Rassegna stampa 23 maggio

 

Giustizia: Amato; siamo malati di "indulto permanente"

 

Apcom, 23 maggio 2007

 

"Nella nostra legislazione c’è una specie di indulto permanente, rappresentato da molteplici possibilità che vengono offerte o grazie ai formalismi del processo o grazie al trattamento che si ha durante la condanna". Lo ha detto a Palermo il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, a margine delle manifestazioni per ricordare la strage di Capaci, che si tengono nell’aula bunker dell’Ucciardone. "In sostanza - ha spiegato Amato - ci sono mille possibilità o per non scontare una condanna, o per andare in prescrizione o per trovarsi fuori quando la gente si aspetta che tu sia dentro. L’indulto permanente - ha sottolineato - è una malattia che dobbiamo curare perché è quella che più di altre è fonte di sfiducia nei confronti del sistema".

 

Rei scontino intera pena, per evitare sfiducia gente

 

"Lo Stato che non fa scontare la pena a chi è stato condannato è uno Stato che sega il ramo dell’albero su cui siamo seduti". Così Giuliano Amato fotografa, la situazione giudiziaria del Paese. "Il ministro dell’Interno - spiega Amato - subisce gli effetti dell’indulto: non posso nascondere il fatto - aggiunge - che i reati come i furti e le rapine hanno avuto un innegabile scalino verso l’alto". Per Amato quindi è innegabile che nasca "sfiducia nella gente" quando la condanna non viene scontata per intero e "la persona viene condannata e resta libera".

 

Per rispetto legalità servono valori e principi

 

Per il rispetto della legalità servono "valori e principi che stanno dentro di noi. Lo Stato è solo una parte, guai a far dipendere tutto dallo Stato". Lo ha detto nel corso di un acceso dibattito con gli studenti presenti nell’Aula bunker dell’Ucciardone di Palermo per ricordare la strage di Capaci, il ministro dell’Interno Giuliano Amato. Parlando della droga Amato si è detto "ma come fanno i genitori a contrastarne l’uso da parte dei figli, quando loro stessi la usano nel weekend?". A proposito della prostituzione il ministro ha proseguito con un altro esempio: "Ma come è possibile combattere la prostituzione quando i padri di famiglia frequentano la via Salaria a Roma e trovano ragazzine prostitute dell’età delle loro figlie?".

 

Studenti devono essere messi "alla frusta"

 

"Noi dobbiamo darvi una preparazione scolastica all’altezza delle aspettative del vostro futuro ma abbiamo anche bisogno di genitori che non ricorrano al Tar quando i figli sono stati bocciati". Lo ha detto durante un acceso dibattito con gli studenti nell’Aula bunker dell’Ucciardone a Palermo per ricordare la strage di Capaci, il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, parlando del futuro della scuola. "Noi - ha proseguito il ministro suscitando la reazione di una studentessa napoletana - abbiamo il dovere di darvi una scuola in cui siate messi alla frusta e il benchmark per l’insegnante sia l’ultimo e non il primo dei suoi studenti". Nel corso del dibattito il ministro Amato ha anche avuto modo di polemizzare con alcuni studenti - rispondendo a domande che avrebbero dovuto esser rivolte al ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni - tanto che alla fine il moderatore, il direttore di Radio 24, Giancarlo Santalmassi, ha suggerito agli organizzatori di predisporre per l’anno prossimo un "question time" fra studenti e ministro dell’Istruzione.

Giustizia: l’ossessione "sicurezza" alimenta solo le paure

di Giovanni Russo Spena (Capogruppo Prc al Senato)

 

Liberazione, 23 maggio 2007

 

C’è una parola magica che viene ripetuta un po’ ossessivamente in questa campagna elettorale: sicurezza. Tanta insistenza non lascia spazio a dubbi: a torto o, molto più probabilmente, a ragione, la politica è convinta che proprio le diffuse preoccupazioni per la sicurezza orienteranno il voto di domenica prossima, e si attrezza di conseguenza. Non a caso il furbo Gianfranco Fini, per commentare il vertice a palazzo Chigi di domenica scorsa, ha scelto proprio questo facilissimo argomento: "Io il tesoretto lo avrei usato tutto per la sicurezza".

Conviene dunque fare il punto sull’argomento, evitando per una volta le facili trappole della propaganda. Prima di tutto va ripetuto che le città italiane sono tra le più sicure che ci siano al mondo. Lo affermano incontrovertibilmente i dati statistici, che parlano di un paese in cui il tasso di crimini gravi è sostanzialmente tra i più bassi e la grande maggioranza degli omicidi si verifica proprio nell’istituzione che dovrebbe essere la più rassicurante: la famiglia.

È di conseguenza inevitabile chiedersi cosa inneschi questa sensazione di insicurezza diffusa che, a onta della realtà, serpeggia davvero tra i cittadini. I media contribuiscono certamente a creare un panico infondato, basta sfogliarli per sincerarsene. Addossare alle esagerazioni dei media questa sensazione palpabile e diffusa di paura sarebbe però tanto sbagliato quanto auto consolatorio. C’è in circolazione qualcosa di ben più profondo e inquietante, che alimenta lo scandalismo dei media e ne è a sua volta alimentato.

Sono convinto che su questa insicurezza apparentemente determinata dalla criminalità in realtà precipitino in massa paure di tutt’altra natura. La paura di non trovare un lavoro, o di perderlo, di non arrivare a fine mese con lo stipendio o con la pensione. L’insicurezza endemica prodotta da un precariato che rende perennemente incerto il futuro prossimo e ancor di più quello remoto. L’angoscia provocata dal non avere una casa, dal non potersi permettere gli affitti esorbitanti o dal non essere certi di poter pagare il mutuo. L’ansia permanente creata da un sistema sanitario che rende l’eventualità di ammalarsi ancor più temibile di quanto già non sia di per sé.

