Rassegna stampa 24 dicembre

 

Giustizia: reati in calo nel secondo semestre 2007

di Fiorenza Sarzanini

 

Corriere della Sera, 24 dicembre 2007

 

I reati sono in calo. È un dato inaspettato anche per gli addetti ai lavori. Perché gli indicatori fornivano buone proiezioni, ma nessuno si aspettava che la diminuzione sarebbe stata tanto forte. E invece negli ultimi sei mesi del 2007 c’è stato un calo dei reati commessi pari a 145.043. Si è passati da 1.468.161 delitti nel periodo fra gennaio e giugno a 1.323.118 tra giugno e dicembre. E, se si eccettuano i furti in appartamento che hanno avuto una nuova impennata, tutte le "voci" registrano un vistoso "meno".

Meno rapine, meno omicidi, meno estorsioni, meno incendi, meno scippi. Giù pure i reati legati agli stupefacenti. Un bilancio complessivo che non ha precedenti e che non può essere spiegato con l’aumento annuale del numero delle persone arrestate, soprattutto perché negli ultimi sei mesi anche questo dato si è mostrato in diminuzione. In realtà gli specialisti ritengono che una delle cause di questa inversione sia la fine degli effetti causati dall’indulto.

La scarcerazione di migliaia di detenuti cominciata nell’agosto del 2006 dopo il provvedimento di clemenza, aveva provocato un’impennata di reati nel secondo semestre dell’anno, proseguita nei primi mesi del 2007 e ora evidentemente riassorbita.

Secondo i dati forniti lo scorso ottobre in Parlamento dal ministro della Giustizia Clemente Mastella, su 24.000 persone rimesse in libertà, già 6.000 erano i recidivi che avevano fatto ritorno dietro le sbarre.

Complessivamente il numero dei delitti resta altissimo: 2.791.279 rispetto ai 2.771.490 del 2006. Ma le previsioni paventavano lo sforamento dei tre milioni e per questo al Viminale tirano un sospiro di sollievo.

A confortare è il calo dei "reati predatori", quelli che maggiormente colpiscono la popolazione e provocano allarme sociale. Negli ultimi sei mesi i furti sono stati 771.694, ben 62.066 in meno rispetto ai primi sei mesi e addirittura 82.435 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Curva discendente anche per gli scippi: nel secondo semestre 2007 sono stati 10.439, con un calo rispetto al primo di 1.396 e di 1.422 se paragonato allo stesso arco temporale del 2006. Se si fa la somma annuale restano entrambi in crescita, ma sono gli analisti a spiegare che il valore significativo è rappresentato proprio dal trend negativo.

Una tendenza che, a leggere i numeri sulle rapine, diventa clamorosa visto che per la prima volta dopo anni si registra una diminuzione complessiva: dalle 50.270 commesse nel 2006 alle 49.123 del 2007. Se si guarda la curva, negli ultimi sei mesi si arriva ai livelli del secondo semestre del 2005 con 22.675 reati di questo tipo denunciati tra giugno e dicembre. Uguale risultato per le violenze sessuali che in questo stesso periodo sono state 2.057, a fronte delle 2.421 dei primi sei mesi dell’anno.

Significativo anche il dato che riguarda gli omicidi. Nel 2006 sono state uccise 621 persone, nel 2007 sono state invece 593. Rimane forte l’allarme per il dominio della criminalità organizzata che, come già era stato sottolineato nel rapporto sulla sicurezza reso pubblico ad agosto, "continua a caratterizzare il panorama delinquenziale nazionale secondo modelli in persistente evoluzione, privilegiando un radicamento sul territorio d’influenza e mantenendo un’elevata capacità di infiltrazione nel tessuto economico-finanziario".

In questo quadro, uno spiraglio di luce arriva dai numeri che riguardano le estorsioni. I segnali positivi che già erano stati rilevati in Campania, trovano conferma nelle cifre a livello nazionale visto che nel 2007 si è passati da 3.144 casi nei primi sei mesi a 2.658 nei secondi sei. Il calo delle denunce per questo tipo di reato viene generalmente interpretato con la paura delle vittime di subire ulteriori ritorsioni, ma gli analisti ritengo- no che questi numeri siano in realtà "la conferma di una nuova situazione che si sta creando nelle Regioni maggiormente esposte, anche grazie a un rinnovato impegno delle associazioni che sostengono imprenditori e commercianti vessati dal racket".

La paura dei cittadini è un problema che il ministero dell’Interno aveva già affrontato nel dossier di agosto sottolineando come "la quota di cittadini che teme di subire un reato è in lieve declino, anche se le percentuali variano a seconda delle zone del Paese. Nel nord-est il numero di cittadini che considera molto o abbastanza a rischio di criminalità la zona in cui vive, è infatti fortemente cresciuta".

