Rassegna stampa 6 giugno

 

Giustizia: Forgione (Antimafia); il 41-bis è irrinunciabile

 

Giornale di Sicilia, 6 giugno 2007

 

Si riaccende il dibattito sul regime di carcere duro previsto dal 41-bis, dopo la manifestazione di domenica scorsa davanti al carcere speciale dell’Aquila in aperto sostegno ai terroristi là detenuti e le scritte contro lo Stato apparse sui muri di Bologna. Ma per Francesco Forgione, presidente della Commissione nazionale Antimafia, il 41-bis "è irrinunciabile", semmai è necessario renderlo più efficace con un monitoraggio permanente sul territorio che coinvolga più istituzioni.

 

Presidente Forgione, si deve ripensare il 41-bis?

"Il 41 bis è uno strumento indispensabile per combattere la mafia. Abbiamo la prova della pericolosità del mantenimento dei rapporti tra chi è in carcere e chi è fuori e tra i boss in carcere tra loro. Il problema è rendere effettivo l’isolamento rispetto all’organizzazione e al territorio".

 

C’è chi chiede un regime meno duro.

"Il punto non è avere un colloquio in più o in meno, oppure il fornellino nelle celle, ma avere la certezza che dai colloqui e dalla posta i mafiosi non continuino ad avere rapporti tra loro. L’ha detto anche il Procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso, l’ha confermato il ministro della Giustizia Clemente Mastella in audizione in Commissione Antimafia".

 

C’è chi sottolinea che la pena deve sempre essere finalizzata al recupero?

"Il 41-bis non è una pena accessoria. È uno status che si riferisce alla pericolosità sociale del soggetto. Tanto è vero che è passato indenne dalla Corte costituzionale e anche dall’esame dell’Europa".

 

Che siano mafiosi o terroristi, boss o gregari, quindi nulla cambia.

"La legge si applica a tutte le tipologie di reato. Non ha importanza quindi neppure il fatto che ci troviamo di fronte a un boss o a un gregario. L’elemento di valutazione è la pericolosità sociale del soggetto. Lo scopo del 41-bis non è la vessazione, non dipende dal grado nell’organizzazione, ma è impedire contatti pericolosi".

 

A chi deve esserne affidata la prova?

"La valutazione della prova del mantenimento di rapporti socialmente pericolosi non può essere più solo affidata al Tribunale di Sorveglianza ma ci deve essere un monitoraggio permanente da parte di chi opera nel territorio, attraverso un coinvolgimento delle Procure, della DIA, della Direzione nazionale antimafia".

 

È necessaria una modifica legislativa?

"No, anche senza modificare la legge si possono rendere più efficaci, nel senso che dicevo, le sue disposizioni, ad esempio, se necessario, con un decreto. Bisogna modificare l’onere della prova. Ci deve essere la certezza dei controlli. Il Dap (ndr, il Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria) può operare in maniera ancora più rigorosa, applicando in maniera ancora più puntuale il regolamento. Il nostro obiettivo non è un carcere più duro, ma il necessario, effettivo ed efficace isolamento".

Giustizia: fine pena… "sempre", di Marco Travaglio

 

L’Unità, 6 giugno 2007

 

Nel 1999 l’Ulivo vara la riforma del "giudice unico". La legge attuativa "Carotti" estende il giudizio abbreviato a tutti i delitti, compresa la strage: basta scegliere il rito alternativo, e scatta automatico lo sconto di un terzo della pena. Così gli stragisti, anziché l’ergastolo, rischiano al massimo 30 anni, che coi benefici della Gozzini diventano 20 e consentono i primi permessi dopo 10. Così i boss mafiosi arrestati dopo le stragi del 1992-93, fino ad allora rassegnati all’idea di restare dietro le sbarre per tutta la vita, contano gli anni (pochissimi) che li separano dalla scarcerazione. I pm antimafia e i parenti delle vittime ricordano che in cima al "papello"

consegnato da Totò Riina nei primi anni 90 ai suoi referenti politici col programma della mafia c’era proprio l’abrogazione dell’ergastolo e del 41-bis. Ma è tutto inutile. Il 23 ottobre 2000, nell’aula bunker della Corte d’assise d’appello di Firenze, Totò Riina, Giuseppe Graviano e altri 15 boss condannati in primo grado all’ergastolo per le bombe del ‘93 a Milano, Firenze e Roma ne approfittano: si alzano nelle gabbie e chiedono alla Corte il rito abbreviato per scendere dall’ergastolo a 30 anni.

Stavolta, dinanzi alla prospettiva concreta

di veder uscire in poco tempo gli stragisti del 1992-93 e alle proteste dei familiari delle vittime dei Georgofili, il governo Amato ingrana la retromarcia e corre ai ripari in tutta fretta: il 23 novembre vara un decreto che esclude dal rito abbreviato i mafiosi processati per omicidio o strage: chiunque, oltre al delitto di sangue, risponda anche di un altro reato (tipo l’associazione mafiosa) viene condannato all’ergastolo più l’isolamento diurno. Che gli viene revocato con lo sconto dell’abbreviato, mentre l’ergastolo rimane.

E, per qualche anno, non se ne parla più. Il 12 luglio 2002, dopo un anno di governo Berlusconi, Cosa Nostra torna a farsi viva: Leoluca Bagarella, dalla gabbia di un processo, tuona contro i "politici che non mantengono le promesse" e "ci usano come merce di scambio". Altri mafiosi inviano ultimatum ai loro difensori eletti con la Cdl perché si decidano a tradurre in legge il famoso papello.

