Rassegna stampa 27 dicembre

 

Giustizia: domani il varo del nuovo "decreto sicurezza"

 

Il Messaggero, 27 dicembre 2007

 

Il nuovo provvedimento sulla sicurezza Giuliano Amato lo ha finora esposto verbalmente ai ministri e a chi di dovere, e la strada appare in discesa. I Ferrero, i Mussi egli altri dissidenti, che avevano puntato i piedi arrivando anche ad astenersi, questa volta sono propensi ad accendere disco verde. Per oggi è previsto, un pre-consiglio a livello dei tecnici dei dicasteri, e per la serata il nuovo decreto sarà a conoscenza diretta dei ministri, pronto per l’approvazione al Consiglio di domani. E questa volta senza dissensi o astensioni.

Ad Amato dovrebbe essere riuscito il miracolo, su un provvedimento che aveva portato governo e maggioranza se non sull’orlo della crisi, certamente su quella di nervi. Che cosa è successo, dunque? A Rifondazione e dintorni il nuovo testo, per come è stato illustrato, non dispiace. Sarebbero state recepite le direttive Ue in materia di espulsioni, è stato tenuto fermo il principio che le espulsioni vanno affidate al giudice monocratico, in sostanza la materia sui rimpatri sarebbe stata ammorbidita in maniera tale da non fare insorgere la sinistra.

Le espulsioni vere e proprie sarebbero limitate a poche centinaia e non alle migliaia, nell’ordine dei trentamila, di cui si era parlato in un primo momento. "Due o trecento espulsioni le reggiamo, trentamila proprio no", dicono senza giri di parole dalle parti di Rifondazione.

Sull’altro punto caldo, l’omofobia, si è proceduto secondo l’iter concordato: stralcio del tema e suo recepimento in un disegno di legge già discusso in commissione e pronto per l’aula, per il quale il governo ha assicurato corsia preferenziale in modo tale da farlo approvare entro metà gennaio. Spiega un scettico Cesare Salvi, presidente della commissione Giustizia del Senato: "Ho qualche dubbio che il binario parallelo sortisca gli effetti promessi, specie qui a palazzo Madama. Comunque, la buona volontà del governo c’è, il provvedimento nel suo complesso non è più quel "decreto Veltroni" che era stato presentato all’inizio sull’onda diciamo così dell’emozione, il Parlamento lo ha saggiamente emendato introducendo significativi cambiamenti".

Paolo Cento dei verdi, sottosegretario di Padoa-Schioppa, conferma e avverte: "Sì, il nuovo testo approntato da Amato è digeribile. Adesso si tratta di evitare forzature per estendere le espulsioni, tenendo presente che il nuovo provvedimento non potrà essere ovviamente retroattivo".

La strada in discesa sul decreto sicurezza, con l’escamotage dell’anti-omofobia traslocata in un ddl, si deve in particolare al lavorio di palazzo Chigi verso i settori di sinistra della coalizione. Romano Prodi ha lanciato e messaggi politici che dalle parti della Cosa rossa non hanno mostrato di apprezzare. Nel percorso di "imbullonatura" del nuovo programma di governo, in vista della famosa verifica, il premier ha parlato di salari e stipendi, ha detto senza troppi giri di parole che il 2008 sarà l’anno dell’apertura del fronte salariale, in breve ha riconosciuto coree fondate le richieste di Rifondazione, Pdci e soci rossi di aprire nel Paese una vera e propria "questione salariale".

Franco Giordano e gli altri leader della sinistra si attendono già oggi, alla conferenza stampa di fine anno del premier, segnali importanti in questa direzione. E tutti interpretano la sortita di Lamberto Dini come una zeppa messa lì ad hoc per raffreddare questa sintonia tra palazzo Chigi e la parte sinistra della coalizione. "Ma noi eviteremo di dare una mano a Dini, a patto che il nuovo decreto sulla sicurezza rispetti le premesse che ci sono state illustrate", avvertono da Rifondazione.

Giustizia: è sulla "sicurezza" che lo Stato si gioca tutto

di Piero Laporta

 

Italia Oggi, 27 dicembre 2007

 

Nel corso di questo 2007 e mentre il 2008 incombe, anche i più distratti si sono resi conto che l’Italia è in pieno declino. Ben prima avevamo avuto gli indicatori economici o i numeri della disoccupazione, oppure quelli dell’indebitamento delle famiglie. I telegiornali sono rimasti tuttavia arroccati sulla vecchia e collaudata formula: un po’ di teatrino politico con uno che dice e l’altro che ribatte, molta cronaca nera, gossip, sport e previsioni del tempo. La larga maggioranza dei giornali segue la medesima linea parainformativa e disinformativa. Il sistema ha funzionato seppure con un piccolo momento di crisi. Ian Fisher, l’inviato a Roma del New York Times, ha detto due o tre cose da apriti cielo: siamo un paese triste e arrabbiato, abbiamo reso cronici i nostri problemi e stiamo precipitando in fondo alla graduatoria dei paesi europei.

Due ore di dibattito e avanti un altro, specie se c’è la finale a Tokio o a Kinshasha. Le "novità" di Fisher sono note da tempo a chiunque viva al di fuori della nomenclatura di politici, magistrati, alti dirigenti e giornalisti. Qualcuno l’ha battezzata "casta", ma è fuorviante; è giustappunto una nomenclatura, con numerose analogie con quella sovietica (e oggi russa). Non è vocata solo al privilegio castrato dei cortigiani. Se così fosse, allora sì sarebbe solo una costosa ma innocua casta.

La nomenclatura è espressione di potere assoluto e incontrollabile. Esige pure di delinquere impunemente, come dimostrano le cronache recenti e lontane delle intercettazioni o le l’impunità dei delinquenti cosiddetti "politici", come se il delinquere politico fosse profumato di santità. Queste osservazioni non danno tuttavia la dimensione del declino che ci affligge. Il declino è strategico ed è il cammino verso la morte del sistema.

Il sistema, mentre si sfascia, smette di garantire sicurezza e distribuisce morte. I morti sulle strade, gli incidenti sul lavoro oppure le vittime della delinquenza furono considerati come episodi sconnessi, ognuno dei quali circoscritto entro una propria realtà indipendente. È sotto gli occhi di tutti che la quantità e la qualità dei cosiddetti "incidenti" che causano morte o sono potenzialmente causa di morte evidenziano uno stato italiano fallimentare nella principale e fondamentale funzione che uno stato, quando è degno di questo nome, deve garantire: la sicurezza.

Sicurezza è quella di un sistema la cui evoluzione naturale non produce situazioni indesiderate. Il nostro agire quotidiano, quindi, si svolge in sicurezza quando non procura disagio o, peggio ancora, morte. La signora che esce dal treno e fa un tratto a piedi in piena città, compie un gesto del tutto normale. Nel pieno centro di Roma, andare dalla metropolitana a casa costa la vita. Lavorare in un’acciaieria di Danzica forse non era il massimo che un operaio poteva chiedere alla sorte nel 1989, venti anni fa.