Questa insicurezza, che la globalizzazione è l’arrembaggio neoliberista hanno trasformato in dimensione esistenziale, suscita un’angoscia profonda, endemica, che finisce poi per sedimentarsi intorno all’ossessione per la sicurezza. La risposta di una politica lungimirante dovrebbe allora essere il ritorno a quei princìpi di "sicurezza sociale" che sono stati progressivamente dimenticati negli ultimi decenni e che, soli, potrebbero ovviare davvero all’insicurezza diffusa: garanzie sul lavoro, sul reddito, sulla pensione, sull’abitazione, sulla sanità. Obiettivi che sembravano conquistati una volta per tutte e che sono stati spazzati via dall’orgia liberista.

In secondo luogo, bisognerebbe avere il coraggio di tracciare un bilancio finale delle politiche varate del centrodestra e non ancora smantellate dal governo dell’Unione.

Sarebbe urgente riconoscere che la legge Bossi-Fini sull’immigrazione e quella Fini-Giovanardi sugli stupefacenti non hanno affatto reso le città più sicure. Al contrario, hanno alimentato la microcriminalità diffusa. A conti fatti si sono rivelate criminogene, e come tali, per le stesse esigenze di una maggiore sicurezza, andrebbero tempestivamente abrogate.

Quella micro-criminalità tuttavia va effettivamente contrastata, e anche questo bisogna avere il coraggio di riconoscere. Ma per farlo bisogna saper dispiegare una strategia diversa e opposta a quella puramente repressiva, e già fallita, della destra. Se da un lato vanno eliminate le leggi criminogene, dall’altro vanno individuati e introdotti elementi forti di socializzazione nei quartieri e nelle aree più disagiate. Bisogna introdurre in quei quartieri "presidi democratici" che offrano allo stesso tempo un’interlocuzione alle aree maggiormente esposte alla tentazione microcriminale e un punto di riferimento per gli altri abitanti. Bisogna costituire "centri sociali" in grado di ricostituire uno spazio pubblico condiviso, senza il quale non è pensabile alcuna vera sicurezza.

So perfettamente che a chi si illude di poter risolvere il problema con il pugno di ferro proposte e ipotesi del genere appaiono del tutto inefficaci. Ma sono gli stessi che continuano a ignorare i puntuali fallimenti delle loro politiche repressive. A volte, come in questo caso, le strade apparentemente più sbrigative si rivelano puntualmente le meno efficaci e le più lunghe. Certo, non si può chiedere a un governo di destra di capirlo. Ma a una maggioranza di centrosinistra, sì.

Giustizia: liberi davvero dal carcere non si torna mai più

di Giulio Petrilli (Dirigente Partito Rifondazione Comunista)

 

Liberazione, 23 maggio 2007

 

Voglio raccontarvi il carcere, la pena che ha inizio e che non trova mai fine. Dall’età di 21 anni fino ai 27 sono stato detenuto per reati politici ma ho scontato più del doppio della pena comminatami. Il "mio carcere" è stata una ferita insanabile, che continua a sanguinare anche dopo aver riacquistato la libertà.

Il carcere è un luogo di morte vivente dove tutto, non solo la vita che fino ad allora si era vissuta fuori, si interrompe, dove tutto è silenzio. È un’istituzione durissima, la peggiore per chi la vive. Un’esperienza troppo forte per essere anche solo per un po' dimenticata; è un mostro che rimane solo sopito nel profondo della mente, ma a cui basta poco per svegliarsi e ricominciare a mordere.

Il carcere distrugge, i detenuti e le detenute incontrati mi dicevano sempre che chi supera i cinque anni di reclusione percorre una via senza ritorno e che, anche se disperatamente cerca di nasconderlo, a tutti, a se stesso, anche se sembra "normale", riabilitato alla vita sociale, qualcosa dentro si slabbra per sempre. È una sensazione quasi palpabile, si cerca di fronteggiarla, ma non si può non riconoscerla tanto è la sua forza. Dopo essere stato prima un detenuto e poi un uomo, e nel carcere è così, non si è più come gli altri, perché la sofferenza rimane attaccata addosso fino a diventare una scomoda seconda pelle.

La reclusione non è vita, è chiaro, è un’esperienza estrema che per fortuna non tutti fanno. Io per esempio sono stato quasi due anni detenuto in art. 90, chiuso da solo in cella 23 ore su 24; potevo godere solo di un’ora d’aria da dividere con altri sei compagni. Dopo sei mesi di questo trattamento, mi trovavo allora nel carcere di Fossombrone, una sera iniziai a tremare violentemente, ad avere paura di essere veramente solo, perduto nella solitudine. Ancora adesso - sono passati vent’ anni - quando rimango solo per un periodo prolungato di tempo, mi sento come allora, avverto le stesse sensazioni. Subito dopo, nel dividere la cella con più persone, mi è capitato a volte di iniziare inspiegabilmente a sudare, come se il passaggio da un isolamento totale a una quotidianità coatta con gli altri mi soverchiasse. La mancanza di libertà, le torsioni che la mente fa per reggere questa condizione, creano uno stress notevole che non tutte e tutti sono in grado di reggere; io, francamente, sono uno di questi. Il carcere e i suoi danni sono ancora oggi conficcati dentro di me.

A volte nei sogni riassaporo intatto quel dolore, talmente intollerabile che la mente si contorce facendomi svegliare sempre in un bagno di sudore, sconvolto e confuso.

Probabilmente anche la mia giovane età, sono stato arrestato la prima volta a 18 anni, ha inciso perché quella è un’età dove le restrizioni mal si sopportano, con fatica si riesce a capirle e nel carcere sono troppe ed inspiegabili le regole a cui doversi piegare. Nei miei quasi sei anni di reclusione però, ho costruito anche rapporti intensi, perché poi l’altra faccia della detenzione è che dentro si vivono relazioni più forti, più autentiche, forse perché nei momenti di massima disperazione e sofferenza vengono fuori le cose migliori, forse perché i rapporti non sono contaminati dalla velocità della vita di fuori ed è questo un balsamo, l’unico, che lenisce un po’ la sofferenza.