Quella dei "patti per la sicurezza" siglati con i sindaci di molte città, rimane per il ministro dell’Interno Giuliano Amato la strada giusta da percorrere anche per garantire un maggior controllo del territorio. Ai carabinieri, alla polizia e alla Guardia di Finanza, si affiancano infatti i reparti della polizia locale ma, come spiegano al Viminale, "a fare la differenza è il coinvolgimento di tutti i soggetti sociali ed economici presenti sul territorio, attraverso forme di raccordo con gli enti istituzionali".

È la cosiddetta "sicurezza partecipata", che il capo della polizia Antonio Manganelli ritiene di dover applicare non soltanto per combattere la delinquenza comune, ma anche per affrontare la criminalità organizzata.

Giustizia: il bilancio; troppi tribunali e agenti usati male

di Eugenio Occorsio

 

La Repubblica, 24 dicembre 2007

 

Gli uffici giudiziari sono troppi, disposti irrazionalmente, con una produttività del tutto insufficiente, e per di più dialogano con mezzi arcaici e troppo costosi. Le guardie carcerarie sono troppe in rapporto al numero dei detenuti. Le procedure di recupero dei soldi delle condanne non funzionano, e si spende più di quanto si recupera. Le intercettazioni, giuste o sbagliate che siano, costano troppo. Le procedure di esecuzione, i depositi giudiziari, il regime dei beni confiscati, tutto è gestito in modo antiquato e farraginoso, e si presta a sostanziali recuperi di efficienza. È impietosa la fotografia della Giustizia italiana, anche dal punto di vista amministrativo.

Gli uffici di via XX settembre sono attenti a distinguere le loro competenze e circoscriverle all’ambito economico. È implicita in ogni loro riflessione la consapevolezza che toccano punti sui quali la revisione dovrà essere politica. Però, per il loro compito, sono puntuali. Prendiamo le intercettazioni: "È urgente procedere alla forfettizzazione dei compensi agli operatori di telecomunicazioni, semplificando la contabilizzazione e il controllo", scrive il rapporto, che arriva a dire che si potrebbe arrivare ad imporre "la gratuità delle prestazioni, come già avviene in realtà statali simili alle nostre".

Altro intervento urgente, quello sulle carceri. Gli agenti di custodia sono troppi rispetto alle esigenze, e in buona parte dispersi in adempimenti amministrativi. I detenuti in Italia, segnala lo studio, erano quanti in Francia prima dell’indulto, poi sono diventati nettamente meno (sono scesi da 60 a 45mila). Eppure gli agenti restano quasi 42mila, contro i 30mila della Francia, paese che ci dà lezioni anche per le misure alternative alla detenzione, che interessano ben 150mila condannati.

Dal punto di vista sanitario, lo studio si chiede perché a trent’anni dalla legge Basaglia siano ancora aperti molti manicomi giudiziari (Aversa, Napoli, Pozzo di Gotto, Reggio Emilia e altri) e non si siano trasferite le competenze alle Asl.

C’è poi la madre di tutte le questioni, i processi. Intanto, vanno ridotti: va introdotta, suggerisce la commissione, la norma che prevede la cancellazione dai ruoli se l’udienza va deserta anche una sola volta.

Recuperare le somme delle condanne è talmente complicato (il 3% del totale inflitto) che in molti casi, come gli extracomunitari di cui non si conosce neanche l’indirizzo, è meglio lasciar perdere, almeno per piccole somme (2-300 euro, suggerisce la commissione).

E poi la lentezza dei processi è tale da aggiungere al danno sociale la beffa degli oneri connessi con l’equa riparazione prevista dalla legge Pinto del 2001, che dà diritto a chi è danneggiato da un processo che supera il "termine ragionevole" di rivalersi sullo Stato: ben 20.390 procedimenti aggiuntivi che sono costati 41,5 milioni di euro negli ultimi 5 anni, di cui 17,9 nel 2006.

Il problema cresce esponenzialmente: visto che quasi tutti i 50mila ricorsi civili superano i cinque anni di pendenza, calcola il rapporto, ogni anno vi sono 100mila soggetti con diritto all’indennizzo (hanno diritto entrambe le parti): ipotizzando un risarcimento medio di 4000 euro e un rimborso spese di 1000, si può arrivare a 500 milioni di euro annui.

Ancora: il 72% dei tribunali è sottodimensionato, ma avere un tribunale, tutti edifici di proprietà comunale per i quali lo Stato paga nel 2007 in affitti e rimborsi 227,2 milioni di euro, è considerata "un’occasione di prestigio localistico".

Se si aggiunge l’urgenza di rivedere la figura dei giudici di pace, che percepiscono la discreta somma di 72mila euro l’anno ma sono utilizzati in modo discontinuo e disorganizzato, si capisce la "necessità di rivedere la geografia degli uffici giudiziari" con l’accorpamento dei tribunali minori.