Lavorare in un’acciaieria di Torino nel 2008 è peggio che combattere in Afghanistan. La sicurezza sul lavoro è per legge oggetto di contrattazione aziendale. Si vollero i sindacati come i soviet. Infatti come i soviet non rispondono della sorte degli operai. I soviet erano nella nomenclatura. Se abitate a Treviso o a Gela (ma un domani, chissà anche altrove) avete diritto alla vostra meningite fulminante e al vostro coma (farmacologico, si premura di specificare la tivù).

A Napoli potete optare fra la leptospirosi e la diossina che la spazzatura alta fino ai primi piani vi inalano notte e dì. Ma se non bastasse vi sono i precisissimi colpi vaganti delle numerose sparatorie a scena aperta. A Bergamo vi attende il rapinatore bosniaco. Siamo il paese con più polizia al mondo. Se siete un commerciante regolarmente autorizzato siete fra la delinquenza che vi rapina e il fisco che imita (con maggiore successo) il rapinatore.

La polizia c’è quando deve perseguirvi, per scortare i potenti oppure per le cerimonie. La polizia che deve tutelate il cittadino non ha benzina, è male equipaggiata o è male addestrata e uccide i cittadini invece dei delinquenti. Dubitate? Chiamate il più vicino commissariato e chiedete qual è il numero di cellulare del vostro poliziotto di quartiere. Potete farlo, lo prevede la legge. Che non prevede tuttavia le prese in giro che seguono alla vostra richiesta.

Ciascuna delle situazioni mortifere si svolge sotto i vostri occhi seguendo un canone preciso. L’esponente della nomenclatura di fronte alla fila di bare dice almeno una di queste tre cose: 1) non c’è alcuna emergenza; 2) non deve più accadere; 3) stiamo preparando una nuova legge che mette a posto tutto. Sono balle ma nessuno sembra farci caso.

È cinismo? Può darsi, ma affrontare il problema senza assumersi responsabilità, anzi esigendo di ricavare comunque il proprio tornaconto è costume irradiato in tutti gli strati sociali, infettando soprattutto i più giovani, i più sensibili ai pessimi esempi di cui la nomenclatura è generosa fattrice. Chi ne dubiti, osservi con quanta disinvolta indifferenza i giovani assassini tengono la scena, come se uscissero tutti dalla medesima scuola.

Ed è la medesima scuola. Così il declino porta morte e porta verso la morte, mentre il resto del mondo muove in tutt’altra direzione, persino facendo la guerra, mentre noi tutt’al più facciamo "missioni di pace" con molti morti, inutili. Non è solo l’Alitalia che si dissolve, ma anche il nostro ruolo strategico nel novero dei soggetti strategici internazionali. Non siamo solo finiti dietro alla Spagna ma andiamo fuori dal futuro della comunità internazionale, profondamente infettati da una malattia che tende a cronicizzarsi: il declino.

Giustizia: la verità dietro le intercettazioni

di Guido Neppi Modona (Ordinario di Istituzioni di Diritto e Procedura penale)

 

Il Sole 24 Ore, 27 dicembre 2007

 

Sin da quando frequentavo, alcuni decenni orsono, i banchi della facoltà di Giurisprudenza, avevo imparato che, agli effetti della legge penale, è pubblico ufficiale chi esercita una pubblica funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria; pubblici ufficiali erano quindi, e lo sono pacificamente tuttora, i membri del Parlamento, chiamati a esercitare le più alte funzioni legislative.

Avevo anche imparato che se un senatore o un deputato riceve, o accetta la promessa di danaro o di altri vantaggi per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio (ad esempio, per votare in modo diverso da come avrebbe votato se non fosse stato raggiunto da quelle offerte) commette il delitto di corruzione; delitto per cui sia il corrotto che il corruttore erano e sono tuttora puniti con la reclusione da due a cinque anni. Se invece il senatore o il deputato non accetta l’offerta o la promessa del danaro o di altri vantaggi, il reato si chiamava, e si chiama tuttora, istigazione alla corruzione e a essere punito con una pena ridotta di un terzo è solo il corruttore.

All’inizio di novembre erano incominciate a circolare prima voci e poi notizie che era in corso una campagna acquisti di alcuni senatori da parte dell’ex presidente del Consiglio per fare cadere il Governo al Senato durante le votazioni sulla Finanziaria. Già allora mi ero stupito che nessuno avesse denunciato a chiare lettere che i tentativi di compravendita dei voti dei parlamentari, ove fossero risultati veri, avevano una precisa collocazione negli articoli 319 e 322 del Codice penale. Sembrava che la campagna acquisti dei senatori fosse stata accettata come un normale risvolto, sia pure un po’ troppo disinvolto e spregiudicato, della dialettica politica in corso tra maggioranza e opposizione; la vicenda era motivo più di scommessa che di scandalo.

L’atteggiamento di sostanziale indifferenza si è riproposto pochi giorni orsono quando, a seguito della divulgazione del contenuto di intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura della Repubblica di Napoli per tutt’altro procedimento penale, siamo venuti a conoscenza che almeno un senatore - di cui è noto il nome - era stato effettivamente contattato, ma non aveva accettato le offerte e le promesse corruttrici. Anche questa volta non ho udito alcuna voce nel circuito

politico-parlamentare che abbia detto chiaramente che, ove provati, quegli approcci non fanno parte della normale dialettica politica, ma si chiamano istigazione alla corruzione per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio.

Abbiamo invece assistito al ripetersi di un copione ormai abituale, condiviso anche da esponenti politici della maggioranza di governo: a essere censurato e condannato non è stato il comportamento penalmente illecito o politicamente scorretto e squalificato; a essere messi sotto accusa sono stati l’istituto delle intercettazioni e le gravissime e non più sopportabili violazioni della privacy insite nel ricorso a questo strumento processuale. L’attenzione si è spostata sull’imprescindibile esigenza di impedire per il futuro che notizie di quel tipo potessero divenire di dominio pubblico, sino a proporre limiti invalicabili al diritto costituzionale dei giornalisti di informare e dell’opinione pubblica di essere informata su vicende giudiziarie di indiscusso interesse pubblico per la loro rilevanza politica.

Questi atteggiamenti del ceto politico suscitano serie preoccupazioni in due direzioni. È attualmente all’esame del Senato un disegno di legge, già approvato dalla Camera (che il ministro della Giustizia vorrebbe con urgenza trasformare in un decreto legge di immediata applicazione), volto fra l’altro a tutelare il diritto alla riservatezza di chi, estraneo alle vicende processuali, corre il rischio, a seguito della divulgazione delle intercettazioni, di vedere sue privatissime vicende personali sbandierate sulla stampa e sulle reti televisive: ebbene, è tutt’altro che infondato il timore che la sacrosanta esigenza di tutelare la privacy di "terzi innocenti" venga strumentalizzata per estendere oltre misura sia il segreto sulle indagini giudiziarie, sia il divieto di pubblicare notizie sui processi in corso, sottraendo completamente le indagini al controllo dell’opinione pubblica, essenziale per scongiurare insabbiamenti, deviazioni o depistagli.

