Rassegna stampa 28 dicembre

 

Giustizia: approvato nuovo Decreto Legge sulla sicurezza

 

Ansa, 28 dicembre 2007

 

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il nuovo Decreto Legge sulla sicurezza che disciplina le espulsioni dei cittadini comunitari. Il Decreto stabilisce l’espulsione immediata anche per i cittadini dell’Ue sospettati di terrorismo. Il ministro Ferrero ha chiesto l’impegno per una approvazione rapida della riforma della legge Bossi-Fini, in quanto a suo parere il tema dell’immigrazione è strettamente legato a quello del decreto approvato.

In cinque articoli le nuove norme. Le nuove norme per espellere i cittadini comunitari per motivi imperativi di pubblica sicurezza e per prevenzione del terrorismo sono nel Decreto Legge di cinque articoli, mentre tutti gli altri casi di allontanamento saranno regolati da un decreto legislativo (22 articoli), con cui viene integrato il recepimento delle norme Ue sulla libera circolazione dei cittadini comunitari.

Espulsione cittadini europei anche per terrorismo. L’articolo 1 del decreto legge aggiorna il dl 144/2005 (decreto Pisanu). In particola si inserisce un comma che estende alle misure di allontanamento dei cittadini dell’Unione Europea i motivi di prevenzione del terrorismo già previsti dal decreto Pisanu sull’espulsione dei cittadini extracomunitari. Se il destinatario del provvedimento è sottoposto a procedimento penale, serve il nulla osta del giudice competente. Quanto alla competenza sulla convalida dell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione e allontanamento, il decreto la attribuisce al giudice ordinario anziché al giudice di pace.

Espulsioni immediate. L’allontanamento dei cittadini comunitari o dei loro familiari per motivi imperativi di pubblica sicurezza (art. 2) è di competenza del prefetto, salvo che i destinatari siano minorenni ovvero abbiano soggiornato nel territorio dello Stato nei dieci anni precedenti: in tali casi la competenza è del ministro dell’Interno. L’allontanamento è immediatamente esecutivo e necessita della convalida dell’esecuzione da parte dell’autorità giudiziaria. Il divieto di reingresso dura 5 anni e in caso di violazione il trasgressore è punito con il carcere fino a 3 anni. L’articolo definisce poi i motivi imperativi di pubblica sicurezza che rendono urgente l’allontanamento del soggetto, perché "incompatibile con la civile e sicura convivenza": in particolare, il cittadino comunitario deve aver tenuto comportamenti che rappresentano "una minaccia concreta, effettiva e grave alla dignità umana o ai diritti fondamentali della persona ovvero all’incolumità pubblica".

Ricorso non sospende espulsione. All’allontanamento per motivi imperativi (art. 4) si può far ricorso al Tar del Lazio, se il provvedimento è stato adottato dal ministro dell’Interno, o al giudice monocratico territorialmente competente se l’espulsione è stata decisa dal prefetto. Assieme al ricorso può essere presentata istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento che, tuttavia, non ne sospende l’efficacia fino all’esito della decisione del giudice sull’istanza cautelare.

Espulsioni per motivi ordine pubblico. I provvedimenti di allontanamento per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato sono adottati dal ministro dell’Interno con atto motivato. Il provvedimento è notificato all’interessato e riporta le modalità di impugnazione e il divieto di reingresso che non può essere superiore a 10 anni.

Espulsioni per motivi di pubblica sicurezza. Sono adottate con atto motivato dal prefetto. In questo caso il divieto di reingresso è al massimo di cinque anni.

Comunicazione di ingresso. In base alla prevista durata del suo soggiorno, il comunitario o un suo familiare può notificare la sua presenza sul territorio ad un ufficio di polizia. Se non viene fatta questa dichiarazione si presume, salvo prova contraria, che il suo soggiorno duri da oltre tre mesi.

Fonti di reddito lecite e dimostrabili. Per evitare l’allontanamento il comunitario immigrato deve indicare anche "risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite e dimostrabili".

Trattenimento. Nel caso in cui il comunitario da allontanare sia sottoposto a un procedimento penale l’espulsione è sospesa fino al nulla osta dell’autorità giudiziaria (giudice ordinario) che deve emanarlo entro 15 giorni, altrimenti si considera concesso. Nel frattempo il questore può disporre il trattenimento della persona in un Centro di permanenza temporanea e assistenza.