Alcuni onorevoli avvocati vengono precipitosamente dotati di scorta, e con loro anche Previti e Dell’Utri che - secondo il Sisde - potrebbero rischiare rappresaglie mafiose: stavolta Cosa Nostra non colpirà più personaggi immacolati come Falcone e Borsellino. La mafia affigge pure uno striscione allo stadio di Palermo: "Uniti contro il 41-bis. Berlusconi dimentica la Sicilia".

Il governo Berlusconi vara una legge che stabilizza il 41-bis (finora rinnovati per decreto di sei mesi in sei mesi): pare una norma più severa, in realtà ha l’effetto opposto. Se prima era difficilissimo per i boss far revocare il 41-bis, visto che i tempi dei ricorsi erano più lunghi di quelli delle proroghe semestrali e ogni volta bisognava ricominciare da capo, ora che il regime è definitivo c’è tutto il tempo per chiederne e ottenerne l’annullamento. Risultato: solo nell’ultimo anno, a cavallo tra il governo Berlusconi e il governo Prodi, 89 boss e killer mafiosi su 526 escono dal 41-bis.

Ma, anche per chi ancora vi soggiace, il carcere duro è sempre più molle. E c’è chi, come l’onorevole avvocato Bongiorno, vorrebbe addirittura abolirlo. Resta un solo punto del "papello" da realizzare: l’ergastolo. Purtroppo si sta provvedendo anche a quello, con una coazione a ripetere tutti gli errori del passato che lascia basiti. Mentre 310 ergastolani su 1.294 (tra cui i killer di Livatino e Siani) scrivono a Napolitano, la rifondarola Luisa Boccia presenta un ddl per abolire il "fine pena mai" e lo stesso annuncia

Giuliano Pisapia, che riscrive il Codice penale per il governo Prodi. Il sottosegretario Manconi è d’accordo. Naturalmente sono tutte brave persone e possono fare ciò che vogliono. L’importante è avere chiare le conseguenze. Gli ergastolani arrestati dopo le stragi scenderebbero a 30 anni di pena, che poi, con la liberazione anticipata per "regolare condotta" sono 20. Avendone già scontati 13-14, uscirebbero fra 6-7, anzi fra 3-4 ai servizi sociali. E potrebbero chiedere subito semilibertà e permessi premio. Non bastava l’indulto? È sicura la maggioranza di voler completare il papello di Riina e di affrontare la scarcerazione di mafiosi e terroristi? Ci facciano sapere.

Giustizia: Mastella; su protesta a L’Aquila indagini in corso 

 

Adnkronos, 6 giugno 2007

 

"Provo forte impressione, sdegno e disgusto anche morale per quanto mi riguarda, e non posso che manifestare una condanna incondizionata quando leggo e vedo fatti come quelli avvenuti a L’Aquila. Orribili scritte, slogan inneggianti alla morte dei carabinieri di Nassiriya, dei professori Biagi o D’Antona, e dell’ispettore Raciti.

Mi chiedo a volte come mai, come in questa circostanza, degli uomini possano odiare la vita di altri uomini al punto di voler la loro morte. Un dolore che per tutta la vita accompagnerà i loro familiari". Lo ha affermato durante il "question time" il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, rispondendo a chi gli chiedeva di eventuali reati commessi in occasione della manifestazione di fronte al carcere dell’Aquila, dove è rinchiusa Nadia Desdemona Lioce, lo scorso 3 giugno.

Emilia Romagna: medicina specialistica per tutti i detenuti

 

Redattore Sociale, 6 giugno 2007

 

Intesa tra Ministero della Giustizia e regione. Gli operatori del Servizio sanitario regionale entrano nelle carceri con l’obiettivo di affrontare i bisogni dei detenuti: circa 3000 persone, di cui il 7-8% con gravi problemi di salute.

Assistenza medica specialistica per tutti i detenuti dell’Emilia Romagna: garantito dal Servizio sanitario regionale nelle infermerie degli istituti penitenziari. Gli operatori del Servizio sanitario regionale entrano dunque nelle carceri con l’obiettivo di affrontare i bisogni specifici della popolazione detenuta: circa 3000 persone, di cui il 7-8% con gravi problemi di salute (soprattutto tossicodipendenza, problemi psichiatrici e malattie infettive).

Il progetto - primo del genere in Italia - è reso possibile grazie a un’intesa tra il Ministero della Giustizia e la Regione Emilia-Romagna, formalizzata con un protocollo firmato dal capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Ettore Ferrara, e dal presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani, e con un accordo attuativo firmato oggi dal provveditore regionale alle carceri Nello Cesari e dall’assessore regionale alle Politiche per la salute Giovanni Bissoni. L’Emilia Romagna, dopo l’assistenza farmaceutica, l’intervento sulle tossicodipendenze e la vigilanza sull’igiene pubblica già garantite dal 2003, assume quindi anche l’assistenza specialistica a carico del Servizio sanitario regionale.

"Circa 3 mila persone avranno diritto, da oggi, a una migliore assistenza nelle carceri - ha detto l’assessore Bissoni -. C’è una contrapposizione fra lo Stato e le Regioni che ha finora impedito di risolvere questa esigenza, e la Regione Emilia-Romagna ha deciso di anticipare i tempi perché non è giusto che un problema di carattere amministrativo pesi sulla salute dei cittadini, ancorché detenuti nelle carceri emiliano-romagnole. Oggi noi anticipiamo un ulteriore pezzo di assistenza che si somma alle presenti dal 1999 ad oggi".