Sono state diverse le carceri che ho visto in quegli anni: L’Aquila, Teramo, Pescara, Trani, Bellizzi Irpino, Ascoli Piceno, Pesaro, Fossombrone, Milano, sono città che ricordo anche per via della mia detenzione. Di ogni carcere conservo un ricordo particolare: di San Vittore, è ancora vivo quello spicchio di Piazza Filangieri che si vedeva dal corridoio, il doloroso contrasto tra una via piena di gente e macchine veloci e la mia solitudine. Di Fossombrone, penso alle colline piene di verdi tutti diversi, verdi infiniti che coloravano prati visti da lontano, un miraggio oltre il mio cemento, le mie mura, le mie sbarre. Ma il mare di Trani è il mio preferito, quel poco d’azzurro che si intravedeva era stupendo, ne respiravo a pieni polmoni il profumo e la voce della Bertè in "Mare d’inverno" era il mio, personalissimo legame, tra la reclusione e la bellezza del mondo fuori.

Ricordi di gioventù, struggenti, non è facile neanche adesso, o forse proprio adesso, raccontare l’esperienza della detenzione. Il carcere è un po’ come la guerra, ha la stessa forza dirompente che distrugge fisicamente e psicologicamente, e questo piccolo contributo vorrebbe solo ricordare agli uomini liberi quanti "cuori in inverno", come il mio, ci sono ancora nelle carceri del nostro Paese.

Sicurezza: a Torino Marco Minniti contestato dai poliziotti

 

Corriere della Sera, 23 maggio 2007

 

Prima i fischi all’ingresso in Prefettura, poi il chiarimento con i sindacati di polizia e l’incontro con il Comune. Il viceministro dell’Interno Marco Minniti è arrivato ieri a mezzogiorno a Torino per firmare il "Patto per la sicurezza" col sindaco Sergio Chiamparino, il prefetto Goffredo Sottile, i presidenti della Provincia e della Regione Antonio Saitta e Mercedes Bresso. Nove milioni di euro messi a disposizione dalle autorità locali, da investire in tecnologie e ore di lavoro straordinario, duecento uomini in più inviati dal governo in arrivo a inizio luglio distribuiti tra le diverse forze, telecamere e agenti per controllare gli ingressi in città sono i punti essenziali del documento. In più, il testo prevede un’attenzione rinforzata nei quartieri "caldi", da quelli storici come San Salvano e Porta Palazzo, dove vive la maggior parte degli immigrati irregolari, ai nuovi centri dello spaccio come l’area di "Tossic Park" alla periferia est della città.

"Si tratta di un accordo concreto, che ci soddisfa tutti - commenta il sindaco -perché risponde a esigenze pratiche come le carenze di organico e l’insufficienza di risorse come le auto per la Questura. È mirato alla collaborazione tra Stato ed enti locali sul problema della sicurezza e del sostegno a tutte le forze dell’ordine. Un buon esempio di come autorità diverse possono integrarsi l’una con l’altra".

"Vigileremo affinché il governo mantenga gli impegni che il viceministro Minniti ha preso con noi - ha commentato il segretario del Siulp Eugenio Bravo, uno dei sindacalisti della Polizia che ieri hanno manifestato -. Finora, eravamo stati poco coinvolti in questo lavoro, un’esclusione che ha provocato tensioni tra gli agenti. Ora abbiamo ascoltato risposte concrete, come l’aumento degli uomini e delle Volanti.

A Torino, negli ultimi dieci anni, le auto in servizio su ciascun turno erano scese da 40 a 20, una carenza non più accettabile a fronte di una criminalità sempre più aggressiva". Parole ribadite anche dal segretario nazionale Oronzo Cosi: "Nessuno deve strumentalizzare i fischi a Minniti, abbiamo protestato a suo tempo contro il governo di centrodestra e lo facciamo oggi con quello di centrosinistra". Dopo rincontro in Prefettura, Minniti, che ha ricordato come "in Italia esista il rapporto più alto d’Europa tra cittadini e uomini delle forze dell’ordine", è andato in Comune per incontrare gli amministratori cittadini. Anche qui è stato accolto da una piccola ma vivace contestazione: a fischiarlo questa volta erano gli esponenti di Alleanza nazionale, Lega Nord e Udc.

Polizia Penitenziaria negli Uepe: "no" deciso da RdB Penitenziari

 

Comunicato stampa, 23 maggio 2007

 

Al Ministro Clemente Mastella

Al Sottosegretario Luigi Manconi

Al Capo del Dap Ettore Ferrara

Al Vice Capo del Dap Emilio Di Somma

Al Vice Capo del Dap Armando Salterio

Al Direttore Generale del Personale Massimo De Pascalis

 

Oggetto: La Polizia Penitenziaria negli Uepe

 

Questa O.S., così come espresso nella riunione del giorni 14 maggio 2007 è assolutamente contraria all’inserimento della Polizia Penitenziaria negli Uffici per l’esecuzione Penale esterna e questo per i seguenti motivi.

L’Ordinamento penitenziario (Legge 354/75)affida al Servizio Sociale il controllo nell’affidamento in prova al Servizio Sociale, il legislatore del 98, riconferma tale disposizione per il 47 ter; il legislatore del 2000 dettaglia i modi e i tempi degli interventi sulle misure alternative. Per questo motivo - se si vuole cambiare - si deve intervenire sulla materia con una legge che cambi sostanzialmente la prospettiva e la scelta fatta di usare la metodologia del Servizio Sociale per le Misure alternative. Alle continue affermazioni che ciò non è necessario domandiamo: è questa l’applicazione del famoso principio che per gli amici la legge si interpreta e per gli altri si applica? Ci troviamo palesemente in una situazione di interpretazione.

