Rassegna stampa 23 dicembre

 

Giustizia: gli internati dell’Opg trasferiti a Secondigliano

di Francesco Maranta (responsabile sanità Pdci)

 

www.aipsimed.org, 23 dicembre 2007

 

Nelle Festività Natalizie, 70 ammalati di mente, passeranno dall’Ospedale Psichiatrico di Sant’Eframo (Napoli) al carcere di Secondigliano. Vorrei premettere, che oltre il 95%, dei ristretti potrebbe vivere senza rischio per nessuno fuori dalle lombrosiane strutture denominate Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Qualche anno fa, il movimento di critica psichiatrica era in grado di presentare proposte di legge per la chiusura degli Opg e il loro superamento, che se non trovavano possibilità di approvazione, almeno avevano il merito di tenere vivo un dibattito.

Oggi nemmeno più quello, nessuno più parla, la questione specifica e generale del disagio psichico sembra dimenticata dalla politica. Basta, questo silenzio è diventato intollerabile. Migliaia di persone sono sepolte vive nelle sei strutture che esistono in Italia, letteralmente dimenticate dalle istituzioni.

Il caso del defunto Vito De Rosa, per oltre 50 anni internato a Napoli, senza mai uscire, ha rappresentato solo la punta di un iceberg, e ricordo le lacrime di coccodrillo che i benpensanti versarono dopo che conducemmo la battaglia per la sua liberazione, oggi, per questi ammalati, niente, nessuna voce si alza, neanche più il conforto dei tutori dell’anima irrompe in questa scena grigia e malinconica.

Che Paese strano stiamo diventando. Sono profondamente indignato e faccio appello ai veri democratici a mobilitarsi affinché queste persone (perché di esseri umani stiamo parlando) siano considerate ammalati e come tali siano trattati. Chi acconsente che degli ammalati vadano in carcere andrebbe denunciato per crimini contro l’umanità.

Giustizia: il Natale e l’eclissi della bontà, di Ilvo Diamanti

 

La Repubblica, 23 dicembre 2007

 

Alla vigilia del Santo Natale dobbiamo denunciare la scomparsa di un ospite atteso, soprattutto in questi giorni. La Bontà. Da anni, ormai, le sue visite erano divenute saltuarie. Sporadiche. Ma quest’anno non l’abbiamo proprio vista. Forse si è nascosta. Inibita da qualche cartello, che, alle porte della città, la invitava a girare al largo.

Su Google, nonostante la stagione propizia, digitando "bontà", la ricerca propone 1.200.000 risultati (link). Poco più di "egoismo". Mentre la parola "inganno" ne restituisce 100.000 in più. Essere o apparire "buoni", d’altronde, non è più considerato un fattore di successo. Ammesso che lo sia mai stato. Oggi, semmai, è un segno di debolezza. In politica, al governo, nell’amministrazione e nella società.

Prodi: ha dovuto contraddire il suo aspetto pacifico e morbido. E se non gli riesce di sembrare cattivo, oggi, almeno, tutti gli riconoscono il merito della "caparbietà". Della testardaggine. Deciso a resistere resistere e resistere. A ogni costo. Veltroni. Ha rinnegato l’invenzione del "buonismo". Dottrina, linguaggio e, al tempo stesso, fisiognomica.

Oggi, Walter Veltroni prosegue nella via del "dialogo", che riconosce l’esistenza e la legittimità dell’altro - avversario e non più nemico. Ma è ben deciso a decidere. A spingere il Pd oltre l’Unione. Oltre la mediazione. Perché, in politica e nella vita, oggi non si è credibili senza fare i "duri".

Come Gianfranco Fini. Agevolato dalla biografia politica personale. Oggi è in "guerra": non solo con gli avversari, ma anche con gli alleati. Sopra tutti: Silvio Berlusconi. Il Cavaliere. L’eterno sorriso dell’uomo a cui piace piacere. Protagonista del romanzo popolare della Seconda Repubblica. Una fiction trasmessa senza soluzione di continuità e a reti unificate.

Da qualche tempo si sposta da una piazza all’altra agghindato come un esistenzialista degli anni Cinquanta. Un personaggio di Beckett. O, meglio, un rivoluzionario, come l’ha definito, con affetto e ironia, il fedele Confalonieri: "Le immagini di piazza San Babila stracolma di gente che lo circonda, e lui che sale sul predellino dell’auto per salutare, mi ricordano l’arrivo di Lenin in Russia a bordo del treno piombato".

Ma più dei politici nazionali, di governo e di opposizione, a stigmatizzare la "bontà" - come un vizio più che una virtù - sono i sindaci. Definiti, talora, "sceriffi". Formula coniata, anni fa, da Giancarlo Gentilini, sindaco di Treviso per dieci anni (e oggi "sindaco aggiunto"). Nemico giurato di mendicanti, zingari e immigrati.

Al cui indirizzo ha lanciato iniziative e invettive dal forte impatto simbolico. Anche se, nei fatti, ha fatto molte cose "buone" (guai a dirglielo, però; la prenderebbe come un’offesa), visto che il grado di integrazione della sua città, certificato dalla Caritas (meritoria organizzazione dal nome fuori moda), è tra i più elevati d’Italia.

Il suo esempio, però, è stato seguito dai sindaci di altre città. Di destra e di sinistra. Da Verona a Bologna, passando per Cittadella e Firenze. Perfino a Roma. Tutti impegnati ad assumere iniziative "emblematiche" contro accattoni, lavavetri, rom, romeni, immigrati-con-meno-di-500-euro-di-reddito-al-mese.

I sindaci, d’altronde, più delle altre autorità pubbliche, sono incalzati ogni giorno dalle pressioni dirette ed esplicite dei cittadini. Tuttavia, alcune loro scelte (le più clamorose), più che alla soluzione del problema, sembrano finalizzate a "rassicurare". Esibendo la "tolleranza zero". Insomma: meglio sceriffi che missionari.

L’eclissi della bontà, d’altronde, oggi si riflette in tutte le parole della stessa "famiglia" semantica. Lo dimostra l’impopolarità delle formule che evocano dialogo, mediazione, condivisione. Per esempio: la "concertazione". Per non parlare della "cooperazione". Offuscata da dispute che intrecciano politica e finanza. Per la stessa ragione, è cambiato perfino il significato della "sicurezza". Fino a vent’anni fa era, per definizione, "sociale".

E riguardava la salute, la previdenza, il lavoro. Il futuro delle persone e delle famiglie. Oggi, invece, (come mostra una recente ricerca di Demos per la Fondazione UniPolis, ottobre 2007) evoca, per riflesso pavloviano, paura dell’altro. La criminalità comune, ma anche gli immigrati. Le minacce all’incolumità e al domicilio personale. Di conseguenza, alimenta la richiesta di militarizzare il territorio. Di sindaci sceriffi. Appunto.