Il secondo timore si collega alla previsione che, stante il clima di forte contestazione dell’istituto delle intercettazioni diffuso tra i politici, il Parlamento sarà molto restio a concedere l’autorizzazione a utilizzare le conversazioni telefoniche di un parlamentare intercettate fortuitamente quale prova penale contro il parlamentare stesso. Per fortuna, però, grazie alla recente provvidenziale sentenza della Corte costituzionale n. 390 del 2007, anche in caso di diniego dell’autorizzazione quelle conversazioni potranno essere utilizzate processualmente nei confronti di terzi e non dovranno più essere distrutte, contrariamente a quanto era stabilito da un’infelice legge approvata nel 2003 durante la scorsa legislatura.

Ora vi è quindi la possibilità che, beninteso nel rispetto delle regole sul segreto delle indagini giudiziarie, le conversazioni del parlamentare vengano, a tempo debito, conosciute dall’opinione pubblica, la quale potrà quantomeno esercitare forme di controllo sociale e esprimere la sua riprovazione sociale su gravi episodi di malcostume e di degrado dell’agire politico.

Giustizia: sulla grazia a Contrada scoppiano le polemiche

 

Il Sole 24 Ore, 27 dicembre 2007

 

Esplode il dibattito sull’opportunità di concedere la grazia a Bruno Contrada, ex numero tre del Sisde, condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. La richiesta è stata avanzata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la scorsa settimana dal legale di Contrada, detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Una grazia, dice l’avvocato Giuseppe Lipera, non richiesta da Contrada, che sta morendo. Giorgio Napolitano ha inoltrato la richiesta al ministro alla Giustizia Clemente Mastella, che valuterà la situazione e poi formulerà il parere previsto dalla legge sulla base degli elementi che mi verranno trasmessi a esito dell’istruttoria.

Il Guardasigilli ha detto di essersi limitato "a una duplice presa d’atto: in primo luogo ho accertato l’esistenza di un procedimento di differimento pena per motivi di salute, avviato davanti alla magistratura di sorveglianza dallo stesso interessato e ho ricevuto la richiesta del Capo dello Stato, originata dalla supplica del difensore di Contrada, di procedere all’istruttoria di rito ai fini della decisione presidenziale in materia di grazia. Richiesta a cui ho dato doverosamente, immediatamente corso".

All’intensificarsi di dichiarazioni e appelli, arriva anche una precisazione del Quirinale. Dal Colle si sottolinea "che il Presidente della Repubblica ha ben presente, di fronte a qualsiasi domanda di grazia, tutte le ragioni da prendere in considerazione, quanto stabilito dalla Corte Costituzionale e le procedure da rispettare. Qualsiasi provvedimento in materia di differimento della pena, basato sulla gravità delle condizioni di salute dei condannati che stiano scontandola in carcere, è - com’è noto - di esclusiva competenza della Magistratura di sorveglianza".

Oggi il legale di Bruno Contrada ha reso noto la richiesta di revisione del processo a conclusione del quale la prima Corte d’appello di Palermo, il 25 febbraio del 2006, confermò la sentenza di primo grado di condanna a 10 anni di reclusione. Rita Borsellino ha annunciato che chiederà un incontro al capo dello Stato Giorgio Napolitano, ritenendo "estremamente grave" l’ipotesi della

grazia per chi come Contrada "è stato condannato per reati commessi tradendo la sua funzione di servitore dello Stato, quello stesso Stato per cui Giovanni, Paolo e tanti altri rappresentati delle istituzioni hanno consapevolmente dato la vita. Uno Stato deve sapere distinguere e ricordare, altrimenti il rischio è che domani possa apparire legittima e dovuta anche la grazia ai boss".

Alla Borsellino rispondono i fratelli di Contrada: "Abbiamo sentito le dichiarazioni della signora Rita Borsellino di cui rispettiamo il dolore sempre condiviso unitamente a tutti gli italiani, ma ci rattrista profondamente sentire affermazioni crudeli e gravi nei confronti di nostro fratello Bruno, della cui innocenza o colpevolezza non stiamo qui a discutere, anche se siamo sicuri che un giorno la vera giustizia ristabilirà la verità sulla sua vicenda giudiziaria".

Alcuni familiari di vittime di mafia, tra cui Sonia Alfano, Salvatore Borsellino, Rosanna Scopelliti, Mimmo Mangano, Rita Spartà, Giuseppe Ciminnisi, si sono rivolti al Capo dello Stato. "Lo Stato italiano, avanzando l’ipotesi di concedere la grazia a Bruno Contrada, continua a non perdere l’occasione per riaprire ferite dolorose e per non schierarsi dalla parte di chi ha creduto in questo stesso Stato sino all’estremo sacrificio".

E aggiungono: "Mastella continua a farsi portavoce delle ragioni di chi delinque non garantendo la certezza della pena e destabilizzando cosi la parte più sana di questo paese. Presidente Napolitano, proprio perché crediamo in questo Stato le chiediamo ma la colpa è dei mafiosi e dei loro complici o di chi ha lottato e perso la vita nella lotta alla mafia in nome di questo stesso Stato che lei si pregia di presiedere?".

 

Caso Contrada: dichiarazione di Luigi Manconi

 

Dichiarazione del Sottosegretario alla Giustizia Prof. Luigi Manconi: qualora sia accertata l’incompatibilità delle condizioni del Dott. Bruno Contrada con il regime di detenzione, la legge prevede l’istituto del differimento della pena per motivi di salute, in numerosi altri casi già adottati. Il provvedimento del 12 dicembre del magistrato di sorveglianza ha disposto la trasmissione degli atti relativi all’istanza al tribunale di sorveglianza di Napoli per una decisione nel merito. In quella sede potranno essere presi in considerazione altri documenti relativi alle condizioni di salute del Dott. Contrada e - secondo quanto dichiarato dai familiari - al peggioramento delle stesse.

Giustizia: casi Sofri e Contrada, le analogie e le differenze

di Giovanni Bianconi

 

Corriere della Sera, 27 dicembre 2007

 

Le proteste e le "preoccupazioni" per le mosse del Quirinale, come pure alcune malcelate soddisfazioni, non sono piaciute al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.Il nodo della grazia all’ex poliziotto condannato per mafia Bruno Contrada costituisce materia troppo delicata e gravida di conseguenze per diventare terreno di scontro e speculazione politica nel quale tirare in ballo il capo dello Stato. Tanto più se sul colle più alto non s’è fatto altro che rispondere a un paio di lettere e avviare accertamenti e richieste di rito.