Come si è più volte detto l’inserimento della Polizia Penitenziaria negli Uepe non è né la soluzione dei loro problemi, né la priorità.

È priorità invece per la Polizia Penitenziaria, per la quale bisogna trovare occasioni di visibilità, sulle quali potremmo anche concordare, ma purché non sia a scapito di altre categorie professionali, e non passi attraverso la loro denigrazione.

Bisogna invece riconoscere che per trent’anni gli Assistenti Sociali hanno fatto il loro lavoro, quindi hanno reinserito le persone loro affidate con una recidiva assolutamente bassa, mentre è altissima quella di quanti escono dal carcere. Perché cambiare prepotentemente un sistema che ha dato i suoi buoni frutti, e soprattutto farlo violentando gli operatori che non vogliono tali inserimenti? È appena il caso di rammentare che l’allora Servizio Sociale - ora Uepe - ha sempre lavorato in situazioni di criticità: senza personale, senza supporti, senza mezzi. E, vale la pena sottolinearlo l’hanno fatto bene.

Il D.M. proposto parla che il ruolo della polizia penitenziaria sarebbe quello di "verificare il rispetto delle prescrizioni di comportamento e di permanenza" Che significa tale frase, che i poliziotti seguiranno passo passo i sottoposti alla misura alternativa?

Non si può pensare all’inserimento nell’équipe dell’Uepe della Polizia Penitenziaria, se non per riferire in ordine al rispetto delle prescrizioni. Se nell’ambito dell’Istituto ha un senso inserire nel Got la Polizia Penitenziaria, perché la persona ristretta è ( o dovrebbe essere ) sotto costante controllo , e la Polizia , se opera correttamente, può avere il polso della situazione personale e comportamentale del ristretto, in questo contesto, dove il detenuto è libero, ci si domanda con quali strumenti la Polizia Penitenziaria interviene, oltre al mero controllo che non può che essere limitato nel tempo e nello spazio. A questo punto non si comprende quali riferimenti possa dare il poliziotto che opera esclusivamente per la verifica. Se fa altro rischia di sovrapporre il proprio operato a quello del Servizio Sociale

Altra è l’intenzione di permettere l’ingresso della Polizia penitenziaria nei comitati per l’ordine e la Sicurezza Pubblica, in modo da far lievitare la necessità dei posti di dirigenza. Intenzione legittima e meritoria, ma che si può perseguire in modo diverso da quello preso in considerazione, soprattutto non mettendo in crisi il sistema delle misure alternative.

Se, è vero come è vero, che gli Uepe hanno fruito finora del servizio della Polizia Penitenziaria, ciò è stato causato dalla necessità di proteggere e accompagnare le Assistenti Sociali (Si pensi allo Zen a Palermo o a Scampia a Napoli), dalla necessità di avere aiuti da punto di vista dell’operatività dell’Ufficio, perché mancano e sono mancati gli operatori dell’area B (a proposito non si sa dove siano finiti gli operatori dell’area B previsti dalla legge Simeone che non sono mai arrivati in detti Uffici). Ma va anche rilevato che non sempre gli agenti assegnati erano all’altezza del compito.

Appare singolare che le dotazioni strumentali mai date agli Uepe (autovetture di servizio, computer, e financo la carta delle fotocopie ora si trovino per la Polizia Penitenziaria che dovrebbe prestarvi servizio

Va ancora detto che sono previsti tre mesi "intensivi" per la formazione. Si ricorda che per formare un cinofilo ci voglio sette mesi.

A questo punto questa O.S. ritiene di dover dare voce alle Assistenti Sociali realizzando un’Assemblea nella seconda metà di giugno. Va comunque detto che se l’Amministrazione Penitenziaria, vuole cambiare le finalità delle misure alternative deve farlo con una legge e si deve assumere la responsabilità di fronte alla storia di aver distrutto quanto una categoria professionale ha costruito in trent’anni. Analogamente dovrà assumersi - di fronte al Paese - la responsabilità di aver negato ciò che gli Assistenti Sociali - anello debole della catena degli operatori - hanno realizzato, con il solo scopo di favorire un’altra categoria professionale: quella della Polizia penitenziaria, che può essere valorizzata, ma si possono trovare altri strumenti per farlo.

 

Il Coordinamento delle

Rappresentanze di Base

RdB Penitenziari

Polizia Penitenziaria negli Uepe: Sappe; il progetto va avanti

 

Comunicato Sappe, 23 maggio 2007

 

Come già anticipato informalmente nei giorni scorsi dal Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe, il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) e che ha suscitato reazioni contrastanti tra i vari operatori del settore va avanti. Il prossimo incontro sull’argomento è stato infatti programmato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per martedì 29 maggio alle ore 15.30 presso la sede centrale del Dap, come si evidenzia dall’atto di convocazione inviato questa mattina al Sappe, "che smentisce quanto tentavano di far credere certe organizzazioni di assistenti sociali, e cioè che il progetto era stato annullato".

Con l’occasione, la Segreteria Generale del Sappe, Organizzazione più rappresentava del Corpo con 12mila iscritti, ribadisce con fermezza la propria posizione: "Se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva anche la polizia penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere. È infatti davvero pretestuosa e incomprensibile la posizione espressa dagli assistenti sociali e addirittura da un sindacato confederale della polizia penitenziaria contro la previsione di costituire nuclei territoriali di polizia penitenziaria presso gli Uepe". Il Sappe, infine, sottolinea di continuare a non comprendere "le resistenze a impiegare il Corpo attivamente nell’area delle misure alternative alla detenzione".