Il rapporto arriva a proporre "eventuali modalità alternative di erogazione del servizio di giustizia su base locale in assenza di una sede di tribunale". Sopravvivono poi nell’amministrazione giudiziaria mezzi di comunicazione antichi. Un’elementare riforma sarebbe l’uso generalizzato dell’e-mail: per rispondere all’esigenza di sicurezza, si può installare la posta elettronica certificata di recente introduzione.

Giustizia: lettera di un magistrato sul senso della pena

 

La Repubblica, 24 dicembre 2007

 

Lettera di un Magistrato. Medito da tempo, ma in questo periodo soprattutto, intorno al problema delle ragioni della pena. Perfetta la brevissima annotazione di Cordero contro la pena di morte perché attinge alle stesse pulsioni a cui attinge il delitto. Non si poteva dire meglio e in modo più persuasivo. Ogni altro argomento ha pregio susseguente.

Vale anche per le altre pene (detentive) escogitate da tutti i sistemi penali conosciuti. Il crimine è prevaricazione di una parte del tutto, deformazione dell’interpretazione di sé o della vittima, sopravvento di un frammento, di un impulso, di un momento, di un solo lato della questione: è dunque parziarietà. Inoltre è supremazia dell’astrazione sulla concretezza dell’essere. Eccesso di potere.

Risponde al delitto la pena, la quale, quando investe l’interezza del soggetto reo, condivide col delitto la stessa confusione tra la parte e il tutto, che costituiva l’errore uno degli errori, quello che qui interessa già commesso dal colpevole. Da tempo mi accade di considerare come il dono dell’astrattezza, prerogativa (nobile e preziosa) della mente umana, sia il vero diabolus in homine. Dalla tentazione di farne cattivo uso scaturiscono grandi pericoli. Quella facile operazione di cui la mente si compiace, e che suscita tanta ammirazione in chi la compie e in chi vi assiste: non c’è crimine individuale o collettivo che non sia reso possibile da questo procedimento straniante di astrazione, appunto, simulazione, finzione, rappresentazione derealizzata dell’altro, avulsione del particolare dalla totalità.

L’importante è non abbassare le chance di buon esito della rieducazione infliggendo pene (qualitativamente o quantitativamente) ostative di ogni recupero del senso dell’interità perduta. Se così è, nella condanna e nella stessa pena insiste (la possibilità di) un equilibrio tra pietas e rigore: lo stesso equilibrio, in fondo, che dovrebbe presiedere alle relazioni umane. Sono un magistrato, e sono detta severa, se non nelle pene, nella ricostruzione delle responsabilità.

Lei che cosa pensa? Quali argomenti (diversi da quelli che mi sono empiricamente data) possono guidarci nel travaglio quotidiano tra pietà/fermezza, comprensione/rigore, compassione/censura? Personalmente diffido di tutti i casi in cui l’una è senza l’altra (o l’altro). Credo nella compresenza di queste condizioni morali e sentimentali solo apparentemente contraddittorie.

Temo che uscire dal dilemma troppo disinvoltamente comporti il salto a due piedi nell’ideologia, nel fanatismo rigoristico, nel pietismo disimpegnato con cui è facile salvarsi l’anima... Perché non si parla abbastanza di questo nostro dilemma quotidiano? Non è un’importante questione pubblica, oltre che un’importante questione privata? Scrivo a lei perché, anche nei casi in cui mi è capitato di dissentire da taluna sua opinione, lei è stato e rimane uno dei miei principali riferimenti di pensiero. In caso di risposta "pubblicata", la prego di non riportare il mio nome, per ragioni di riservatezza.

 

Lettera firmata

 

Risponde Umberto Galimberti. Il rapporto colpa-pena non è mai stato un rapporto oggettivo, ma sempre dipendente dai valori che presiedono le diverse organizzazioni sociali. Così, ad esempio, in una società come la nostra dominata dal mercato, il denaro non è più, come dovrebbe essere, un "mezzo" per soddisfare i bisogni e produrre beni, ma è il "fine", per conseguire il quale, si vedrà se soddisfare i bisogni e in che misura produrre beni. Un simile scenario prevede il primato del denaro sull’uomo, del prodotto sul produttore, in un processo di totale "reificazione" dove le cose (res), i prodotti conducono vita autonoma rispetto ai bisogni umani e definiscono, attraverso la loro circolazione, il senso dell’attività umana e il valore delle cose.

A questo proposito Marx fa un esempio illuminante. Intervenendo, giovane ventiquattrenne, nel dibattito contro i furti di legna, osserva che imprigionare chi sottrae legna a chi la possiede è una punizione "giuridicamente" corretta e "umanamente" giusta solo se chi possiede la legna si considera "uomo" solo in quanto "possessore di legna", solo in quanto ha di sé come uomo questo concetto ristretto e particolare, e se il ladro, di conseguenza, non viene considerato come uomo, ma solo in quanto ladro di legna.