"È un piccolo ma importante passo avanti in un lungo percorso - ha aggiunto il provveditore Cesari - che dovrà concludersi con una totale sostituzione della sanità penitenziaria con quella pubblica". Il processo di trasferimento dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale è iniziato nel 1999, con il decreto legislativo 230, con l’allora ministro Rosy Bindi che trasferì al Servizio sanitario nazionale l’area assistenziale legata alle tossicodipendenze e alla sanità pubblica, e diede indicazioni per il progressivo passaggio di tutte le altre funzioni sanitarie a favore dei detenuti.

Per le patologie a più grande diffusione tra la popolazione detenuta - patologie infettive (in particolare epatite e Aids) e psichiatriche - l’assistenza specialistica è garantita in tutti gli istituti di pena dell’Emilia-Romagna. Nelle carceri di più grosse dimensioni - Bologna, Modena, Parma - sono invece concentrati gli interventi specialisti su problemi più rari: prestazioni di ginecologia, dermatologia, oculistica, otorino, cardiologia.

L’accordo non riguarda le cure di odontoiatria, per le quali sono ancora in corso verifiche sulla sicurezza delle strumentazioni e sui livelli di assistenza da garantire, e l’assistenza nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia (si è in attesa di un progetto di ridefinizione delle strutture su base nazionale). Concretamente, i servizi specialistici delle Aziende Usl dell’Emilia-Romagna rendono disponibili 800 ore mensili di attività professionale medico-specialistica con un impegno economico a carico del Fondo sanitario regionale, per il periodo giugno/dicembre 2007, pari a 500 mila euro, che si aggiungono a 1 milione e 200mila euro stanziati, per tutto il 2007, per l’assistenza farmaceutica.

L’Amministrazione penitenziaria concentrerà invece le proprie risorse sui servizi di base, garantendo la continuità assistenziale 24 ore su 24 nelle sedi carcerarie con più detenuti. Le cartelle cliniche, infine, verranno gestite in maniera informatizzata, contribuendo alla realizzazione di un sistema informativo sull’assistenza in carcere che la Regione sosterrà con un contributo di 40mila euro e che permetterà di monitorare gli interventi e la loro efficacia.

Toscana: quale sanità per il sistema penitenziario regionale?

 

In Toscana, 6 giugno 2007

 

Una sanità migliore prende corpo grazie ad un significativo Protocollo che rappresenta il primo passaggio "formale ed organizzativo" per l’attuazione della Legge Regionale n° 64 del 2005 che tutela la salute delle persone detenute. Sottoscritto il 2 maggio scorso il protocollo d’intesa per il miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria negli Istituti penitenziari e nel settore minorile.

Firmatari Maria Pia Giuffrida, Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Enrico Rossi, Assessore regionale per il Diritto alla Salute e Giuseppe Centomani, Direttore del Centro per la Giustizia Minorile.

Il protocollo è frutto del lavoro di un gruppo costituito da dirigenti dell’Amministrazione Penitenziaria, della Società della Salute di Firenze e dell’Assessorato alla Salute della Regione Toscana che si è coordinato con il lavoro parallelo svolto da altri gruppi a rappresentare le esigenze delle Aree Vaste di raggruppamento delle Asl toscane.

A completamento del lavoro appositi tavoli tecnici hanno approfondito le tematiche di rilievo peculiare all’interno dei sistemi penitenziari, come la salute mentale, l’informatizzazione e la gestione della cartella clinica, l’assistenza farmaceutica, i modelli per la continuità assistenziale di base e, non da ultimo, i reparti per i ricoveri ospedalieri.

Il progetto si impernia sui principi fondamentali che sanciscono la parità di trattamento delle persone detenute con i cittadini liberi assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale e la leale collaborazione tra le istituzioni per attuare le leggi costituzionali che tutelano l’assistenza sanitaria in carcere.

Prevede la definizione delle procedure di concertazione, già previste all’interno della programmazione sanitaria toscana come sistema integrato necessario per far fronte a quanto stabilito nel testo di Legge. Saranno per questo individuati congiuntamente i modelli operativi di base che saranno il più possibile omogenei per l’intero territorio toscano e regoleranno i relativi rapporti con le Aziende sanitarie.

Il protocollo pone in particolare rilievo la continuità dei percorsi terapeutici e la garanzia della loro prosecuzione, dal momento dell’ingresso in Istituto della persona detenuta e durante gli spostamenti di quest’ultima tra diverse realtà carcerarie.

In questo contesto, particolare attenzione sarà rivolto al personale sanitario già dipendente dal Ministero della Giustizia, del quale saranno valorizzate le esperienze nel rispetto dei profili professionali e dei ruoli. Previsti anche momenti di formazione mirati ed il consolidamento delle "buone prassi" già adottate tra le parti.

La fase di attuazione vera e propria sarà realizzata con una serie di modalità operative che, coerentemente con i passaggi attuativi previsti dalla Legge regionale n° 64 (atto legislativo specifico adottato ad oggi solo dalla Regione Toscana), prevede, innanzitutto, una ricognizione della realtà esistente in materia sanitaria, sia per quanto riguarda le risorse attualmente utilizzate sotto il profilo strutturale, economico e di risorse umane, sia per l’aspetto epidemiologico.

Sarà attivato anche un Osservatorio Regionale permanente sulla sanità penitenziaria che vedrà la partecipazione attiva di rappresentanti della Regione, dell’Amministrazione penitenziaria e della Giustizia Minorile che ha sottoscritto il protocollo d’intesa relativamente al settore minorile. L’Osservatorio ha lo scopo di incentivare la messa a regime della cartella informatizzata già in uso in via sperimentale presso alcuni Istituti per adulti della Toscana con il progetto denominato "Ulisse".

Il protocollo definisce, anche, le modalità organizzative dell’"Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale", previsto nella legge regionale n° 64.