Ecco perché il presidente della Repubblica ha voluto rispondere con un comunicato stringato e "tecnico", però denso di significato, alle ultime voci che alimentano il "caso Contrada". Quando Napolitano precisa di conoscere bene le procedure e i principi da seguire, intende dire di avere ben presente la portata della vicenda. Nella quale non s’è certo pronunciato a favore della concessione della grazia all’ex funzionario del Sisde condannato, tanto per rispondere a Rita Borsellino e ad altre inquietudini sul fronte dell’antimafia. Ma a coloro che mettono in guardia dall’uso di due pesi e due misure - come chi nel centrodestra paragona Contrada ad Adriano Sofri e compagni - fa capire che ci sono differenze dalle quali non si può prescindere. Tra "tutte le ragioni da prendere in considerazione " e le "procedure da rispettare ", il faro della discussione restano le pronunce della Corte costituzionale, ultima quella sul "caso Bompressi" nel maggio 2006. Lì è stabilito che la grazia è un "eccezionale strumento destinato a soddisfare straordinarie esigenze di natura umanitaria ", mentre la regola per le "ordinarie esigenze " sono gli "strumenti tipici previsti dall’ordinamento penale, processual-penale e penitenziario".

Ecco perché, in merito alla compatibilità tra le condizioni di Bruno Contrada e la cella di un carcere militare, la parola spetta al tribunale di sorveglianza, chiamato a decidere sul "differimento pena" (cioè la scarcerazione) per motivi di salute del detenuto. Su questo punto il presidente della Repubblica s’è limitato a segnalare ai magistrati di Napoli, competenti per territorio, l’opportunità di valutare l’anticipazione della decisione fissata per il prossimo 24 gennaio. Tutto qui. Altro discorso è la domanda di grazia presentata per conto di Contrada dal suo difensore, l’avvocato Giuseppe Lipera.

La lettera di "implorazione e supplica" inviata dal legale al Quirinale è stata letta come istanza di un provvedimento di clemenza; l’articolo 681 del Codice di procedura penale indica proprio l’avvocato tra i soggetti legittimati a invocare la grazia per un condannato. Com’è prassi, la presidenza della Repubblica ha girato la richiesta al ministero della Giustizia per l’avvio dell’istruttoria: un atto che non contiene alcuna "sollecitazione ", né lascia supporre l’orientamento favorevole del capo dello Stato.

Forse l’equivoco è nato da qualche nota ministeriale, ma per il Quirinale - ferma restando l’ipotesi della scarcerazione per motivi di salute - l’iter della grazia a Contrada è appena all’inizio, e ogni valutazione di merito è prematura. I tempi sono una delle differenze tra questa vicenda e quella con al centro Adriano Sofri. Di grazia per l’ex dirigente di Lotta continua condannato per l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi si discute da oltre dieci anni, e solo nel 2006 Napolitano ha firmato (portando a termine l’iniziativa avviata dal predecessore Carlo Azeglio Ciampi) l’atto di clemenza per l’altro condannato per lo stesso crimine, Ovidio Bompressi. Le analogie sono invece nell’andamento contorto e contestato dei processi: in entrambi i casi cinque gradi di giudizio (condanna, assoluzione, annullamento dell’assoluzione, nuova condanna e conferma definitiva) testimoniano valutazioni difformi e controverse di prove, dichiarazioni di pentiti e relativi riscontri, che sommate ai proclami d’innocenza degli imputati hanno lasciato molti dubbi sul verdetto finale.

Sia per Sofri che per Contrada l’opinione pubblica s’è divisa (e continua ad esserlo) sulle inchieste e i dibattimenti che ne sono scaturiti, attribuendo valore anche politico alle accuse e al lavoro dei magistrati. E in entrambi i casi i condannati non hanno voluto chiedere la grazia. A differenza di Sofri, però, per conto di Contrada ora l’ha fatto il suo avvocato. Nel 1997 un altro ex presidente, Oscar Luigi Scalfaro, non ritenne di dar seguito a richieste altrui in favore dell’ex leader di Lotta continua: la vicinanza con l’ultima sentenza avrebbe impropriamente trasformato l’atto di clemenza in un ulteriore grado di giudizio.

Su Contrada la Cassazione s’è pronunciata nel maggio scorso, e per lui potrebbero valere le considerazioni che dieci anni fa valsero per Sofri. Infine, il processo all’ex poliziotto rientra in una stagione di antimafia giudiziaria (che comprende molti altri casi, da Andreotti in giù) sulla quale l’eventuale grazia riaccenderebbe polemiche mai sopite. E anche di questo il presidente della Repubblica è ben consapevole.

Giustizia: grazia a Contrada; "no" da associazione vittime

 

Apcom, 27 dicembre 2007

 

"È pericolosa la deriva che questo caso può ingenerare. A questo punto la grazia la potranno chiedere anche Riina e Provenzano, visto che anche loro sono anziani e dicono di star male". Non "riesce ad essere diplomatica" la portavoce dell’associazione tra i familiari delle vittime di via dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli. La procedura avviata per la concessione della clemenza per Bruno Contrada non va giù. In una nota l’associazione ha ribadito che così come Rita Borsellino chiederanno un incontro al capo dello Stato. "È importante da parte delle massime Istituzioni - si spiega nel comunicato - ascoltare la voce di chi come noi ha pagato un prezzo incredibile, perché servitori dello Stato hanno tradito questo Paese. Ma soprattutto perché si sappia fino in fondo, che la mafia in carcere condannata per le stragi del 1993 sta giocando una partita per lei molto importante a suon di ricatti".

"Le carceri hanno le infermerie, i centri clinici - continua la signora Maggiani Chelli - questo soggetto (Contrada) può usufruirne così come molti altri detenuti. È stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa ce lo vogliamo dimenticare? Questa cosa sta passando sottotraccia, perché è Natale, perché dobbiamo essere più buoni". La grazia non è però una assoluzione, si chiede. "Noi diciamo che anche grazie alle persone come lui che ha tradito lo Stato e favorito la mafia un bel giorno qualcuno ha deciso di mettere 300 chili di tritolo in via dei Georgofili, a Firenze. Per l’assistenza umanitaria, sanitaria, bisognerebbe forse farvi fronte in un altro modo. Ci sarà, dico, un’altra strada".

Firenze: detenuto evade dal carcere di Solliccianino

 

Ansa, 27 dicembre 2007

 

Evade dal carcere con una scala di scope e lenzuola. Alessandro Bongiovanni, 35 anni, pratese, detenuto per rapina e ricettazione, è evaso dalla sua cella al primo piano del carcere utilizzando una scala a pioli creata da lui con le lenzuola e pezzi di manici di scopa.

Sorpresa di Natale per la casa circondariale di Solliccianino, a Firenze. Fuga di Natale, dunque, dal carcere a regime attenuato fiorentino dove si trovano detenuti con un fine pena relativamente veloce. Lui, Alessandro Bongiovanni (che tra i precedenti penali annovera un’evasione e una tentata evasione) avrebbe dovuto uscire nel 2010. L’uomo non ha resistito alla detenzione: ha studiato il piano di fuga e nel giorno di Natale si è regalato la libertà.