Di conseguenza la punizione, giuridicamente corretta, "non è umana", perché punisce l’uomo nella sua interezza. Cosa che risulta giustificata solo se si riduce l’essenza dell’uomo alla legna: una cosa morta - scrive Marx - una potenza oggettiva, qualcosa di inumano che però decide le sorti dell’uomo. Se infatti qualcosa come la legna viene a determinare l’essere e l’agire dell’uomo, allora vuol dire che la legna non è più considerata come "legna da ardere", come qualcosa al servizio dell’uomo, ma, abbandonata la sua natura di "mezzo", viene resa autonoma dalla logica di mercato ed elevata a misura dell’uomo.

I rapporti umani si materializzano perché la materia si impadronisce dell’uomo e lo definisce. Questa e non l’altra è la vera essenza del materialismo e dell’alienazione materialistica dell’uomo contro cui Marx conduce la sua battaglia. Abbiamo sepolto il marxismo e con esso quel suo tratto "umanista" che prevedeva il primato dell’uomo sulle cose, per cui oggi un "atto" di proprietà o di sottrazione di proprietà è sufficiente per punire non l’"azione" di un uomo, ma l’uomo nella sua totalità.

Come lei giustamente osserva la parte (l’azione) ha preso il posto del tutto (l’uomo). E questa è la profonda e strutturale ingiustizia alla base della pena di morte e della carcerazione a vita, che si giustificano solo dove, come da noi, le cose hanno assunto un primato rispetto all’uomo.

Giustizia: lettera della Simspe agli Operatori Sanitari

 

Ristretti Orizzonti, 24 dicembre 2007

 

Agli Operatori Sanitari Penitenziari. Nell’ambito della manovra finanziaria 2008 le Camere hanno approvato il transito delle competenze sanitarie del Ministero della Giustizia al Ssn. È un primo, ma fondamentale passo; il vero confronto nasce da oggi!

Simspe Onlus ha sostenuto con forza la necessità di questo passaggio, pur consapevole che è una riforma difficile, con forti resistenze interne ed esterne, perché riguarda un settore della vita penitenziaria che sebbene cruciale nelle dinamiche del carcere, è di fatto quasi sconosciuto, e che emerge solo nei suoi momenti di criticità.

Ma non ci sarà riforma se oltre le competenze non transiteranno le esperienze. Cioè quel personale sanitario motivato ed impegnato, quegli operatori - medici, infermieri, tecnici sanitari, psicologi - che sin oggi hanno dato sanità al pianeta carcere, pur essendo tutti mortificati da leggi obsolete, contratti e convenzioni anacronistiche!

Oggi vogliamo una riforma vera! Una riorganizzazione dei servizi sanitari rispondente alle necessità degli Istituti Penitenziari e dei ristretti, e soprattutto, un passaggio reale nelle corrispondenti funzioni del Ssn! Non vi sono altre possibilità di dare dentro le mura delle carceri un’assistenza sanitaria paritaria a quella di tutti i cittadini. La Medicina Penitenziaria, oggi più che mai medicina di comunità, reclama con forza quel posto che le spetta, al pari delle altre branche e funzioni della sanità pubblica. Simspe Onlus è stata portavoce delle istanze di chi crede a questa svolta e continuerà la sua azione con forza e con impegno. Auguri !

 

L’Ufficio di Presidenza S.I.M.S.Pe. Onlus

Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria Onlus

Giustizia: caso Contrada; avviata procedura per la grazia

 

Quotidiano Nazionale, 24 dicembre 2007

 

L’ex funzionario del Sisde, incarcerato a Santa Maria Capua Vetere, sta scontando la condanna a 10 anni per concorso esterna in associazione mafiosa. Ora è in gravi condizioni di salute.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a seguito della lettera ricevuta dal legale Giuseppe Lipera e di altre segnalazioni sulle critiche condizioni di salute di Bruno Contrada, detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, ha immediatamente acquisito notizie dal ministero della Giustizia sullo stato del procedimento per il differimento della esecuzione della pena pendente dinanzi al Tribunale di sorveglianza di Napoli. Lo si apprende dal Quirinale.

Il Capo dello Stato ha chiesto al presidente del Tribunale di sorveglianza di Napoli di valutare l’opportunità di anticipare la data dell’udienza di trattazione del procedimento. Ha poi trasmesso la "implorazione"-"supplica" inviatagli da Lipera al ministero della Giustizia cui spetta svolgere le attività istruttorie previste dall’art. 681 del Codice di procedura penale in materia di concessione delle grazie.

"L’iniziativa del presidente Giorgio Napolitano è il più bel regalo di Natale che Bruno Contrada potesse ricevere". Lo dice l’avvocato Giuseppe Lipera che intende "ringraziare il Capo dello Stato per la grandissima sensibilità" e "sperare che si possa trovare nel più breve tempo possibile una soluzione umana per il grave stato di salute dell’ex numero due del Sisde".

