Rassegna stampa 4 gennaio

 

Giustizia: nell’Opg di Aversa internati "senza vera assistenza"

 

Vita, 4 gennaio 2007

 

Una delegazione guidata dal deputato indipendente del Prc Francesco Caruso e composta da Roberta Moscarelli, del Forum Salute Mentale e da Dario Stefano Dell’Aquila, presidente dell’associazione Antigone Napoli, si è recata oggi in visita all’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. La delegazione ha vistato due sezioni (5 e 6) ed il reparto detto la Staccata.

Nella struttura sono presenti attualmente circa 300 internati, custoditi da circa 100 agenti di polizia penitenziaria e con un solo educatore e 7 psichiatri a contratto. "Siamo molto preoccupati delle condizioni in cui versano gli internati - ha dichiarato Caruso all’uscita - Nella sezione Staccata abbiamo incontrato circa cinquanta persone, in condizioni di estremo degrado fisico e psicologico, celle completamente vuote e disadorne, prive di ogni suppellettile.

Gli internati, tutti vestiti miseramente e dall’aspetto trasandato, dimostrano molti più anni di quelli che hanno, e sono visibilmente provati da anni di assenza di una reale assistenza medica e sociale. La struttura - ha concluso Caruso - non ha nessun requisito che si chiederebbe ad un ospedale ed è molto peggio di un carcere, richiama alla memoria i manicomi chiusi dalla legge Basaglia".

Verona: l'indulto ha liberato 626 persone, 1.300 le richieste

 

L’Arena di Verona, 4 gennaio 2007

 

Un capitolo a parte è dedicato, e non potrebbe essere altrimenti, all’indulto. O meglio anche e soprattutto agli effetti provocati dallo "sconto" di tre anni di reclusione e di 10mila euro di multa da applicare ai reati commessi fino al 2 maggio.

E anche se la legge è entrata in vigore il giorno successivo a quello dell’ultimo periodo interessato dalla relazione la nota del procuratore Papalia rappresenta, come sottolinea lui stesso, "un atto opportuno" per ricordare l’impegno e lo sforzo organizzativo. Già, perché comunque i processi devono essere celebrati in ogni caso. Perché lo sconto non influisce sul reato, che rimane, ma solamente sull’entità della pena, o meglio sulla quantità di pena eventualmente da scontare.

Sono state 626 le persone condannate che sono state scarcerate nell’immediatezza dell’entrata in vigore della legge 241 del 31 luglio 2006. Di questi più della metà, cioè 396 si trovavano in carcere, 91 erano agli arresti domiciliari, 19 godevano di un regime di semilibertà, 105 affidati al servizio sociale e infine 13 usufruivano dell’indultino.

Sono 1300 fino ad oggi le richieste di provvedimenti di applicazione di condono pervenute al giudice dell’esecuzione. E non è escluso che l’indulto impegnerà l’ufficio anche in futuro per quel che riguarda i procedimenti di esecuzione sia per quanto riguarda gli altri che si trovano ancora in fase di indagine.

Di questi una percentuale altissima che oscilla tra l’85 e il 90 per cento riguarda fatti avvenuti prima del 2 maggio 2006 e quindi una volta accertata la responsabilità penale sarà applicabile lo "sconto" che renderà del tutto ineseguibile la pena.

Ma tutti i procedimenti dovranno essere portati a termine e, si sottolinea nella relazione, sarà per questo necessario un impiego di mezzi e risorse umane ed economiche volte esclusivamente a un processo definibile, anche se magari impropriamente, virtuale e vale per i reati contravvenzionali e quelli che non hanno danneggiato terze persone.

Ma lo sconto agisce su tutti indistintamente e forse è Marco Rancani, complice di Nadia Frigerio nel delitto di Cancello in cui morì Eleonora Perfranceschi, il detenuto "eccellente" che tra i primi ne ha usufruito. E il 9 agosto è uscito dal carcere di Perugia un anno e mezzo prima della scadenza. Dopo più di undici anni trascorsi dietro le sbarre.

