una protesi dentaria. Ho fatto mille istanze, mille domande per essere ascoltato, per essere curato ma fino ad oggi nessuno mi ha aiutato. Vorrei che qualcuno che legge o ascolta Radio Carcere provasse a pensare cosa significa stare in carcere per 20 anni e in più senza denti… senza poter mangiare qualcosa di solido… 20 anni… Spero che qualcuno mi aiuti. Grazie a Riccardo.. a Radio Carcere"

 

Un gruppo di persone detenute a Poggioreale

"Caro Arena, ti scriviamo dall’inferno di Poggioreale di Napoli e per paura ti chiediamo di non pubblicare i nostri nomi. Si fa un gran parlare del carcere che ha bisogno di più soldi. E questo può essere vero. Ma noi da qua dentro ci siamo accorti che basterebbe anche fare meno sprechi. Ti diciamo questo perché se un deputato va a vedere nei sotterranei del carcere Poggioreale, tra le altre cose, troverà macchinari medici buttati lì ad arrugginirsi! Con i soldi buttati per quei macchinari si potevano comprare le medicine per noi detenuti! O no?

Perché il Ministro Mastella non manda qualcuno a vedere cosa c’è nei sotterranei di Poggioreale? La realtà è che loro buttano i soldi pubblici e noi restiamo buttati in cella senza neanche un’aspirina. Certo siamo colpevoli, ma nella sentenza che ci ha portato in carcere non c’era scritto "condannato a 2 anni di detenzione e a 2 anni di non cura medica". Inoltre ti volevamo fare sapere che il medico del centro clinico di Poggioreale non si vede molto spesso e per un detenuto anche solo parlare con lui è diventato un miracolo! Alla prossima. Viva Radio Carcere".

 

Dino, Rocco, Luca e Jhamal, dal carcere di Imperia

"Caro Riccardo, siamo 4 ragazzi che occupiamo la stessa cella del carcere di Imperia. Oltre alla cella abbiamo in comune l’età e la condanna. Abbiamo in fatti tutti 25 anni di età e siamo stati condannati ad una pena assai severa grazie all’applicazione della legge Cirielli sui recidivi. Siamo tutti tossicodipendenti e per aver acquistato una dose di eroina ci hanno condannato a 4 anni, applicando gli aumenti di pena previsti dalla legge Cirielli per chi è recidivo. Noi pensiamo che questo non sia giusto. Ci hanno applicato delle aggravanti in modo automatico, senza verificare il caso concreto o la nostra personalità. Questo è la legge Cirielli. Non diciamo di essere innocenti, chiediamo solo la giusta pena per il colpevole. La legge Cirielli sta rovinando noi e tanti altri come noi! Ti sembra giusto che ha un tossicodipendente venga applicata la pena di un ricco spacciatore solo perché è recidivo? Noi speriamo, caro Riccardo con Radio carcere ti occuperai anche si questa maledetta legge Cirielli! Grazie per quello che fai per noi detenuti, Un abbraccio"

Roma: la ragazza uccisa in metrò era in cura con metadone

 

La Repubblica, 24 maggio 2007

 

Vanessa Russo, la giovane di 23 anni uccisa dopo essere stata colpita con un ombrello in un occhio nella stazione metropolitana di Termini a Roma, aveva assunto metadone la mattina dell’aggressione avvenuta il 26 aprile scorso. È quanto emerge dai risultati delle analisi tossicologiche realizzate sui prelievi effettuati durante l’esame autoptico. La giovane, secondo le indagini, aveva assunto metadone, un antagonista dell’eroina, presso il Ser.T. del quartiere Montesacro. Vanessa, secondo gli accertamenti emersi durante l’inchiesta, era stata in precedenza in terapia con metadone presso il centro di Villa Maraini per una dipendenza da sostanze stupefacenti che risalirebbe ad almeno quattro anni fa. La difesa di Doina Matei, la giovane romena accusata di omicidio volontario, chiede di esaminare con attenzione quanto emerso.