Il figlio di Contrada. "Non mi sento di commentare niente. Dopo 15 anni di amarezza non credo più a nulla". È la reazione di Guido Contrada, figlio di Bruno, dopo l’intervento del Capo dello Stato. "Troppe falsità - aggiunge Guido Contrada - sono state dette. Se prima non ho la certezza di questi fatti è inutile esprimere alcun giudizio".

"L’ultima volta che ho incontrato mio padre - aggiunge Guido Contrada - l’ho trovato molto debilitato con problemi cardiovascolari e con il diabete. Ma a lui - afferma il figlio dell’ex funzionario del Sisde - non interessa vivere o morire. A mio padre importa la revisione del processo, per lasciare il suo nome pulito dalle accuse". "Anche in considerazione del fatto - conclude - che ancora non conosciamo le motivazioni della sentenza della Cassazione".

Mastella avvia l’istruttoria per la grazia. Preso atto della richiesta di grazia per Bruno Contrada (nella foto)trasmessa dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, il ministro della Giustizia ha disposto che venga subito avviata l’istruttoria della pratica. Secondo quanto spiegano al dicastero di via Arenula, dopo le segnalazioni da parte dei familiari delle cattive condizioni di salute di Contrada, gli uffici del ministero della Giustizia si erano subito attivati per acquisire notizie sul procedimento giudiziario in corso per il deferimento della pena, informazioni che avevano subito trasmesso alla presidenza della Repubblica. Lo rende noto il ministero della Giustizia.

L’attività istruttoria del ministero della Giustizia per la concessione della grazia a Contrada consiste nell’acquisizione dei pareri della procura generale di Palermo e del Tribunale di sorveglianza di Napoli. I pareri (tecnici e non vincolanti) vengono poi presi in esame dal Guardasigilli Mastella che, a sua volta, dirà la sua su un eventuale atto di clemenza a favore dell’ex funzionario del Sisde, condannato a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa e dallo scorso maggio detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua a Vetere. Se negativo, il parere del ministro non può tuttavia rappresentare un veto rispetto a un potere che è un’esclusiva prerogativa del Capo dello Stato.

Il principio della piena autonomia del Presidente della Repubblica nel concedere la grazia è stato ribadito dalla Corte Costituzionale, nella sentenza del 2006 che dirimeva il conflitto tra l’allora Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi e l’ex Guardasigilli Roberto Castelli sul caso di Ovidio Bompressi. Tra le novità introdotte da Napolitano, una volta arrivato al Quirinale, c’è stata l’istituzione ex novo di un ufficio concessione grazie presso la segreteria generale della Presidenza della Repubblica.

I tempi dell’istruttoria preliminare per la concessione della grazia durano mediamente sei mesi ma - viene fatto notare in ambienti del ministero della Giustizia, i cui uffici hanno lavorato in stretto contatto con quelli del Quirinale - è ragionevole pensare che i tempi saranno più brevi, viste le condizioni di salute di Contrada. Nel frattempo arriverà la decisione per un eventuale differimento dell’esecuzione della pena, su cui il tribunale di Sorveglianza di Napoli si sarebbe dovuto pronunciare il prossimo 24 gennaio.

La decisione, però, dovrebbe arrivare prima di quella data, viste le sollecitazioni del Quirinale e del ministero della Giustizia per anticipare l’udienza. Il presidente del Tribunale di sorveglianza avrebbe manifestato la sua disponibilità, tenuto conto anche del fatto - si è inoltre appreso - che sarebbe stata già disposta e acquisita una perizia sullo stato di salute di Contrada.

Giro (Fi): bene Napolitano, liberarlo subito. "Condivido dalla prima all’ultima riga, virgole e punteggiatura incluse, la lunga nota dei dirigenti radicali Rita Bernardini e Sergio D’Elia sul caso Contrada. Bruno Contrada deve essere liberato al più presto. Sono convinto della sua innocenza ma ora ciò che conta di più è restituire alla propria famiglia un uomo di quasi ottant’anni e gravemente malato che non deve restare un solo giorno in più in carcere". Lo afferma in una nota Francesco Giro (Forza Italia) aggiungendo che "è incomprensibile l’indifferenza del Tribunale di Sorveglianza".

"In altre occasioni e per altre circostanze - ricorda l’esponente azzurro - i giudici sono stati rapidi nel rilasciare i detenuti anche quando essi non lo meritavano. In questa vicenda invece emerge un’ostilità preconcetta che non è accettabile. Ci auguriamo che l’iniziativa del Presidente Napolitano contribuisca a sbloccare una situazione ormai insostenibile".