In un anno previste 1.200 espulsioni. In un anno ci potranno essere circa 1.200 espulsioni. È quanto si legge nella relazione tecnica di accompagnamento al decreto legge. Nel documento si indicano anche le risorse a disposizione per i rimpatri e per il trattenimento nei centri di permanenza temporanea e assistenza dei cittadini europei in attesa di convalida del provvedimento di espulsione: si tratta di 10,4 milioni di euro circa per il Dipartimento della Pubblica Sicurezza e di 122,2 milioni per il Dipartimento delle Libertà Civili e dell’Immigrazione.

Giustizia: Opg di Napoli, pronto trasferimento degli internati

 

La Repubblica, 28 dicembre 2007

 

Trenta dei 78 detenuti pronti al trasferimento nel carcere di Secondigliano. Gli operatori dell’ospedale psichiatrico giudiziario chiedono aiuto alla Curia. L’amministrazione penitenziaria: nella struttura gravi problemi di sicurezza.

Nessun passo indietro. Proteste e assemblee sono cadute nel vuoto. La decisione è stata presa: in questi giorni, proprio tra Natale e Capodanno, scatterà la "deportazione" di 30 dei 78 internati dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Sant’Eframo al carcere di Secondigliano. Con i detenuti verranno spostati anche uno psichiatra, un medico di guardia, un turno di infermieri, un numero ancora imprecisato di agenti di polizia penitenziaria. E proprio gli operatori tentano l’ultima carta per bloccare il provvedimento. Il giorno di Natale hanno chiesto aiuto al cardinale Crescenzio Sepe, che ha incaricato il suo vicario per la Carità, don Gaetano Romano, di interessarsi in tempi stretti, anche con il ministero della Giustizia, della vicenda.

Sul cambiamento di sede (deciso per effettuare lavori di ristrutturazione), intanto, si concentrano rabbia e incertezza. "Non sappiamo neanche dove dovremo andare a lavorare domani" dicono i lavoratori dell’ospedale psichiatrico, che appunto parlano di "deportazione". "Il trasferimento a Secondigliano - ribatte il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Tommaso Contestabile - è fatto riservato e coperto da segretezza e avverrà con tutte le cautele possibili per affievolire eventuali condizioni di ansia causate dal cambiamento". Contestabile parla di una soluzione "temporanea", dettata da "impellenti motivi di sicurezza per i detenuti e per la tutela del personale" e spiega che "l’istituto di via Imbriani è stato dichiarato inidoneo, per le precarie condizioni strutturali ed igienico-sanitarie, ad ospitare ricoverati e lavoratori dall’Asl".

A Secondigliano i ricoverati saranno ospitati nel reparto Area verde, che, dice il provveditore, costituisce un "reparto separato dal complesso centrale, attrezzato già dalla sua costruzione ad ospitare detenuti non soggetti a restrizioni". Gli operatori dell’ospedale psichiatrico, invece, parlano di una "struttura con altrettanto gravi carenze igienico sanitarie e strutturali".

In questo braccio di ferro il Pdci annuncia un’interrogazione al ministro della Giustizia. "Oltre il 90% dei detenuti nei sei Opg funzionanti in Italia, potrebbero trovare una giusta cura, affidati all’Unità operativa di sanità mentale, senza rischio per nessuno", spiega il responsabile Sanità, Francesco Maranta, che parla di un "malessere generale dell’assistenza ai malati psichiatrici in Campania, grazie a una nuova politica che va dal tentativo di chiudere i presidi territoriali all’operazione Sant’Eframo".

E stamattina si apre un nuovo fronte di battaglia: l’Asl Napoli 1 dovrebbe procedere allo sgombero di 20 malati ospitati nella Residenza Sanitaria assistita di viale Traiano, a Fuorigrotta, verso l’ex manicomio "Frullone". Il "Comitato per la difesa degli anziani" annuncia una catena umana intorno alla Rsa per impedire lo sgombero.

Giustizia: la Carta dei Diritti dell’UE è contro l’ergastolo...

di Sandro Padula

 

Liberazione, 28 dicembre 2007

 

La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea è stata approvata dal parlamento europeo il 29 novembre 2007 e proclamata dal suo Presidente il 12 dicembre, il giorno prima della firma a Lisbona del Trattato di riforma dell’Unione. Si è dischiuso così un nuovo capitolo nella storia del diritto.