A scoprire l’evasione sono stati gli agenti della Penitenziaria che hanno trovato, alle 12.20 di ieri, la scala a pioli che penzolava dall’alveo della finestra della cella. Una piccola opera d’artigianato realizzata con le lenzuola in fibra che passa l’amministrazione e alcuni pezzi tubolari di legno, probabilmente provenienti da vecchie scope. Secondo quanto ricostruito dagli agenti, Bongiovanni - novello Conte di Montecristo - ha prima smurato la finestra della cella utilizzando uno strumento di acciaio poi si è calato nell’anello di camminamento e ha scavalcato il muro perimetrale eludendo, oltre alla sorveglianza, anche il sistema elettronico di sicurezza. Et voila, uccel di bosco. Non è ancora certa l’ora esatta dell’evasione.

La polizia penitenziaria ha avvertito i carabinieri che sono intervenuti per i rilievi del caso. Immediatamente sono partite le ricerche dell’evaso. Alessandro Bongiovanni ha un curriculum di tutto rispetto: precedenti per rapina e ricettazione e precedenti specifici per evasione e tentata evasione dai domiciliari, era stato arrestato, l’ultima volta, nell’agosto 2007. Nel luglio 2007 era "fuori" per un permesso premio di dieci giorni e ne ha approfittato per compiere due rapine in altrettanti uffici postali, per un bottino totale di 1.550 euro. Rapine con trincetto e volto coperto da una calzamaglia, fatte però sotto le videocamere degli uffici che del rapinatore immortalarono le scarpe: un paio di scarpette sportive che, alla fine, lo avevano tradito e riportato in carcere. Fino alla vigilia di Natale.

Milano: doni a mamme-detenute da presidente provincia

 

Apcom, 27 dicembre 2007

 

Il Presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, ha portato gli auguri di Natale e alcuni doni alle mamme e ai loro bambini della struttura di via Macedonio Melloni, la sezione distaccata di San Vittore che ospita le mamme detenute che non possono usufruire di permessi o sconti di pena e che hanno figli più piccoli di tre anni.

Sono 13 i piccolissimi, altrettante le mamme, che vivono nella palazzina del complesso di viale Piceno messa a disposizione dalla Provincia di Milano per aprirvi una casa di custodia attenuata, la prima struttura di questo genere in Italia, dove le detenute possono scontare la pena senza sacrificare né il diritto all’infanzia dei loro piccoli, né il diritto-dovere alla genitorialità.

La struttura, inaugurata lo scorso aprile, è allestita in modo tale da consentire la massima accoglienza, con camere confortevoli e luminose e ambienti personalizzati come l’infermeria, la ludoteca, la biblioteca, l’aula formativa, una cucina attrezzata e un soggiorno. La sorveglianza viene garantita da agenti della polizia penitenziaria adeguatamente formati e sensibilizzati, che operano senza divisa. "Questo è il primo anno - dichiara il presidente della Provincia di Milano Filippo Penati - in cui le mamme detenute e i loro bimbi possono trascorrere un Natale sereno, in una condizione strutturale diversa dal carcere ristretto, con i piccoli liberi all’interno di una comunità che possono crescere in un clima di maggiore serenità".

"Siamo molto orgogliosi - conclude Penati - di questa struttura che registra una richiesta sempre alta, anche da altre città, a testimonianza che c’è un grande bisogno di creare altre comunità nelle diverse città, per accogliere le mamme con i bambini in detenzione alternativa al carcere. Per questo mi auguro che l’esperienza di Milano faccia da apripista in tutto il Paese per dare piena applicazione alla legge che garantisce alle mamme il diritto di tenere i figli con sé e ai loro bambini il diritto a crescere liberi".

Catania: compagnie teatrali etnee nelle carceri della Sicilia

 

Ansa, 27 dicembre 2007

 

Il Garante della Regione siciliana per la tutela dei diritti dei detenuti, Salvo Fleres, oggi incontra i giornalisti a Catania, a Palazzo Minoriti, sede decentrata dell’Ars, per presentare la rassegna di spettacoli teatrali che si svolgerà a gennaio e che vedrà impegnati diversi artisti e compagnie etnee nelle carceri di tutta la Sicilia.

Il progetto nato dalla collaborazione dell’ufficio del Garante con l’università di Catania, comprende l’attivazione del master in "Scienze criminologiche e penitenziarie" e un seminario sul reinserimento sociale dei detenuti.

Sempre oggi, in anteprima, la presentazione dell’iniziativa "Detenuti per un minuto", che coinvolgerà invece gli istituti scolastici attraverso un percorso virtuale ricostruito all’interno di alcune case circondariali, per sensibilizzare i ragazzi sulle reali condizioni della vita carceraria.

Verona: domani presentazione dello "Sportello Giustizia"

 

Comunicato stampa, 27 dicembre 2007

 

Venerdì 28 dicembre 2007, alle 11,30 in Sala Barbarani (via Bertoni, 4) l’Associazione La Fraternità convoca una conferenza stampa per presentare il Progetto d’intesa Sportello Giustizia.

Realizzare e gestire un Centro d’ascolto davanti al carcere di Montorio, istituire anche a Verona un Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, stabilire un protocollo di collaborazione tra Università e realtà carceraria. Di questo e non solo si è occupato il Progetto d’intesa Sportello Giustizia, promosso dal Centro Servizi per il Volontariato di Verona con l’adesione di diverse associazioni impegnate nell’area penale: La Fraternità - come capofila - il Don Tonino Bello, Cestim volontariato, Emmaus Villafranca, Ripresa Responsabile, Società S. Vincenzo, Volontariato calabriano Perez.

Dopo due anni di attività, a conclusione del progetto, esce un libretto che ne racconta le vicende, con allegato un cd Rom contenente la documentazione raccolta da un gruppo di ricerca sul Garante dei diritti tra carcere e territorio.

Il libretto verrà consegnato alla stampa venerdì 28 dicembre per presentare i risultati della collaborazione fra più associazioni di volontariato, ma anche per far luce sulle battute d’arresto da parte delle istituzioni su temi di assoluta urgenza, come il Centro d’ascolto e il Garante, e stimolare le stesse a riaffrontarli secondo le loro competenze. Alla conferenza stampa saranno presenti il presidente del Csv Elisabetta Bonagiunti e il direttore dello stesso Lucio Garonzi. Parteciperanno inoltre rappresentanti delle associazioni coinvolte nel progetto.

Milano: cardinale Tettamanzi nel carcere di Busto Arsizio

 

Ansa, 27 dicembre 2007

 

Il giorno di Natale per il cardinale Dionigi Tettamanzi è iniziato con la visita al carcere di Busto Arsizio dove ha celebrato la messa insieme ai detenuti. La tradizione di passare il giorno della Natività insieme ai carcerati risale al 1980 quando l’allora cardinale Carlo Maria Martini visitò il carcere di San Vittore. Quindi il cardinale Tettamanzi ha celebrato la santa messa al Duomo di Milano, gemito come da tradizione di fedeli.

"La differenza del cristiano - ha detto il porporato nella messa di questa mattina - inizia nello sguardo di Dio che cambia lo sguardo umano. In ogni uomo, infatti, che sia povero, dimenticato, malato, emarginato; in ogni uomo che sia esule, straniero, senza casa, senza lavoro, senza patria, senza pane, senza istruzione; in ogni uomo - ha aggiunto Tettamanzi - che sia privo di affetto, di sicurezza, di speranza, di futuro è grazia del Natale di riconoscere il volto visibile del Dio vivente, che sempre viene e bussa alla nostra porta!".