Prato: un’interrogazione sulla situazione del carcere

 

www.pratoblog.it, 24 dicembre 2007

 

La situazione in cui versa il carcere cittadino non è sicuramente buona e a Roma i nostri parlamentari non perdono occasione per interrogare a riguardo il ministro Mastella. Nei giorni scorsi l’onorevole di Alleanza Nazionale Roberto Ulivi ha presentato un interrogazione a risposta scritta al guardasigilli proprio in merito a questa.

La casa circondariale pratese conta attualmente 491 detenuti e dopo il carcere di Firenze, Sollicciano, è il secondo penitenziario della regione per quantità. Da ormai venti anni costantemente si riscontrano problemi gravi di carenza di personale. Negli ultimi tempi soprattutto sia la polizia penitenziaria che il personale educativo e contabile sono costretti a turni massacranti non compatibili con un lavoro sereno, efficiente e soprattutto sicuro. Sono almeno 100 le unità lavorative che servirebbero per poter parlare di organico adeguato.

Sono mesi ormai che gli onorevoli Ulivi e Migliori, coordinatore regionale di Alleanza nazionale, accompagnati da delegazioni , visitano le carceri toscane per rendersi conto di persona delle difficili condizioni in cui sono costretti a lavorare centinaia di persone. La situazione della Dogaia è particolarmente critica e nell’interrogazione l’onorevole Ulivi chiede se il ministro ne sia a conoscenza e cosa intenda fare e in che modo per riportare alla normalità questa ormai insostenibile situazione.

Bergamo: più del doppio di detenuti rispetto a capienza

 

Il Bergamo, 24 dicembre 2007

 

Allarme carcere in Italia, Bergamo compresa. A metà dicembre 2007 erano 49.442 i detenuti negli istituti di tutta la penisola a fronte di una capienza massima regolamentare di 42.213 unità; un sovraffollamento a cui non sfugge Bergamo che potendo ospitare al massimo 210 detenuti al 31 novembre ne ospitava ben 437.

Cifre che sono cresciute in modo progressivo fin dalle prime fasi post-indulto. In tutta Italia sono più di mille le persone che vengono sottoposte ad arresto ogni mese per misure cautelari o perché condannate. Un fiume in piena che ha spazzato via il decongestionamento arrivato con la misura di grazia dell’estate scorsa che portò il numero dei detenuti nei 208 istituti penitenziari a quota 38.847.

Due le cause secondo Donato Capece, segretario generale del Sappe, il principale sindacato di polizia penitenziaria: "Una parte di loro proviene dai recidivi post-indulto (il 10,16 per cento nei primi sei mesi, sommando carcerati e coloro si trovavano in misure alternative, ndr) ma il vero nocciolo della questione è la politica sulla sicurezza che per qualcuno si traduce nel riempire le carceri e basta".

Secondo Capece, Bergamo, come molte delle città lombarde, rispecchia perfettamente l’andamento nazionale: elevata presenza di stranieri, testimoniata dal recente sorpasso (50,11%) sugli italiani nella popolazione carceraria del Gleno, e poi molti, moltissimi detenuti che in carcere non dovrebbero starci: "Un esempio lampante è quello dei tossicodipendenti, che andrebbero affidati a strutture esterne.

In carcere possiamo solo riempirli di metadone aspettando che escano e - nel giro di poco -rientrino, perché nessuno viene sottoposto a programmi di recupero". Un tema quello della droga che si somma - a Bergamo come nel resto d’Italia - alla detenzione per reati minori.

Sempre secondo Capece dovrebbe essere infatti allargata l’area penale esterna al carcere dove "chi ha rubato una mela possa essere parcheggiato e non venga messo a contatto con ergastolani e gente che ha commesso reati gravi e ripetutamente. Il recupero dei detenuti si fa in questo modo soprattutto alla luce dell’insostenibile crescita della popolazione carceraria".

Una formula, quella delle misure esterne, che cozza contro realtà disarmanti: "Un esempio per tutti prosegue il segretario del Sappe - sono i braccialetti elettronici che andrebbero applicati al polso del detenuto per verificarne gli spostamenti. Previsti dalla legge, sono già state corrisposte all’azienda produttrice diverse migliaia di euro per il noleggio, eppure non ne abbiamo mai visto uno". Solo il braccialetto potrebbe secondo Capece risolvere molti problemi sia burocratici, sia procedurali. Una misura che il Sappe chiede a gran voce da diverso tempo come l’istituzione dei "Nuclei di verifica e controllo sul territorio", una sorta di squadra dedicata esclusivamente a controlli assidui nei confronti di che viene condannato a misure alternative come la semilibertà, gli affidamenti e la detenzione domiciliare.

 

Il direttore: la piaga della droga e dell’immigrazione

 

"Il sovraffollamento c’è ma la struttura funziona bene, non dobbiamo preoccuparci in tal senso anche se c’è ancora da fare. Il vero nocciolo della questione però è capire che società vogliamo". Le parole sono del direttore della casa circondariale di via Gleno, Antonino Porcino che, interrogato sui numeri della popolazione carceraria a Bergamo, sottolinea i motivi dell’aumento: mancanza di misure alternative e leggi non adatte ai problemi della società. Al 31 novembre 2007 sono 437 i detenuti presenti al Gleno, 270 dei quali imputati e 167 condannati. In totale 410 uomini e 27 donne; 219 di essi (il 50,11%) sono stranieri.