Tale Carta ribadisce i diritti originati dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall’Unione e dal Consiglio d’Europa, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Con questa Carta si riconosce che la Corte europea dei diritti dell’uomo e la relativa Commissione, pur essendo istituzioni distinte, per storia e partecipazioni internazionali, da quelle specifiche dell’Unione Europea, sono significativi punti di riferimento per la salvaguardia dei diritti fondamentali.

I cittadini dei paesi aderenti all’Unione Europea possono quindi fare ricorsi anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che ha sede a Strasburgo, per difendere i propri diritti o possono rivolgersi alla collegata Commissione per fare in modo che quest’ultima approfondisca l’analisi delle situazioni in cui vengono calpestati quei diritti basilari.

Un motivo di ricorso alla Cedu o di richieste di supporti analitici alla collegata Commissione è ad esempio la questione dell’ergastolo. Il 12 novembre Thomas Hammarberg, Commissario europeo per i diritti umani ha ricordato che vi sono due significativi casi relativi alla pena dell’ergastolo pendenti davanti alla Grande Camera della Corte europea, la cui decisione offrirà importanti linee guida per l’interpretazione della Cedu in questa materia. Inoltre ha precisato che "è necessario un riesame in merito al ricorso all’ergastolo" poiché tale pena ha spesso un impatto pesante sul trattamento dei prigionieri e a volte non si tratta di altro se non di una risposta ad una richiesta popolare di vendetta. In altre parole, il Commissario europeo per i diritti umani ha criticato l’esistenza dell’ergastolo e tale critica diventa tanto più forte, dal punto di vista dei cittadini dell’Unione, sulla base dell’integrazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nel Trattato firmato a Lisbona.

Tale Carta contiene dei diritti (vedasi articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 49) che implicitamente sono antitetici soprattutto in relazione all’esistenza dell’ergastolo.

L’ergastolo infatti calpesta la dignità umana (art. 1) perché costituisce una delle massime e dure espressioni contemporanee dell’antico rito del "capro espiatorio" e del moderno monopolio statuale della vendetta; è una vita senza vita sociale e quindi senza effettivo diritto alla vita (art. 2); minaccia l’integrità fisica e psichica (art. 3) di chi lo subisce, specialmente se è aggravato da dure forme di isolamento nel carcere (come in Italia il 41 bis o l’Elevato Indice di Vigilanza) che quasi sempre negano la possibilità di usufruire di benefici come la libertà condizionale; è una specifica forma di trattamento inumano e degradante (art. 4); è ciò che Cesare Beccaria chiamava "pena di schiavitù perpetua" e pertanto è di per sé un fattore ostativo rispetto alla "proibizione della schiavitù e del lavoro forzato" (art. 5, un articolo che dovrebbero imparare a memoria coloro che, analfabeti e antieuropei come sono, vorrebbero proporre il lavoro forzato ai detenuti); è un micidiale attacco nei confronti del diritto alla libertà e alla sicurezza (art. 6); è l’eliminazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (art. 7); è l’impossibilità di avere il diritto alla protezione dei dati di carattere personale (art. 8); è la pena che, disarticolando le dirette relazioni affettive e comunicative, più ostacola il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia (art. 9); è una pena irrispettosa della libertà di coscienza (art. 10) perché, di fronte alla totalità delle persone condannate per un grave reato come l’omicidio, è subita esclusivamente da una piccola minoranza di tali persone, da persone che non si sono avvalse delle leggi a favore di "pentiti", "dissociati" o "patteggiatori"; è una pena che, essendo per altro infinitamente sproporzionata in senso peggiorativo rispetto ai livelli standard de numerosi sistemi penali nell’Unione Europea (pena detentiva massima di 20 anni), risulta in netto contrasto nei riguardi del terzo comma dell’ articolo 49 secondo cui "le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato".

L’ergastolo, oltre a non essere rispettoso dell’articolo 27 della Costituzione italiana che prevede la finalità riabilitativa e risocializzante di tutte le pene detentive, è quindi l’esatto contrario di ciò che dovrebbe essere tutelato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. E questa Carta sarà vincolante per chi - ad eccezione di Regno Unito e Polonia che hanno ottenuto un out-out per quanto riguarda la sua applicazione nella giurisprudenza nazionale - ha firmato il Trattato a Lisbona!