Lazio: approvata la legge regionale sui diritti dei detenuti

 

Comunicato stampa, 23 maggio 2007

 

La legge quadro sulla "tutela dei diritti della popolazione detenuta" approvata oggi dal Consiglio regionale del Lazio è una normativa importante che si muove in perfetta sintonia con le politiche in materia penitenziaria del Ministero della giustizia. Mostra sensibilità nell’assunzione di responsabilità in materia di sanità penitenziaria, ma anche per ciò che riguarda la previsione di misure a favore del personale e per quanto riguarda il lavoro, la formazione professionale e il trattamento della popolazione detenuta.

 

Luigi Manconi, Sottosegretario alla Giustizia

Ascoli: la prevenzione cardiologica arriva nelle carceri

 

Sambenedetto Oggi, 23 maggio 2007

 

Prima Campagna Nazionale promossa dall’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), in collaborazione con Heart Care Foundation (HCF), dedicata alla prevenzione e all’educazione cardiovascolare negli Istituti penitenziari. L’iniziativa è partita il 13 aprile nelle carceri di Catania, Catanzaro, Cagliari, Roma e Torino. Venerdì 18 maggio è stata la volta del carcere ascolano di Marino del Tronto in contemporanea con le case circondariali di Bologna, Firenze, Genova, Napoli e Roma.

Moltissimi detenuti hanno un "cuore a rischio" anche per il condizionamento ambientale della vita carceraria: fumo, sedentarietà, preoccupazioni eccetera. In undici città italiane alcuni cardiologi dedicano ai detenuti una giornata di incontri formativi e di corsi sulla prevenzione e gestione delle emergenze cardiovascolari. "Il cuore dei detenuti è in pena, gli oltre 42.000 reclusi nelle carceri italiane necessitano di prevenzione cardiovascolare. Negli ultimi due anni sono morti in carcere circa 500 detenuti, alcuni di questi decessi sono dovuti a cause cardiovascolari", riporta una nota di Gino Di Mare per l’ufficio stampa dell’associazione medica. Il 18 maggio scorso è toccato al Dr. Mauro Persico dell’U.O. di Cardiologia dell’Ospedale di San Benedetto del Tronto coordinare i lavori presso la Casa Circondariale di Marino del Tronto. In contemporanea altre cinque case di pena italiane: Bologna, Firenze, Genova, Napoli e Roma trattavano lo stesso argomento.

La giornata ascolana è stata ricca di spunti interessanti, grazie alla disponibilità degli intervenuti e alla chiarezza degli oratori. Dopo che il dottor Persico ha illustrato in breve le finalità dell’incontro ed il programma della giornata, ha preso la parola la Dr.ssa Di Feliciantonio, direttrice del carcere, che, dopo aver salutato gli ospiti intervenuti, ha ringraziato l’ANMCO per aver promosso l’iniziativa aggiungendo: "Abbiamo aderito con piacere perché lo riteniamo un valore aggiunto oltre che una reale necessità", Il Dott. Gabrielli, Presidente regionale dell’ANMCO, ha portato i saluti dell’associazione ed ha dato inizio ai lavori presentando i relatori della mattinata che prevedeva tre lezioni inerenti la prevenzione cardiovascolare, il sistema di emergenza territoriale 118 ed il primo soccorso nelle emergenze cardiovascolari.

Nella prima relazione sulla prevenzione cardiovascolare, il Dott. Moretti, direttore dell’U. O. di Cardiologia di Ascoli Piceno ha detto :"Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte ma possono essere prevenute con un corretto stile di vita e si può anche ridurre la morte improvvisa con l’uso di adeguate attrezzature: con la legge 120/2001, infatti, i defibrillatori semiautomatici possono essere utilizzati anche al di fuori degli ospedali da personale non sanitario adeguatamente addestrato. L’ideale sarebbe che imparassimo tutti a defibrillare. L’innalzamento della vita media non ha aumentato soltanto i problemi previdenziali ma anche quelli legati alla salute" Chiude l’intervento con una frase molto significativa:"Dobbiamo aggiungere vita agli anni e non anni alla vita"

Il Dott. Elio D’Angelo, responsabile provinciale del 118, dopo aver spiegato dettagliatamente come contattare e utilizzare correttamente il sistema di emergenza territoriale (118), ha citato il caso di un cittadino che "per fare uno scherzo fra poco sarà ospite di queste mura. Ci telefonò dicendo che era successo un incidente a nord ma non era vero. Per sua sfortuna nello stesso momento uno vero e gravissimo si è verificato a sud. È stato incolpato di omicidio colposo"

Lo stesso Dott. Persico è quindi intervenuto per alcune puntualizzazioni tecniche ma semplici e di grande utilità riguardo all’arresto cardiaco: "In seguito all’occlusione di un’arteria coronaria si può arrivare all’arresto cardiocircolatorio per cui cuore e cervello non ricevono più sangue e se non si interviene entro dieci minuti può sopraggiungere la morte: per ogni minuto di ritardo nel soccorso, le probabilità di sopravvivenza si riducono del 10%". È seguita una tavola rotonda che ha visto la partecipazione di amministratori pubblici, esperti della sanità ed il vice provveditore regionale degli istituti di pena Dr. Pennelli

Per primo ha preso la parola il Presidente della Provincia di Ascoli Piceno Prof. Massimo Rossi, che auspica che i mass media si occupino non solo di ciò che non va nella sanità "È molto importante che la stampa dia massima diffusione ad iniziative come questa, molto più importante di altre cose che aumentano il sospetto e fanno perdere la fiducia. Da parte nostra assicuro il massimo impegno per dotare le strutture sanitarie di attrezzature in grado di alleggerire il peso di questo gravissimo problema come di altri che hanno per tema la salute"