Lecce: diventa rapinatore per curare il figlio, il Gip lo scarcera

 

La Repubblica, 4 gennaio 2007

 

Tornerà a casa il giovane disoccupato che ha rapinato quattro negozianti per comprare le medicine al figlio malato di cuore; il giudice di Lecce gli ha concesso gli arresti domiciliari. È finita dopo tre giorni l’esperienza carceraria di un ventinovenne disoccupato di Monteroni di Lecce arrestato a Capodanno con l’accusa di aver compiuto quattro rapine in pochi giorni per garantire le cure mediche al bimbo di sette anni. Oggi l’ultimo interrogatorio davanti al gip.

"Ho rubato perché avevo bisogno", ha ammesso il giovane. "L’ho fatto perché né io né mia moglie abbiamo soldi per garantire le cure a mio figlio che è malato". Si era costituito spontaneamente quando aveva saputo di essere ricercato. I carabinieri avevano prove per imputargli solo una rapina, quella della sera di San Silvestro. Lui ha ammesso anche le tre precedenti, quelle che in paese erano stato compiute nei cinque giorni prima.

Non l’ha nascosto, seppur sapeva che avrebbe definitivamente affossato la sua posizione davanti al giudice. Ma ha confessato perché sapeva che ad impugnar la pistola era stato "costretto": "Non ho più un lavoro e la casa di Monteroni in cui vivo con mia moglie e i due ragazzini di 7 e 2 anni mi è stata pignorata dieci giorni fa". "Il mio cliente è incensurato - ha aggiunto l’avvocato difensore - e le modalità con cui sono state compiute le rapine dimostrano la sua scarsa propensione al crimine. Compiere un reato con il volto scoperto e con una pistola scacciacani, è il comportamento tipico di una persona non abituata a delinquere, che non intende provocare danni alle persone".

Il caso del ventinovenne rapinatore per necessità, ha commosso la città e la macchina della solidarietà si è messa già in moto: molti salentini hanno inviato allo studio legale che difende il disoccupato, donazioni in denaro per aiutare la famiglia dell’arrestato.

Rebibbia: lezioni via webcam, l’università entra in carcere

 

L’Espresso, 4 gennaio 2007

 

Lezioni di Lettere, Economia e Giurisprudenza, svolte da docenti dell’università di Tor Vergata, arriveranno in diretta, via webcam, nel carcere di Rebibbia dove i trentasei detenuti della sezione universitaria potranno seguire gli insegnamenti e laurearsi, assistendo, come gli altri studenti, alle spiegazioni sugli esami da sostenere. Non solo. Gli universitari detenuti potranno parlare una volta a settimana dall’aula attrezzata di Rebibbia con i docenti che si collegheranno con loro da una saletta predisposta all’interno del secondo ateneo e adibita al tutoraggio degli allievi.

Il progetto è già tutto nero su bianco in un protocollo d’intesa firmato dal Garante per i detenuti della Regione Angiolo Marroni, dal rettore di Tor Vergata Finazzi Agrò, dal direttore del carcere romano Carmelo Cantone, dal commissario straordinario di Laziodisu Ornella Guglielmino ed infine da un rappresentante della Fastweb, che ha messo a disposizione la tecnologia necessaria per l’insegnamento a distanza. Il costo del progetto è di 300 mila euro e prevede anche l’acquisto di libri e altri strumenti utili allo studio. "Il piano" spiega Angelo Marroni "ha l’obiettivo di creare un’offerta formativa vera. Lo studio deve diventare uno degli strumenti fondamentali per il reinserimento sociale".

Così i detenuti avranno la possibilità di iscriversi presso l’università di Tor Vergata e di frequentare a distanza i corsi di laurea delle tre facoltà. Da un punto di vista operativo, nell’ateneo verrà organizzato un completo centro servizi composto da un sistema in grado di riprendere con la massima flessibilità le lezioni e da apposite aule multimediali dalle quali il professore sarà in grado di comunicare con gli studenti. Nella casa circondariale di Rebibbia invece verrà realizzata un’apposita aula adeguatamente attrezzata anche per colloqui in videoconferenza con i professori.