Il Trattato dovrà passare le ratifiche nazionali per poi entrare in vigore nel 2009. Nel frattempo l’Italia farebbe bene ad accelerare i tempi per ratificarlo e per adeguare la giustizia e i linguaggi politici e giornalistici al rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea! Non è mai inutile una critica in più per dire basta con la pena di morte invisibile, camuffata e prolungata costituita dall’ergastolo!

Giustizia: Sappe; polizia penitenziaria, 3 suicidi in 10 giorni

 

Secolo XIX, 28 dicembre 2007

 

"Il drammatico fenomeno dei suicidi nel Corpo e, più in generale, tra gli operatori in divisa del Comparto Sicurezza, sta assumendo proporzioni davvero preoccupanti. Nella Polizia Penitenziaria, ad esempio, abbiamo registrato tre suicidi di poliziotti in poco più di una settimana, l’ultimo a Imperia. E deve essere allora prioritario per il Ministero della Giustizia e tutti gli altri dicasteri interessati fornire un adeguato supporto psicologico per gli operatori delle Forze di Polizia, al quale fare riferimento nei momenti di disagio individuale" (Nota del Sappe, Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria).

 

Agente di Polizia Penitenziaria si spara con la pistola di ordinanza

 

Non sopporta il dolore per la separazione e proprio nel giorno di Santo Stefano si toglie la vita con un colpo di pistola alla testa. Protagonista e vittima della tragica vicenda è Michele Sabina, trentunenne guardia carceraria residente ad Albenga, che mercoledì sera ha deciso di farla finita sparandosi con la pistola di ordinanza sul tratto di Aurelia che unisce Alassio e Laigueglia. Ad accorgersi della tragedia che si stava consumando è stato un passante, una persona che attorno alle 23.30 stava rincasando dall’ultima giornata di festeggiamenti natalizi e improvvisamente ha sentito uno sparo e si è trovato davanti agli occhi una scena raccapricciante. Proprio all’ingresso di Laigueglia una Ford Fiesta parcheggiata sul ciglio della strada, il finestrino frantumato, schizzi di sangue ovunque e un uomo rantolante nell’abitacolo.

L’uomo ha dato l’allarme e sul posto si sono precipitati i carabinieri e i militi del 118 e della Croce Bianca. All’arrivo dei soccorritori Michele Sabina respirava ancora, nonostante le devastanti ferite provocate dal proiettile esploso alla tempia. Dopo i primi tentativi di rianimare la sventurata guardia penitenziaria effettuati sul posto, i soccorritori hanno deciso di tentare una corsa disperata verso l’ospedale Santa Corona, nella speranza di riuscire a strappare alla morte l’agente. Quando Michele Sabina è arrivato all’ospedale pietrese, però, i medici si sono subito resi conto che la situazione era disperata. L’uomo respirava ancora, ma i danni interni erano di tale entità da lasciare pochissimo spazio alla speranza,. Tutti i tentativi effettuati dai medici si sono rivelati vani. Il cuore di Michele Sabina ha smesso di battere poco dopo le due di ieri notte.

I carabinieri hanno effettuato tutti i rilievi, che avrebbero lasciato ben pochi dubbi sulla dinamica dell’accaduto. All’arrivo delle forze dell’ordine, infatti, Sabina teneva la pistola ancora stretta in pugno, circostanza che confermerebbe in maniera inequivocabile l’ipotesi del suicidio. I colleghi dell’uomo, agenti della Polizia Penitenziaria di Imperia, sono accorsi al capezzale di Sabina; proprio loro si sono accollati il compito di dare la tragica notizia alla famiglia, da cui peraltro lo sfortunato agente viveva separato.

Una separazione che l’uomo non riusciva proprio ad accettare e a sopportare. Emigrato dal potentino (era originario di Pietragalla), Sabina si era stabilito da qualche anno ad Albenga dove aveva messo su famiglia, ma da qualche tempo le cose con la moglie (che lavora all’istituto Trincheri) non andavano più bene e qualche mese fa i due avevano deciso di separarsi, anche se non si è trattato di una separazione indolore.

All’apparenza Michele Sabina, pur soffrendo, aveva mantenuto un rapporto sereno con la ormai ex consorte, la figlioletta di otto anni, e anche con gli ex suoceri. Secondo una prima ricostruzione delle ultime ore di vita, l’agente avrebbe trascorso la serata di Santo Stefano con i genitori della ex moglie. Proprio la tristezza del primo Natale in solitudine potrebbe essere all’origine del tragico gesto. I funerali si dovrebbero tenere domani nella cattedrale di San Michele, ad Albenga. Non è ancora stata fissata l’ora.