La bontà si è eclissata anche nelle relazioni di vita quotidiana. D’altronde, 7 persone su 10, in Italia, ritengono che "gli altri, se ne avessero l’occasione, approfitterebbero della mia buona fede" (Demos, novembre 2007). Per questo, anche se si è buoni, conviene dissimularsi. Non rivelarsi come tali. Ma dimostrarsi ostici, spigolosi, furbi. Quantomeno a fini preventivi.

Il linguaggio "pubblico" si è evoluto (si fa per dire...) di conseguenza. Il turpiloquio non è più tale da tempo. Non per caso, la manifestazione, forse, più clamorosa contro la classe politica è stata promossa da Beppe Grillo al grido "Vaffa...". D’altronde, la rissa e l’aggressione (non solo) verbale fanno parte del repertorio di ogni programma tivù, in onda su ogni rete, a qualsiasi ora.

La bontà, invece, è neutralizzata nello "spettacolo". Disciolta nelle diverse varianti del format di Telethon (iniziativa, in sé, meritoria), che scivola da una trasmissione all’altra, da una rete all’altra. Così vediamo le stesse figure che, fino al giorno (e a un’ora) prima, si occupavano dei delitti più efferati e morbosi del momento, cambiare improvvisamente personaggio. Indossare una sciarpa, un nastro, un distintivo.

Raccogliere fondi per una "buona" causa. Per tornare, subito dopo, allo stile e al linguaggio di sempre. Così lo stimolo sociale della bontà viene risvegliato, ma a distanza. Ciascuno reagisce individualmente, da solo. Un sms e via. Lo spettacolo continua.

Naturalmente, la "bontà" non è scomparsa. Anzi si sviluppa. È un bisogno biologico. Una pratica diffusa, che si traduce in mille attività solidali e volontarie. Cui partecipa una quota estesa, e crescente, di popolazione. In modo nascosto. Io buono? Per carità! Buono sarà lei!

Tuttavia, la pretesa contraria resta, appunto, una pretesa. L’ascesa di una classe politica inflessibile e muscolare è una leggenda. Un artifizio retorico. In questo Paese dove i governi non riescono a decidere.

Prima Berlusconi, abile a deliberare soprattutto sulle questioni che lo riguardavano direttamente. Oggi Prodi, in difficoltà nel contrastare la sfida di categorie professionali piccole ma agguerrite: camionisti, tassisti, controllori di volo. Mentre i sindaci dichiarano guerre che poi non combattono. (Perché non ne hanno i mezzi). Contro pericoli il cui peso emotivo è molto superiore a quello reale. I furti in appartamento, ad esempio, percepiti come una minaccia concreta dal 23% degli italiani (Demos per UniPolis). Mentre l’effettiva incidenza del reato è lo 0,2%.

Insomma, la "cattiveria", più che un volto, è una maschera. Così si spiega il bagno di folla riservato a Sarkozy, a Roma. Lui sì capace di decidere, anche a costo di scatenare conflitti e fratture sociali. In aperto contrasto con tutti. Lavoratori dei trasporti, studenti, operai, bande delle banlieues e intellettuali "da caffè". Senza arretrare. Incrociando, semmai, la spada e il glamour: gli scioperi, Cecilia e Carla Bruni.

In Italia, invece, la fermezza appare, principalmente, uno stile esibito in pubblico. Cui non corrispondono comportamenti coerenti. L’eclissi della bontà, per questo, non è il prodotto di un diverso e opposto codice etico. Né, tanto meno, di un diverso e opposto modello di azione. È, invece, la maschera di un Paese impotente e indeciso.

Un Paese in penombra, dove non si intravedono valori e uomini "forti". E, se anche emergessero, sarebbe difficile riconoscerli. Perché il Bambino, se oggi nascesse in Italia, non troverebbe ad attenderlo i tre re Magi. Ma Vespa, Mentana e Cucuzza. La vita in diretta. L’eterno presente. Dove non c’è spazio per la "buona" novella. Ma neppure per quella cattiva.

Giustizia: Roma; Natale nel fango per i rom sgomberati

di Castalda Musacchio

 

Liberazione, 23 dicembre 2007

 

Lì, sulla Tiburtina, hanno trasportato a mano le roulotte che il Comune ha deciso di disporre per affrontare l’emergenza dettata dallo sgombero della baraccopoli di Ponte Mammolo. "Sì - dice Patric - le abbiamo spinte a mano per toglierle dalla strada". Fino a tarda sera, ancora ieri, nonostante le rassicurazioni, le altre dieci roulotte nuove promesse dal Campidoglio non erano ancora arrivate.

La denuncia lanciata dal movimento, dagli esponenti della Sinistra impegnati nella soluzione dei rom sgomberati viene di nuovo rilanciata: "Si affronta così la "questione"? O meglio quella più ampia e vasta dell’accoglienza?". A chiederselo è Claudio Graziano dell’Arci. Eppure, la domanda che risuona nell’aria sta lì ancora appesa alla ricerca di una risposta che tarda a venire.

Qualche giorno fa Veltroni ha parlato - una battuta buttata lì a caso - di ulteriore "bonifiche" per i campi della capitale. È pronta una delegazione composta da esponenti politici della Sinistra e da rappresentanti di associazioni e movimenti come l’Arci impegnati in prima linea nel territorio dell’Urbe per verificare con dati certi quali sia la vera realtà dei campi della Capitale. Ma di sicuro - spiega ancora Graziano - "non è questa la strada.

Non è con gli sgomberi - aggiunge - che si risolve un problema che non è di criminalità ma di vita ai margini. Oltretutto - il messaggio è chiaro - sentire parlare di "bonifica" quando si tratta di bambini e di uomini è raggelante. Anche nel linguaggio si porta indietro di decenni la cultura della città".

A conferma di un approccio sbagliato alla questione, la notizia, che somiglia a una chicca, coinvolge ancora il quinto municipio dove sono stati fatti sgomberare i rom. Alleanza nazionale ha cominciato a distribuire volantini con su scritto "Riprendiamoci il nostro quartiere" in cui si assume tutto il merito degli sgomberi contro il centrosinistra - nota Antonio Medici - che a sua volta si assume tutto il merito degli sgomberi effettuati.

"Siamo ormai a un vero paradosso culturale - commenta il vicepresidente del Quinto municipio romano - Si sta parlando, per una città come Roma, di come risolvere l’accoglienza e la risposta è negli sgomberi di persone che probabilmente continueranno a migrare da un campo ad un altro". Continueranno a vivere nel fango e nel degrado? È questo che vuole Veltroni?

"Per quanto ci riguarda - sottolinea ancora Claudio Graziano - ciò che chiediamo al sindaco della città è di fermare gli sgomberi e di aprire un tavolo di confronto con rom, la popolazione coinvolta, le istituzioni e i cittadini. Di trovare una soluzione abitativa per gli sgomberati. Ma soprattutto di tener conto che in questa città esistono migliaia di persone senza diritti. Il problema per queste persone è non esistere".