"È una tecnologia" conclude il direttore del carcere Cantone "che non mette in discussione le esigenze di sicurezza dell’istituto di pena e offre possibilità formative senza che i professori debbano venire direttamente a Rebibbia. Ed è importante anche l’attività di tutoraggio degli studenti, che consente ai detenuti di avere interlocutori qualificati".

Benevento: due appuntamenti in carcere, ci sarà anche Mastella

 

Comunicato stampa, 4 gennaio 2007

 

La direzione della Casa Circondariale di Benevento ha comunicato che nei prossimi giorni sono in programma due appuntamenti: domenica 7 gennaio ci sarà il Concerto di Natale, organizzato dal Coro Santa Cecilia della Cattedrale di Benevento, diretto da don Lupo Ciaglia.

Previsti canti natalizi e inoltre un cospicuo repertorio di canzoni della tradizione napoletana: vi parteciperanno tutti i detenuti della Casa Circondariale, separati in base al circuito di appartenenza e vigilati da personale di polizia penitenziaria.

Sabato 13 gennaio, poi, l’Incontro con la Croce Rossa organizzato dalla Croce Rossa Italiana di Benevento a conclusione del progetto "Cineforum", Comitato Nazionale Femminile di Benevento. Si tratta di un incontro con le detenute e le loro famiglie. Vi parteciperanno rappresentanti ed operatori della Croce Rossa: sarà offerto un pranzo alle famiglie delle detenute in collaborazione con la Direzione dell’IPSAR (Istituto per i servizi alberghieri e della ristorazione) di Benevento. È prevista anche la presenza Ministro della Giustizia Clemente Mastella.

Padova: "sportello" per vittime di reati, oltre cento interventi

 

Il Gazzettino, 4 gennaio 2007

 

L’associazione Andromeda Veneto, presieduta da Luana Luis, fa il bilancio di un anno di attività a sostegno delle vittime di reati e dei loro familiari. "Oltre cento gli interventi effettuati - ha spiegato ieri a Palazzo Moroni la presidente della Onlus con sede in via Bertacchi, a Padova - Nello staff ci sono attualmente due psicologhe, quattro volontari e un avvocato che, di volta in volta, si mettono a disposizione per dare una mano nelle situazioni più diverse: dalla paura di essere di nuovo aggrediti, alla necessità di sbrigare pratiche burocratiche, proprio in momenti nei quali si vorrebbe solo essere lasciati tranquilli".

"In alcuni casi, ma sono una minoranza, sono le stesse vittime di reati che si rivolgono a noi. Per la maggior parte degli interventi è l’associazione che si muove in autonomia, sulla base dei fatti di cronaca. Contatta le persone e mette a disposizione le proprie risorse umane e professionali. Su tutti vale la pena di ricordarne due. Quello di una donna alla quale è stato ucciso il marito: la signora grazie al nostro avvocato ha risolto le pratiche burocratiche relative ai figli minori.

Oppure quello nel quale l’associazione, grazie ad informazioni dettagliate e precise ha contribuito a sventare una truffa ai danni di un cittadino di Monselice al quale alcuni nomadi hanno cercato di estorcere danaro con un falso accordo di compravendita immobiliare". Ci sono poi "i molti gesti di solidarietà, a volte anche una telefonata aiuta a non sentirsi soli".

Droghe: 28% italiani favorevole a liberalizzazione cannabis

 

Adnkronos, 4 gennaio 2007

 

Il 28% degli italiani è favorevole alla liberalizzazione del consumo personale di cannabis in Europa. È quanto rivela "Eurobarometro", in base ad un sondaggio compiuto nei Venticinque tra settembre e ottobre scorsi. Quanto all’insieme dei cittadini Ue, si legge ancora nel rapporto diffuso a Bruxelles, solo il 26% di essi pensa che il consumo personale di cannabis debba essere legalizzato nei Venticinque, mentre il 68% è contrario. Ad opporsi alla legalizzazione, si sottolinea nel rapporto, sono anche i giovani europei: ha detto "no" il 57% tra coloro hanno un’età compresa tra i 15 e i 24 anni. Le opinioni dei cittadini Ue divergono tuttavia in modo sostanziale a seconda delle latitudini degli intervistati. In Finlandia, ad esempio, solo l’8% della popolazione è per la legalizzazione mentre in Olanda, dove il consumo personale è già permesso, circa metà della popolazione, il 48%, pensa che la cannabis dovrebbe poter essere fumata liberamente nell’insieme del "Vecchio Continente".