Giustizia: Procaccini (Fi); basta a madri in cella con i bambini

 

Ansa, 28 dicembre 2007

 

"La vergogna dei bambini in carcere, con le mamme detenute, deve essere al più presto mondata". Lo afferma, in un comunicato, la senatrice Maria Burani Procaccini, responsabile nazionale famiglie e minori di Forza Italia. "Ci sono leggi, - prosegue la nota - come la cosiddetta norma Simeone del 1998, che consentono le pene alternative che non vengono in alcun modo applicate. A Milano ed a Roma nei bracci speciali delle carceri femminili ci sono decine e decine di bambini sotto i tre anni che convivono in un degrado allarmante: é vergognoso consentirlo". "Mi chiedo - conclude Burani Procaccini - se non sia il caso, senza alcuno spirito polemico, di concertare insieme, maggioranza ed opposizione, ulteriori forme legislative che consentano di far finire per sempre questa cosa oscena".

Giustizia: caso Contrada; per il giudice può restare in cella

 

La Repubblica, 28 dicembre 2007

 

Soffre di ischemia e di patologie broncopolmonari, oltre che di diabete, eczema, depressione. E tuttavia "le patologie da cui è affetto il detenuto Bruno Contrada non sono gravi", scrive il giudice. E soprattutto: "Esse non appaiono, allo stato, non trattabili in carcere".

C’è già il no ufficiale di un Magistrato di Sorveglianza sul caso che divide schieramenti politici ed opinione pubblica, mentre la richiesta di grazia avanzata a favore dell’ex numero 3 del Sisde Bruno Contrada, attualmente rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere (condannato a 10 anni per concorso in associazione mafiosa, fine pena segnata per ottobre 2014) alimenta il dibattito sull’istruttoria aperta dal ministro della Giustizia Clemente Mastella, e infiamma l’attesa intorno alla futura decisione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, cui spetta in via esclusiva il potere di concedere il provvedimento di clemenza individuale. Ieri altra sequenza di contrastanti pareri.

Insorgono contro l’ipotesi della grazia il presidente della commissione antimafia Francesco Forgione ("Sarebbe il primo atto di clemenza per un reato di mafia nel nostro Paese, e non rappresenterebbe un buon segnale"); la vicepresidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, Giovanna Chelli ("Contrada venga curato e sconti la pena, ma se gli pesa: allora parli e chissà che non sappia qualcosa che ci riguarda").

Mentre il leader di An Gianfranco Fini riflette: "Il Presidente Napolitano sa cosa fare. Non si può fare come al bar". A favore della grazia il deputato azzurro Chiara Moroni. E al ministro Di Pietro che bacchettava il Guardasigilli, il ministro Mastella replica: "Non ho mai detto che la grazia a Contrada fosse un atto dovuto". La prima fumata nera per l’ex alto funzionario Sisde risale al 12 dicembre scorso: riguarda la richiesta di differimento di pena avanzata dai legali, bocciata in fase provvisoria.

Il magistrato Daniela Della Pietra dell’Ufficio di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, infatti, dopo aver riportato la relazione sanitaria elaborata da un tenente colonnello del carcere - in cui si riconosce che "ancorché le patologie presentate dal detenuto Contrada non configurino una condizione di imminente pericolo di vita, si ritiene che lo stato detentivo costituisca una prevedibile causa di grave peggioramento" - valuta che quei malanni "non possono dirsi gravi e non trattabili in carcere".

Sull’istanza si pronuncerà in via definitiva il Tribunale di sorveglianza di Napoli nell’udienza già fissata dal presidente Angelica Di Giovanni per il 24 gennaio: data peraltro definita "troppo lontana" dal legale Giuseppe Lipera che, insieme con il collega Enrico Tuccillo, ha avanzato una richiesta di anticipazione.

Sull’ipotesi della grazia invece, la presidente Di Giovanni si limita a precisare: "A questo Tribunale non è giunta alcuna richiesta dal Guardasigilli. Quindi, per noi non c’è ancora alcuna istruttoria in corso". Dal carcere, intanto, si fa vivo Contrada con una lettera aperta.