Naturalmente non si può rispondere a tali problemi con una politica emergenziale. La questione è naturalmente più complessa. C’è chi revoca il condono sul debito ai nomadi, chi, come in alcuni comuni dove ci sono amministrazioni di centrodestra, il problema dell’accoglienza non se lo pone proprio, ma c’è anche chi si chiede se possa esistere una via alternativa ad una politica di sicurezza che non affronta il problema dell’integrazione e dell’accoglienza. "Ed è necessario - sottolinea ancora Medici - ripartire da qui". Naturalmente occorrono anche decisioni - lo aveva già puntualizzato Massimiliano Smeriglio - a livello di politica nazionale e internazionale.

Ferrero, il ministro della solidarietà sociale, proprio pochi giorni fa si è recato a Bucarest e ha incontrato il suo collega, il ministro del lavoro rumeno. I due paesi si sono impegnati a reperire risorse in tal senso, per programmi innovativi e sperimentali, per l’integrazione sociale dei romeni che vivono in situazioni di emarginazione socio-economica e delle comunità rom attualmente presenti in Italia e Romania.

Sarà inoltre favorita - dicono dal ministero - l’informazione ai cittadini romeni, inclusi i rom, sulle opportunità di lavoro ed inclusione sociale che esistono nel loro paese d’origine. "È ovvio - sostiene Stefano Galieni, responsabile immigrazione di Rifondazione - che si deve lavorare per rimuovere le cause che procurano il disagio favorendo interventi di inclusione.

Ma - puntualizza - distruggendo le baraccopoli si va contro parecchie convenzioni internazionali. Chi governa la città sa perfettamente che questa non solo non è una soluzione ma pone il Comune nell’illegalità e nella violazione del diritto. L’amministrazione deve capire come hanno fatto le precedenti amministrazioni degli anni ‘60 che la casa deve diventare un diritto per tutti e per tutte". Diritto che resta negato a molti. Non è certo con le roulotte che si risolve l’integrazione.

Giustizia: caro sindaco Veltroni, caro ministro Ferrero...

di Gianluca Peciola (Assessore Municipio XI di Roma)

 

Liberazione, 23 dicembre 2007

 

Caro sindaco Veltroni, caro ministro Ferrero, siamo in piena applicazione del patto sicurezza in città. Le irruzioni nei campi abusivi sono all’ordine del giorno. A volte ai rom e ad altri cittadini invisibili viene offerta una soluzione alloggiativa di emergenza, altre volte semplicemente la direzione dell’indice che indica il "fuori".

Non è facile, ma da qualche parte dobbiamo pur cominciare. Vi faccio una proposta. Chiudiamo tutti i campi rom attrezzati presenti sul territorio romano (circa 5.000 abitanti), inseriamo i Rom nel piano casa del Comune, utilizziamo i campi della solidarietà per l’emergenza sociale e per i rom rumeni che vivono sulle sponde del fiume. Recentemente ho sentito anche da esponenti politici della mia stessa area parlare di "campi rom di eccellenza". Mi è venuta la pelle d’oca. Partiamo da una premessa, non esistono soluzioni concentrazionarie d’eccellenza.

Diciamoci con molta chiarezza che i campi rom, soprattutto per i "rom storici" (cioè quelli venuti dall’ex Jugoslavia a partire dalla fine degli anni Sessanta a questa parte, fino alle recenti fughe in seguito alla guerra dei Balcani e poi del Kosovo), sono una bestemmia e come dice sempre Santino Spinelli somigliano a lager più che a centri di natura residenziale solidale. La proposta, recentemente, è stata ripresa dal coordinatore del Lazio di Forza Italia (immediatamente rientrata in seguito alle pressioni del proprio Partito) ed è il frutto di una valutazione assolutamente ragionevole.

Per quei rom ormai stanziali, alcuni dei quali cittadini italiani, altri ormai integrati nel tessuto sociale in quanto presenti da decenni sul territorio cittadino, si deve prevedere un piano abitativo compatibile con il piano casa previsto dal Comune. Nei campi rom all’interno della Città sono presenti famiglie che hanno visto edificare parte di Cinecittà, quartieri come Roma ‘70 o Rinnovamento, nascere e svilupparsi la città "senza luoghi" delle varie periferie romane. Sono diventati padri, poi nonni, hanno dato nomi italiani a figli e nipoti, hanno vissuto la storia del Paese da Rumor al Prodi Bis, assistito alla crisi del Fordismo e alla nascita del cosiddetto capitalismo molecolare.

Da lì, dal campo, entità immobile in uno scenario sociale e urbanistico in rapidissima trasformazione. Guerrieri del tempo, figure resistenti alle aggressioni simboliche e strutturali della città e del suo stratega, l’immobiliarista collettivo con le sue mani un po’ ovunque.

Romanticamente questa figura eroica metropolitana può funzionare per qualche antropologo d’accatto, innamorato delle persistenze culturali in contesti metropolitani mutevoli. La realtà vera per questi "eroi" è fatta di disagio, fango, baracche, container, roghi, marginalità, discriminazioni. Tutto cambia, i campi restano li e la risposta ai rom sembra essere sempre e ancora campi "partecipati", equo e solidali, di legno, con piscina e ristorante, con la "responsabilizzazione degli abitanti", in rete, con le "case vere", e via dicendo.

Architetti, urbanisti, sociologi a fare disegni di campi ideali, spesso fianco a fianco con i "portavoce" rom, figure in alcuni casi non proprio limpide, a cui di uscire dal campo gli interessa poco, anche perché magari una casa, vera però, ce l’hanno altrove. È con loro che facciamo le riunioni per progettare l’alternativa umanitaria agli attuali campi?

Con loro progettiamo l’uscita dal ghetto per quei rom che vivono di elemosina, furti, riciclaggio, operatività sociale malpagata, assistenza sociale, lavoro precario? Cari, penso semplicemente che se vogliamo affrontare in maniera efficace la "Questione rom" come banalmente viene definita (che comprende soprattutto Rom e Sinti), dobbiamo realizzare una vera e propria rivoluzione copernicana a partire dal nostro approccio sul tema.

Dovremmo partire da un piano casa per i rom che ora si trovano sulla Pontina, da pensare anche come forma di risarcimento per la punizione collettiva inflittagli con lo spostamento da Vicolo Savini. Alcuni di loro, precisamente 68 famiglie, hanno fatto richiesta di casa popolare. Case per i "rom Storici", attraverso un piano che coincida con i tempi della consigliatura (crisi permettendo), campi della solidarietà per le quelle emergenze sociali e umanitarie che portano migliaia di persone, in maggioranza rom rumeni, a trovare rifugi di fortuna sul greto del Tevere come in tante zone impervie e invisibili della città.