"Se fosse accertata tale circostanza e in particolare che Vanessa aveva assunto metadone - ha detto l’avvocato Giuseppe de Napoli, legale di Doina Matei - allora sarebbero da valutare le circostanze dell’aggressione e in particolare lo stato emotivo di Vanessa. Sia ben chiaro, tuttavia, che le analisi tossicologiche sono state richieste dalla Procura".

Secondo l’accusa, sostenuta dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dal pm Sergio Colaiocco che hanno formalizzato nei confronti della romena, a carico della quale il Riesame ieri ha confermato la custodia cautelare in carcere, l’assunzione di metadone non cambia la qualificazione giuridica del reato. Intanto il console della Romania nella capitale ha chiesto alla procura della Repubblica di Roma di poter incontrare in carcere Doina Matei, la ragazza di 23 anni accusata dell’omicidio di Vanessa.

Verona: assolte le due detenute accusate di "atti osceni"

 

L’Arena di Verona, 24 maggio 2007

 

Erano state sorprese in una saletta del carcere di Montorio da un agente di polizia penitenziaria mentre si scambiavano effusioni un po’ troppo spinte. E la donna in divisa, in men che non si dica, aveva presentato una denuncia alla Procura per quel contatto osé, avvenuto il 17 giugno 2005. Una segnalazione, però, rivelatasi priva di fondamento alla prova del tribunale. Ieri le due imputate, una tunisina di 37 anni, arrestata nel maggio di due anni fa per spaccio di droga e una romena di 33 sono state assolte perché il fatto non sussiste dal giudice Federica Tondin. Le due detenute, accusate di atti osceni in luogo pubblico, non erano presenti in aula. Non si conoscono ancora le motivazioni della sentenza anche se appare evidente che sono state accolte le motivazioni dei difensori delle due imputate, gli avvocati Davide Sentieri ed Elisa Montresor.

Durante le arringhe, i due legali hanno sottolineato come la saletta del carcere non sia un luogo aperto al pubblico. L’avvocato Sentieri ha ricordato, inoltre, che "in televisione oramai vanno in onda scene ben più spinte di quelle verificatesi due anni fa in carcere. Basta pensare a programmi come il Grande Fratello o a certi sketch con Roberto Benigni".

Ad agevolare il lavoro degli avvocati anche la versione della stessa agente di polizia penitenziaria che aveva denunciato le due detenute. Durante la deposizione di ieri, avrebbe raccontato che le due donne si erano sistemate in un angolo della saletta dove si stava svolgendo un’attività in comune. Durante le loro effusioni, non erano visibili dalle altre compagne di cella. Alla fine, il pm in aula Melania Gallo aveva chiesto un mese di carcere per le due migranti che, nel frattempo, sono già state scarcerate. Il tribunale, però, ha accolto le motivazioni dei difensori e ha assolto le due imputate perché il fatto non sussiste.

Agrigento: "Arte dietro le sbarre" nel carcere di Sciacca

 

www.agrigentonotizie.it, 24 maggio 2007

 

Il Movimento "Cittadinanzattiva" di Sciacca ha promosso l’iniziativa "Arte dietro le sbarre". Si tratta di un progetto che prevede, all’interno dell’istituto penitenziario di Sciacca, un incontro con i detenuti proponendo loro una rappresentazione teatrale dell’associazione "Parole e segni", composta da attori non udenti che si esibiscono in attività teatrali d’arte mimica a titolo gratuito. Lo spettacolo sarà preceduto da una breve presentazione sulle finalità del Movimento che intende valorizzare la figura del cittadino e formarlo al rispetto delle regole e alla convivenza civile. A conclusione dello spettacolo sarà offerto un rinfresco ai presenti per rafforzare la socializzazione degli ospiti del penitenziario con i rappresentanti del volontariato presenti. La manifestazione si terrà il prossimo 5 giugno.

