Rassegna stampa 22 maggio

 

Opg di Montelupo: internato uccide il compagno di stanza

 

La Nazione, 22 maggio 2007

 

Sembra che avesse minacciato già da qualche giorno di uccidere quel suo compagno di camera "perché era divorziato, e non era un uomo d’onore". Poi, alla fine, domenica sera, fra le 23.30 e mezzanotte, si è consumato il dramma nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino. Un paziente, Maurizio Sinatti, senese, 43 anni da compiere a settembre, sarebbe stato prima colpito dal compagno di stanza, Giuseppe Cascio, torinese del ‘67, con uno sgabello sulla testa e poi finito con una borsa di plastica avvolta attorno al volto. Una scena macabra con schizzi di sangue è quella che si è trovata di fronte l’agente della polizia penitenziaria dell’Opg durante la ronda di controllo al passaggio delle consegne del turno, poco prima di mezzanotte.

Sembra che sia stato lo stesso presunto omicida a sollecitare l’intervento della guardia perché "gli dava fastidio il cadavere". Sarebbe trascorsa, così, una decina di minuti prima della scoperta: il corpo di Maurizio Sinatti è stato trovato riverso all’interno della stanza, che è posta all’interno di una delle sezioni detentive dell’Ambrogiana. Per il senese, che pare sarebbe stato dimesso entro pochi giorni, non c’era più niente da fare, se non constatare il decesso. L’uomo non si trovava da molto tempo all’interno della struttura: qui era stato internato dopo che, finita la pena per una serie di piccoli furti legati al disagio sociale che viveva con un passato legato alla droga e poi con i problemi derivanti dall’alcol, gli era stata applicata la misura di pericolosità sociale da parte del Magistrato di Sorveglianza di Siena. Giuseppe Cascio, anche lui all’Opg per pericolosità sociale, è in stato di arresto all’Ambrogiana e la camera adesso è sotto sequestro.

I rilievi sono stati condotti dalla scientifica della polizia di Stato di Firenze, mentre il caso è adesso nelle mani del pubblico ministero Gabriele Mazzotta che ha disposto l’autopsia del 42enne. La salma è stata trasferita dall’Opg al dipartimento di medicina legale di Firenze: l’esame autoptico dovrà stabilire la causa della morte, ovvero se Maurizio Sinatti sia deceduto in conseguenza alle botte ricevute con lo sgabello oppure per soffocamento.

Ieri le porte dell’Ambrogiana sono rimaste sbarrate per tutta la giornata, con il direttore dell’Opg Franco Scarpa che ha preferito non rilasciare dichiarazioni perché c’è un’indagine della magistratura in corso. Intanto pare che sia stata avviata un’ispezione amministrativa all’interno della struttura da parte del provveditorato, mentre il pm Mazzotta sta decidendo se far portare avanti le indagini dalla Polizia Penitenziaria dell’Opg di Montelupo.

Al legale di Maurizio Sinatti, Stefano Borgheresi di Poggibonsi, è toccato avvertire l’ex moglie e la figlia della tragedia avvenuta. "Era un ragazzo debole - ha detto - ma pacifico e non attaccabrighe, non andava a cercarsi problemi".

A proposito di carcere e di giustizia

di Clemente Mastella (Ministro della Giustizia)

 

La Stampa, 22 maggio 2007

 

Gentile direttore, ho letto con attenzione le pagine dedicate ieri dal suo giornale alla sicurezza e alle connessioni, anche suggestive, che venivano offerte rispetto alle scelte di politica della Giustizia, nelle quali rientra pure l’indulto, votato da oltre due terzi del Parlamento.

Si tratta di considerazioni importanti, la cui validità, però, in assenza di alcune precisazioni, rischia di esaurirsi nel breve respiro di un ragionamento volto a cogliere solo i sintomi più evidenti di un malessere latente e oramai radicato nel sistema.

Quando ho assunto la carica di ministro della Giustizia, mi è stato, da subito, ben presente quale fosse il grado di disfunzione del sistema della giustizia penale e come il metodo, adottato per anni, nell’affrontare certe questioni si occupasse più di curare il sintomo che non la malattia. Credendo nella logica costruttiva del fare, ho dunque evitato di esternare analisi cui far seguire sconvenienti critiche al sistema e a quanti lo avevano per anni rafforzato. Mi sono invece presentato in Parlamento con un pacchetto organico di proposte che servisse a rendere la giustizia un servizio credibile ed efficace, provando a ridefinire margini, effettività e modi di intervento.

Guardando alla situazione penitenziaria, il dato che più mi sconvolgeva non era tanto rappresentato dalla presenza in carcere di oltre 60.000 detenuti - ben oltre i limiti di legalità e di tollerabilità - quanto dall’impressionante e vorticoso avvicendamento degli stessi nelle strutture penitenziarie: quasi centomila ingressi all’anno, cui seguivano altrettante uscite o poco meno.

Il transito di breve periodo dagli istituti di pena era, dunque, già una realtà che produceva, in un anno, effetti di deflusso tali da essere pari almeno a quattro volte quelli prodotti dal recente indulto.

Dalle cronache più recenti, fra l’altro, apprendiamo che il ragazzo Rom investitore-omicida della signora che voleva evitare il furto dell’auto era stato già invano arrestato e scarcerato ben sei volte, senza necessità di beneficiare dell’indulto.

Questo significa che il carcere è oramai divenuto lo stereotipo di una grande caserma di polizia, con medie di permanenza eccessivamente basse. È il sistema penale che produce una detenzione di transito ed il motivo è evidente: accanto ad una proliferazione di sanzioni penali, anche per fattispecie che non denotano pericolosità sociale, si registra una crescita endemica dell’illegalità, rispetto alla quale l’arresto funziona come deterrente immediato, ma la giustizia - che necessita di tempi per gli accertamenti e per le garanzie individuali - non è nella condizione di dare risposte con altrettanta rapidità. In questo contesto l’indulto è stato pensato come misura congiunturale, che servisse a ridare fiato alle carceri e ad impedire che le quasi centomila persone di transito in un anno solare dovessero affrontare una esperienza di detenzione distante dai livelli di legalità e di umanità tale da avere conseguenze sulle loro condotte successive, con ulteriore danno e beffa per la sicurezza pubblica che si voleva garantire.

Come fu ampiamente detto, non si trattava certo di una scelta risolutiva. Accanto a questa, altre misure sono state portate all’attenzione del Parlamento.

Ho voluto presentare una modifica del processo penale per riportare, nel rispetto delle garanzie, tempi accettabili di svolgimento delle indagini e dei dibattimenti. Ma soprattutto - insediando una commissione di modifica del Codice Penale - ho inteso riequilibrare il rapporto tra reato e carcere. Ho chiesto di riservare la sanzione più grave a quelle fattispecie che destano maggiore allarme sociale, in primo luogo quelle commesse in contesto di criminalità organizzata o connotate da particolare pericolosità individuale, facendo sì che per i reati minori si ricorra a sanzioni diverse dalla detenzione. In un sistema dove tutto è o può essere punito con il carcere, si rischia, infatti, che nessuno paghi per le proprie colpe. Peggio, per il principio stesso dei vasi comunicanti, si rischia che soggetti di poco spessore occupino in carcere il posto che spetterebbe a mafiosi e criminali di rango.