Il sindaco di Ascoli Celani. si mostra d’accordo ma punta il dito sulla prevenzione che ritiene più urgente e fondamentale. "Sono felice che questa struttura carceraria si sia "aperta" alla città. Dopo certi timori iniziali il rapporto con la gente è man mano cambiato"

L’assessore ai Servizi Sociali di San Benedetto del Tronto, la D.ssa Emili, confessa che il luogo l’aveva inizialmente emozionata "Sono felice di essere venuta perché vedo molta passione tra chi lavora all’interno di queste "tristi" mura. Ritengo che un rapporto veramente speciale ci sia tra il medico e chi ci vive. È l’unica persona con cui il detenuto può avere un ruolo diverso, un rapporto senza paraventi"

Il Dr Petrone, direttore della Zona Territoriale 12 e Coordinatore dell’area vasta 5 (Ascoli-San Benedetto) fa apprezzamenti sulla grande sensibilità dell’ANMCO e della dirigenza del carcere nell’aver promosso l’iniziativa, che appare particolarmente utile evidenzia in considerazione del fatto che fumo e sedentarietà sono rischi praticamente inevitabili in posti come le case circondariali.

Dulcis in fundo è piaciuto molto quello che ha detto il dottor Sgarbi, presidente della Heart Care Foundation Marche, perché ha fornito una grande iniezione di speranza: "Si muore per il 45% a causa di infarto e ictus (il 35% per i tumori) ma la malattia acuta può essere ridotta fino a scomparire come in tante altre parti. Il nostro cuore è programmato per battere 120-130 anni… senza gli interventi nocivi dell’uomo. A Pesaro dirigo un centro di prevenzione al quale si rivolgono migliaia di persone: invito gli amministratori presenti a seguire questa strada", poi puntualizza che "a parte la genetica (non possiamo sceglierci i genitori) ictus e infarto possono essere eliminati evitando alla fonte la patologia aterosclerotica che è la causa principale di eventi così negativi per la nostra salute. La Dr.ssa Ceccarani, coordinatrice regionale per la defibrillazione precoce, illustrando il progetto "Marche P.A.D." che ha lo scopo di formare anche il personale non sanitario, in questo caso la polizia carceraria, all’uso dei defibrillatori.

Chiude la tavola rotonda il direttore sanitario del carcere, dott. Trobbiani, che fa un’analisi puntuale della normativa attuale inerente la medicina penitenziaria e riporta la casistica sulle malattie cardiovascolari della casa circondariale di Marino del Tronto. Nel pomeriggio il Dott. Persico ed il Dott. D’Angelo, coadiuvati da istruttori ANMCO, hanno tenuto un corso di 5 ore sulla rianimazione cardiopolmonare di base (BLSD) e sull’uso del defibrillatore semiautomatico rivolto a 15 guardie carcerarie. Alla fine del corso è stato rilasciata una certificazione e contestualmente l’autorizzazione all’uso del defibrillatore. Alla fine di quest’intensa giornata, i partecipanti si sono dichiarati estremamente soddisfatti e disponibili per altre iniziative simili.

Libro: i "Racconti d’Evasione", da Rebibbia e dall’Opg

 

Vita, 23 maggio 2007

 

Venerdì 25 maggio alle ore 19.00 a Roma presso lo spazio Vista - Arte e Comunicazione sito in via Ostilia 41 (Colosseo) verrà presentato il libro "Racconti d’Evasione" realizzato da Soqquadro con il Patrocinio del V Municipio del Comune di Roma e delle strutture penitenziarie di Rebibbia e dell’Opg di Castiglione delle Stiviere.

Il libro contiene 12 racconti creati da 12 scrittori contattati attraverso Internet ed illustrati dai detenuti. Ogni ricavato della vendita del libro sarà interamente destinato ai detenuti partecipanti all’iniziativa. Il meccanismo è quello di una comunicazione, indiretta come un gioco di sponda, tra alcuni scrittori rintracciati attraverso Internet e fatti evadere dalla "Rete" e alcuni detenuti del carcere di Rebibbia e dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, che hanno illustrato dei racconti scritti appositamente per loro. Questa comunicazione tra diversi ma paralleli isolamenti, crea un sottile ponte che conduce due esseri umani tra loro ignoti ad interagire e li porta, al contempo, fuori dalla loro restrittiva realtà, sia la "rete" o la "gabbia", per reinserirli in un’altra dimensione, il libro, che li unisce in un nuovo destino comune. Così due isolamenti, attraverso un percorso tortuoso, come quello a cui i passi della vita talvolta ci conducono, divengono un insieme. Dei detenuti Soqquadro ha deciso di non sapere nulla, non ha chiesto le loro storie, evitando il voyeurismo del dolore. Info: tel. 06.4504846, 333.7330045

Teatro: a Livorno i detenuti rivisitano Shakespeare

 

Toscana In, 23 maggio 2007

 

Uno spettacolo teatrale liberamente ispirato a "Romeo e Giulietta" di W. Shakespeare. Il tutto realizzato dal laboratorio della Casa Circondariale di Livorno, grazie ad un progetto promosso da Arci solidarietà in collaborazione con la Fondazione Teatro Goldoni

Tra la Fondazione Teatro Goldoni, Arci Solidarietà di Livorno e la Casa Circondariale "Le Sughere" di Livorno che ha, tra i propri compiti istituzionali, quello di favorire il reinserimento sociale dei detenuti anche attraverso la crescita culturale dei soggetti ospitati ed una sempre più stretta interazione con il territorio, è stata stipulata una convenzione finalizzata in particolare alla realizzazione di un progetto di scambio Teatro - Carcere, attraverso: occasioni spettacolari e culturali all’interno della Casa Circondariale e produzioni del laboratorio teatrale permanente interno alla Casa Circondariale condotto dagli operatori dell’Arci

"Faida", è una messa in scena liberamente ispirata a "Romeo e Giulietta" di W. Shakespeare, che si terrà il prossimo Venerdì 25 maggio ore 21.30 alla Goldonetta di Livorno. Uno spettacolo che nasce da una rielaborazione indebita e ridotta all’osso, centrata sui due cardini del testo originale: l’amore e la violenza. Al primo era impossibile credere senza guardarlo da una certa distanza, al secondo era facile credere anche troppo.