Droghe: da Udine parte un’iniziativa anti-proibizionista

 

Il Gazzettino, 4 gennaio 2007

 

Articolo 1: l’Unione rispetti il programma. Così si intitola l’editoriale di Fuori Luogo, il mensile del Forum droghe distribuito nei giorni scorsi assieme al quotidiano Il Manifesto. E questo è in estrema sintesi l’obiettivo dell’iniziativa presentata ieri a Udine dal presidente del Forum Franco Corleone, già consigliere provinciale della Colomba, e dal consigliere comunale diessino Alessandro Oria.

"Il 23 gennaio a Roma - ha spiegato Corleone - chiederemo che venga messa in calendario alla Camera la proposta di legge che rivede radicalmente la legge Fini-Giovanardi ed è firmata da numerosi parlamentari dell’Unione. In questi giorni chiederemo un incontro all’assessore regionale alla sanità Ezio Beltrame per invitare la giunta di centrosinistra a presentare una propria proposta di legge sul modello di quella parlamentare, in modo da rendere evidente la richiesta di cambiamento".

L’Unione, come ha ricordato Oria citando una dichiarazione di Rosi Bindi durante la campagna elettorale, si era infatti ripromessa di mandare in pensione al più presto la Fini-Giovanardi che ha inasprito le pene per i consumatori di sostanze stupefacenti "senza distinguere tra droghe leggere e pesanti". Ma finora non è successo nulla. La proposta di legge dell’Unione prevede la depenalizzazione completa del consumo di tutte le sostanze, alternative al carcere per i tossicodipendenti (che rappresentano, ha ricordato Corleone, la stragrande maggioranza dei detenuti anche nelle carceri friulane), politiche di riduzione del danno come in altri Paesi europei (distribuzione di siringhe, stanze per il consumo in condizioni di sicurezza, controlli delle sostanze utilizzate nei rave), studio della canapa terapeutica.

Droghe: Lapo Elkan; ho sbagliato e pagato, ora voglio rivivere

 

La Repubblica, 4 gennaio 2007

 

"Quando mi sono svegliato dal coma non ricordavo nulla. Nessuno mi diceva niente, cercavano di proteggermi. Alle finestre c’erano delle tende nere, per bloccare le telecamere, e non mi facevano vedere tv o giornali. Poi mi hanno portato in Arizona, in una clinica dove non si poteva accedere nemmeno a internet, ma io volevo sapere. Un pomeriggio ho trovato la porta di un ufficio aperta, sono corso al computer, ho digitato il mio nome su Google e ho scoperto tutto".

Lapo Elkann parla piano. Fa fatica a ricordare quei giorni in cui, navigando in rete, fu costretto a fare i conti con l’overdose che lo mandò in coma, e con i commenti acidi di quelli che gli erano stati amici: "È stato durissimo: ero distrutto. È in quel momento che ho provato un immenso dispiacere, soprattutto per chi mi vuole bene".

"Quando sono riuscito a tornare davanti a Google una seconda volta ho provato rabbia, e il fastidio di scoprire finzione e tradimento: lì mi venne voglia di vendicarmi di chi pasteggiava della mia storia e di me. Ero stato sbattuto in prima pagina e vedevo che c’era chi ricamava. Tutti bravi ad essere amici quando sei in auge".