Ho dunque ereditato una giustizia costretta a trattare - a strutture invariate - una proliferazione di fattispecie-reato ed una quantità di fatti-reato in enorme crescita. Tutto ciò che ho fatto e proposto è avvenuto a costo zero, senza i fondi necessari per assicurare un decoroso funzionamento del sistema, mentre ero impegnato a stemperare gli effetti di una riforma dell’ordinamento che penalizzava proprio quegli operatori della giustizia a cui dovrebbe chiedersi uno sforzo straordinario di efficienza e di professionalità per fronteggiare la mole di procedimenti generati dalla superfetazione del diritto penale. In queste condizioni, le mie proposte al Parlamento non possono che consistere in una operazione di verità e di coraggio per realizzare veri cambiamenti. Con la consapevolezza che, senza un intervento riformatore, la macchina rischia di girare a vuoto e che per incidere veramente servono, alla Giustizia, risorse adeguate.

A fronte di affermazioni retoriche sulla sicurezza, nessuno in passato ha mai avuto il coraggio di cambiare il sistema penale. A mio giudizio, non è più rigoroso ed efficiente colui che si presenta alle Camere a proporre nuove ipotesi di reato, ma chi sa selezionare le condotte più gravi per le quali prevedere il carcere; non chi determina tante carcerazioni, ma chi garantisce quelle dei soggetti con più alta connotazione di criminalità; non chi rassicura la popolazione dichiarando un numero alto di detenuti presenti, ma chi ha il coraggio di rivelare che quel numero rappresenta una cifra di transito, e si impegna a dare stabilità alla carcerazione dei soggetti più pericolosi.

Fuori da questa logica di sistema, nella quale ciascuno dovrà fare la sua parte, non può essere valutata la politica di un ministro della Giustizia. Ed è anche difficile e rischioso individuare le giuste relazioni tra giustizia e sicurezza che, va ricordato, sono strettamente interdipendenti per cui se non funziona l’una non funziona nemmeno l’altra. Salvo che si continui, come in passato, a mettere la testa sotto la sabbia.

Milano: San Vittore apre le porte... e rivela i suoi orrori

 

Affari Italiani, 22 maggio 2007

 

Sono entrati nell’inferno milanese. Ne sono riemersi con la convinzione che San Vittore è un luogo "inaccettabile per una città e una società che voglia essere civile". I consiglieri comunali della sottocommissione carceri si sono recati all’interno di San Vittore per un sopralluogo.

Guardie carcerarie - La situazione di quelli che dentro a San Vittore ci lavorano è uguale a quella dei carcerati. Questo almeno si evince dalle parole del consigliere Giuseppe Landonio (Ulivo). "È il primo aspetto che ci ha colpito, soprattutto per la situazione logistica in cui alcune centinaia di loro sono costrette a vivere. Si tratta di personale proveniente in buona parte dal sud, e pagato poco più di 1000 euro al mese. La ricca (e molto cara) Milano non ha nulla da offrire (come del resto ad altre categorie di immigrati, dagli infermieri agli extracomunitari…). Così la maggioranza delle guardie si trova costretta entro le mura del carcere in due caserme assolutamente fatiscenti: stanze prive di privacy con mura scrostate e arredi in disordine, bagni in comune, con poche docce; ovunque sensazione di precario e di disordine. Non si vive lì dentro, e a fatica si sopravvive", spiega Landonio.

"Ha osservato giustamente il sovrintendente alle tre carceri milanesi, Pagano - continua il consigliere - che la città si è come dimenticata di San Vittore, ha rimosso il fatto che dai disordini e dalle proteste di anni addietro si sia passati a un silenzioso tran-tran, frutto anche della professionalità di chi si trova quotidianamente a contatto con i carcerati e si sforza di rendere più umano un ambiente che è per sua natura sub-umano. Una città ingenerosa con le guardie carcerarie. È indispensabile fare qualcosa, e subito. Esistono a Milano altre caserme "smantellate": se ne attrezzi una in modo civile e la si metta a disposizione di questo personale. È una forma di (parziale) risarcimento che non può essere differita".

I carcerati - Disperati, costretti a coabitare in spazi ristrettissimi. Ridotti a sperare di sopravvivere, giorno dopo giorno. I carcerieri sono carcerati, i carcerati sono dannati. "La situazione dei carcerati continua ad essere precaria e inaccettabile per una città e una società che voglia essere "civile" - scrive Landonio - Le strutture di San Vittore sono in larga misura fatiscenti e obsolete. L’effetto dell’indulto, in termini di riduzione del sovraffollamento, si è rapidamente dissolto: già ora i carcerati sono più di 1.200, quando il carcere ne ospiterebbe un terzo in meno. Celle di pochi metri-quadri con 6-8 detenuti; budelli di "bagni" utilizzati anche come mini-cucine. Suppellettili impresentabili e nessuna possibilità di privacy".

Il confronto con Dante è fin troppo azzeccato. "Una sorta di bolgia dantesca che mina la dignità delle persone e fa contrasto a qualsiasi velleità di ravvedimento, recupero, reinserimento. Vero è che San Vittore è, soprattutto, un carcere di transito (detenuti in attesa di giudizio, in larga parte stranieri). Ma proprio per questo dovrebbe essere attrezzato per una ospitalità "mite" e non spersonalizzante, per conservare speranza e umanità - dice l’ulivista - Cinque dei sei raggi sarebbero invece da chiudere, al più presto. Uno solo, di recente ristrutturato (oltre 10 miliardi di vecchie lire), risulta almeno presentabile, e viene riservato a carcerati con problemi sanitari, uno degli aspetti che il sovrintendente Luigi Pagano e l’ attuale direttrice, Miglietta, hanno cercato di affrontare e di migliorare, per quanto possibile in un carcere".

Le donne - E se gli uomini stanno male, le donne non stanno molto meglio. "A malapena più sopportabile la sezione femminile (90 carcerate), anche se nelle celle sono presenti 4-6 detenute in precarie condizioni di privacy. È stata almeno risolta la condizione delle madri con figli piccoli, che sono state trasferite ad altra struttura più confortevole. Forse per una predisposizione di genere gli ambienti appaiono più in ordine e curati", spiega la sottocommissione.