L’adeguata partecipazione delle persone detenute alla gestione della Salute, qualifica il processo di confronto partecipato e condiviso. Ai reclusi saranno infatti riservati spazi adeguati per promuovere momenti di ascolto e consultazione periodica da parte di ciascun Istituto della regione, congiuntamente all’Azienda Sanitaria di riferimento ed al Garante dei detenuti dove istituito.

Nel rispetto delle singole autonomie e competenze, saranno coinvolte le realtà territoriali del volontariato e del terzo settore che a vario titolo cooperano con il mondo penitenziario.

Il protocollo, quindi, porta ad una riorganizzazione complessiva del sistema sanitario penitenziario, con conseguente redazione del "Progetto Obiettivo regionale" secondo i principi già definiti in precedenti accordi in cui si individuerà e si condividerà un percorso integrato tra le Aziende Sanitarie, le Aree Vaste Amministrazione Penitenziaria, la Giustizia Minorile per la costruzione di un "sistema di presa in carico regionale" della sanità penitenziaria.

L’andamento di questo progetto organico e complessivo sarà seguito da un gruppo paritetico che agirà da Comitato regionale, con funzione di coordinamento e verifica del percorso integrato di applicazione della Legge e in costante collegamento con le iniziative avviate dall’Ufficio di Gabinetto del Presidente della Regione Toscana per concretizzare momenti di sintesi e di confronto sulle diverse tematiche (sociali, culturali, lavorative) dell’universo carcere che coinvolgono una pluralità di Assessorati regionali.

In attesa di conseguire l’obiettivo finale della riorganizzazione del Sistema Sanitario Penitenziario sono state individuate delle aree di intervento prioritarie tra le quali annoveriamo: 1) la riorganizzazione del Servizio per la tutela della salute mentale in carcere; 2) lo sviluppo delle attività di sostegno dell’assistenza sanitaria all’OPG di Montelupo e della C.C.F. di Sollicciano; 3) la revisione ed eventuale aggiornamento dei protocolli d’intesa per l’assistenza farmaceutica all’interno degli Istituti toscani; 4) le iniziative per incrementare l’assistenza infermieristica; 5) l’adeguamento dell’assistenza sanitaria in materia di protesi dentarie; 6) il potenziamento ed integrazione del Servizio medico di base e della continuità assistenziale e dell’accesso alle prestazioni specialistiche; 7) la realizzazione di un piano di intervento che assicuri una più agevole degenza dei detenuti all’interno dei presidi ospedalieri e la definizione di un progetto per la realizzazione di una o più aree di degenza con piano di formazione del personale penitenziario.

A corollario delle emergenze sarà effettuata una specifica attività di monitoraggio sull’andamento della presa in carico dell’assistenza sanitaria alle persone in detenzione e, in particolar modo, ai tossicodipendenti apportando eventualmente i miglioramenti necessari.

La Regione Toscana, con la legge regionale n° 64, dimostra la propria disponibilità ad agire come laboratorio sperimentale di attuazione del D.lgs. 230/99 conferendo un ruolo centrale all’Amministrazione Penitenziaria, responsabile degli interventi sui modelli di organizzazione dei servizi sanitari in carcere, mediatrice tra le risorse della Regione e le strutture sanitarie del servizio sanitario esterno con il fine di pervenire a fornire continuità assistenziale e maggiore efficienza. Un progetto organico e complessivo per conseguire l’obiettivo di favorire e promuovere il diritto alla salute, bene fruibile dalla persona reclusa, nel rispetto della pari dignità di cittadino e, nel contempo, della sicurezza collettiva della Società libera.

 

Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria

Ferrara: il Comune istituisce Garante dei diritti dei detenuti

 

www.estense.com, 6 giugno 2007

 

Il consiglio comunale ha approvato il regolamento per l’istituzione del Garante dei diritti dei detenuti. Operare per le migliori condizioni di vita e di inserimento sociale delle persone private della libertà personale. Sono queste le funzioni che il nuovo Regolamento approvato dal Consiglio comunale attribuisce, all’atto della sua costituzione, al "garante per i diritti delle persone private della libertà personale".

Suoi compiti specifici saranno la promozione di iniziative di sensibilizzazione pubblica sui temi dei diritti umani e dell’umanizzazione delle pene e di iniziative volte ad affermare per le persone private della libertà personale il pieno esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e della fruizione dei servizi presenti sul territorio comunale. A tale scopo saranno attivate relazioni e interazioni cooperative anche con altri soggetti pubblici competenti in materia. Il garante, nell’esercizio delle sue funzioni, potrà visitare le persone private della libertà personale nei luoghi dove esse si trovano, promuovendo l’esercizio dei diritti e delle libertà di partecipazione alla vita civile e iniziative e momenti di sensibilizzazione pubblica sui temi dei diritti umani.

Il garante è eletto dal Consiglio comunale a scrutinio segreto, svolge la sua attività in piena libertà e indipendenza, dura in carica tre anni, può essere rieletto una sola volta e gli spetta un’indennità mensile. Alla carica può candidarsi un cittadino italiano di comprovata competenza nel campo delle scienze giuridiche e dei diritti umani che, per esperienze acquisite, offra la massima garanzia di probità, indipendenza, obiettività, competenza e capacità di esercitare efficacemente le proprie funzioni. Non possono candidarsi coloro che non possano essere eletti consiglieri comunali (cause di incompatibilità e di ineleggibilità). Riferisce al sindaco, alla Giunta e al Consiglio comunale e può avanzare proposte e richiedere iniziative e interventi.