Un piano casa che prenda spunto anche dalle tante esperienze di auto recupero di stabili abbandonati da parte di famiglie rom. Se qualcuno volesse ispirarsi a questi modelli abitativi auto recuperati, potrebbe far visita alla "casa di Priscilla" (bambina rom affetta da sindrome di Down), struttura dell’Acea occupata e recuperata da sei nuclei familiari o presso un’altra occupazione nata dove prima esisteva il campo più grande d’Europa. Da questi progetti di auto recupero dal basso si potrebbe capire come rom coincide con casa, quando quest’ultima è casa vera e non un container ammassato insieme ad altre centinaia di container.

Proviamo questo "doppio passo dell’accoglienza", mettiamo in discussione il sistema di rappresentanza della comunità rom, tentando un dialogo diretto con tutte le famiglie e comunque mettendo in discussione l’attuale oligarchia, superiamo l’assistenzialismo della scolarizzazione porta a porta. Proviamo ad investire sulla mediazione sociale e sulla responsabilizzazione dei genitori (non possiamo accettare che tutte le comunità immigrate provvedono autonomamente all’accompagno dei bambini a scuola, mentre per i rom siamo ancora al pulmino che garantisce il trasporto a scuola e il riaccompagno al campo).

Mettiamo in discussione progressivamente l’assunto per il quale ai rom va assicurato un diritto speciale, che li immobilizza nella figura collettiva di comunità "disabile" ed esclusa. Puntiamo su un progetto che preveda anche il riconoscimento del lavoro per quanti operano di fatto come Mediatori sociali ed Educatori nei campi rom e ai quali vengono riconosciuti salari insufficienti, legati ai bandi di gara, contratti precari e un debole riconoscimento della propria funzione professionale e sociale. Come a dire che chi lavora con i rom non può che essere una figura professionale ibrida e malpagata.

Si tratta di un lavoro delicato, che promuove la reti di accoglienza, che di fatto si occupa a tutto campo del progetto di vita di intere comunità. Caro Veltroni, Caro Ferrero, provate ad incontrarvi e a pianificare con la società civile, con i movimenti, e ovviamente con i rom stessi un piano di uscita dall’assistenza perenne per i cittadini rom e sinti. È compito difficilissimo, ma va iniziato con coraggio, rischiando una impopolarità che non durerà a lungo. I risultati per i diretti interessati e per la città non tarderanno ad arrivare.

P.S. Chiamo in causa il Ministro Ferrero, ma dovrei riferirmi anche al Ministro degli Interni, in quanto uno dei problemi più seri per un reale inserimento è la mancanza di uno status giuridico certo per molti rom presenti da decenni sul territorio nazionale.

Giustizia: l’Anm critica pubblicazione delle intercettazioni

 

Ansa, 23 dicembre 2007

 

"La magistratura associata raccoglie il preoccupato appello del Capo dello Stato a che non si accenda una nuova e deleteria spirale, dannosa per le istituzioni politiche, per la magistratura e quindi ultimamente per i cittadini e stigmatizza operazioni mediatiche e spettacolari che possano alimentare il pericolo così autorevolmente segnalato".

Con una nota i vertici dell’Associazione nazionale magistrati criticano sia la pubblicazione sul sito dell’Espresso dei file audio della intercettazione telefonica tra Silvio Berlusconi e Agostino Saccà "interna" all’indagine della procura di Napoli che è "ancora in corso", sia la docu-fiction sul caso del gip milanese Clementina Forleo e dunque la scelta di Annozero di trasmettere "versioni sceneggiate di note vicende oggetto di procedimenti penali e disciplinari che coinvolgono attualmente magistrati".

L’Anm sottolinea che "solo la prudente e responsabile applicazione delle norme e delle garanzie , in vista di un autentico fine di giustizia a cui sono tenuti tutti i magistrati" è "il vero segno di indipendenza che qualifica positivamente il doveroso controllo di legalità".

Giustizia: per rilanciare insieme la questione penitenziaria

di Enrico Sbriglia (Segretario Nazionale Sidipe)

 

Comunicato stampa, 23 dicembre 2007

 

Una collega, qualche giorno fa, si sfogava e mi scriveva: "Caro Enrico, so benissimo che quello che dirò non è niente di nuovo e che con te sfondo un porta aperta. Sono molto preoccupata; continuano a pervenire dall’amministrazione disposizioni che tendono ad escluderci. È sempre più evidente la volontà dell’Amministrazione di escluderci, sbilanciando eccessivamente gli equilibri degli istituti verso la diretta ed autonoma gestione del settore sicurezza. È un’ottica pericolosissima. È molto preoccupante; si tratta di indirizzi e scelte che farebbero impallidire le più severe dittature… (è il colmo!!!). Neanche la più "radicale" dittatura di destra avrebbe partorito queste mostruosità. Un abbraccio, S…".

Ho ringraziato la collega, ricordando che le dittature non sono solo di destra, le dittature sono semplicemente delle dittature… ma fatta questa precisione, non possiamo non constatare come l’amm.ne appaia incapace di riprendere la china, anzi continui a precipitare avvolgendosi in se stessa, sottolineare come si respiri un’atmosfera preoccupante, d’imbarbarimento e di rinuncia insieme: valori condivisi che proiettavano e rendevano diversa la funzione penitenziaria rispetto a quelle che tradizionalmente trattano le questioni della sicurezza, attribuendo alla stessa anche aspirazioni di carattere sociale, annichiliscono e retrocedono di fronte ad istanze nervose e confuse di una "sicurezza" della quale non si scorgono i contenuti ed i confini.

Di colpo sembra che lavorare in carcere sia percepito per tanti come cosa degradante, un mondo dal quale fuggire, che differenzia, ed in negativo, quanti, operatori penitenziari, sia appartenenti al Corpo che ai ruoli amministrativi, ostinatamente continuino a credere nella funzione sociale penitenziaria.

Se, da una parte, talune categorie asseriscono il principio contrattuale di un "tutto e subito", di non si sa ancora cos’altro, le rimanenti sembrano guardare senza apparente interesse ciò che sta accadendo, oramai rinunciatarie e demotivate (d’altronde la busta paga non entusiasma gli animi…).

Termini come rieducazione, trattamento, finalità educativa della pena, sembrano rimpicciolirsi per dare spazio a compiti "altri", compiti che seppure possono in linea di principio interessare pure la nostra amministrazione, ma che a guardar bene "distraggono" il nostro personale dai compiti dominanti.

La polizia penitenziaria, già in affanno nelle carceri, viene ulteriormente polverizzata tra palazzi di giustizia, notifiche di atti, attività di tutela e scorta, nel mantenimento dell’ordine e della sicurezza finanche nei bar aziendali dell’amm.ne, distaccata in istituti già tronfi di personale, e poi toccherà agli Uepe, ai servizi di polizia stradale e così via…

Gli educatori (in realtà, sul campo, per davvero direttori di area pedagogica…) sono divenuti merce rara: essi si rinvengono copiosi solo nelle circolari "impossibili" o vengono concentrati in alcune realtà territoriali fortunate…

Nel mentre, il numero dei detenuti sale vertiginosamente, così la temperatura delle carceri, ed irrefrenabile risulta essere la conta dei suicidi che sembra contagiare non soltanto le persone detenute, interessando finanche gli stessi operatori penitenziari.