Era una sensazione che aveva già provato a Torino. Lapo si siede sul tavolo della sua casa americana, incrocia le gambe, si passa le mani tra i capelli e ricomincia a raccontare: "Ho avuto momenti durissimi, il primo è stato in ospedale quando mi sono svegliato e ho visto che molti non c’erano, non erano vicini a me. Gran parte della gente che mi frequentava era scomparsa. È stato terribile ma mi ha permesso di scoprire in un attimo quali erano le amicizie finte, di comodo, di fare piazza pulita".

"Quando mi sono svegliato dal coma pensavo di essere in ufficio. Ho aperto gli occhi e ho chiesto: "Dov’è la Fanta?", ne tenevo una bottiglia sempre sul tavolo. Nessuno ha risposto. Mi sono guardato intorno, prima ho visto un’infermiera, poi ho girato la testa a destra: c’era un ragazzo nel letto accanto. Solo allora ho capito dov’ero. Poco dopo quel ragazzo, che aveva la mia stessa età, sarebbe morto. Io invece sono stato graziato da Dio. Sono ancora vivo e questa è una seconda vita".

Lapo Elkann è rinato nella città dove è nato: New York. Qui vive in un piccolo loft pieno di luce e di minuscole palme tra Chinatown e quel poco che resta di Little Italy. Qui si è ricostruito con sofferenza, inventandosi una nuova vita che accetta di raccontare, dopo aver sottolineato perché ha scelto l’America: "È un Paese in cui è concesso sbagliare, c’è sempre una seconda chance".

Lo sbaglio è noto, il luogo anche. Una storia di successo crollata d’improvviso la notte del 10 ottobre 2005 a Torino, quando Lapo Elkann finisce in coma all’ospedale Mauriziano di Torino dopo una notte brava. "L’ho ammesso subito: è tutta colpa mia. Quando ho visto il casino che avevo combinato mi sono sentito ancora peggio, ero disperato e distrutto, mi sentivo in un tunnel nero, non c’era luce, non c’era speranza".

Mentre racconta si vede che fa ancora una fatica mostruosa a parlarne, adesso che si sente fuori dal buio è forse ancora più evidente cosa siano stati quei mesi "di angosce, umiliazione e, - non si vergogna a dirlo - depressione". Prova a cambiare argomento, a volare all’oggi, ai "nuovi progetti entusiasmanti", poi torna indietro: "Ho sbagliato e non me lo nascondo: riconosco i miei errori e penso di averli pagati, anche a caro prezzo. L’errore si chiama cocaina.

Nella vita si fanno sbagli o si prendono cose per colmare vuoti che si hanno dentro, ognuno lo fa come meglio o peggio crede. Dopo l’importante è capire perché si è arrivati fino a quel punto. Interrogarsi e guardare avanti. Anche se".

E qui si ferma, tentenna, non vorrebbe riaprire polemiche, ma aggiunge: "Alcune cose non mi tornano: io facevo uso di cocaina ma quella notte era stata mescolata con un’altra sostanza, l’eroina, che io non avevo mai preso. Non sto facendo distinzioni, non ci sono droghe buone e droghe cattive, sto solo riflettendo sul fatto che l’eroina stava per uccidermi e non avevo deciso io di prenderla".

Dalla clinica in Arizona si trasferisce a New York, dove resta chiuso in casa per un mese, al 73esimo piano di un grattacielo nel West Side. "Guardavo la città e le sue luci dall’alto, da lontano. Ero tristissimo, ascoltavo molta musica e mettevo tutto in discussione. Devo ricominciare da zero, da dove parto? Cosa desidero? Ma soprattutto mi chiedevo: chi è Lapo Elkann?

Poi ho tolto Elkann e mi sono detto: chi è Lapo, che sogni ha? Ho dovuto imparare a contenere molto la mia istintività per concentrarmi, per non preoccuparmi dell’apparenza ma per ritrovare il talento". A tirarlo fuori di casa, a riportarlo tra la gente, ci pensa un vecchio amico di suo nonno, Henry Kissinger. Lapo gli aveva fatto da assistente per un anno, dopo l’11 settembre, e tra i due si era costruito un rapporto consolidato.