Il lavoro - Ultimo capitolo, il lavoro. Dovrebbe essere usato per riabilitare le persone che stanno scontando la propria pena. "Esistono nel carcere due cooperative di lavoro: un call-center ben attrezzato (accordo con la Telecom) per giovani carcerati, che svolgono così un lavoro a ciclo continuo e professionalizzante; e, nel settore femminile, la cooperativa Alice, che opera anche all’esterno del carcere, nel settore del cucito e della moda, fornendo una produzione di ormai riconosciuta qualità - elogia il consigliere - Due iniziative encomiabili, che indicano una strada possibile, ma che sono largamente insufficienti. Eppure il settore occupazionale è quello su cui investire maggiormente se davvero il carcere vuole svolgere una azione di reinserimento sociale. L’ozio è nemico mortale del recupero di identità e di dignità. Ma occorre pensare, soprattutto da parte delle istituzioni pubbliche, a lavori socialmente utili cui possano dedicarsi sia carcerati per reati "minori" che carcerati che abbiano scontato anni di pena e siano ormai prossimi alla fine della reclusione: una forma di risarcimento sociale utile ai carcerati come alle istituzioni. Scontiamo invece inerzie e mancanza di coraggio".

Le soluzioni - Tante osservazioni. Una proposta di soluzione ai problemi. "Qualche cosa bisogna fare, subito. O procedere a importanti (e onerosi) lavori di ristrutturazione, risolvendo comunque il problema delle guardie carcerarie, oppure prevedere una delocalizzazione del carcere, in questo caso seguendo i destini del tribunale, che pare destinato ad altra sede - spiega l’Ulivo - Prima del sopralluogo pensavamo che fosse preferibile non smantellare il carcere, per il timore che (ovvie) manovre urbanistiche- speculative si concentrino su un’area così appetibile per Milano. Il sopralluogo, con il senso di precario, fatiscente e sub-umano che ci ha rivelato, ha reso secondario questo aspetto. San Vittore continua ad essere un monumento alla dis-umanità e alla in-civiltà. E come tale lo si potrebbe "conservare": liberandolo dalle funzioni di carcere per trasformarlo in museo, che parli a tutta la città. Milano, patria di Cattaneo, Verri e Cesare Beccaria, potrebbe degnamente ospitare una sede di riflessione sui delitti e sulle pene, su come queste siano state indegnamente irrogate, e su come debbano diventare occasione di ravvedimento e di riaffermazione della dignità umana".

Lodi: un "patto" per dare lavoro e speranze agli ex detenuti

 

Il Cittadino, 22 maggio 2007

 

Mano tesa alle persone uscite dal carcere con l’indulto. La settimana scorsa, è stato firmato un protocollo d’intesa che sancisce l’erogazione di quattro borse lavoro, per un totale di 12mila euro di investimento per gli ex detenuti. A siglarlo a palazzo San Cristoforo, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano, l’assessore provinciale alle politiche del lavoro Luisa Angela Salamina e l’assessore alle politiche sociali del comune Silvana Cesani, alla presenza di Stefania Mussio, direttrice della casa circondariale di Lodi, e Antonietta Pedrinazzi, direttrice Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) di Milano e Lodi.

In questa occasione Pagano ha smentito le voci ricorrenti su un imminente cambio di direzione alle carceri di Lodi: "Da parte nostra - ha ribadito - non c’è nessuna intenzione di modificare l’assetto attuale".L’accordo, che prevede la realizzazione del progetto L.I.So.La, per il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti che hanno beneficiato dell’indulto, si inserisce all’interno di una più vasta serie di interventi avviati da un paio d’anni a livello locale.

Il servizio politiche del lavoro della provincia, infatti, utilizzando le risorse della legge regionale 8/2005, ha avviato un progetto denominato "Lavoro debole" che ha permesso l’attivazione di uno sportello di segretariato sociale all’interno della casa circondariale lodigiana. Lo sportello ha messo a frutto l’esperienza di diverse realtà del territorio, dalla mediazione culturale del Mosaico, al patronato fornito dal sindacato, all’attenzione per i problemi di carattere assistenziale della Caritas - fornendo, grazie al lavoro di volontari appositamente formati, attività di accompagnamento per l’accesso a servizi e informazioni, creando una rete di supporto anche nella delicata fase di reinserimento all’uscita dal carcere.

In questa logica è stato inoltre necessario attivare azioni per favorire l’inserimento lavorativo, iniziando da attività di orientamento già all’interno del carcere, per proseguire, grazie alla collaborazione con Cfp consortile e Cesvip Lodi, con momenti formativi e tutoraggio all’inserimento lavorativo, anche con l’utilizzo di strumenti facilitanti quali le borse lavoro, attraverso il progetto "Al di là del muro". Queste ultime risorse ricevute dal provveditorato regionale, che si aggiungono a quelle ricevute dal comune per dedicare la figura specifica di un "Agente di rete" per sostenere detenuti ed ex detenuti, integrano e supportano gli sforzi messi in campo da istituzioni, associazioni, volontari lodigiani per fare della casa circondariale un luogo della nostra comunità.

Roma: invece della multa... lavori gratis per il Comune

 

L’Espresso, 22 maggio 2007

 

In alternativa alle sanzioni: 460 posti senza stipendio nell’assistenza nell’ambiente e nella cultura Chi sarà condannato dal tribunale di Roma a pagare una pena esclusivamente pecuniaria, d’ora in poi potrà saldare il debito con la giustizia convertendola in ore di lavoro socialmente utile. In virtù di un accordo firmato ieri mattina in Campidoglio dall’assessore alle Politiche sociali, Raffaela Milano, e dal presidente del Tribunale di Roma, Alberto Bucci, il Comune mette a disposizione 460 posti di lavoro socialmente utile destinato ad attività non retribuite svolte a favore della collettività.

La decisione di ricorrere a questa pena alternativa al denaro spetterà comunque al condannato, che potrà chiedere di effettuare il lavoro socialmente utile tanto al giudice di pace quanto al giudice monocratico. La convenzione stretta tra il Comune e il Tribunale durerà cinque anni, impegnando il Campidoglio a ricavare i 460 posti di lavoro in un elenco preciso di attività socialmente utili tra le quali ci sono quelle relative alla prevenzione, alla tutela dell’ambiente e al servizio sociale. Complessivamente, la parte del leone spetterà all’assessorato ai Servizi sociali, che metterà a disposizione 340 posti di lavoro; altri 60 posti ciascuno saranno invece garantiti dagli assessorati all’Ambiente e alla Cultura.

In questi binari previsti dalla convenzione sarà poi il giudice a decidere le modalità e la durata della pena alternativa alla quale condannare gli imputati: potrà durare da un minimo di 10 giorni a un massimo di sei mesi, ma in ogni caso non potrà superare le sei ore di impegno settimanali.

"Il servizio - precisa l’assessore Milano - non va in alcun modo a sostituirsi alle attività e ai servizi prestati dalle risorse umane esistenti. Si tratterà, piuttosto, di attività di supporto agli operatori professionali". "Questo accordo - aggiunge il presidente Bucci - segna un passo importante perché finora è mancato un coordinamento dell’attuazione del lavoro di pubblica utilità".