L’assenza di un progetto politico che guardi le carceri ed i temi della carcerazione risulta di tutta evidenza: solo inutili formule e frasi fatte e scontate ormai sentiamo palleggiare nei dibattiti che trattano il tema.

La macchina si è fermata, anzi arretra e pare che la cosa più importante siano le funzioni di polizia stradale del Corpo o l’ulteriore tentativo di trasformare il Dap in un contenitore ancora più burocratizzato, incapace di risolvere i problemi anche i più modesti, per non parlare di quelli più complessi, quali la pressoché totale scopertura di molti istituti nei confronti dell’effettiva attuazione del Dlgs. 626 e ss.

Gli ostacoli vengono aggirati piuttosto che affrontati e risolti: in questo contesto assistiamo a tentativi reiterati di movimentazione forzata di personale dirigente periferico senza che vi sia un sistema di regole condiviso, al levo irriguardoso di funzionari che aspiravano, giustamente, ad un ruolo speciale dirigenziale ad esaurimento, dopo avere con successo, e in taluni casi per anni, retto egregiamente degli uffici Uepe.

Nel frattempo, preoccupati, attendiamo l’annunciato passaggio al sistema sanitario nazionale di quelle funzioni che, finora, seppure con grandi assunzioni di responsabilità, siamo riusciti a garantire nella generalità degli istituti ed è ovvio che noi si chieda: dopo come sarà? Sapranno i Sert garantire gli stessi livelli di assistenza che noi assicuriamo ogni giorno, domeniche e festivi compresi, notte e giorno, natale o pasqua che sia, ai detenuti tossicodipendenti? Sapranno i Dipartimenti di Salute mentale assicurare l’assistenza costante, quantomeno quella farmacologia, ai numerosi soggetti problematici che oggi affollano molti istituti? Riusciranno a garantire le presenze corrispondenti di infermieri professionali così come oggi noi facciamo utilizzando il personale convenzionato?

Carceri nuove non se ne vedono (altro che "Project financing" proposto dal Sidipe…), quelle esistenti richiedono costanti flussi economici per affrontare l’ordinarietà ed il personale tutto appare sempre più deluso… In questo contesto il Sidipe porta avanti le sue rivendicazioni, rivendicazioni ovvie, semplici: contratto e regole, contratto e trasparenza, contratto ed imparzialità!

Siamo sicuri che, se sapremo muoverci insieme, se continueremo ad essere gruppo, riusciremo - seppure con fatica e con l’amarezza che deriva dal dover assicurare cose che invece dovrebbero essere anzitutto interesse della Parte Pubblica - a conseguire, ancora una volta, tutti gli obiettivi che ci siamo dati: Nessuno ci distoglierà, così come fu per la Meduri.

Entro il primo semestre del 2008 il Sidipe co-organizzerà un importante convegno internazionale incentrato sulla costituzione di una Carta Deontologica Europea degli operatori penitenziari, il convegno sarà anche l’occasione per fare il punto al nostro interno, compresa la possibile rivisitazione dell’attuale segreteria nazionale, entro gennaio vi sarà il prossimo direttivo, esteso ai referenti regionali: insomma non ci fermiamo. Nel frattempo continueremo a spronare l’amm.ne e le autorità politiche affinché si avviino le procedure che riguardano il nostro primo contratto di categoria. Stopperemo qualunque iniziativa finalizzata a ridimensionare la natura di diritto pubblico che riconosciamo come irrinunciabile per la nostra categoria e che, per il vero, auspicheremmo vedere riconosciuta anche alle altre categorie di operatori penitenziari non in uniforme.

Tutto questo e di più nel 2008, insieme con Voi, insieme agli iscritti del Sidipe - Aff. Cisl/Fps, insieme alla Cisl: Auguri, quindi, per un sereno Natale e per un 2008 fatto di cose concrete ma anche di ideali, di un ritorno a pensare il carcere, ed il sistema penitenziario comprensivo di quello dell’esecuzione penale esterna, in modo moderno, come lo era fino a qualche tempo fa.

Trieste: morto un infermiere del carcere; è meningite?

 

Il Gazzettino, 23 dicembre 2007

 

Si sospetta una forma di meningite fra le cause della morte di un infermiere del carcere, avvenuta venerdì nell’ospedale "Cattinara". Secondo i primi accertamenti non ci sono elementi che facciano propendere per un caso di meningite "anche se - ha precisato un portavoce della direzione sanitaria - dal punto di vista clinico, considerati i sintomi rilevati dai medici sul paziente, potrebbe trattarsi di una forma di meningite".

La direzione sanitaria inoltre ha aggiunto che a maggior ragione "non ci sono elementi che facciano ritenere che, a Trieste, ci sia un’epidemia in corso". Assicura il direttore sanitario Luca Lattuada: "Non sono stati riscontrati collegamenti con i casi segnalati a Nova Gorica o nel Veneto". Gli esami microscopici effettuati finora non hanno rilevato alcun elemento che confermi il sospetto di un contagio. Tuttavia saranno necessarie almeno altre 48 ore per accertare l’eventuale presenza dei batteri nello stesso materiale biologico.

Comunque in via precauzionale tutto il personale sanitario entrato in contatto, diretto o indiretto, con il paziente deceduto, è stato sottoposto a chemioprofilassi antibiotica. Lo stesso trattamento è stato riservato a una ventina di persone che lavorano nel carcere triestino, anch’esse entrate in contatto con l’uomo poi deceduto.

L’uomo deceduto viveva a Trieste, aveva 55 anni e da una ventina di giorni era assente dal posto di lavoro per una patologia che è ritenuta completamente estranea alle cause della morte. Giovedì l’uomo, che era apparso in perfetta forma fisica, si era recato in carcere dove però non era entrato in contatto con detenuti o personale di Polizia penitenziaria, ma solo con personale amministrativo. Le stesse fonti del carcere hanno escluso la presenza di qualsiasi forma di malattia infettiva fra i detenuti.

Napoli: Bernardini (Radicali) fa visita a Bruno Contrada

 

Il Mattino, 23 dicembre 2007

 

La Segretaria dei Radicali Italiani Rita Bernardini e Sergio D’Elia, deputato radicale di Radicali e Socialista Rnp e Segretario di Nessuno tocchi Caino, oggi pomeriggio visiteranno il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere e, con l’occasione, chiederanno di poter incontrare Bruno Contrada, detenuto dal 24 dicembre dello scorso anno e gravemente malato. I Radicali - forti della convinzione che giustizia non significhi vendetta, e consapevoli che a volte il carcere possa trasformarsi in una vera e propria forma di tortura - non hanno mai smesso di rivolgere la propria attenzione allo stato della popolazione carceraria.