Viterbo: il Prap taglia fondi per la sanità nel carcere cittadino

 

Il Tempo, 6 giugno 2007

 

"Ancora una volta il Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria del Lazio, noncurante dell’incremento della popolazione detenuta del carcere di Viterbo che oggi conta circa 500 detenuti, avvicinandosi cosi a lunghi passi agli stessi numeri che caratterizzavano la struttura prima dell’indulto, apporta ulteriori tagli all’assistenza sanitaria del carcere cittadino".

A sostenerlo è Enrico Giuliani, consigliere nazionale della Società italiana di medicina penitenziaria. "Non era bastato ridurre il servizio medico di circa il 33% (riduzione che tra l’altro era stata effettuata a suo tempo solo a Viterbo ndr), non era bastato rimanere sordi alle istanze del personale sanitario che lamentava l’impossibilità di garantire così lo standard minimo di assistenza sanitaria all’interno dell’istituto.

Il nuovo provveditore regionale, Zaccagnino, ha messo con le spalle al muro il direttore del carcere di Viterbo. Con una missiva della ragioneria del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria del Lazio veniva semplicemente indicato un budget preventivo per la sanità penitenziaria 2007 insufficiente a coprire le esigenze del servizio previste per l’annualità in conseguenza dei debiti accumulati dalle strutture penitenziarie Romane (vari milioni di euro)". "In buona sostanza - conclude Giuliani - il provveditore Zaccagnino sembra non aver fatto altro che togliere fondi a Viterbo per dirottarli su Roma al fine di sanare la situazione debitoria".

Volterra: teatro; in scena la Compagnia "Alta sicurezza"

 

Redattore sociale, 6 giugno 2007

 

Sul palco detenuti speciali, che hanno commesso reati associativi. Un lavoro silenzioso e poco visibile, che non consente di recitare all’esterno, ma che prosegue da dieci anni.

Si chiama "Pigmalione My fair lady", liberamente tratto da George Bernard Shaw lo spettacolo con cui va in scena questo pomeriggio , presso la casa di reclusione di Volterra, la Compagnia "Alta Sicurezza". Una compagnia teatrale particolare , proprio perché composta da detenuti speciali, persone che hanno commesso reati associativi e che hanno avuto quindi legami con la criminalità organizzata.

Un’esperienza unica in Toscana, e tra le poche in Italia, quella della Compagnia , "una realtà anche poco visibile - ci spiega Alessandro Togoli, assessore presso il comune di Volterra, insegnante alla casa di reclusione e regista della Compagnia - perché il tipo di reato impedisce ai detenuti repliche esterne, ed anche il pubblico viene selezionato per motivi di sicurezza. Nonostante questo, però, questa attività dura da dieci anni, con l’esame e la rappresentazione di testi classici e della tradizione teatrale di varie epoche, da Plauto, Aristofane, Machiavelli a Goldoni, Shakespeare, Moliere, Pirandello fino ad arrivare a Dario Fo e Stefano Benni".

È un lavoro lungo, quello che sta dietro alla Compagnia, legato alla frequentazione da parte dei detenuti dell’Istituto Tecnico per Geometri. Iniziano ad ottobre con lo studio, l’analisi e la reinterpretazione dei testi, alla fine dell’anno si ha la ormai storica rappresentazione. "Abbiamo, comunque, cercato di rendere questa esperienza più conosciuta possibile - continua Togoli - Su di noi è apparso un articolo su "Alias" e siamo anche sulla Treccani Inter on line. Ci sono stati anche servizi televisivi, sia su TV private, sia su Rai 3.

Rai 3 ha ripreso lo spettacolo e realizzato servizi nel 2000 per "La Mandragola", nel 2001 per "Il teatro comico", nel 2003 per "Astaroth", nel 2004 per "La scena della vita" liberamente tratto da Pirandello, nel 2005 per "Molierando". La nostra esperienza è cresciuta anche come considerazione all’interno del carcere, tanto che mettiamo in scena gli spettacoli in uno spazio all’aperto - mentre prima erano al chiuso per motivi di sicurezza - con la creazione anche di scenografie originali".

Il nuovo spettacolo, dunque, andrà in scena questo pomeriggio alle 15 per un pubblico di detenuti della sezione comuni del carcere. Domani si replica alle ore 9.30, sempre presso il carcere, per un pubblico di studenti delle scuole superiori di Volterra , venerdì lo spettacolo sarà offerto ad un pubblico di autorità politiche ed invitati esterni. Sabato, infine, alle ore 10.00, il carcere si aprirà ad un pubblico di familiari dei detenuti, pronti ad applaudire.

Roma: detenuto nigeriano si laurea on-line in ingegneria

 

Roma One, 6 giugno 2007

 

La bella storia di un detenuto nigeriano 39enne, Benneth Emenike. Arrestato per droga nel ‘94, si è iscritto a Tor Vergata ed è diventato ingegnere. La gioia del Garante Marroni: "Esempio per tutti". Si chiama Uchenna Benneth Emenike, ha 39 anni, è originario della Nigeria e si è laureato con lode con una tesi intitolata "Realizzazione di strumenti web per il supporto alla cooperazione". Una storia in apparenza normale diventa, in realtà, un eccezionale fatto di speranza perché colui che si è laureato è detenuto da 13 anni nella sezione di alta sicurezza del Carcere romano di Rebibbia.