"Tutti coloro che vogliono pronunciarsi sulla mia vicenda - scrive Contrada - non parlino per sentito dire. Si informino, leggano atti, sentenze, memorie difensive". Un messaggio che il suo legale Lipera prova a spiegare meglio: "Nel processo è stato impiegato materiale probatorio fornito dagli stessi pentiti che avevano parlato contro il giudice Carnevale e contro l’ex premier Andreotti: loro sono stati assolti, Contrada no".

 

Tribunale di Sorveglianza, udienza il 10 gennaio

 

Anticipata al 10 gennaio 2007 dal Tribunale di Sorveglianza di Napoli l’udienza sulla richiesta di scarcerazione per motivi di salute di Contrada. L’ex funzionario del Sisde è detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua a Vetere per scontare una condanna a 10 anni per concorso in associazione mafiosa. L’udienza era prevista per il 24 gennaio. Il suo legale, Giuseppe Lipera, aveva oggi spiegato di non aver chiesto nessuna grazia per Contrada, ma solo una supplica.

 

Il mio caso non venga affrontato superficialmente...

 

Bruno Contrada dal carcere lancia un appello all’opinione pubblica affinché il tema della sua carcerazione e della richiesta di grazia non venga affrontato superficialmente. "Tutti coloro che, per qualsiasi motivo, vogliono dire qualcosa sulla mia vicenda giudiziaria, non parlino per sentito dire o sulla base di notizie dei mass-media.

Si informino, leggano gli atti dei processi, le sentenze, i motivi di appello, le memorie difensive, le testimonianze di più di 100 alti funzionari e ufficiali delle istituzioni dei corpi di polizia", si legge nella lettera inviata dall’ex dirigente del Sisde al suo legale, l’avvocato Giuseppe Lipera. Attualmente Contrada è detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dove sta scontando una condanna a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Intanto il suo legale ha indirizzato al giudice un’istanza in cui domanda il differimento dell’esecuzione della pena perché, sostiene, "ogni ora di ritardo può essere letale".

"Bruno Contrada - spiega il penalista - ha 76 anni, è gravemente diabetico ed è in forte stato di astenia. Ho inviato un fax al giudice del Tribunale di sorveglianza di Napoli perché decida oggi stesso". Il ministro della Giustizia ha già avviato un’istruttoria perché valuti la consistenza della domanda presentata dal detenuto.

"Qualora sia accertata l’incompatibilità delle condizioni del dottor Bruno Contrada con il regime di detenzione - ha affermato il sottosegretario del ministero della Giustizia Luigi Manconi in una nota - "la legge prevede l’istituto del differimento della pena per motivi di salute, in numerosi altri casi già adottati", aggiungendo che "il provvedimento del 12 dicembre del magistrato di sorveglianza ha disposto la trasmissione degli atti relativi all’istanza, al tribunale di sorveglianza di Napoli per una decisione nel merito. In quella sede potranno essere presi in considerazione altri documenti relativi alle condizioni di salute del dott. Contrada e al peggioramento delle stesse". La grazia "sarebbe un precedente grave", secondo il senatore Carlo Vizzini, membro della commissione Antimafia e rappresentante speciale per il contrasto delle mafie transnazionali presso l’Osce.

"I casi sono due - spiega Vizzini - o Contrada è innocente, e allora va liberato e risarcito per ciò che ha subito, oppure è colpevole. Ma, se un servitore dello Stato, che tradisce lo Stato e viene condannato per mafia con sentenza passata in giudicato, ottiene la grazia, credo che sconvolgiamo i principi giuridici del nostro ordinamento e la scala dei valori morali su cui deve vivere una Repubblica. Sarebbe un messaggio di speranza alla mafia".

Giustizia: don Gelmini; chiuse le indagini per molestie sessuali

 

Corriere della Sera, 28 dicembre 2007

 

La Procura di Terni ha chiuso le indagini a carico di Don Pierino Gelmini, fondatore della Comunità Incontro. Il capo di imputazione formulato dall’accusa è molestie sessuali a danno di otto ragazzi. Ne dà notizia Lanfranco Frezza, l’avvocato del sacerdote precisando che è stato notificato soltanto l’avviso di conclusione delle indagini e che su un eventuale rinvio a giudizio dovrà decidere il Gup, quindi "ogni altra ipotesi è prematura".