Il carattere profondamente innovativo della convenzione - alla cui firma hanno partecipato anche la delegata del sindaco alle Politiche dell’handicap, Ileana Argentin, e il presidente della XIII sezione del Tribunale civile di Roma, Filippo Paone - potrebbe ora renderlo un modello da esportare. Almeno questo è il parere di Lillo De Mauro, che presiederà il Piano cittadino del Comune per l’applicazione delle norme sul lavoro di pubblica utilità. E il garante per i diritti dei detenuti del Comune, Gianfranco Spadaccia, si augura che "questo piano sia di buon auspicio per la riforma del codice penale" e che, se se l’esperienza darà i frutti attesi, quest’ultimo "preveda una più vasta gamma di reati che possono ricorrere a pene alternative".

Roma: Danilo Coppola si presenta in Tribunale in barella

 

La Stampa, 22 maggio 2007

 

Danilo Coppola, l’immobiliarista arrestato lo scorso 1 marzo nell’ambito di un’indagine condotta dalla procura di Roma su un crack da 130 milioni di euro, è arrivato trasportato in barella davanti al giudice del tribunale del riesame di Roma che dovrà decidere sulla sua richiesta di scarcerazione. Il legale di Coppola, Bruno Assumma, ha presentato infatti appello contro la perizia medica che aveva giudicato le condizioni di salute di Coppola compatibili con il carcere, inducendo il gip, Maurizio Caivano, a negare la scarcerazione o misure alternative al carcere.

Il tribunale dovrà pronunciarsi anche sulla richiesta di revoca degli arresti domiciliari presentata da Paolo Colosimo, il legale arrestato nei giorni scorsi con l’accusa di avere arruolato alcuni prestanome posti a capo delle aziende coinvolte nel crack. Durante l’udienza Coppola, pallido in viso, barba incolta, ha ribadito l’incompatibilità del suo stato di salute con la carcerazione. L’appello presentato dai legali contesta proprio il fatto che l’ordinanza con cui il gip Caivano ha negato la scarcerazione al loro assistito aveva dato precedenza alle esigenze cautelari rispetto alle condizioni di salute.

Nell’ordinanza in questione venivano riportati alcuni passi di intercettazioni di colloqui avuti da coppola nel carcere di Regina Coeli da cui risultava che l’immobiliarista continuava a dirigere il suo gruppo. La difesa ha sostenuto davanti al giudice Carmelo Asaro che non vi era stata alcuna "autorizzazione alle intercettazioni ambientali in carcere, tal che alcune delle intercettazioni poste a base delle ritenute esigenze cautelari sono state acquisite senza autorizzazione e sono perciò processualmente inutilizzabili".

I difensori hanno inoltre sottolineato che "nell’attuale sistema processuale la tutela della salute prevale sulle ipotizzate esigenze cautelari". I legali hanno inoltre fatto presente che "dall’inizio della carcerazione Coppola è dimagrito di 14 chili" e che "il suo stato di deperimento psicofisico è stato accertato sia dal perito del gip che dai medici che lo hanno in cura". Tale stato di deperimento psicofisico, hanno concluso gli avvocati di Coppola, "si avvicina pericolosamente alla cosiddetta soglia di irreversibilità". Per queste ragioni Assumma e Fiorella hanno chiesto la revoca della carcerazione e, in subordine, gli arresti domiciliari. Da parte loro i pm Giuseppe Cascini, Rodolfo Sabelli e Lucia Lotti, titolari dell’inchiesta che coinvolge Coppola e altre 27 persone, hanno ribadito il parere negativo alla scarcerazione. Il tribunale si è riservato di decidere sulla questione. La decisione è attesa nei prossimi giorni.

Roma: carabiniere uccise rom 16enne, condannato a 3 anni

 

Il Giornale, 22 maggio 2007

 

Tre anni di reclusione (pena condonata per effetto dell’indulto) per omicidio colposo sono stati inflitti al carabiniere Domenico Serafin, accusato di avere ucciso il 2 febbraio del 2002 Fabio Halilovic, nomade di 16 anni, perché non si era fermato a un posto di blocco in via di Salone, nei pressi di uno dei campi nomadi della capitale.

La sentenza è del giudice monocratico Maria Rosaria Brunetti, che ha condannato Serafino anche al risarcimento dei danni alla famiglia della vittima, costituita parte civile, stabilendo il pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva per complessivi 195mila euro. Halilovic era a bordo di un’autovettura insieme con altre tre persone e fu colpito a un fianco da un proiettile sparato dal militare. Secondo l’accusa il vicebrigadiere dei carabinieri agì con imperizia.

Roma: gli studenti incontrano detenuti ed ex detenuti

 

Comunicato stampa, 22 maggio 2007

 

Nell’ambito delle iniziative del "Progetto Giovani", domani 23 maggio, alle ore 10.00, ex detenuti, detenuti in semilibertà e giovani usciti dal Carcere di Minorile di Casal del Marmo, incontreranno gli studenti della scuola media "Borsi Saffi" di san Lorenzo. "Progetto Giovani" è una iniziativa pilota applicata per la prima volta in Italia a Roma, a San Lorenzo, con un piano mirato e differenziato per fasce di età cui partecipano III Municipio, Questura di Roma (con il Commissariato San Lorenzo), Istituto Scolastico Statale di via Tiburtina, Ser.T., Asl Roma A, Fondazione Villa Maraini e Coop Sociale Parsec. Al progetto hanno aderito anche importanti istituzioni come il Garante Regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni e Laziodisu.

Scopo del progetto è migliorare la comprensione dei problemi dei giovani e ridurre il loro disagio psicologico e sociale, contenere la diffusione delle dipendenze (non solo droga e alcool ma anche videogiochi e gioco d’azzardo) e prevenire la dispersione scolastica.

Durante l’incontro di domani - cui parteciperanno il Garante Regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni, i rappresentanti del Commissariato San Lorenzo e la professoressa Vergari, preside della scuola - detenuti ed ex detenuti racconteranno le loro storie, come hanno affrontato l’esperienza del carcere, come sono cambiati e la loro nuova esperienza di vita. In particolare, si racconterà anche come, attraverso la compagnia stabile teatrale di Rebibbia e quella di Casal del Marmo, sono stati "inventati" nuovi modi di vivere in carcere: creativo, costruttivo. Il messaggio è quello che un’altra vita è possibile che, soprattutto per i giovani, il mondo del divertimento dell’adolescenza può essere bello soprattutto lontano dalle droghe.

La Spezia: "Diversi Confini", studenti a lezione di legalità

 

www.cittadellaspezia.com, 22 maggio 2007

 

Anche per quest’anno l’Assessorato alle Politiche di Welfare Municipale del Comune della Spezia e la Provincia della Spezia, hanno reso possibile la realizzazione con gli Istituti Superiori della nostra città del progetto "Diversi confini - Percorso formativo di educazione alle diversità per gli studenti della scuola media superiore". Questo intervento volto alla formazione ed alla prevenzione, si configura come un’esperienza di cittadinanza attiva offerta ai giovani studenti del territorio. Il percorso è attuato dalla Cooperativa Lindbergh, curato dai coordinatori Ciro Picariello e Simone Ricci e dalla psicologa Annalisa Baroni.