Al contrario, si sono sempre impegnati, e continuano a farlo tenacemente, affinché i detenuti possano scontare la propria pena in condizioni civili e nel rispetto dei diritti umani. Per questo motivo Bernardini e D’Elia sono rimasti particolarmente colpiti dalla recente lettera in cui Contrada denuncia che la propria detenzione equivale ad una condanna a morte.

All’indomani dell’approvazione della moratoria Onu sulle esecuzioni capitali, questo grido d’allarme acquista un significato - se possibile - ancora più drammatico. Mentre dall’esecuzione di una sentenza di morte non si torna più indietro, alla sofferenza di Bruno Contrada è ancora possibile porre rimedio.

Se infatti si è riusciti a fare un passo in avanti così importante nella lotta alla pena capitale, non si può restare inermi dinanzi ad una detenzione che, pur non essendolo, rischia di diventare una sentenza di morte. Non c’è tempo da perdere. Sulla scena internazionale il nostro Paese è in prima linea nella tutela dei diritti umani, a maggior ragione la giustizia italiana non può permettersi di venir meno a quest’impegno proprio qui, in casa nostra.

Palermo: mostra-mercato dei detenuti del "Pagliarelli"

 

La Sicilia, 23 dicembre 2007

 

Una mostra mercato realizzata dai detenuti del carcere Pagliarelli, per aiutare i bisognosi. Per tutta la giornata di ieri nell’atrio del Teatro Politeama nove ospiti dell’istituto di pena, hanno venduto i manufatti realizzati da loro.

Ceramica, editoria, pelletteria, agricoltura, falegnameria e il miele prodotto all’interno del carcere tra i possibili regali di natale, esposti negli stand. Da tempo, infatti, all’interno del Pagliarelli, i detenuti hanno la possibilità di seguire anche un corso di apicoltura organizzato dalla Federazione Apicoltori Italiani, nell’ambito di un programma promosso dal Ministero della Giustizia d’intesa con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. I prodotti finali, sono miele di ottima qualità e candele che raffigurano immagini sacre e soggetti natalizi. "È da 12 anni che non uscivo dal carcere - dice uno dei detenuti, in permesso di uscita - e questa mostra mi ha procurato molta emozione, è un’ottima occasione per dimostrare la nostra volontà di rimetterci in gioco e di cambiare rotta, e poi è un’ottima iniziativa per far capire cosa si fa dentro il penitenziario. Se non avessi seguito tanti dei corsi che ci sono in carcere adesso sarei un emarginato". I proventi della vendite andranno tutti in beneficenza ai detenuti bisognosi.

Verona: studenti premiati a concorso su carcere e scuola

 

L’Arena di Verona, 23 dicembre 2007

 

Si conclude a pochi giorni da Natale il progetto Carcere & Scuola 2007 con la XIX edizione del concorso dedicato agli studenti, 1.079 quelli che hanno partecipato alle visite nella casa circondariale, provenienti da 56 istituti della provincia veronese. Quest’anno il tema che ha riassunto lo stato d’animo di chi entra nell’istituto di detenzione di Montorio e scopre il mondo di chi vive dietro le sbarre, è andato a Marta Pavan, ex studentessa del liceo scientifico Fracastoro. Ed è nell’aula magna della scuola in via Ca di Cozzi che si è tenuta la premiazione.

A scegliere il tema più coinvolgente è stata una commissione composta da professionisti tra i quali anche giornalisti de L’Arena. La motivazione per la prima classificata è stata "bello, coraggioso e a tratti lirico senza cadere nel mieloso. Lascia perdere la sociologia per concentrarsi sulle difficoltà dell’animo umano". Racconta di un breve dialogo con una giovane zingara, delle domande riguardo alla giusta libertà.

"Guardandoti, mentre mi raccontavi la tua storia mi domandavo se sarei stata io l’ultima persona libera a vedere i tuoi occhi ancora puri che nei mesi di carcere a venire si sarebbero irrimediabilmente imbruttiti", scrive Marta. A ritirare il premio sono stati i genitori di Marta dal momento che la vincitrice è impegnata per studio a Berlino. Il secondo classificato è stato uno studente sempre del Fracastoro, Valeria Rubino con il tema "Al di là dei cancelli".

Il terzo è andato a Camilla Rocca della quinta liceo Don Bosco con "È un’esperienza che davvero bisogna fare!". Il concorso è per Maurizio Ruzzenenti, fondatore di Progetto Carcere Acta no verba, un altro successo verso la compartecipazione e l’arricchimento della nuove generazioni. Con lui alla premiazione anche il preside Marcello Schiavo da vent’anni attento sostenitore del coinvolgimento degli alunni all’interno delle carceri. E il consigliere nazionale del Csi (centro sportivo italiano) che in tutti questi anni ha promosso le attività sportive nella casa circondariale, Rita Zoccatello.

"Questa iniziativa, la prima partita in Italia, è il nostro fiore all’occhiello", ha detto. L’assessore regionale alle politiche sociali Stefano Valdegamberi ha aggiunto: "Non potevo mancare. Oggi qui si ricorda che il carcere deve innanzitutto avere una funzione rieducativa". Il concorso vede protagonisti anche i carcerati. Quattro i temi premiati, due di questi ex equo. Il primo racconta ironicamente della vita carceraria.

Verona: macchine per cucire alla sartoria delle detenute

 

L’Arena di Verona, 23 dicembre 2007

 

Solidarietà e auguri in carcere. Li hanno portati l’associazione "La libellula" di Villafranca. Mercoledì scorso, i volontari hanno regalato due macchine per cucire professionali al laboratorio femminile della casa circondariale di Montorio. Giuseppe Amenduni, 54 anni, presidente e fondatore ad aprile 2006 della Libellula spiega: "Le due cucitrici sono molto costose.

Don Gabriele Zanini parroco di Villafranca, la San Vincenzo e alcuni dei nostri 35 soci ci hanno aiutato coprendo un quarto della spesa. Per il restante contributo devo ringraziare Riccardo Maraia. Saputa la cifra che ci mancava ha contattato i suoi amici imprenditori: il giorno successivo avevamo il denaro".

Le due macchine per cucire sono state acquistate dalla ditta "Melotto Daniele" che ha contribuito praticando un generoso sconto. "Mercoledì abbiamo presentato anche il progetto sorriso", dice Amenduni. "Si tratta di dentisti volontari che entreranno nel carcere di Montorio a gennaio con protesi dentarie per curare i detenuti bisognosi.

Il progetto è possibile grazie al contributo del "Centro Servizio Volontariato di Verona". Al reparto maschile abbiamo donato anche un aspirapolvere. In quello femminile abbiamo presentato il progetto ricamo, cucito, maglieria e ballo flamenco. La Regione Veneto ci ha aiutato con un contributo".

Per Natale sono anche state regalate risme di fogli e una busta con francobollo per ogni detenuta. All’interno gli auguri della Onlus La libellula. "Voglio ringraziare suor Stella Alda delle sorelle della Misericordia", dice Amenduni, "perché senza di lei sarebbe difficile aiutare le detenute. Si dedica al reparto femminile dal 1982".