Ma l’avvocato Frezza ha sottolineato che le accuse "non sono credibili. La vittima è Don Pierino". Il legale ha anche spiegato di aver conosciuto per caso una delle presunte vittime e ritiene che non sia assolutamente attendibile. L’avvocato del religioso comunque ha chiesto copia degli atti alla Procura e attende di leggere le carte, "numerose", prima di entrare nel merito. "Ho appena parlato con Don Gelmini - ha sottolineato il legale - e la sua reazione è quella di una persona che sa di essere intimamente innocente". "Ho parlato con lui per poco tempo - ha aggiunto - per non affaticarlo, perché sta male ed è chiuso nella sua stanza da letto, ma è sereno". Il sacerdote, infatti, recentemente è stato colpito da una crisi cardiaca, le sue condizioni sono migliorate, ma i medici lo hanno invitato al riposo forzato e alla rinuncia alle celebrazioni di Natale e Capodanno.

Gli abusi a danno delle otto presunte vittime del fondatore della Comunità Incontro secondo i pm sono avvenuti dal 1999 al 2004, e due di loro erano, all’epoca, minorenni. Altre tre persone sono accusate di favoreggiamento, una di loro è attualmente ancora un collaboratore del sacerdote, una di loro lo è stato nel passato.

Il Vaticano in vista della chiusura delle indagini aveva chiesto al sacerdote di lasciare il sacerdozio e la sua comunità. Qualche giorno fa Don Gelmini ha scritto al Papa dicendosi disposto a rinunciare alla tonaca, ma non a lasciare i suoi ragazzi con cui, ha scritto, di voler "restare fino alla morte".

 

Minacciava i giovani e prometteva favori tramite gli amici politici

 

Li avrebbe spogliati, palpeggiati, baciati. Li avrebbe costretti ad avere rapporti sessuali. Giochi erotici che don Gelmini avrebbe organizzato all’interno della comunità Incontro di Amelia. Vittime, i ragazzi che cercavano di uscire dal tunnel della tossicodipendenza. E lo avrebbe fatto, come sottolinea il pubblico ministero nel capo d’imputazione, "minacciando di avvalersi della sua autorità e della conoscenza di numerosi personaggi politici influenti e promettendo favori tramite dette conoscenze". Nella "rete" di don Pierino, così come viene individuata dall’accusa, ci sono anche i collaboratori più stretti.

Quelli che avrebbero tentato di convincere, in cambio di soldi e di una promessa di lavoro, uno dei giovani a ritrattare. Il prezzo del silenzio sarebbe stato diviso in più rate da 500 euro. In un caso il denaro sarebbe stato consegnato attraverso un bonifico online. Le richieste sessuali Sono nove i ragazzi che avrebbero subito la violenza, due erano minorenni. Uno di loro sarebbe stato costretto "fino a tutto il mese di ottobre 2007" e cioè quando il sacerdote era già stato interrogato e dunque sapeva di essere sotto inchiesta.

Nel provvedimento il magistrato descrive nei particolari le presunte avances di don Gelmini. E poi aggiunge: "L’indagato li induceva a soddisfare le proprie richieste sessuali commettendo il fatto nella comunità Incontro di Amelia di cui era responsabile e tenuto, come pubblico ufficiale o comunque incaricato di pubblico servizio, alla cura, vigilanza, educazione e custodia di soggetti in stato di tossicodipendenza, abusando delle condizioni di inferiorità psico-fisica derivanti da tale stato".

Contesta poi l’aggravante "per aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo e di persone tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, con abuso di poteri e con violazione dei doveri inerenti la pubblica funzione o il pubblico servizio e alla qualità di ministro di un culto e con abuso di autorità e di relazioni domestiche o di coabitazione o di ospitalità".

Il primo a rivelare che cosa sarebbe avvenuto nella struttura di recupero è stato Michele Iacobbe, 34 anni. La sua denuncia fu archiviata nel 2002, ma lui non si è arreso. L’ha ripresentata quattro anni dopo e così ha determinato l’apertura di una nuova indagine. Dice di aver cominciato a subire violenza nel 1999 quando, come sottolinea il magistrato nel provvedimento, "era sottoposto a detenzione domiciliare presso la comunità e quindi privato della libertà personale ". Dopo di lui, altri si sono fatti coraggio e hanno parlato.

M.L., anche lui ai domiciliari, ha descritto che cosa avveniva quando il sacerdote lo chiamava nella sua stanza. La maggior parte ha messo a verbale fatti che sarebbero avvenuti tra il 2003 e il 2004. Come D. G., entrato in comunità per decisione del tribunale dei minori di Perugia che gli aveva concesso "l’affidamento in prova". Don Gelmini avrebbe cominciato a manifestargli le sue attenzioni particolari quando aveva 19 anni.