Immigrazione: Ferrero; non basta riformare la "Bossi-Fini"

 

Redattore Sociale, 24 maggio 2007

 

La ricetta del ministro Ferrero per una vera integrazione punta sulla redistribuzione delle risorse anche agli immigrati. " Si deve evitare un conflitto tra poveri".

Il problema in Italia è che l’immaginario e l"irrazionale contano più della realtà. Per cui gli immigrati vengono dipinti più come nemici che come una risorsa, come i nuovi italiani che potrebbero servire per uscire dal declino reale a cui va incontro il paese.

Colpa di una politica che tende a puntare sull’irrazionale e ad investire in maniera scientifica sull’insicurezza e di una stampa che punta sul sensazionalismo e rinuncia a fare un’informazione seria. Questa l’idea di fondo emersa dal convegno "Nuovi cittadini, nuovi diritti: strategie per l’inclusione sociale a livello nazionale e locale", tenutosi stamane a Roma presso il Forum della Pubblica amministrazione.

"Senza l’allargamento del welfare in termini universalistici - ha sottolineato il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero - la riforma della Bossi-Fini non serve a niente". Il paese va incontro ad una guerra tra poveri, per evitarla bisogna puntare alla redistribuzione delle risorse anche agli immigrati, che se lo meritano, visto che i due milioni di regolari presenti nel nostro paese producono il 5% del Pil nazionale, ossia 75 miliardi di euro. Il famoso "Tesoretto", ha ribadito, va investito per venire incontro alle esigenze del 15% di famiglie povere presenti in Italia, "questa mi sembra la priorità e non una riduzione del deficit più rapida di quella prevista".

I due elementi di fondo a cui si ispira il modello sociale che il ministro vorrebbe costruire sono il rispetto della Costituzione italiana e la conoscenza della lingua italiana. "Dobbiamo stare sui fondamentali, usi e costumi sono diversi - ha evidenziato Ferrero - non è necessario scegliere quando essi non sono in contraddizione".

Ad esempio, bisogna puntare sul rispetto del ruolo della donna, ma non è necessario scegliere sul velo, l’importante è che il viso sia visibile. "L’idea - ha continuato - è quella di una società in cui le identità diverse possono convivere, senza per forza creare una comunità chiusa per la difesa dei propri interessi. L’immigrato non va appiattito sull’essere tale, ma sull’essere una persona con una identità plurale. Si fissano i punti del vivere civile, nel rispetto delle reciproche identità". Altrimenti, secondo il ministro, si andrebbe verso la guerra civile.

"Un bambino italiano - ha evidenziato ancora Ferrero - , se a 20 anni va a lavorare, sarà costato allo Stato 150 mila euro. Dunque, un immigrato che a 20 entra in Italia e comincia a lavorare, rappresenta un risparmio secco di 150 mila euro. Bisogna dirlo che essi sono una forza lavoro già formata". Perché al tempo degli emigranti italiani in Germania, si è chiesto, parlavamo di loro come un’energia per il paese, mentre ora per gli immigrati che arrivano in Italia parliamo solo di costi?

"È un problema che dipende dalla stampa - ha continuato - abbiamo organizzato anche un convegno sul tema, ma la notizia non è passata perché non è una notizia che ha il sapore dell’acqua bevuta (intesa come l’unica cosa importante, rispetto a tutte le indicazioni della composizione presenti sull’etichetta, ndr)", ossia non è sensazionalistica, non colpisce l’immaginario. Secondo Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia, ogni giorno in televisione si verifica la "fantasmizzazione dello straniero, è la mala-informazione, bisogna partire dalla realtà. Si verifica così la costruzione scientifica delle nostre stesse fobie, pericolose non per il principio umanitario, ma per il principio di realtà. Altrimenti si rischia la costruzione di ghetti di apartheid che porteranno alla deflagrazione della convivenza civile".