"Se Dio ci ama e ci accoglie al punto di divenire uno di noi - ha proseguito l’arcivescovo di Milano - la nostra è veramente una storia nuova, il nostro destino è radicalmente cambiato, perché in lui finalmente diventiamo capaci di amare! Il Natale che oggi celebriamo e viviamo - ha augurato - attiri i nostri passi e i nostri cuori nella danza eterna dell’amore di Dio per ogni uomo, finché tutti siano raggiunti dalla sua gioia".

Piacenza: trecento panettoni per i detenuti delle Novate

 

Libertà, 27 dicembre 2007

 

Trecento panettoni per i trecento detenuti della casa circondariale delle Novate. È l’iniziativa, guidata da Comune e Provincia. Nei giorni scorsi l’assessore comunale Giovanna Palladini e l’assessore provinciale Paola Gazzolo si sono recate presso la direzione della Casa Circondariale di Piacenza per porgere gli auguri a Caterina Zurlo, alla guida della struttura da vari anni.

I due assessori ai Servizi Sociali di Comune e Provincia, in questa occasione, sono state accompagnate dagli esponenti delle associazioni di volontariato che si occupano della realtà carcere e che, grazie alla disponibilità di Coop Nordest, sono riuscite anche quest’anno a far pervenire ad ognuno dei quasi trecento detenuti un panettone da un chilogrammo.

"Questa iniziativa - hanno commentato i presenti - ha lo scopo di non dimenticare in questi giorni di festa le persone che nella loro vita stanno incontrando la realtà della detenzione e di far pervenire loro un augurio di speranza e di cambiamento".

Ogni panettone era infatti accompagnato da un biglietto di auguri, tradotto in varie lingue e firmato da Comune di Piacenza - Settore Servizi Sociali e Abitativi, Associazione Oltre il Muro, Caritas Diocesana, Comunità Papa Giovanni XXIII, Conferenza di San Vincenzo e Sant’Anna e Associazione La Ricerca, oltre a Coop Consumatori Nordest, sezione soci di Piacenza, che ha inteso partecipare all’iniziativa.

Nell’incontro con la direttrice Caterina Zurlo sono state affrontate le tematiche più impellenti relative al carcere di Piacenza: il numero progressivamente crescente di detenuti, la carenza di nuovi agenti di polizia penitenziaria, i fenomeni legati alle nuove povertà. È stata inoltre fissata la data del prossimo Comitato locale per l’esecuzione penale adulti, momento di incontro tra la realtà carcere e la comunità locale.

Allo scorso 25 ottobre la popolazione carceraria della casa circondariale delle Novate contava 268 detenuti, di cui 15 donne. Gli imputati sono 159 e i definitivi 109, 5 i semiliberi, 3 coloro che lavorano all’esterno. La percentuale degli stranieri è del 49,6 per cento, in maggioranza marocchini, albanesi e romeni.

I detenuti tossicodipendenti incidono per il 32,8 per cento sul totale degli ospiti. I dati erano stati resi noti nel corso dell’ultima festa della polizia penitenziaria. Dall’altra parte, ci sono 166 agenti di polizia penitenziaria (guidati dal nuovo comandante, il piacentino Stefano Magnani), di cui 16 impiegati nel nucleo traduzioni

Terni: per il Vescovo pranzo coi poveri e visita ai detenuti

 

Apcom, 27 dicembre 2007

 

Un Natale con i poveri, con i detenuti e con gli ultimi. Monsignor Vincenzo Paglia, arcivescovo di Terni, ha deciso di spendere in questo modo la solennità del Santo Natale. La Comunità di Sant’Egidio di Terni ha organizzato - come avviene ormai da alcuni anni - il Pranzo di Natale presso la casa di riposo Tiffany. A tavola un centinaio di ospiti, oltre a una trentina di volontari della Comunità che serviranno il pranzo.

Monsignor Paglia ha voluto salutare l’Istituto e offrire gli auguri. Alle 13, pranzo di Natale in Cattedrale a Terni con i poveri, gli anziani e le persone sole. Oltre 250 invitati e 100 volontari hanno preso parte all’iniziativa. Nel pomeriggio, infine, alle 18, monsignor Paglia ha presieduto la messa nella chiesa di San Francesco di Amelia.

Venerdì scorso, l’arcivescovo umbro, accompagnato dal direttore del carcere Francesco Dell’Aira, ha fatto visita ai detenuti e agli operatori del carcere di vocabolo Sabbione, ai quali sono stati donati ottanta chili di ravioli per il pranzo di Natale. Il vescovo ha anche consegnato personalmente, quale dono natalizio per loro e le famiglie, la lettera pastorale "La via dell’amore". Sabato, invece, è stata la volta della visita ai malati dell’ospedale Santa Maria di Terni.

Napoli: Comunità di Sant’Egidio offre pranzo ai detenuti

 

Il Mattino, 27 dicembre 2007

 

Troppo sovraffollamento e solo il 10 per cento dei reclusi lavora. Una felpa, un pacchetto di sigarette, una confezione di pocket coffe, foglio e francobollo per lettera, un cartoncino di auguri. È il regalo che la comunità di sant’Egidio ha fatto a ciascuno dei 90 reclusi che hanno partecipato ieri nella cappella del carcere di Poggioreale al pranzo di Natale.

Ma nella busta rossa con il nome del detenuto c’era molto di più: l’augurio di sentirsi "liberi", almeno a Natale. A tavola con loro, volontari della Comunità, agenti di polizia penitenziaria, cappellani, suore, il direttore dell’istituto Salvatore Acerra, il vice direttore del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Armando D’Alterio, il vescovo ausiliare mons. Antonio Di Donna, il cantante Sal da Vinci che ha eseguito un piccolo concerto.

Il menu: cannelloni ripieni con ricotta e spinaci, polpettone con patate, frutta, pandoro e spumante. "I detenuti - spiega Antonio Mattone di Sant’Egidio - sono stati scelti tra quelli più soli che per Natale non avranno colloqui con le famiglie ma anche stranieri e poveri". A loro si è rivolto il vescovo ausiliare, mons. Antonio Di Donna: "Non disperate mai, la nostra presenza qui di certo non può risolvere i problemi come l’inserimento lavorativo o la necessità di fare prevenzione ma è importante esserci per testimoniarvi la nostra condivisione".

Sinceramente commosso il direttore Acerra: "È un’iniziativa che portiamo avanti con grande entusiasmo da quattro anni grazie all’impegno della comunità di sant’Egidio; siamo partiti con venti oggi ne abbiamo potuti ospitare novanta". Sono 1.850 i reclusi ospitati a Poggioreale, un istituto che - ha spiegato D’Alterio - non soddisfa appieno le possibilità di accoglienza e di rieducazione previsti dalla legge e dove solo il 10 per cento dei detenuti lavora. Stiamo portando avanti il piano di ristrutturazione delle carceri - ha concluso - ed entro il 2008 avremo 4.000 posti in più in Italia".