"Ci interessava soprattutto questo del testo di partenza: l’idea di due bande che si odiano e si combattono da sempre, senza che la causa del conflitto sia nota - comunicano gli sceneggiatori - e su questo abbiamo costruito il nostro ring, dove dar vita alla nostra azione di guerra, radendo al suolo la psicologia e dando spazio soprattutto ai tentativi di sopraffazione. Non volevamo schierare buoni contro cattivi, quanto spingere a fondo l’idea di persone che si scontrano con altre persone semplicemente perché lo ritengono necessario - continuano - perché gli conviene, perché dopo si sentono meglio, perché da sempre è così".

Mentre in "Romeo e Giulietta" l’esito è tragico ma anche catartico, in quanto il sacrificio dei giovani amanti permette di riportare una pace duratura in città, altrettanto non avviene nella "Faida" in scena al teatro Goldoni. Gli sceneggiatori hanno infatti deciso di optare per un qualcosa di più "familiare", inserendo nel copione la figura del capro espiatorio che pagasse per tutti, e poi tornare con sollievo alla normalità.

Fare teatro in carcere è da questo punto di vista un’esperienza complicata e nello stesso tempo fondamentale. Complicata perché complicato è creare all’interno di un istituto di detenzione uno spazio e un tempo diverso dal giornaliero scandirsi della vita carceraria: creare cioè la dimensione del teatro, un mondo dove vigono regole particolari e in cui a ciascuno è richiesto di essere presente con tutte le proprie energie, con corpo e mente; e complicato è anche allestire spettacoli con un gruppo di attori destinato a cambiare continuamente, in base al ritmo delle scarcerazioni, dei nuovi arrivi, dei trasferimenti. C’è però qualcosa di fondamentale che annulla e riscatta tutte le difficoltà logistiche, e che rende il teatro in carcere un’esperienza straordinaria: si tratta della forza di volontà di persone disposte a mettersi in gioco, a intraprendere un percorso con responsabilità, a costruire insieme, fuori dalle loro celle, un racconto in grado provocare emozioni in altre persone; un racconto che esprime una dignità, che entra in un rapporto vivo con la città e con la società libera e che offre ai detenuti un’opportunità per avanzare verso la conquista di una condizione di piena cittadinanza.

Immigrazione: An; referendum se passa ddl Amato-Ferrero

 

Apcom, 23 maggio 2007

 

Alleanza Nazionale è pronta a raccogliere le firme per un eventuale referendum abrogativo qualora il centrosinistra, "magari attraverso un voto di fiducia", riesca ad approvare il ddl Amato-Ferrero sull’immigrazione. Lo ha detto il presidente dei deputati di An, Ignazio La Russa, commentando i dati Istat pubblicati oggi. Secondo l’istituto di statistica, ha fatto notare La Russa, il 25% degli stranieri risiede in Lombardia, per questo l’eventuale iniziativa referendaria partirebbe proprio da questa regione.

"L’equazione immigrato uguale criminale - ha premesso - è sbagliata", ma se "il 30 - 35% di tutti i reati è commesso da immigrati", con il disegno di legge della sinistra si avrebbe un aumento dei fenomeni criminali. "An - ha continuato - si mobiliterà contro l’obbrobrio che Prodi vuole regalare agli italiani per minarne la sicurezza". L’eventuale richiesta di referendum, ha aggiunto Andrea Ronchi, portavoce del partito di Fini, non sarebbe "propaganda, ma una necessità per gli italiani".

"Sento da più parti - ha continuato Ronchi - parlare di liste etniche nel caso venga concesso il voto amministrativo agli immigrati. Noi siamo contrari a qualsiasi tentativo di questo genere perché sarebbe l’opposto del concetto di integrazione". Iniziative che verranno accompagnate dallo slogan, coniato da An adattando quello francese di Nicolas Sarkozy, "L’Italia a chi la ama".

Droghe: Giuliano Pisapia; sono un boomerang per la difesa

 

La Stampa, 23 maggio 2007

 

Casi immensamente diversi, ma con un filo rosso che li lega. C’erano tracce di cannabis nel sangue dell’autista di pullman che è sotto inchiesta per l’incidente mortale di Casale Monferrato; c’erano resti di metadone nel corpo di Vanessa Russo, la ragazza uccisa nel metro di Roma da un’ombrellata omicida.

E viene spontanea una domanda: quanto se ne discuterà, al processo, di questi stupefacenti? Quanto, da parte dei magistrati della pubblica accusa e da parte degli avvocati difensori si cercherà di piegare alle proprie tesi un risultato di laboratorio? "Accadrà inevitabilmente", risponde a caldo Giuliano Pisapia, illustre avvocato milanese, già deputato di Rifondazione comunista, presidente della Commissione di studio per la riforma del codice penale.

 

Avvocato Pisapia, nei dibattimenti spesso le parti cercano di farci entrare la droga. È giusto? Soprattutto: serve a qualcosa?

"Guardi, in effetti di stupefacenti si parla spesso in aula. Da quanto ho visto nella mia esperienza, posso dire che capita spesso che un avvocato chieda una perizia per dimostrare che il suo cliente aveva nel sangue alte percentuali di stupefacenti. Ma molto raramente raggiunge il suo scopo, ovvero la dimostrazione della "cronica assunzione" di alcool o di sostanze stupefacenti. È questa, infatti, codice alla mano, una condizione di non punibilità. La "cronica assunzione" è equiparata all’infermità di mente".