"L’immigrazione è segno di vitalità economica e sociale, in generale costituisce un’opportunità per il sistema Italia - ha evidenziato da parte sua Giovanni Maria Pirone, direttore dell’Istituto Italiano di Medicina Sociale - basti pensare ai molti occupati nella collaborazione familiare che hanno contributo a salvare dal collasso il Sistema sanitario e Sociale di Regioni ad alto tasso di invecchiamento".

"L’immigrato - ha continuato - è anche un cittadino portatore di bisogni socio-culturali e di salute, per cui occorrono politiche di welfare integrate tra solidarietà sociale, lavoro e salute. In particolare, la tutela della salute degli stranieri deve essere uno strumento di inclusione sociale dei "nuovi italiani". Secondo Pirone, dunque, il nuovo Testo Unico per il riassetto normativo e la riforma della salute e della sicurezza sul lavoro elaborato dai ministri della Salute e del Lavoro, Livia Turco e Cesare Damiano, rappresenta una politica di inclusione sociale, che riguarda il rispetto dei diritti civili e sociali dei lavoratori italiani ed immigrati.

Al convegno hanno partecipato, tra gli altri, anche il sociologo Enrico Pugliese e Mario Morcone, Capo Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del ministero dell’Interno. Nell’occasione è stato inoltre presentato il progetto "Piste per l’inclusione sociale", promosso dal ministero per la Solidarietà Sociale. L’iniziativa ha l’obiettivo di mettere a sistema le buone pratiche realizzate da Regioni, Province e Comuni nel campo delle politiche sociali, in modo da "trasferire modelli di successo e favorire il confronto reciproco tra amministrazioni che esprimono un fabbisogno di crescita e supporto e quelle che invece si sono distinte nella scelta e realizzazione di soluzioni innovative per l’attuazione delle politiche e degli interventi di inclusione sociale".

Droghe: Cassazione: la coltivazione "domestica" non è reato 

 

Notiziario Aduc, 24 maggio 2007

 

Non è reato coltivare nel giardino di casa qualche piantina di marijuana perché ciò equivale alla detenzione per uso personale. È quanto ha affermato la VI Sezione Penale della Corte di Cassazione che, con la sentenza 17983 del 10 maggio ha annullato la decisione della Corte di Appello di Roma (confermativa di quella del Tribunale locale) che aveva condannato un giovane per aver coltivato nel proprio fondo cinque piante di marijuana.

La formula assolutoria usata dai giudici di legittimità è "perché il fatto non sussiste". Queste linea interpretativa era stata inaugurata sempre dalla VI Sezione penale della Suprema Corte nel 1994, quando "si ebbe a distinguere la coltivazione in senso tecnico, un procedimento che presuppone la disponibilità di un terreno e di una serie di attività dei destinatari delle norme sulla coltivazione (preparazione del terreno, semina, governo dello sviluppo delle piante, ubicazione di locali destinati alla custodia del prodotto)", dalla detenzione per uso personale.

Quindi, ha precisato il collegio, tale decisione ebbe il merito "di tracciare un margine ineludibile tra detenzione e coltivazione in senso tecnico, non potendo ricomprendersi in tale ultima nozione, giuridicamente definita, la cosiddetta coltivazione domestica".

Insomma di volta in volta il giudice dovrà valutare se una coltivazione per le sue caratteristiche e per la sua estensione rientra nel concetto di piantagione illecita oppure se non possa definirsi tale. La Suprema Corte ha annullato la condanna del giovane romano senza rinvio mettendo la parola fine alla vicenda.

La Cassazione annulla la condanna a un uomo che aveva coltivato nel proprio terreno cinque piante di marijuana, dichiarando la irrilevanza penale di quel comportamento, perché "il fatto non sussiste" e il verde Paolo Cento approva: "Dopo i brutti tempi del proibizionismo, la Cassazione ha scritto una sentenza di civiltà. Solo gran parte della politica e delle istituzioni continua a chiudere gli occhi cavalcando la via repressiva e proibizionista dell’uso delle droghe. Speriamo che ora si possa riaprire anche in Parlamento un dibattito più civile e che presto in Consiglio dei ministri approdi un testo di abrogazione della legge Fini-Giovanardi".