L’associazione villafranchese è un importante tramite tra carcerati e famiglie degli stessi. I 35 soci si occupano di dare sostegno con colloqui individuali, aiuti alle famiglie dei detenuti e creazione di occasioni culturali dentro e fuori il carcere. "Abbiamo trovato lavoro a 70 persone", ricorda Amenduni. "Per questi progetti ci aiutano anche i dormitori "Samaritano" e "Associazione Corallo".

Napoli: iniziative natalizie per i detenuti di Poggioreale

 

Il Mattino, 23 dicembre 2007

 

Babbo Natale ha un dono con il nome di ciascuno. Dentro un pacchetto di sigarette, una felpa, busta e carta da lettera per scrivere quando si sentono soli. Ieri era Natale al carcere di Poggioreale: 90 detenuti, tra i 1.850 presenti, pranzano nella cappella. "Sono stati individuati quelli più poveri tra i poveri" - dice Antonio Mattone della comunità di Sant’Egidio". È il quarto anno che la comunità, con i suoi volontari, e d’intesa con i cappellani del carcere - don Tullio Mengon, don Franco Esposito, don Luigi Calemme - promuove il pranzo di Natale.

"Anche la Chiesa - spiega Antonio Di Donna, vescovo ausiliare - vuole condividere questo momento. Ma la Chiesa è inquieta perché esistono dei problemi: la prevenzione, l’accoglienza, il reinserimento lavorativo che devono essere avviati a soluzione".

Anche Armando D’Alterio vice-capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria concorda e chiede che il tesoretto (la cifra ricavata dal cosiddetto extragettito) venga destinata alle carceri. Ieri era un giorno di festa: menu a base di cannelloni, polpettone e patate, frutta secca, dolci di Natale. Il culmine all’arrivo di Sal Da Vinci. Ed è un unico coro quando intona il brano di Scugnizzi: "Ajére".

Fossombrone: per Natale il Vescovo incontra i detenuti

 

Corriere Adriatico, 23 dicembre 2007

 

Nel giorno di Natale il vescovo Trasarti trascorrerà alcune ore con i detenuti del carcere di massima sicurezza di Fossombrone. Un segno di attenzione verso chi soffre, ha spiegato il presule, che guida la Diocesi di Fano, Fossombrone, Cagli e Pergola solo da due mesi. "Continuità e accoglienza nel Vangelo - ha spiegato - hanno ispirato le mie visite alle strutture portanti della Diocesi, dove ho trovato un’ottima accoglienza.

In questi primi due mesi, ho visitato molte delle 74 parrocchie per rendermi anche conto della realtà in cui vivono i sacerdoti, e ho scoperto un clero di qualità, generoso, benevolente. Ho constatato anche che nel nostro territorio vivono tante realtà che aiutano i più bisognosi: la Caritas, il Consultorio, la Casa dei poveri di San Paterniano, Casa Nazareth, Casa Betania, l’opera Don Orione, la Casa accessibile di Rosciano, San Francesco in Rovereto" .

Bologna: sta terminando la ristrutturazione del Cpta

 

Comunicato stampa, 23 dicembre 2007

 

Il 21 dicembre la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, avv. Desi Bruno ha visitato il Cpta di via Mattei per verificare i lavori di ristrutturazione del centro, in corso di ultimazione.

Al momento della visita le persone trattenute presenti erano 34, tra cui un cittadino comunitario rumeno. La capienza, a decorrere dal mese di gennaio, sarà di 75 persone, 50 uomini e 25 donne, per tornare a quella regolamentare di 95 posti nel mese di febbraio. A lavori ultimati saranno presenti due parti distinte, una per gli uomini con capienza regolamentare di 50 posti, e una per le donne con 45, in aumento rispetto al passato. Le due sezioni saranno dotate di mense autonome.

Per quanto riguarda i lavori di ristrutturazione già eseguiti, risulta eliminata la presenza di filo spinato lungo il perimetro esterno ed interno, sostituito da pannelli in plexiglass. Le stanze risultano essere più alte e ariose per effetto dell’eliminazione dei controsoffitti, e sono state imbiancate. Sono state altresì eliminate numerose inferriate che ostacolavano fortemente la libertà di movimento delle persone trattenute, recuperando spazi significativi. Sono state tolte anche le inferriate che delimitavano la parte sovrastante di corridoi e aree all’aperto. Il campo sportivo è attualmente agibile.

L’Ufficio del Garante dà atto che i lavori di ristrutturazione hanno portato miglioramenti al Centro, ma esprime preoccupazione per il grave ritardo che caratterizza l’iter legislativo di modifica della attuale legge sull’immigrazione, che dovrebbe portare al superamento dei Cpt.

È di tutta evidenza che solo una nuova disciplina degli ingressi degli stranieri in Italia, e ne è dimostrazione il numero di richieste di ingressi presentata in questo periodo con il decreto flussi, può evitare la restrizione della libertà personale fino a 60 giorni per ragioni connesse alla irregolarità sul territorio, evitando il verificarsi di situazioni limite, come nel caso di un cittadino moldavo, presente al Centro, in attesa di espulsione, benché sul territorio italiano da 15 anni, con regolare contratto di lavoro, al quale è stato negato il rinnovo del permesso di soggiorno ritenendo che il matrimonio celebrato con cittadina italiana molti anni prima non fosse valido.

Nel 2007, con i lavori in corso, le persone trattenute nel centro sono state complessivamente 538, di cui uomini 345 e donne 193. Le provenienze sono dal Marocco (123), Tunisia (75), Nigeria (49), Moldavia (45), Algeria (42), Albania (33), Ucraina (25), Senegal (17), Cina (14), Jugoslavia (13), Ecuador e Russia (8), Pakistan (7), Brasile e Ghana (6), Bangladesh, Bolivia e Romania (5), Bielorussia, Bosnia, Egitto, Macedonia, Perù, Repubblica Dominicana e Serbia (3), Colombia, Croazia, Georgia, India, Iran, Libano, Liberia, Sierra Leone, Siria e Sri Lanka (2), Camerun, Costa d’Avorio, Cuba, Filippine, Iraq, Kenia, Libia, Palestina, Somalia, Turchia, e Uruguay (1).

Nel Cpta il Progetto Sociale svolge azioni di intermediazione culturale e i mediatori culturali sono tre per le aree linguistiche prevalenti. L’equipe sanitaria è composta da tre medici e sette infermieri, i quali sono presenti a turno 24 ore su 24. All’interno del Cpta opera anche uno sportello di ascolto psicologico, per il sostegno individuale della persona migrante (operatori psicologi della Coop. Sociale Psike), gruppi di auto-mutuo aiuto (operatori psicologi della Coop. Sociale Psike), uno sportello di informazione legale attivato in collaborazione tra Cooperativa Piccola Carovana e Cgil Immigrazione, ed uno sportello per i diritti umani delle donne vittima della tratta con operatrici dell’associazione SOS Donna.