"Quella mattina mi sono dovuto fare forza per uscire. Ho messo un abito e la cravatta. Mi ha portato a pranzo nel suo club, il Brook sulla 54esima strada e Park Avenue, un luogo molto formale. Quando sono entrato mi sentivo a disagio, avevo l’idea che tutti mi stessero guardando. Lui lo ha capito. Ci siamo seduti e mi ha detto: "Vedi Lapo, tutti sbagliano, l’importante è risalire sul cavallo e andare. Dopo una caduta ci può essere una grande risalita ma sta a te saper scalare".

"Sono uscito e respiravo, ho deciso di ricominciare a vivere. Mi sono messo a telefonare a persone che avevo sempre sognato conoscere e sono andato a trovarle. I migliori creativi del mondo: da Kevin Roberts di Saatchi & Saatchi, a Tom Ford, l’uomo che reinventò Gucci. Parlando con loro ho ripreso energia, ho ritrovato passione, ho capito che la mia strada passava di lì. Ho seguito dei corsi alla Parsons School of Design e ho lavorato per la Coca Cola".

Poi ha deciso di fare una cosa completamente sua, di investire tutto su un progetto personale, "non ci sono dentro soldi di famiglia, non c’è la Fiat o l’Ifil, ci sono solo io: metto alla prova il mio talento". Comincerà producendo due paia di occhiali, uno in carbonio. Li presenterà a Firenze la sera del 9 gennaio, poi a Parigi.

Nella capitale francese ha studiato e si è fatto il primo dei molti tatuaggi che coprono le sue braccia: è in caratteri cinesi e c’è scritto "Non arrendersi mai". "Oggi mi è facile pensarlo, ma nei primi mesi ci sono stati momenti pieni di sconforto, di rabbia, in cui non avevo speranza".

Uscito dalla clinica ne ha aggiunti due sul braccio sinistro, entrambi in ideogrammi giapponesi: il primo significa "Vivo", l’altro "Guardare sempre avanti". Il suo marchio si chiama "I-I". Che sta per Italia Independent, ma in inglese suona come "eye-eye", occhio, occhio, "per dare il senso di quello a cui penso: bisogna avere visione, guardare avanti, appunto".

"Perché Italia? Perché la amo, a me piace molto la bandiera, non è né di destra, né di sinistra, in America la usano tutti". Il tricolore gli piace talmente tanto che lo ha dipinto su un muro della casa e se l’è tatuato su un avambraccio. Nei primi tre anni dopo gli occhiali ci sarà un orologio, dei gioielli, poi una bicicletta, degli skateboard e oggetti per viaggiatori.

Punta soprattutto su materiali innovativi. È innamorato del carbonio, grezzo, nero con i riflessi grigi, quello con cui è fatto lo Stealth, la barca a vela che era di Gianni Agnelli, che oggi è ormeggiata a Genova. Era lì che voleva arrivare, al suo più bel ricordo con il nonno, la vittoria della leggendaria regata del Fastnet, il 15 agosto del 2001, a Plymouth.

"Un momento di condivisione di passione pura. Io ho fatto la regata e all’arrivo lui era gasatissimo, quasi infantile, pazzo di gioia, orgoglioso per noi e per la barca". Dell’Avvocato parla con complicità: "Ero un uomo appassionato e amava molto questa città.

Avevamo un rapporto genuino e diretto: non ho mai chiesto soldi al nonno". L’Avvocato era la Fiat, e l’azienda gli manca: "Amavo il mio lavoro, amo la Fiat. Sarei tornato anche il primo giorno che sono uscito dalla clinica ma ho capito che avrei dovuto lasciar passare del tempo. I risultati sono arrivati quando io non c’ero più e, onestamente, mi è molto dispiaciuto non esserci.

L’altra grande amarezza è stata di aver mancato le Olimpiadi invernali". Sotto una delle immense finestre, insieme ad un sole su metallo di Roy Lichtenstein, c’è un casco di Valentino Rossi, lo tiene come un trofeo: "Vale è il simbolo positivo di una generazione di giovani italiani su cui bisogna scommettere. Un autentico talento, con un solo difetto: è interista".