Usa: ruba due bottiglie di liquore, condannato a 25 anni

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 24 maggio 2007

 

Una corte d’appello federale Usa ha condannato un malato mentale al carcere per 25 anni o a vita per aver asportato due bottiglie di liquore da un negozio nel sud della California, una sentenza che un giudice dissenziente ha definito "barbara". Con 2 voti contro 1, la nona Corte d’Appello di San Francisco ha confermato la sentenza del giudice di una contea di Los Angeles che ha condannato l’uomo per il furto di due bottiglie di liquore del valore di 62 dollari nel luglio 1999. Joshua, che è stato riconosciuto schizofrenico paranoide, era stato condannato per furto cinque volte dal 1974 ed era poi stato dentro e fuori dalle prigioni e dagli ospedali per cure mentali.

Il suo avvocato ha sostenuto che la sentenza violerebbe il divieto costituzionale di punizione crudele ed insolita. Ma le decisioni dei giudici federali emesse a maggioranza dalla corte su questioni penali, secondo una legge del 1996, possono essere annullate soltanto se violano chiaramente i campioni costituzionali che sono stati stabiliti dalla Corte suprema degli Stati Uniti.

L’alta corte ha stabilito che i giudici e le giurie nei casi di pena di morte devono considerare la malattia mentale dell’imputato, ma non ha detto nulla per altri casi. In assenza "di una decisione della Corte suprema che stabilisca chiaramente che la malattia mentale rende una sentenza non capitale incostituzionale - hanno detto i giudici favorevoli alla condanna - una corte inferiore non ha autorità per intervenire".

Il caso è solo l’ultimo di una serie di sentenze controverse dovute all’applicazione di una legge californiana del 1994 che prescrive tale severa condanna per chiunque - già condannato a due crimini gravi o violenti in precedenza - commetta un terzo crimine (la legge dei tre colpi - tre strikes). La legge era stata al vaglio della Corte suprema Usa, la quale l’aveva mantenuta. Ma qualche corte ha comminato sentenze da 25 anni o a vita anche in caso non si fossero dimostrate violenze nei reati commessi dall’imputato.

È il caso di Joshua, il cui avvocato difensore ha sottolineato che nessuna delle precedenti condanne di Joshua fa riferimento a violenze commesse ed ha detto che chiederà alla corte d’appello un completo riesame, sottolineando che la capacità del suo assistito di controllare i suoi impulsi è stata danneggiata seriamente a causa della sua malattia mentale, per cui il fatto che sia recidivo non è una scelta cosciente.

Nel parere di dissenso, il terzo giudice, Warren Ferguson, ha ricordato che la Corte suprema ha annullato le sentenze detentive che ha trovato essere troppo severe rispetto alla gravità del crimine e del ruolo dell’imputato. Ha detto che era risaputo che "la malattia mentale inficia pesantemente la colpevolezza dell’individuo". Condannare un uomo schizofrenico al carcere a vita per aver rubato oggetti per 62 dollari "è incostituzionale", ha concluso Ferguson.

Svizzera: multe e lavori sociali, in 10 anni dimezzati i detenuti

 

9Colonne, 24 maggio 2007

 

Grazie all’introduzione del lavoro di pubblica utilità, del braccialetto elettronico e delle pene pecuniarie al posto della detenzione per i reati meno gravi, in dieci anni la Svizzera ha visto dimezzare il numero dei detenuti. A metà degli anni Novanta, si contavano 12.000 incarcerazioni annue. Oggi sono quasi la metà. Un risultato vistoso, che la Confederazione celebra con una mostra ("Dalla palla al piede al braccialetto elettronico") inaugurata a Neuchâtel. Con l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2007 del nuovo Codice Penale, in linea di massima la detenzione senza condizionale non può essere pronunciata per una durata inferiore ai 6 mesi. In caso contrario, la pena deve essere motivata in maniera circostanziata.

 

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