Il progetto si è svolto presso due Istituti Superiori del nostro Comune (Liceo socio-pedagogico "Mazzini" e l’Istituto tecnico commerciale "Fossati") con l’intento di avvicinare i giovani alla diversità, di renderli consapevoli dell’esistenza di situazioni difficili, di disagio, di emarginazione attraverso un contatto diretto ed una conoscenza personale delle storie, delle persone, delle situazioni.

Nella prima fase i ragazzi partecipanti, attraverso sei incontri guidati dai coordinatori del progetto, hanno scelto due tematiche: la realtà carceraria da parte della IV°D del Mazzini e la tossicodipendenza da parte della IV°D del Fossati. Nel primo incontro introduttivo le classi hanno seguito percorsi di approfondimento specifici in base ai temi scelti confrontandosi sul cosa significa sentirsi emarginati o reclusi.

I ragazzi della IV°D del Mazzini si sono avvicinati alla realtà carceraria nazionale e spezzina sia attraverso le parole della Direttrice, dell’Educatrice, della Psicologa, del Personale della Polizia Penitenziaria, sia conoscendo persone ex - detenute ed incontrando in carcere persone attualmente detenute. I ragazzi della IV°D del Fossati hanno affrontato la realtà della tossicodipendenza portando dati oggettivi forniti dai formatori e confrontandosi con Operatori, Educatori, Psicologi e persone residenti nelle comunità terapeutiche. Al termine di ciascun percorso, col supporto della psicologa, si è riflettuto sull’esperienza svolta.

Nella seconda fase i ragazzi con la guida dei professori di riferimento, hanno sviluppato il tema elaborandolo secondo il percorso didattico. La terza fase si sta concludendo e i ragazzi delle due classi che partecipano al progetto, s’incontreranno per confrontare le loro esperienze, esprimere una valutazione e presentare le elaborazioni tecniche dei temi trattati. È previsto l’incontro conclusivo di presentazione dei lavori giovedì 24 maggio presso la Sala Multimediale "Dialma Ruggiero" dalle 10 alle 12.

Pedofilia: i ricordi dei bambini e il "caso" di Rignano Flaminio

 

La Repubblica, 22 maggio 2007

 

Se ci fosse un medico che cura i malesseri e i turbamenti sociali prescriverebbe alla comunità di Rignano Flaminio una, due, tre lunghe pause di riflessione prima di fare nuove dichiarazioni ed avviare nuove iniziative per far valere i pur legittimi punti di vista dei gruppi in lotta fra loro. Ma gli animi sono troppo esacerbati e la vita della cittadina avvelenata da odi, da risentimenti e da sospetti per ascoltare ogni raccomandazione.

Si è trattata di una brutta storia "noir": i bambini di una tranquilla scuola materna sono diventate vittime di una setta quasi satanica che si è impossessata di loro obbligandoli a sottostare ad abusi, a violenze e addirittura a rituali esoterici. Purtroppo non è un brutto film e noi continuiamo ad interrogarci su che cosa possa aver innescato queste accuse e quali siano gli indizi gravi che abbiano spinto la Pro cura a procedere alla carcerazione delle maestre e degli altri indiziati. Allo stesso tempo il Tribunale del Riesame non ha riconosciuto l’esistenza di indizi gravi che giustifichino ulteriormente la detenzione.

Il primo interrogativo da porre riguarda l’attendibilità dei racconti e delle testimonianze rese da bambini di pochi anni e quanto riflettano veramente i fatti denunciati. Non dimentichiamo che rappresentano, questi, gli indizi gravi che hanno giustificato la carcerazione. E difficile sapere che cosa pensino gli inquirenti delle capacità dei bambini di pochi anni di ricordare quello che è avvenuto, soprattutto se si è trattato di esperienze traumatiche come quelle che avrebbero subito. Me lo chiedo perché ogni testimonianza dovrebbe essere soppesata, tenendo presente che non solo può essere intenzionalmente alterata (e non è questo il caso dei bambini), ma che può essere fallace perché i processi di rievocazione dei ricordi sono quanto mai complessi e rispondono a regole non sempre chiare.

Vi è una sterminata letteratura scientifica, valga per tutti il libro di Daniel Schacter dell’Università di Harvard "Alla ricerca della memoria", in cui viene spiegato, questa volta si con forti evidenze scientifiche di tipo psicologico e neurobiologico, che il ricordo non è una semplice fotocopia di quello che è avvenuto e che può essere riprodotto ogni volta che sia richiesto.

I processi di memorizzazione sono complessi: a volte siamo in grado di ricordare in modo abbastanza dettagliato quello che è avvenuto, altre volte crediamo di ricordare dei fatti ma si tratta di una ricostruzione fittizia a cui crediamo ciecamente come se fossero veramente avvenuti, altre volte ancora sono un "puzzle" di ricordi riprodotti fedelmente con altre ricostruzioni false, senza che sia possibile capire la veridicità di ogni singola tessera del mosaico.

Non a caso in Inghilterra è attiva da decenni una Società sulle memorie recuperate (recovered memories), il cui chairman John Morton insegna nell’Università di Cambridge. Ma prestiamo attenzione a quello che dice Morton relativamente alle dinamiche dei ricordi: "I fattori che influenzano il grado di riproduzione o di ricostruzione dei ricordi includono, ad esempio, il significato personale dell’evento, il contenuto emotivo e la consequenzialità dell’evento, le stesse ragioni per cui la persona sta ricordando l’evento e soprattutto con chi avviene il processo di rievocazione". Ed ogni volta che il ricordo riemerge assume anche le colorazioni del contesto attuale, obbligandoci a dire che non scorre mai lo stesso ricordo sotto al ponte.

Quando poi la rievocazione si riferisca ad eventi con una forte connotazione emotiva, quali sono appunto abusi e violenze, l’attivazione, naturalmente inconsapevole, di distorsioni, alterazioni se non addirittura di soppressioni è addirittura la regola.

Il secondo interrogativo riguarda più specificamente l’età infantile delle vittime, ossia quanto siano in grado di ricordare. Come ognuno di noi sa, non riusciamo a ricordare molto di quello che ci è successo nei primi anni di vita e nella maggior parte dei casi ci tornano alla mente fatti o episodi che ci sono stati raccontati dai nostri familiari. Questa amnesia infantile, di cui aveva ampiamente parlato Sigmund Freud nel secolo scorso, è spiegabile col fatto che il cervello in questa fase è ancora immaturo, soprattutto l’emisfero cerebrale sinistro che ha maggiormente a che fare con la memoria autobiografica, che si riferisce alla capacità di rievocare attivamente e consapevolmente gli eventi della nostra vita e raccontarli ad altri.

C’è un’importante ricerca americana fatta da Ceci negli anni ‘90 che conferma tutto questo. Dei bambini fra i tre e i cinque anni venivano sottoposti a visita pediatrica e nei mesi successivi venivano ripetutamente interrogati su quello che era successo. Gradualmente i bambini introducevano inconsapevolmente interpretazioni terribili.