Inoltre al Cpta di via Mattei sono attivi un laboratorio creativo donne a cura delle operatrici della Coop. Sociale "La Piccola Carovana", un laboratorio creativo uomini cura degli operatori della Coop. Sociale "La Piccola Carovana", nonché corsi di formazione di base, indirizzata alle varie figure professionali che operano all’interno del Centro, con docenti esterni alla struttura.

Nel corso del 2007 le persone che hanno fatto richiesta per il riconoscimento dello status di rifugiato sono state sessantatre e quattro le donne che hanno fatto richiesta di permesso ai sensi dell’art. 18 della legge sull’immigrazione. Rispetto al numero delle persone effettivamente espulse dal territorio a seguito di trattenimento del Cpt risulta essere nell’ordine del 50%.

 

Avv. Desi Bruno

Garante dei diritti delle persone private della

libertà personale del Comune di Bologna

Immigrazione: Cassazione; assumere clandestini è reato

 

Il Sole 24 Ore, 23 dicembre 2007

 

Va incontro a una condanna, punita con il carcere, chi dà occupazione anche a un solo extracomunitario privo di permesso di soggiorno. Lo ribadisce la Cassazione, annullando con rinvio una sentenza del giudice mono-cratico del Tribunale di Massa che aveva assolto "perché il fatto non costituisce reato" uno straniero che, in qualità di subappaltatore e datore di lavoro, aveva occupato alle sue dipendenze un clandestino.

Per il giudice di merito, nella contravvenzione prevista dal Testo unico sulla disciplina dell’immigrazione (Decreto Legislativo 286/98) "incorrerebbe solo il datore di lavoro che assuma alle sue dipendenze due o più lavoratori extracomunitari senza permesso di soggiorno". Contro tale sentenza era ricorso in Cassazione il procuratore della Repubblica di Massa, la-meritando la violazione della legge penale.

Per la Suprema Corte, il ricorso è fondato: "Non c’è dubbio - si legge nella sentenza n° 47501 - che per la ratio della norma (si è inteso sanzionare l’assunzione di lavoratori senza permesso di soggiorno, in linea con tutta la legislazione in materia di immigrazione, che collega la permanenza nel territorio dello Stato al regolare ingresso con contratto di lavoro) e per il carattere necessariamente astratto di ogni precetto legislativo, debba ritenersi penalmente rilevante anche l’assunzione di un solo lavoratore (senza permesso di soggiorno)".

Droghe: Torino; promotori narco-sala scrivono a Ferrero

 

Notiziario Aduc, 23 dicembre 2007

 

I promotori della petizione per l’istituzione di una narco-sala a Torino (Susanna Ronconi e Franco Cantù di Forum Droghe, Domenico Massano dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta e Alessandro Orsi di Malega9) hanno inviato una lettera aperta al ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero.

Qui sotto la parte finale della lettera: "Ci auguravamo, e ancora oggi ci auguriamo, non solo e non tanto una sua dichiarazione - su questo tema lei si è positivamente più volte espresso pubblicamente - ma un atto politico che possa dare al dibattito una chance di apertura e cambiamento. Conosciamo la sua posizione sulle stanze del consumo, fondata sulla conoscenza e sulle evidenze, nonché su una accezione mite e pragmatica delle politiche pubbliche su droghe e dipendenze, e l’abbiamo, nel tempo, apprezzata. Ora, a Torino, si gioca una partita importante, concreta, su cui riteniamo che il suo Ministero (che ha il compito di coordinare le politiche di prevenzione, cura, riabilitazione, riduzione del danno) possa e debba avere voce in capitolo, e non certo una voce più flebile di quella del Ministero della Salute, in tema di linee di indirizzo, di priorità, di interpretazione della norma.

Crediamo che - nelle more di una riforma della legge Fini Giovanardi e dello stesso Testo Unico - Dpr 309/90, di cui appare davvero difficile intravedere oggi il destino - il governo che, nel suo programma, ha preso l’impegno per una diversa politica sulle droghe e in specifico per lo sviluppo di un approccio di riduzione del danno (uno dei quattro pilastri delle politiche dell’Unione Europea sulle dipendenze, da Lei giustamente richiamate nel suo recente "Piano italiano di azione sulle droghe"), debba almeno adoperarsi per far sì che vengano individuate, legittimate e favorite tutte le opportunità concrete e possibili per attuare le innovazioni necessarie a garantire salute e benessere sia dei consumatori di droghe sia della società in cui essi vivono, sopravvivono, muoiono.

La nostra petizione popolare sarà discussa dalla Commissione Sanità del Comune di Torino il prossimo 10 gennaio; anche la mozione consiliare che prevede la sperimentazione delle narco-sale (a cui se ne è aggiunta una seconda, sempre di componenti della maggioranza, che, con i soliti giri di parole, tenta di affossare la sperimentazione) sarà discussa a gennaio. C’è ancora tempo, tempo prezioso, e ci sono ancora strumenti - politici, amministrativi, organizzativi - per facilitare invece che bloccare la sperimentazione.

Ci auguriamo che esista anche la volontà politica di farlo, che esista la Sua volontà politica di contribuire a farlo, magari grazie a un franco scambio di opinioni e valutazioni sia con la ministra Livia Turco sia con il sindaco Sergio Chiamparino. Nel farle gli auguri di buon anno, non possiamo che accomiatarci da Lei con l’ammonimento, sempre attuale, di un torinese come Lei e come noi, Primo Levi: se non ora, quando?".

Iraq: diritti dei detenuti, un importante passo avanti

 

Agi, 23 dicembre 2007

 

Si è conclusa la prima fase del progetto "Justice Network for Prisoners" in collaborazione con l’organizzazione irachena Al Mesalla, l’Unops e l’Unione europea. Ad affermarlo è "Un ponte per...", secondo cui il risultato più significativo per la difesa dei diritti dei detenuti riguarda la formazione e costituzione di una rete di associazioni irachene impegnate nel monitoraggio delle carceri locali.

"A oggi", hanno riferito dalla Ong, "la rete è stata in grado, nonostante le numerose difficoltà del contesto iracheno, di visitare più di 20 prigioni e di rilevare informazioni e dati sulle condizioni dei detenuti che saranno presto resi noti con la pubblicazione di un rapporto scritto in diverse lingue".

I risultati della prima fase sono stati presentati durante un convegno organizzato da Unops il 24 novembre nella città di Amman dove si sono incontrati tutti i partner internazionali e iracheni coinvolti nel programma della Ue sul "Ruolo della legge in Iraq". La seconda partirà il prossimo anno (marzo-aprile) con nuove azioni previste, tra cui quella di cominciare a garantire e organizzare attività di assistenza legale ai numerosi casi di detenuti incarcerati senza atto d’accusa. Anche in questo caso sarà la rete a gestire la maggioranza delle attività del progetto, inclusa quella di sensibilizzare la società irachena sul rispetto dei diritti umani attraverso anche la partecipazione a campagne internazionali.

 

 

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