Ecco la Juve, la vera mania di Lapo. Indossa dei pantaloni disegnati dal graffitista degli anni ‘80 Keith Haring: bianchi e neri. In un’altra parte del braccio, all’interno del polso, è riuscito a trovare un po’ di spazio per lo stemma della Juve. Se lo è tatuato il giorno della retrocessione.

Si capisce che vede due destini legati dalla necessità di risorgere: "I tifosi sono stati eccezionali nel momento della rinascita, nei tempi duri dopo la caduta". Non polemizza per la Serie B, ma è convinto che "non tutti abbiano pagato quanto era giusto: il calcio avrebbe potuto mettere davvero ordine in casa, ma non l’ha fatto". Parla ormai da tre ore, senza sosta. Si ferma, addenta una mela, si passa una mano sulle guance. Le gigantesche basette che caratterizzavano la sua immagine, quelle in stile risorgimentale che si chiamavano "favoriti", sono state tagliate cortissime: "Negli ultimi tempi ho fatto un po’ d’ordine".

Usa: compagna di un detenuto italiano chiede aiuto a Mastella

 

Affari Italiani, 4 gennaio 2007

 

Un italiano è stato condannato la scorsa primavera a 9 anni di carcere in primo grado negli Stati Uniti dove è attualmente detenuto. La sua compagna da tempo bussa con ostinazione alle porte di ministeri, associazioni e organi di informazione nella speranza che le nostre istituzioni affrontino politicamente il caso giudiziario. Katia Anedda si sta battendo con tutte le forze per tenere alta l’attenzione su Carlo Parlanti, 42enne fisico analista programmatore di origine toscana ritenuto responsabile negli Usa di sequestro di persona, maltrattamenti e violenza sessuale ai danni di una ex fidanzata americana che lo aveva denunciato nel giugno del 2002.

Arrestato nell’estate del 2004 in Germania (dove lavorava) ed estradato l’anno dopo, Parlanti ha sempre respinto le accuse, da lui ritenuto frutto di una vendetta personale della donna che aveva reagito così perché aveva scoperto di essere stata tradita.

Dapprima rinchiuso nel carcere di Ventura e da qualche mese detenuto in quello di Avenal, in California, Parlanti è in attesa del processo d’appello ma i tempi si annunciano lunghissimi.

Nel frattempo, Katia Anedda, legata a Parlanti da un rapporto di affetto e di amicizia, punta a sensibilizzare le nostre autorità, a cominciare dal ministro della Giustizia, Clemente Mastella.

"Qualche mese fa - spiega la donna - ho letto che l’Italia avrebbe affrontato con gli Usa il tema legato alla richiesta di rimpatrio di 25 nostri connazionali detenuti in America. Tra questi c’era pure Carlo. Nessuno dal dicastero, però, mi ha mai comunicato nulla di ufficiale. Il mio compagno è vittima di un caso di ingiustizia che, a quanto pare, non si vuole affrontare a livello politico. Sono spesso a Roma, ma, a parte qualche dichiarazione di solidarietà, non trovo nessuno che si adoperi in modo attivo. Quando al ministero c’era Castelli, la mia pratica era finita all’attenzione del dirigente Augusta Iannini, ma non ho mai saputo l’esito degli accertamenti".

Il fatto che il suo compagno abbia cambiato carcere, il primo rientrava nella giurisdizione di Los Angeles il secondo, invece, in quella di San Francisco, ha un po’ complicato le cose: "Con il Consolato italiano di Los Angeles ero riuscita a instaurare un buon rapporto - racconta Katia Anedda -, adesso devo ricominciare da capo. Voglio far capire che Carlo è innocente, tanto è vero che, prima che venisse emessa la sentenza, aveva rifiutato di patteggiare la pena. Se lo avesse fatto, sarebbe stato rispedito in Italia. Con l’inizio del nuovo anno, mi auguro che il mio compagno possa beneficiare in carcere di un’assistenza medica decente. Lui soffre di sciatica e piorrea e il trattamento che gli viene riservato lascia parecchio a desiderare".

 

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