 

Ma in quel caso, anziché di un carcere, si aprono le porte di un manicomio giudiziario...

"Appunto. Scattano le cosiddette misure di sicurezza. Altro è la dimostrazione di una "grave intossicazione" da stupefacenti, un gradino inferiore, che è equiparata a un vizio parziale di mente. Le difese vi ricorrono spesso nei processi. Ma non basta dimostrare che un soggetto abbia saltuariamente fatto uso di droghe, anche pesanti. All’opposto, poi la pubblica accusa spesso cerca di dimostrare che un imputato ha fatto uso di droghe per rompere i freni inibitori". Il classico caso del rapinatore che si fa di cocaina prima di un colpo. "Pensa magari di darsi coraggio. È una specifica aggravante prevista dal codice".

 

Insomma, avvocato, la questione delle droghe sono evocate molto spesso. Capiterà anche nel caso nell’incidente all’autobus dei bambini rovesciato sull’autostrada.

"Immagino di sì. Ma penso che sia ben difficile dimostrare che uno spinello possa aver determinato un livello tale di intossicazione da portare alla non punibilità".

 

No, guardi, semmai sarà il contrario. Sarà la pubblica accusa a voler dimostrare che quello spinello va considerato un’aggravante.

"Non entro nel merito. Ma mi limito a dire che ho letto che l’autista dice di aver fumato sì, ma il giorno prima".

 

All’opposto, sarà il difensore della rumena Doina Matei a cercare di dimostrare che dietro il metadone rinvenuto nel corpo di Vanessa, c’è chissà quale chiave di lettura per la lite in metropolitana.

"In linea generale io credo che da parte di un difensore sia sempre doveroso porre all’attenzione, in chi deve giudicare, di situazioni che portano a un’attenuazione di responsabilità per il proprio cliente. D’altra parte la pubblica accusa tende a utilizzare le stesse circostanze per dire invece che la pena deve essere portata al massimo. Alla fine, di fronte a tesi opposte, sarà il giudice a decidere. E lo farà sulla base di una valutazione generale dove entrano in gioco tutti gli elementi".

Droghe: Turco; l'Iss faccia il punto su pericolosità sostanze

 

Notiziario Aduc, 23 maggio 2007

 

Basta con i dibattiti che si basano su cifre ballerine: il ministro della Salute, Livia Turco, di fronte alla molteplicità di studi e di notizie sulla effettiva tossicità delle droghe, chiede all’Istituto Superiore di Sanità di fare un punto serio e scientifico. "Il paese - ha detto il ministro nel corso della puntata della trasmissione Porta a Porta dedicata al tema delle sostanze stupefacenti - non può discutere di un tema così rilevante basandosi su dati non scientificamente validati. Occorre che l’Istituto completi l’attività di valutazione sull’efficacia delle strategie di lotta alla droga e di presa in carico. Questo sarà essenziale per fare un dibattito basato sulle evidenze scientifiche". Secondo la Turco bisogna "dotare l’Italia di una struttura pubblica composta da personalità scientifiche che facciano un rapporto sulla tossicità delle sostanze".

Droghe: Ferrero; il "kit" della Moratti ostacola il dialogo

 

Notiziario Aduc, 23 maggio 2007

 

Un ostacolo al dialogo tra genitori e figli, unico strumento per la costruzione di un vero rapporto di fiducia. Il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, boccia la proposta del sindaco di Milano Letizia Moratti di distribuire gratuitamente ai genitori che ne facciano richiesta un kit in grado di rilevare l’assunzione di sostanze stupefacenti da parte dei ragazzi. "Il kit fatto a quel modo non aiuta - spiega il ministro Ferrero nel corso della trasmissione Porta a porta, - aiuterebbe invece potenziare i servizi e metterli in grado di affiancare le famiglie nella costruzione di un rapporto di una autentica fiducia. In questo il kit rappresenta, secondo me, un ostacolo". Il ministro si è inoltre soffermato sul tema, sempre più attuale, della poliassunzione delle sostanze: "Si tratta di un problema vero su cui bisogna fare una campagna di informazione a 360 gradi. Tutte le sostanze fanno male ma non tutte fanno male allo stesso modo. Io penso che abbiamo il dovere di fare una distinzione per pericolosità e poi concentrarci sulle sostanze che provocano vittime".

Droghe: Spagna; uso di cocaina altera la corteccia cerebrale

 

Notiziario Aduc, 23 maggio 2007

 

Il consumo di cocaina altera la struttura della corteccia cerebrale. La notizia, pubblicata dalla rivista Neuroscience, viene dai ricercatori dell’Istituto di Neurobiologia Ramon y Cajal di Madrid e Pompeu Fabra di Barcellona. In altre parole, la cocaina potrebbe essere molto più pericolosa di quanto si fosse intuito finora.

E questo perché, oltre a produrre effetti psicoattivi, provocherebbe una vera e propria alterazione nella struttura del cervello. Lo studio del Consejo Superior de Investigaciones Cientificas (CSIC) ha dimostrato che l’assunzione cronica di coca produce modifiche strutturali nei neuroni della corteccia cerebrale.

O, per lo meno è successo nei topi cui è stata iniettata cocaina per tredici giorni consecutivi, un tempo sufficiente perché si constatassero delle alterazioni, scrivono i ricercatori spiegando le osservazioni fatte con terminologia scientifica. "Il cervello non è più lo stesso. Questo tipo d’alterazione può cambiare la personalità e il modo d’agire di una persona", ha spiegato ad ABC il responsabile della ricerca, Javier de Felipe. Il prossimo passo sarà capire se questi mutamenti siano reversibili e se il cervello può recuperare la normalità una volta cessato il consumo. È nella corteccia cerebrale che risiedono le capacità che distinguono l’uomo dagli altri mammiferi. "Per questo motivo è fondamentale sapere come fare per conservare un cervello sano".

 

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