Intanto il 30 dicembre ci sarà il cardinale Sepe che torna a Poggioreale per la quarta volta anche per tenere fede a due promesse: la ristrutturazione di una casa di accoglienza per ex detenuti che è quasi pronta e l’istituzione di una Giornata nazionale di preghiera che verrà celebrata ogni anno il 10 febbraio. E per un Natale all’insegna della solidarietà e della condivisione il Presule sarà il 25 di nuovo con Sant’Egidio per il pranzo con i poveri alle chiese dei SS. Severino Sossio e di San Nicola al Nilo mentre il 27 ospiterà i senza fissa dimora nel Palazzo arcivescovile con un pranzo di gala per circa 200 ospiti.

Immigrazione: il carcere per chi dà lavoro ai clandestini

di Debora Alberici

 

Italia Oggi, 27 dicembre 2007

 

Non si può dare lavoro agli immigrati clandestini: la pena per chi fa lavorare anche un solo extracomunitario senza permesso di soggiorno va da tre mesi a un anno di carcere e 5 mila euro di multa. Le cose non cambiano quando il permesso è scaduto o non è stato rinnovato, Così la Corte di cassazione, con la sentenza 47501 del 21 dicembre 2007, ha accolto il ricorso della Procura di Massa.

È il caso di un trentenne che aveva dato lavoro a un cittadino extracomunitario senza il permesso di soggiorno. Dopo alcuni controlli era scattata la denuncia. Ma il Tribunale lo aveva assolto con formula piena perché, aveva motivato, la norma contenuta nell’art. 22 del dlgs 286 del 1998 punisce chi assume "lavoratori clandestini", usando quindi il plurale. Un’interpretazione, questa, che non ha convinto la pubblica accusa.

Che, infatti, ha impugnato la decisione in Cassazione. La prima sezione penale della Suprema corte ha accolto il ricorso mettendo nero su bianco che "non c’è dubbio infatti che per la norma (si è inteso sanzionare l’assunzione di lavoratori senza permesso di soggiorno, in linea con tutta la legislazione in materia di immigrazione, che collega la permanenza nel territorio dello stato al regolare ingresso con contratto di lavoro) e per il carattere necessariamente astratto di ogni precetto legislativo, debba ritenersi penalmente rilevante anche l’assunzione di un solo lavoratore (senza permesso di soggiorno)". La Suprema corte ha dunque riaperto il caso e rinviato gli atti alla Corte di appello di Genova.

Quello del trentenne di Massa è un problema che accomuna molti cittadini italiani. Si pensi a quanti fanno fare i lavori di casa a colf senza permesso. Infatti, le statistiche parlano di un numero sempre crescente di lavoratori extracomunitari non in regola con i documenti per il soggiorno. Un tema caldo, questo, tanto che, anche di recente, è intervenuta la Commissione europea. Infatti, lo scorso 16 maggio ha adottato, su proposta del Commissario per giustizia, libertà e sicurezza Franco Frattini, una proposta di direttiva che prevede sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi in posizione irregolare. In poche parole, nel progetto comunitario, il datore di lavoro, prima di assumere un cittadino non comunitario, sarà tenuto a verificare che questo abbia il permesso di soggiorno.

Immigrazione: asili vietati ai figli di immigrati clandestini

 

La Repubblica, 27 dicembre 2007

 

Fa ancora discutere la scelta del sindaco di Milano Letizia Moratti di escludere dalle scuole materne comunali i figli degli immigrati senza permesso di soggiorno. Dopo le critiche arrivate la settimana scorsa dai ministri Rosy Bindi, Paolo Ferrero e Giuseppe Fioroni, ieri anche la Curia milanese è scesa in campo per condannare la decisione di Palazzo Marino.

Con un commento pubblicato con grande evidenza sul sito della Diocesi guidata dal cardinale Dionigi Tettamanzi, il provvedimento comunale viene esplicitamente bollato come "discriminatorio".

"Un bambino di genitori extracomunitari ha bisogno della scuola materna come il figlio di un milanese. Anzi, ne ha maggior bisogno: date le condizioni dei genitori (che di giorno si immagina siano impegnati a cercarsi da vivere, senza l’aiuto di alcuna rete parentale o sociale) rischia ancora di più in termini di emarginazione e di incolumità fisica. La scuola è integrazione, la scuola è educazione, la scuola è prevenzione al disagio".

Il sindaco nei giorni scorsi ha rivendicato la necessità di tagliare fuori i bimbi "irregolari" come misura per il rispetto della legalità. Ma la Curia replica: "Il binomio legalità e solidarietà è inscindibile. Ma se in nome della legalità dei bambini sono oggetto di discriminazione, emarginazione, qualcosa non funziona, qualcosa è da cambiare".

Parole chiare, con un richiamo a un recente appello rivolto dall’arcivescovo Tettamanzi: "La disponibilità operativa e faticosa del volontariato nel campo dell’integrazione ha bisogno di sentire le istituzioni alleate, capaci di far rispettare le leggi e solidali nel combattere la miseria". Lo stesso cardinale, nell’omelia di Natale, ha toccato il tema dei bambini, partendo dalla grotta di Betlemme: "Ci troviamo sotto il segno della piccolezza, con la sfumatura particolare della povertà, anzi dell’emarginazione e del rifiuto. Il bambino non trova posto nell’albergo ed è deposto nella mangiatoia. Una realtà molto concreta che tocca il nostro cuore e la nostra vita".

Diritti: la pena di morte è inefficace contro il terrorismo

 

La Repubblica, 27 dicembre 2007

 

Un commento del ministro degli Esteri sul quotidiano Usa "Christian Science Monitor" sulla moratoria Onu. D’Alema: pena capitale efficace contro il terrorismo.

La pena di morte "non è certamente un rimedio valido contro il terrorismo": lo sostiene il vicepremier e ministro degli Esteri Massimo D’Alema in un fondo dedicato alla moratoria Onu sulla pena di morte pubblicato ieri dal Christian Science Monitor, uno dei quotidiani storici di Boston. D’Alema, illustrando la moratoria approvata la scorsa settimana a larga maggioranza (con 104 voti a favore) dall’Assemblea Generale dell’Onu, spiega che "la minaccia della pena capitale è chiaramente insufficiente per essere un deterrente nei confronti degli estremisti pronti a farsi saltare per aria in modo da perseguire i propri obiettivi".

Il titolare della Farnesina definisce "una pietra miliare di rilievo" l’approvazione da parte dell’Assemblea Generale di "una moratoria non vincolante" sulla pena di morte, spiegando che "non interferisce sulle leggi nazionali", ma chiede "agli Stati in cui è in vigore di sospenderne l’applicazione", oltre ad autorizzare "una pausa di riflessione".