La storia di riscatto sociale di Benneth è stata raccontata dal Garante regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni. Nato nel 1969 a Port Harcourt, in Nigeria, Benneth ha frequentato le scuole primarie e quelle secondarie nella città di Aba. Nel 1990 si è laureato in Chimica all’università di Port Harcourt: due anni dopo è arrivato in Italia. Nel 1994 è stato arrestato per una brutta storia di droga. In carcere, nonostante le difficoltà, si è diplomato in Informatica, è divenuto attore della compagnia "Liberi Artisti Associati", e si è iscritto alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Tor Vergata, corso di laurea ingegneria on-line. Adesso finalmente il coronamento di una vita di sacrifici. "Benneth è da sempre un nostro amico, ed è un esempio per tutti coloro che sono in carcere", ha detto Marroni.

Spoleto: teatro-carcere; quando la cultura unisce e libera

 

Spoleto on-line, 6 giugno 2007

 

Come ogni anno, a conclusione delle attività scolastiche svolte, la scuola Media Pianciani Manzoni e il Ctp di Spoleto ha proposto una piccola performance, resa possibile grazie all’impegno e il lavoro degli studenti.

Quella che si è tenuta oggi all’interno della casa di reclusione, è stata particolarmente sentita e non priva di sensazioni. Sul palco sono saliti i ragazzi della scuola media Pianciani Manzoni e i detenuti, dimostrando, tutti, una forte ed evidente emozione. Non sono mancati applausi di apprezzamento e di incoraggiamento durante la lettura di racconti, di poesie e di canti. A conclusione dello spettacolo sono intervenuti il sindaco di Spoleto Massimo Brunini, l’assessore all’istruzione Patrizia Cristofori, la preside della scuola media la dott.ssa Battistina Vaggiu e il direttore del carcere Ernesto Padovani. Quello che è scaturito dagli interventi, è stata un’analisi di come la cultura attraverso la scuola, possa essere un momento di unione di integrazione sociale e di liberazione.

 

Le insegnanti del Ctp di Spoleto

Potenza: progetto "Asis", convegno sul reinserimento

 

Ansa, 6 giugno 2007

 

Sviluppare una rete di collaborazione tra i diversi operatori presenti sul territorio (amministrazione penitenziaria, enti locali e associazioni) per affrontare e risolvere il problema del reinserimento sociale dei detenuti, e organizzare percorsi di lavoro e formazione.

Sono questi gli obiettivi principali del progetto Asis (Azione di sistema per l’inclusione sociale dei soggetti in esecuzione penale), cofinanziato dal Fondo sociale europeo (Fse), che si svilupperà in sei regioni: Basilicata, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna. Le caratteristiche del progetto sono state illustrate stamani, a Potenza, durante un convegno a cui hanno partecipato i rappresentanti delle istituzioni lucane, dell’amministrazione penitenziaria e delle associazioni che operano in ambito sociale.

Una delle finalità principali del progetto è la creazione dei tavoli permanenti di concertazione tra istituzioni (Regione e enti locali), prefetture, mondo imprenditoriale e organizzazioni del Terzo settore. "Asis" si svilupperà nell’arco di un anno, durante il quale saranno organizzati otto workshop regionali, 21 corsi di formazione (10 giornate di sette ore ciascuna), un convegno conclusivo (a dicembre del 2007) per illustrare i risultati del progetto, e un sito internet.

Tutte le iniziative saranno coordinate da un comitato tecnico scientifico (composto dai Provveditori regionali delle Regioni dell’obiettivo uno) e da un gruppo di gestione a livello territoriale: "Il progetto - ha spiegato il provveditore reggente del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria (Prap) della Basilicata, Antonietta D’Addetta - coordinerà lo sviluppo delle diverse azioni a favore degli ex detenuti che, anche dopo l’indulto, saranno reinseriti nel tessuto sociale, consolidando le intese con il territorio".

D’Addetta ha poi ricordato il progetto di telelavoro "Dentro e fuori", al quale hanno partecipato un gruppo di ex detenute, assunte con un regolare contratto di lavoro. Quello del reinserimento sociale è un "tema delicato e complesso - ha detto il prefetto di Potenza, Luciano Mauriello - per realizzare un obiettivo fondamentale senza alcun danno per l’interesse sociale".

Un argomento spesso considerato "sgradevole dalla società", ha aggiunto il presidente del Tribunale di sorveglianza di Potenza, Ottavio Amodio, "ma il carcere rimane un pezzo della società e i detenuti devono tornare a vivere come tutti gli altri, in un mondo che deve essere solidale". Per questo motivo è importante il rapporto con il territorio e i comuni, parte integrante di "Asis", un’opportunità "di sviluppo per tutti - ha sottolineato il sindaco del capoluogo lucano, Vito Santarsiero - senza il quale si rimarrebbe in una posizione di debolezza".

I tavoli di concertazione sono un’esperienza già avviata in Basilicata, per cui questa iniziativa "ci servirà a rafforzare un percorso già esistente", secondo uno degli assistenti sociali del Prap lucano, Giuseppe Palo, che ha ricordato una delle iniziative, i "Percorsi di integrazione socio-lavorativa dei soggetti beneficiari dell’indulto", alla quale hanno partecipato 42 persone che hanno lavorato per quattro mesi in alcuni comuni della Basilicata.

Augusta: detenuto e insegnante di "arte pittorica" al liceo

 

La Sicilia, 6 giugno 2007

 

Per lasciare il segno tra i banchi di scuola occorre insegnare con il cuore. Come accadrà domani, e per una settimana, al liceo scientifico statale "Elio Vittorini" di Lentini, quando salirà in cattedra Stefan Andrasek: detenuto della casa di reclusione di Augusta.

Stefan Andrasek è stato autorizzato dalla direzione della casa di reclusione di Brucoli di appendere al chiodo i panni del detenuto e di indossare quelli dell’insegnante. La sua materia sarà la "Decorazione pittorica"; l’arte di abbellire con la fantasia manufatti et similia, che Stefan ha imparato tra le mura del carcere.