Ad esempio mentre il pediatra non aveva toccato i genitali dei bambini, questi ultimi riferivano che il medico aveva messo con violenza bastoni nella vagina o nel sedere oppure che aveva serrato il collo con una corda. Questa ricerca dimostra in modo inequivocabile che interrogando ripetutamente i bambini questi cercano di rispondere in modo da soddisfare le aspettative degli adulti, anche se queste non sono espresse. E nel corso del tempo i bambini diventano sempre più convinti della veridicità di quello che hanno raccontato.

Una conclusione è d’obbligo : molti equivoci e fraintendimenti che avvengono nelle relazioni umane traggono inevitabilmente origine dalle nostre caratteristiche intrinseche nel processing delle informazioni, è qualcosa che non possiamo ignorare.

Nomadi: Roma; le Associazioni protestano con il Comune

 

Redattore Sociale, 22 maggio 2007

 

"Patto per Roma sicura": dura lettera aperta al Comune da Caritas, S. Egidio, Capodarco, Jrs, Fcei. "Non si possono utilizzare Rom e Sinti come falso bersaglio". "Quello spostamento è una palese violazione dei diritti umani".

"Non si può utilizzare la popolazione Rom e Sinta come falso bersaglio, anziché mettere a fuoco i reali problemi delle nostre periferie. Siamo cittadini di questa metropoli e come i nostri concittadini crediamo che la sicurezza e la legalità siano un diritto per tutti; anche per Rom e Sinti. Ma non crediamo alla logica dei capri espiatori. Dire che l’illegalità a Roma e nelle grandi città sia un problema di Rom, immigrati e prostitute ci sembra fuorviante della realtà e fa tornare alla mente fantasmi del passato". È uno dei concetti espressi in un documento indirizzato al sindaco di Roma, Valter Veltroni e alla giunta comunale e firmato da un nutrito gruppo di associazioni rappresentative della realtà sociale della capitale. Tra i firmatari, la Comunità di S. Egidio, la Caritas Diocesana di Roma, l’Arci solidarietà, la Comunità di Capodarco di Roma, il Cnca del Lazio, Jesuit Refugee Service-Servizio Rifugiati e Migranti/FCEI e la Cooperativa sociale Ermes. Incontro nel pomeriggio in Campidoglio.

Le associazioni (manca nell’elenco dei firmatari l’Opera Nomadi), intervengono direttamente sull’idea di trasferire tutti i Rom e i Sinti fuori dal Raccordo Anulare così come si sostiene nel cosiddetto Patto per la legalità siglato dal sindaco di Roma Veltroni con il ministro dell’Interno, Giuliano Amato. "La proposta di risolvere il Problema Rom costruendo mega campi controllati da 1.000-1.500 persone fuori del Raccordo - si legge nel documento delle associazioni - ci appare una palese violazione dei diritti umani della popolazione presa di mira. È grave sia la proposta in sé, sia il messaggio che essa contiene". Sempre secondo le associazioni firmatarie, la confusione e le tanti ambiguità nelle proposte che circolano in questi giorni sono state amplificate proprio dal dibattito nazionale sulla sicurezza che si è sviluppato dopo la firma del "Patto per Roma Sicura" tra il Comune di Roma e il Ministero dell’Interno.

Le associazioni ricordano a Veltroni e all’opinione pubblica in generale che risulta molto grave e molto pericoloso per il futuro della sicurezza nelle nostre città parlare per luoghi comuni e stereotipi. Si tratta quindi di fare prima di tutto chiarezza sul tema. Cominciando dalle cifre. Nonostante l’aumento dovuto, negli ultimi 6 anni, alle migrazioni di rom romeni, la percentuale totale di Rom e Sinti sul totale della popolazione in Italia rimane al di sotto dello 0,3% (di cui circa la metà cittadini italiani).

Va inoltre ricordato che la popolazione Rom e Sinta ha una media di età molto bassa: quasi il 40% ha meno di 18 anni. "Può la sicurezza del nostro Paese essere messa in crisi da 150.000 persone di cui la metà bambini? - si chiedono le associazioni - Può veramente la sicurezza di Roma essere a rischio per 10.000 rom?". D’altra i Rom e i Sinti sono presenti in quasi tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa e che il numero totale dei presenti in Italia è di gran lunga inferiore a quello di molti altri Stati (ad esempio Germania, Francia, Spagna). Sono spesso considerati dalla maggioranza della popolazione come "altri", come stranieri nei loro paesi natali e l’antigitanismo è una realtà diffusa, professata senza alcun pudore o memoria storica. La vita dei Rom e Sinti è caratterizzata dal disprezzo e dall’isolamento. L’apice atroce della persecuzione è stato raggiunto con l’immenso - e purtroppo spesso ignorato - olocausto di circa mezzo milione o più durante la seconda guerra mondiale.

Per questo è necessario stare molto attenti con la memoria e i pregiudizi anche perché si continuano a pronunciare parole a ruota libera che rischiano di fomentare il razzismo o quanto meno una pericolosa ostilità nei confronti dello zingaro in quanto tale. E soprattutto sviluppare lo stereotipo dello zingaro criminale-girovago. La realtà è invece molto diversa ed è proprio sulla situazione reale che si svilupperà un incontro tra le associazioni firmatarie del documento e l’amministrazione comunale di Roma previsto per oggi pomeriggio in Campidoglio.

Droghe: il kit del perfetto proibizionista

di Andrea Boraschi e Luigi Manconi

 

L’Unità, 22 maggio 2007

 

Cronache di ordinario proibizionismo. Cronache di pochi giorni: a seguito di un incidente nel vercellese, in cui perdono la vita due bambini, nel sangue del conducente del pullman vengono trovate tracce di marijuana; uno studente quindicenne muore a scuola, accasciandosi di colpo e perdendo conoscenza, dieci minuti dopo essere stato visto fumare uno spinello; alcune testate giornalistiche televisive riprendono un video, trasmesso su You Tube, in cui studenti di una scuola (superiore e dell’area romana, a giudicare da immagini e sonoro) "girano" delle canne in classe, aiutati dal loro professore.

Potremmo aggiungerne altri, di episodi: come quello di un insegnante di Sondrio, condannato a otto mesi di reclusione e a 800 euro di multa, per aver sostenuto dinanzi ai suoi studenti, che l’hascisc e la marijuana non provocano dipendenza. In tutto questo, il comune di Milano promuove una campagna per distribuire gratuitamente, ai genitori di ragazzi compresi tra i 13 e i 16 anni, un kit per verificare, mediante test delle urine, se propri i figli assumono sostanze psicotrope; nel mentre, il dibattito sulle droghe, e anche su quelle leggere, si fa più acceso, con autorevoli esponenti della sinistra che sembrano voler propendere per la linea "drogarsi e un reato".