Dopo il provvedimento di clemenza della scorsa estate il numero era sceso a 320. I nuovi ingressi secondo Porcino sono composti per "circa l’80 per cento da nuovi detenuti (i recidivi tra gli "indultati" a febbraio erano 22 su 262, ndr)" che varcherebbero le porte del carcere per due motivi principali: "immigrazione e droga".

Numeri che superano di molto la capienza massima - tra le 210 e le 250 unità - e che però non preoccupano affatto il direttore: "La struttura è sovraccaricata ma abbiamo comunque sufficienti aree di passeggio, abbiamo allargato e ammodernato da poco gli spazi per i colloqui, rifatto l’impianto elettrico dello stabile. I servizi sono buoni e la gestione va avanti senza problemi. Quello che manca è il lavoro peri detenuti e i laboratori all’interno della struttura per poterlo fare". Un lavoro che secondo Porcino fa parte di un quadro più ampio, di reinserimento e misure alternative al carcere. Un punto su cui il direttore ha insistito più volte assieme ad "una profonda revisione del codice penale, ormai in atto da diversi anni ma che non arriva a conclusione".

Questo il fronte su cui lavorare per porre rimedio al sovraffollamento: "Il problema è la droga, l’immigrazione? Bene, che allora si facciano delle leggi mirate per risolvere il problema perché costruire nuove carceri non sarebbe di certo la soluzione. Ad esempio, quando parliamo di clandestinità pensiamo ai molti cinesi che arrivano dalle nostre parti in modo irregolare e poi finiscono nel tunnel del lavoro nero.

Se queste persone non hanno la possibilità di rimanere legalmente, prima o poi, la loro situazione precaria li porta a delinquere, magari con reati non gravi, a cui però l’unica risposta che si può dare è il carcere poiché senza un domicilio proprio non sono attuabili misure alternative".

In ogni caso ha ricordato il direttore Porcino "Bergamo è una struttura avanti. Certo mancano ancora i fondi per adempiere all’accordo del 2000, che per esempio prevede docce nelle singole celle e l’utilizzo di acqua calda; da noi ancora non ci sono quindi strutturalmente ci sono dei deficit però anche quest’anno l’istituto ha dimostrato di saper interagire in modo proficuo con l’esterno, grazie anche al fatto che la comunità bergamasca si è dimostrata attenta e sensibile"

 

Il cappellano: soltanto la società aiuta a reinserirsi

 

Don Fausto Resmini, cappellano del carcere che da anni aiuta e conosce da vicino "chi ha perso la strada della vita" è d’accordo con le parole del direttore Porcino: "Ampliare le sanzioni amministrative, i lavori socialmente utili e le misure come l’articolo 21 (lavoro esterno, ndr) o la semilibertà perché solo dal contatto con la società si può tentare un vero reinserimento".

Anche Don Resmini parte dall’indulto: "Un grande atto di umanità che a dispetto di quanto spesso si crede ha avuto ottimi risultati. Rimanendo per esempio a Bergamo, tra coloro che hanno beneficiato del provvedimento sono pochissimi quelli che sono rientrati in carcere. Chi sono? Io li chiamo i "poveracci", persone che non hanno avuto nemmeno una possibilità effettiva di reinserirsi".

A Bergamo infatti i recidivi hanno fatto registrare percentuali inferiori alla media nazionale. Un fenomeno che Don Resmini spiega con "gli investimenti risultati validi nelle misure alternative alla detenzione, che a Bergamo sono al primo posto in Lombardia. Pensiamo alle diverse cooperative sul campo, a Carcere e Territorio o al Patronato di Sorisole; realtà che hanno permesso a condannati di conoscere luoghi e persone che poi alla fine della pena si sono rivelati fondamentali per ricostruirsi una vita, ritrovare un cammino".

Realtà che a Bergamo "sono molte" ma Don Fausto ricorda anche che "se ce ne fossero di più si aprirebbero altre strade poiché la maggior parte dei detenuti in questo modo può davvero compiere un reinserimento concreto. Certo, ci sono soggetti che non cambiano mai, che difficilmente possiamo recuperare ma la mia esperienza dice che sono una netta minoranza". Una minoranza che secondo l’esperienza di Don Fausto rappresenterebbe nell’immaginario collettivo la figura del carcerato, legittimando in tal modo la detenzione come soluzione principale.