Per Stefan Andrasek, quindi, da questa mattina, inizierà una nuova emozionante esperienza. Un’esperienza che coinvolgerà i ragazzi dell’istituto lentinese e lo stesso Andrasek, inserita nell’ambito di un progetto di presentato dallo stesso istituto scolastico dal titolo "Acqua, terra e fuoco: laboratorio di decorazione su ceramica".

"Rendere sempre più pregnanti e significativi i contatti e i rapporti tra il carcere e la società libera - afferma il direttore della casa di reclusione megarese, Antonio Gelardi - e, nello specifico, con il mondo della scuola, è una volontà che intendiamo perseguire. Per questo abbiamo anche sottoscritto una lettera di collaborazione con il liceo scientifico di Lentini, e il contenuto attiene alla partecipazione dei detenuti a corsi e altre iniziative che coinvolgano queste due realtà".

Tra le attività in programma, volte anche al recupero dei soggetti svantaggiati, interventi degli operatori penitenziari rivolti agli allievi di Lentini, e incontri dibattito tra questi ultimi e i detenuti frequentanti corsi scolastici all’interno dell’istituto penitenziario che saranno riproposti anche il prossimo anno. Ancora nuove lezioni quindi. Soprattutto di vita.

Minori: il bullismo è un fenomeno delle società ricche

 

Redattore Sociale, 6 giugno 2007

 

"Il bullismo nasce nel nord Europa, da famiglie benestanti. E non vi sono collegamenti con il disagio sociale: è un problema della società del benessere, non viene dalla povertà". L’analisi di De Lorenzo al convegno dell’Anpe.

"Questo è stato un annus horribilis per la scuola". Si è aperto così il convegno di Torino sul bullismo, organizzato dall’Anpe, Associazione nazionale dei pedagogisti italiani.

Francesco De Sanctis, direttore dell’ufficio scolastico regionale Piemonte Mpi, ha aggiunto: "Ci sono due realtà: quella dei media e quella del lavoro quotidiano, dove i docenti si confrontano con problemi di educazione, ma anche di disagio"

Il convegno ha ospitato diversi interventi di educatori e pedagogisti, e si è affrontato con intenti comuni il fenomeno bullismo, visto come realtà che esiste nel sistema scolastico, ma che è stato anche molto amplificato dai media. "Il bullismo - ha concluso De Sanctis - è l’espressione di una società sempre più violenta, che dà messaggi ‘devastanti’ attraverso i mezzi di comunicazione, i videogiochi, i media".

Gianfranco De Lorenzo, presidente nazionale dell’Anpe, ha spiegato come i casi presentati in questi mesi dalle televisioni e dai giornali mostrino una devianza giovanile, ma di bullismo si parli impropriamente.

"Storicamente il fenomeno nasce dalle classi benestanti, in paesi ‘civilissimi’ come la Svezia e la Norvegia. Inoltre non esisterebbe un collegamento fra il bullismo e un vissuto e condizioni familiari disagiate". "È un fenomeno - ha continuato De Lorenzo - che nasce da una società nuova, da un modello educativo non più autoritario, ma più relazionale, e anche più difficile, perché non dà più punti di riferimento". "L’incertezza è diventata un indicatore fondamentale, che non riusciamo a gestire. I ragazzi sono cresciuti con questo modello flessibile, molto dinamico, ma con dei limiti. Compito dell’educazione è gestire questa incertezza, insieme alla famiglia".

Tra gli altri relatori Maria Paola Tripoli, ispettrice scolastica e referente per il Piemonte dell’Osservatorio regionale, che per combattere il disagio giovanile ha proposto il ritorno ai metodi educativi convenzionali, all’"ovvio". Scuola e famiglia tornino a condividere le responsabilità verso i ragazzi: "Basta famiglia e scuola contrapposte. Gli obiettivi devono essere condivisi. I docenti devono educare, essere un riferimento, e la famiglia il luogo delle relazioni, dove si parla, si comunica, ci si confronta".

Tiziana Pastore con "Impariamo ad arrabbiarci" ha invece voluto "mettersi dalla parte" del bullo, grazie allo studio delle emozioni, e ai processi neurologici che avvengono all’interno del cervello durante lo sfogo di sentimenti "negativi", come la rabbia, la paura. "L’intervento educativo - ha spiegato - deve favorire la comprensione degli stati emotivi. Quando un ragazzo manifesta disagio tramite comportamenti aggressivi, l’ambiente educativo deve sapere leggere questi comportamenti, interpretarli, perché sono la traccia della sua esistenza, quello su cui il ragazzo fonda l’idea di sé e dell’altro."

Droghe: "Cittadinanzattiva"; Ser.T. fatiscenti e poco sicuri

 

Notiziario Aduc, 6 giugno 2007

 

Fatiscenti, insicuri, con materiale abbandonato, ragnatele, fili elettrici scoperti, e poca o nessuna segnaletica. È l’immagine desolante dei Sert, i centri pubblici di trattamento delle tossicodipendenze, fotografata da un’indagine di Cittadinanzattiva che è stata presentata oggi a Roma. I 63 Sert monitorati (sulle 550 strutture attive in Italia, che curano 180.000 tossicodipendenti) hanno presentato gravi carenze strutturali: fatiscenza delle pareti (34,9%), rifiuti o altro materiale abbandonato (14,3%), soffitti e muri coperti di ragnatele (12,7%). Nel 42,9% sono assenti la segnaletica per le vie di fuga, e sono stati osservati fili elettrici scoperti (11,1%) e quadri di comando non chiusi a chiave (69,8%).