D’Alema sostiene inoltre che la risoluzione Onu "apre una finestra di opportunità" per un dibattito più ampio e civile sulla pena di morte, con l’obiettivo di "rendere il mondo un luogo più umano". Il vicepremier spiega nei dettagli, dopo un breve accenno storico, le ragioni per le quali l’Italia fa parte del gruppo, sempre più folto, dei Paesi contrari alla pena di morte. Secondo gli abolizionisti, la pena capitale "non aiuta alla deterrenza del crimine, visto che non c’è nessuna prova obiettiva per appoggiare l’affermazione che la pena di morte riduce il crimine".

Inoltre, ricorda D’Alema, la pena di morte "viola la madre di tutti i diritti umani: il diritto alla vita. E può condurre in alcuni casi all’esecuzione di individui condannati per sbaglio". Il titolare della Farnesina, infine, segnala "una bizzarra asimmetria", visto che i tribunali Onu sull’ex Jugoslavia ed il Ruanda hanno escluso la pena di morte dai loro statuti. "Ciò significa che individui colpevoli del peggiore dei crimini - quello contro l’umanità - non sono punibili con la pena di morte, mentre chi ha commesso crimini efferati… ma non contro l’umanità, può essere condannato a morte", spiega D’Alema.

Estero: è stato Natale in prigione per oltre 3mila italiani

 

Apcom, 27 dicembre 2007

 

"Non deve essere stato un gran bel Natale per gli oltre tremila italiani detenuti all’estero, molti dei quali detenuti in condizioni decisamente al limite della sopravvivenza e ancora in attesa di giudizio dopo mesi e mesi di detenzione". La considerazione è dell’organizzazione per la difesa dei diritti umani "Secondo Protocollo".

"Non tutti saranno detenuti ingiustamente, ma tutti hanno i loro diritti e soprattutto hanno diritto ad avere una difesa adeguata e una detenzione che rispetti la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani - si spiega sul sito internet dell’associazione - Invece ci giungono notizie di italiani detenuti in condizioni al limite della sopravvivenza di cui addirittura i Consolati ignorano l’esistenza, anche se non certo per colpa loro".

Per questo continua la campagna per garantire il gratuito patrocinio agli italiani che si trovano in difficoltà fuori dall’Unione Europea (dove invece è garantito) e in "contemporanea una azione di sensibilizzazione nei confronti dei Consolati affinché vigilino costantemente sulle condizioni in cui vengono detenuti i nostri connazionali".

"È un controsenso assurdo che l’Italia garantisca (giustamente) i Diritti di chiunque venga incarcerato in Italia, di qualsiasi nazionalità esso sia, ma non riesca a garantire quelli degli italiani che vengono incarcerati all’estero, un controsenso al quale bisogna porre rimedio".

Oggi, intanto, inizia il processo, in India, per Angelo Falcone e Simone Nobili. La sentenza è prevista per la prossima settimana. I due giovani sono accusati di traffico di stupefacenti, "una accusa basata solo sulle testimonianze dei poliziotti che hanno arrestato i due ragazzi italiani i quali a loro volta accusano i poliziotti (uno in particolare) di aver cercato di estorcere loro del denaro in cambio della libertà", continua Secondo Protocollo.

Secondo il rapporto della polizia, Angelo e Simone sono stati fermati mentre, a bordo di un taxi, si stavano dirigendo verso l’aeroporto con 18 chili di droga. Secondo le dichiarazioni dei ragazzi invece i poliziotti hanno fatto irruzione nella casa dove alloggiavano, probabilmente per perseguire il titolare dell’appartamento, completamente sconosciuto ai due italiani. "Non trovando niente hanno pensato di fare un affare ricattando i due malcapitati".

Angelo e Simone sono stati portati in caserma "dove non gli è stato permesso di contattare l’Ambasciata italiana e dove, con l’inganno, sono stati costretti a firmare una dichiarazione scritta in Indi (lingua a loro completamente sconosciuta) con la quale ammettevano le loro colpe, credendo invece di firmare una sorta di verbale di quanto successo durante la perquisizione". "Ora la situazione è questa: nessuno ha mai visto i fantomatici 18 Kg di droga, non ci sono testimoni a supporto delle dichiarazioni dei poliziotti, mentre la legge indiana prevede che ci sia sempre un testimone imparziale (un civile) a supporto delle dichiarazioni della polizia, infine il poliziotto che ha tratto in arresto i due ragazzi è stato improvvisamente trasferito con l’accusa di corruzione".

Gran Bretagna: nel 2007 espulsi 4mila detenuti stranieri

 

Ansa, 27 dicembre 2007

 

Il Governo britannico ha rispedito quest’anno a casa più di quattromila carcerati stranieri. Un aumento del 50% rispetto al 2006. Questi i dati diffusi oggi dal Ministero dell’Interno. Tra i rimpatriati, ce ne sono 20 condannati per omicidio, 200 per violenza sessuale e 1.100 per spaccio e uso di droga. Il premier Gordon Brown aveva promesso a luglio scorso la deportazione di 4.000 detenuti per ridurre il sovraffollamento delle carceri britanniche e sembra essere stato di parola.

Iraq: governo approva un disegno legge per l’amnistia

 

Ansa, 27 dicembre 2007

 

Il governo iracheno ha approvato questa mattina un disegno di legge di "amnistia e sicurezza" che dovrebbe consentire il rilascio di migliaia di detenuti nell’ambito di un piano di riconciliazione nazionale fortemente voluto dal premier Nuri al Maliki.

Lo ha riferito l’emittente TV di Stato Al Iraqiya, precisando che il testo stabilisce i criteri per individuare quali detenuti nelle carceri irachene possano beneficiare del provvedimento, che comunque non riguarda coloro che si siano resi responsabili di atti terrorismo. Nei prossimi giorni, il testo approvato oggi sarà trasmesso al parlamento, per la discussione e il voto, e quindi al Consiglio presidenziale per la necessaria definitiva approvazione, ha precisato la stessa fonte. Secondo quanto ha riferito nei giorni scorsi il consigliere per la sicurezza nazionale Moaffaq al Rubei, le forze di sicurezza irachene detengono circa 24.000 persone, mentre le forze americane circa 26.000.

Bahrein: scontri tra la polizia e i parenti di detenuti sciiti

 

Associated Press, 27 dicembre 2007

 

Polizia e decine di sciiti che chiedevano di visitare i loro parenti arrestati in seguito a una serie di recenti proteste si sono scontrati in Bahrein. Lo hanno riferito testimoni e gruppi locali per la tutela dei diritti umani. I familiari sono arrivati questa mattina all’ufficio della procura di Manama con i vestiti che il governo aveva richiesto per i detenuti, ma si sono rifiutati di consegnarli o andarsene senza vedere i parenti.

Lo ha riferito il Movimento Haq per la libertà e la democrazia in una nota. Le autorità non hanno voluto assecondare la richiesta e la polizia alla fine ha spinto uomini e donne che urlavano fuori dall’edificio dove erano interrogati i detenuti. Non sono state segnalate vittime, ma due donne che sono svenute sono state portate via in ambulanza. Il Bahrein è un arcipelago del Golfo Persico dominato dai sunniti.

 

 

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