Si tratta, è evidente, di circostanze assai distanti tra loro; che pure rimandano, tutte, a una questione aperta e controversa, che rischia - ahinoi - di generare psicosi e allarmi altrimenti evitabili. Perché è facile, mettendo in fila cronache di questo tipo, giorno dopo giorno, imbastire una campagna per smentire qualsiasi differenza tra droghe "pesanti" e droghe "leggere"; ed è ancor più facile, una volta compiuta questa operazione, presentare il consumo di marijuana e hascisc - invero assai diffuso - come una piaga fuori da ogni controllo, da arginare quanto prima e con mezzi straordinari.

Sconcerta, piuttosto, come per ognuna di queste vicende non si voglia applicare buon senso e conoscenza. Prendiamo il caso più drammatico, quello dell’autista responsabile dell’incidente che ha causato la morte di due bambini. Si parla di tracce di marijuana nel sangue: ma si è appurato esattamente il momento dell’assunzione di quella sostanza?

Dalle cronache questo dettaglio non risulta; ma non si tratta di un elemento secondario, giacché sappiamo che tracce di marijuana possono essere rinvenute anche a 40 giorni dal momento dell’assunzione (ovvero, anche a lunghissima distanza dall’esperienza degli effetti psicotropi che quella sostanza produce).

Supponiamo, però, la peggiore delle ipotesi: che quell’uomo, cioè, fosse sotto effetto diretto di una sostanza assunta poco prima di svolgere il suo lavoro. Se si fosse trattato di alcool, qualcuno avrebbe mai proposto di mettere fuorilegge le sostanze etiliche nel nostro Paese? Perché, per quel caso, non si parla dell’uso che si fa di quella sostanza invece di parlare degli effetti di quella stessa sostanza, che peraltro non dà dipendenza (che, quindi, non induce/costringe a una assunzione regolare o frequente; la scelta scellerata di assumerla prima di guidare un pullman, semmai così fosse, è del tutto volontaria e voluttuaria, dunque deliberata e doppiamente colpevole)?

Perché no parlare dei controlli che potrebbero essere effettuati su alcune categorie professionali, responsabili della sicurezza di terzi? O si vuole, per puro spirito polemico, passare a una conta di quanti sono i morti sulle strade, ogni anno, per ebbrezza da alcool o per stordimento da droghe leggere? Prendiamo il caso, non meno tragico, del ragazzo quindicenne morto dopo aver fumato dell’erba. Ma come si fa a pubblicare titoli del tipo "fuma uno spinello, muore 10 minuti dopo"? Come si fa? Lo sa, chi ha dettato quei titoli, che tutti gli studi scientifici sulle narco-dipendenze non hanno mai - mai! - rilevato (in decenni e su milioni di casi osservati) un solo decesso imputabile ad hascisc o marijuana?

Lo ha ricordato, in questi giorni, il direttore dell’Istituto Mario Negri, Silvio Garattini: uno spinello, di per se, non può uccidere: "è possibile, invece, che nello spinello fosse presente una sostanza tossica, che dovrà essere determinata dalle analisi".

Allora, forse, è il caso di parlare delle sostanze con le quali sono tagliate e addizionate le droghe presenti sul mercato illegale; e di come (qualora mai quel ragazzo fosse veramente stato ucciso da un veleno inalato) si potrebbe evitare tutto ciò, legalizzando i derivati della canapa indiana, sottoponendoli a vincoli rigorosi di produzione e vendita (garantendo quindi sul tenore tossico di ciò che si fuma); e adeguando al rigore di quei vincoli anche la vendita dei tabacchi, il cui potenziale di assuefazione è dimostrato, come lo sono gli effetti nefasti che producono, e il cui consumo è in sensibile aumento tra i minorenni.

O forse, ancora e più probabilmente, si può ipotizzare, in questa vicenda, che chi ha "girato" quella canna l’abbia, a sua volta, arricchita di qualche altra droga, ben più pesante; e che possa essere stata quella la causa del decesso. Come lo sarebbe il cianuro se decidessimo di condirci la carbonara. Ma chi mai farebbe un titolo come "Mangia la carbonara, muore dopo 10 minuti"? Noi, personalmente, di pensosi o allegri fumatori, ne conosciamo diversi.

Alcuni fumano da anni; nessuno di loro ha mai avuto la tentazione di provare l’eroina, la cocaina, gli acidi. Continuano nel loro consumo innocuo, rammaricati di essere costretti, da leggi criminogene, a finanziare un mercato illegale; sanno che il loro comportamento non è virtuoso, che non giova alla loro salute, ne più ne meno di molti altri vizi diffusi e maggiormente tollerati; sanno anche che le droghe leggere presenti oggi sul mercato sono più forti e nocive di quelle di alcuni anni addietro (talvolta, così pare, vengono persino tagliate con qualche punta d’acido o di ecstasy): di questo si preoccupano e per questo sono ancor più contrari al proibizionismo.

E rabbrividiscono un po’ al pensiero che, fossero ancora adolescenti, mamma e papà potrebbero analizzare le loro urine; magari di nascosto. "Aiuto, mio figlio è un drogato!"... e poi vai a spiegare alla mamma che il sillogismo per cui "tutti gli eroinomani hanno cominciato con le canne" coincide perfettamente con quest’altro sillogismo: "tutti gli alcolisti hanno cominciato con un Campari". O un Fernet.

Droghe: Turco; Senato approvi legge su farmaci anti-dolore

 

Redattore Sociale, 22 maggio 2007

 

Fermo dalla scorsa estate, attende da tempo il "sì": cure palliative più facili, previsti anche i derivati della cannabis. Un decreto ministeriale ne consente già ora l’importazione. La figura del "palliativista" sarà regolamentata.

La nascita di una scuola di specializzazione post-laurea per le cure palliative, con contestuale riconoscimento della specificità della professione di palliativista, l’abolizione del ricettario speciale, e la piena introduzione nella terapia del dolore anche dei farmaci derivati dalla cannabis. Sono chiare le richieste che il ministro della Salute si vede indirizzare dalla Fondazione Gigi Ghirotti in occasione della presentazione della VI Giornata Nazionale del sollievo, che si celebra domenica prossima, 27 maggio. Richieste che il ministro accoglie come "sensate", "serie" e "doverose", e che da oggi entrano a far parte dell’agenda degli uffici del ministero.