Scarsa anche l’attenzione agli utenti: niente opuscoli informativi (63,5%), né tantomeno reperibilità h24 per i casi più urgenti (96,3%). E il 96,3% degli intervistati rivela che il personale della dirigenza sanitaria non riceve un’indennità di rischio biologico. Dall’indagine appare con chiarezza anche lo scarso coinvolgimento dei medici di medicina generale: secondo i 302 professionisti interpellati, è difficile occuparsi dei tossicodipendenti a causa del poco tempo a disposizione (62,6%) e della difficoltà di collaborazione con le strutture specialistiche (50,3%).

Per accrescere la motivazione dei medici servirebbero incentivi, anche economici (50%). "Ci lamentiamo degli ospedali - ha sottolineato Teresa Petrangolini, segretario generale di Cittadinanzattiva - ma i Sert sono molto peggio. Proponiamo una maggiore flessibilità nell’orario di servizio, locali più idonei, e soprattutto un coinvolgimento dei medici generalisti, come in un progetto pilota varato a Pescara che sta dando ottimi risultati".

È vitale l’intervento del medico di famiglia nel trattamento delle tossicodipendenze anche per Claudio Leonardi, presidente della Federserd Lazio. Una presenza per cui Giacomo Milillo, segretario della Fimmg, non ha nascosto le difficoltà: "Anzitutto per l’età in cui nasce il problema, quando il medico è percepito ancora come medico di fiducia dei genitori, il che non facilita i rapporti.

A tutt’oggi inoltre il medico non è in rete con i servizi sociali, e inevitabilmente delega al Sert. Il disagio giovanile non può essere affrontato solo in termini di terapia, ma anche di prevenzione. Per questo occorre un coordinamento tra i professionisti sul campo, una task force per il problema disagio che stabilisca linee guida orientate alla diagnosi precoce. Il ministro Turco si è detto interessato è uno degli argomenti su cui dedicherà la sua attenzione subito dopo la legge di ammodernamento della sanità pubblica".

Serve un’azione di "ammodernamento e rivisitazione dei Sert". Dorina Bianchi, deputata della Margherita e vicepresidente della commissione Affari sociali della Camera, si dice d’accordo con l’appello che viene di Cittadinanzattiva - Tribunale per il malato, che oggi a Roma ha presentato un’indagine sui Servizi tossicodipendenza italiani, risultati fatiscenti e poco sicuri. Bianchi ribadisce anche la necessità di una "rete di specialisti, che vada dai medici di base ai medici ospedalieri, e che affronti in maniera sistematica il problema delle droghe". Dunque ben venga non solo "il dialogo con il medico di base, ma anche con il pediatra e con la figura emergente dell’adolescentologo, soggetti in grado di instaurare un rapporto di fiducia col paziente sul tema delle tossicodipendenze", chiude la deputata dl.

I ritardi della regione in materia di lotta alle tossicodipendenze rischiano di provocare la chiusura di servizi essenziali. L’allarme viene lanciato dal capogruppo dei Verdi in consiglio regionale Lazio, Enrico Fontana.

"La Regione aveva assunto un preciso impegno lo scorso novembre approvando la mozione sulle tossicodipendenze: garantire a chi opera in questo settore certezza sui pagamenti, sia per quanto riguarda i progetti di inserimento lavorativo sia per le attività svolte dalle comunità terapeutiche. Sono passati sei mesi e la situazione è ancora drammatica.

Basta un esempio. La provincia di Roma a febbraio ha firmato la convenzione con organismi no profit per i progetti di inserimento lavorativo e quelli di peer education, garantendo il pagamento immediato del 70% degli importi previsti. Ma le risorse che dovevano essere trasferite dalla Regione Lazio pari ad oltre 1,2 milioni di euro sono ancora ferme, mettendo a rischio il lavoro di chi è impegnato in questo difficile settore".

"Sono consapevole delle difficoltà di carattere finanziario che sta affrontando la Regione, ma rivolgo un forte appello al presidente Marrazzo e agli assessorati competenti perché questa situazione sia sbloccata. La lotta alle tossicodipendenze ha bisogno di certezze nell’attribuzione delle risorse e di continuità negli interventi. Il rischio, altrimenti, è che esperienze di valore siano costrette a chiudere, azzerando di fatto servizi essenziali per le politiche di prevenzione".

Francia: magistrato minorile pugnalato durante l’udienza

 

Ansa, 6 giugno 2007

 

Un magistrato francese è stato pugnalato questa mattina durante un’udienza del "Tribunal de grande istance", il tribunale civile di primo grado di Metz: ferito al ventre, Jacques Noris è stato trasportato all’ospedale Bon-Secours e le sue condizioni sarebbero gravi.

Secondo le prime ricostruzioni il 60enne Noris, vicepresidente del Tribunale dei minori, è stato pugnalato nel suo ufficio da una donna che è stata immediatamente arrestata: all’origine dell’aggressione, la decisione del giudice di affidare il figlio della donna ai servizi sociali. Sulla vicenda si è espresso anche il presidente Nicolas Sarkozy, che ha definito l’accaduto "un atto inqualificabile" e ha ordinato al ministro della Difesa Rachida dati di recarsi immediatamente a Metz per verificare le condizioni di sicurezza nei tribunali e presentare delle proposte per il loro rafforzamento. Il ministro degli Interni Michele Alliot-Marie da parte sua ha dichiarato che "la sicurezza dei tribunali è una priorità che deve essere oggetto di risposte pragmatiche e flessibili, che privilegino in particolare lo sviluppo dei mezzi di controllo, di sorveglianza e prevenzione".

 

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