Pordenone: il Vescovo; forse carcere non è la cura giusta

 

Il Gazzettino, 24 dicembre 2007

 

Incontro con i detenuti in gran parte con difficoltà psichiche, vittime della droga. Alta percentuale di stranieri. Natale in cella, i dubbi del vescovo. Ovidio Poletto fa messa in carcere: "Siamo sicuri che la prigione sia la cura giusta?"

Come da tradizione, il Natale di Ovidio Poletto, vescovo della diocesi di Concordia - Pordenone, è dedicato in primis ai bisognosi, da quelli coinvolti nelle crisi occupazionali del nostro territorio, alle famiglie in difficoltà, a coloro che sono rinchiusi nel carcere cittadino, dove ieri mattinata ha celebrato la messa di Natale. A margine del messaggio di speranza rivolto ai detenuti, monsignor Poletto ha espresso una riflessione sulla validità della reclusione: "È la soluzione migliore?".

"Se si considera il Natale quale dono di speranza per quanti sperimentano situazioni di povertà o di sofferenza - ha detto il presule, accompagnato da don Alessandro Traccanelli e dal cappellano del carcere, don Piergiorgio Rigolo - mi pare sia doveroso portare parole di incoraggiamento, al fine di aiutare a riscoprire la vera coscienza e infondere vita e nuove prospettive a coloro che sono in prigione. Per chi sta fuori è più facile giudicare, ma entrando si è costretti a riflettere e condividere, anche se in questo luogo di sofferenza non spetta a noi pronunciarci sulle responsabilità, nemmeno come vescovo. L’importante è ricordare che Dio sa ricavare il bene anche da storie sbagliate, quando il cuore si apre alla sua lezione".

Dal significato del Natale alla riflessione sociale. "Certamente incontrando i detenuti non posso sottrarmi alla riflessione su ciò che hanno alle spalle, su ciò che è accaduto prima di trovarsi qui. Allora, mi domando se non ci siano delle carenze caratteriali, sociali o familiari che li hanno portati a sbagliare. La nostra società fatica ad assumersi le proprie responsabilità, ma proprio lì dove possono essere carenti i diritti è più facile che nascano situazioni di trasgressione e disagio.

Inoltre, non si deve dimenticare che il carcere rappresenta sempre la soluzione estrema. Tutti sanno che qui vengono recluse persone che avrebbero bisogno di essere curate per disturbi psichici o che in buona percentuale vengono da esperienze di tossicodipendenza. La percentuale più alta è quella rappresentata dagli immigrati. Ma siamo proprio sicuri che il carcere rappresenti la soluzione migliore?".

Rovigo: per Natale il Vescovo celebra tra i detenuti

 

Il Gazzettino, 24 dicembre 2007

 

"A sua eccellenza il vescovo, Monsignor Lucio Soravito de Franceschi, vogliamo dare il nostro benvenuto, esprimendo un caloroso grazie per la sua gradita presenza". Così i detenuti della casa circondariale di Rovigo, hanno accolto il presule che ha celebrato la Santa Messa di Natale.

"La sua presenza è per noi doppiamente importante hanno detto i detenuti perché ci porta la parola di Dio e l’amore cristiano. È un momento importante che ci fa sentire non abbandonati, vicini a Dio. Pregheremo assieme a Lei, al di là delle nostre singole colpe e peccati ma speranzosi e certi del suo perdono. Consci delle sue molteplici presenze sul territorio, la ringraziamo per avere pensato di dedicare parte del suo tempo a tutti noi. È un momento che ci arricchisce e che rimarrà nei nostri cuori e nei nostri pensieri".

La Santa Messa, concelebrata dal cappellano del carcere, don Marino Zorzan e dal segretario del vescovo don Daniele Donegà, è iniziata con la donazione della luce di Betlemme da parte degli scout anziani del Masci. Ed è stata animata dal gruppo dei giovani volontari che ogni domenica svolgono il prezioso servizio nella casa circondariale rodigina. "Sono venuto in mezzo a voi per portarvi un annuncio di speranza ha detto monsignor Soravito e ad aiutarvi a ritrovare la fiducia in voi stessi.

La comunità cristiana non vi ha dimenticati. L’ideale sarebbe che questo luogo fosse un luogo di riabilitazione e di cura, invece molti limiti, come per esempio il sovraffollamento, fanno sì che molte volte questo si riduca ad un luogo di pena. Chi compie un’azione cattiva pecca contro l’umanità ma non perde la sua umanità.

Scoprite il bene che è in ognuno di voi e fatelo rifiorire. Costruite un clima umano tra di voi, aiutandovi e sostenendovi a vicenda, in modo che questa possa trasformarsi da casa di pena a casa di cura, dove il primo medico è Cristo".

Al termine della celebrazione eucaristica, il sindaco Merchiori ha espresso un augurio a nome di tutta la città ed un pensiero è stato espresso anche dal direttore del carcere Fabrizio Cacciabue e dal Magistrato di Sorveglianza, Giovanni Maria Pavarin.

 

 

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