Riguardo alla semplificazione nella prescrizione dei farmaci, dal ministro è arrivato un appello - l’ennesimo - al Senato, perché approvi al più presto il disegno di legge che giace in commissione dalla scorsa estate e che favorisce la disponibilità di farmaci anti-dolore. Un provvedimento che la Turco vorrebbe vedere approvato già in commissione in sede deliberante, senza alcun passaggio in aula, anche perché, ha detto, "è ormai chiaro a tutti che la cannabis a fini terapeutici non c’entra nulla con gli spinelli" e in assenza di serie obiezioni politiche e tecniche "è doveroso dare risposte" quanto prima. Ad ogni modo, ha ricordato Turco, in attesa che il Senato faccia la propria parte il ministero ha con proprio decreto del 18 aprile scorso aggiornato le tabelle delle sostanze stupefacenti e psicotrope, inserendo i derivati della cannabis nella tabella II, sezione B: una decisione che rende possibile utilizzare questi farmaci per la terapia del dolore. È da sottolineare - ha precisato il ministro - che "questi farmaci non sono ancora presenti in Italia in attesa della domanda di registrazione da parte delle aziende farmaceutiche", ma che nel frattempo è comunque possibile "importarli dall’estero previa autorizzazione ministeriale in virtù del riconoscimento del loro valore terapeutico". Il decreto inoltre sgombra il campo da precedenti dubbi interpretativi, chiarendo che i farmaci analgesici oppiacei possono essere prescritti per combattere il dolore anche per patologie non tumorali (per esempio a seguito di traumi, fratture, interventi chirurgici, ecc.).

Con i ministeri di Industria e Ambiente, è stato anche predisposto un decreto che consentirà il recupero di quei farmaci anti-dolore dispensati ma non utilizzati: si tratta di quelle confezioni già assegnate e consegnate ad un paziente in terapia ma che per varie cause (la principale: la morte del paziente) rimangono poi inutilizzati. Se debitamente conservate, potranno essere recuperate ed utilizzati a vantaggio di altri malati.

Riguardo al percorso universitario e al riconoscimento della figura professionale del "palliativista", il ministro della salute ha affermato di voler proporre al suo collega Mussi (Università) l’istituzione di una scuola di specializzazione universitaria che possa contribuire alla formazione di una figura specializzata che operi per aiutare il malato nella sua lotta al dolore. "Quella di un riconoscimento è una richiesta meritevole di attenzione: la modalità concreta sarà studiata attentamente, e le proposte della Fondazione Ghirotti, che propone un master ad hoc e l’istituzione di un album di professionisti, è una pista di lavoro interessante". C’è da fare i conti, però, è stato detto, con le richieste delle altre categorie professionali (ad iniziare dagli anestesisti) che temono discriminazioni, e con le linee di tendenza internazionale, che spingono verso una contrazione, e non un ampliamento, del numero delle specializzazioni riconosciute. In Germania sono soprattutto gli oncologi e gli anestesisti ad occuparsi di cure palliative, in Gran Bretagna sono gli internisti: "Vogliamo che questo profilo venga riconosciuto: le forme con le quali ciò avverrà, se con un master o una specializzazione, e se saranno riconosciuti tali anche coloro che già operano nel privato accreditato, le decideremo con il ministero dell’università".

Entro la fine del 2008, è stato infine ricordato, dovrà essere costituita una "Rete di assistenza palliativa" per la definizione della quale il ministero ha stabilito con decreto gli standard ai quali tutte le regioni dovranno attenersi: dunque, una sorta di standard minimo condiviso relativa all’assistenza di malati terminali curati nelle strutture regionali. È prevista l’assistenza da parte della Rete ad un numero di pazienti superiore al 65% dei malati di tumore deceduti ogni anno, la creazione di un posto letto in hospice dedicato all’assistenza palliativa per ogni 56 deceduti a causa di tumore, la presa in carico del paziente in assistenza domiciliare entro 3 giorni dalla richiesta per almeno l’80% delle richieste stesse, il ricovero con cure palliative entro tre giorni dalla richiesta pervenuta alla Rete per almeno il 40% delle richieste e infine la creazione di un indicatore che esprima il numero di giornate di assistenza palliativa erogate a domicilio, perché, come è stato ricordato più volte, è spesso la casa il luogo ideale dove curare chi si trova in uno stato di malattia terminale.

Droghe: Fioroni; anche il "kit" è utile, ma serve informazione

 

Ansa, 22 maggio 2007

 

Nella lotta alla droga "tutti gli strumenti sono utili" dunque anche il kit che il comune di Milano ha deciso di inviare alle famiglie perché possano controllare se i ragazzi fanno uso di sostanze stupefacenti. Di questo è convinto il ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, oggi a Rho per un incontro elettorale a sostegno del sindaco uscente Paola Pessina, mettendo però un paletto. "Tutti gli strumenti sono utili - ha detto il ministro - purché concorrano a trasmettere ai nostri ragazzi una informazione corretta sui danni alla psiche e al fisico che comporta l’uso della droga". "Conoscere i danni che provoca - ha aggiunto - e informare in modo corretto significa educare i ragazzi a non usare ciò che nuoce alla loro salute".

Droghe: Prc; antiproibizionisti pronti a mobilitarsi contro il "kit"

 

Ansa, 22 maggio 2007

 

"Il ministro Fioroni sbaglia nel giudizio positivo sul kit anti-droga ma coglie il vero problema della mancanza di informazione e della prevenzione soprattutto rispetto ai giovani". Lo dichiara il vice presidente della commissione Giustizia alla Camera, Daniele Farina (Prc) a commento di quanto affermato dal ministro della Pubblica Istruzione che oggi ha approvato l’iniziativa, da parte del comune di Milano, di distribuzione del kit anti-droga a giovani tra i 13 e i 16 anni. "Il centro destra - sottolinea - continua colpevolmente a difendere la Fini-Giovanardi chiudendo gli occhi sui risultati di un anno di applicazione di una legge liberticida, inutile e dannosa - sostiene il deputato di Rifondazione - Modificare la legge in vigore anche alla luce dei recenti fatti di cronaca è necessario - conclude Farina e se il centro destra è pronto alla mobilitazione per difendere l indifendibile gli anti proibizionisti sono intenzionati a rispondere con una grande contro-mobilitazione".

Novara: fermato studente 12enne, spacciava hascisc a scuola

 

Il Corriere della Sera, 22 maggio 2007

 

Aveva 10 grammi di hascisc che si accingeva a spacciare ai compagni di scuola durante l’intervallo, come già avvenuto altre volte. Il baby spacciatore ha 12 anni, frequenta una scuola media parificata del centro di Novara ed è stato segnalato alla Procura dei Minorenni di Torino. La Polizia di Novara sta cercando di capire da chi si rifornisse il ragazzino, i cui movimenti sospetti erano stati notati dal preside dell’istituto, che ha avvertito la Questura. La vicenda è avvenuta quasi un mese fa, ma è stata resa nota soltanto oggi.

"Stiamo compiendo verifiche a tappeto in tutte le scuole secondarie della città - spiega il dirigente della Squadra Mobile di Novara, Alfonso Iadevaia - e sono emersi elementi interessanti, che ci hanno indotto a programmare, per il prossimo anno scolastico, una capillare campagna informativa in tutti gli istituti, come già fatto quest’anno per il fenomeno del bullismo". L’assessore comunale all’istruzione, Giuseppe Policaro (An), annuncia che presenterà alla giunta la proposta di fornire gratuitamente "kit antidroga" alle famiglie novaresi con figli che frequentano le scuole secondarie.

 

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