La stessa età di M.S. che ha raccontato di aver subito "per almeno quindici volte e fino all’ottobre scorso". L’inquinamento delle prove Violenze, ma anche tentativi di depistare le indagini sono descritti nel provvedimento del pubblico ministero. La "rete" si sarebbe attivata alla fine dello scorso anno. Patrizia Guarino, madre di una delle presunte vittime, G.P., "dopo aver saputo le accuse mosse da suo figlio durante l’interrogatorio del 15 novembre 2006 presso la squadra mobile, comunicava le circostanze a Pierluigi La Rocca che lo comunicava a don Gelmini, aiutandolo a eludere le investigazioni".

La Rocca è uno dei collaboratori più stretti del fondatore di Incontro. Ora è indagato per favoreggiamento, insieme alla donna e ad un altro dipendente della comunità, Giampaolo Nicolasi. Il pubblico ministero ricostruisce nei dettagli quella che definisce "la loro attività illecita": "Dopo aver appreso da Guarino dell’esistenza di indagini su don Gelmini e dopo vari colloqui telefonici con la stessa Guarino, La Rocca si recava ad Avellino presso l’abitazione della donna e di suo figlio". Le date diventano a questo punto fondamentali.

Il viaggio avviene il 24 novembre 2006. "Mediante offerta di lavoro - contesta il magistrato - La Rocca obbligava G.P. a scrivere una lettera, inviata il 29 novembre successivo alla polizia e alla procura della Repubblica di Terni in cui falsamente affermava di aver reso le dichiarazioni del 15 novembre "in evidente stato confusionale e sotto effetto di psicofarmaci", aiutando don Gelmini".

La Rocca e Nicolasi sono anche accusati di aver "indotto con un’offerta di lavoro e somme di denaro che venivano effettivamente corrisposte al G.P. in varie occasioni (il 3 aprile 2007 vaglia online di 500 euro) a ribadire mendacemente al pm il contenuto della lettera e più in generale la falsità delle precedenti accusa a carico di don Gelmini e altre circostanze non veritiere, senza riuscire nell’intento perché il 31 maggio 2007 G.P., sentito come indagato per calunnia nei confronti di don Gelmini, ribadiva le accuse e affermava il carattere non spontaneo e mendace della lettera del 24 novembre 2006".

Il primo giugno scorso, durante l’istruttoria, La Rocca è stato interrogato su questo episodio e ha affermato: "Nel novembre del 2006 ero ad Avellino a casa di questa persona ed effettivamente ho assistito alla redazione della missiva, ma non sono stato io a chiedergli di scriverla". Ma poi ha ammesso che don Ezio Miceli, amico di don Pierino "ha regalato 5.000 euro alla madre del ragazzo perché ne aveva bisogno".

Bologna: il Garante sull'Ordinanza comunale per la Dozza

di Desi Bruno (Garante dei detenuti di Bologna)

 

Il Domani, 28 dicembre 2007

 

La recente Ordinanza del Sindaco di Bologna per degrado igienico sanitario, con riferimento al complesso edilizio della Casa circondariale Dozza, ha posto in modo chiaro la necessità di interventi risolutivi per assicurare condizioni dignitose di vivibilità all’interno del carcere.

Peraltro le regole minime penitenziarie europee dal 1987 indicano agli Stati del Consiglio d’Europa principi appunto basilari per assicurare condizioni umane di detenzione e di trattamento positivo, tra cui appunto quelle relative all’igiene dei locali, alla loro ampiezza, alla salubrità dell’ambiente, per salvaguardare salute e dignità delle persone.

Il regolamento penitenziario del 2000 avrebbe dovuto garantire la messa a norma delle carceri italiane, ma in primo luogo la pochezza delle risorse destinate al carcere e poi il sovraffollamento ormai cronico hanno impedito che ciò si realizzasse. Numerose segnalazioni pervenute all’Ufficio del Garante, inviate dai detenuti singoli ed in forma collettiva, in merito alla situazione igienica dei locali comuni, delle docce e alla esigenza di disinfestazione delle aree cortilive e dei camminamenti sono state oggetto di ripetute verifiche da parte dei tecnici della Usl di Bologna, che hanno accertato carenze strutturali e manutentive quali il mancato superamento delle barriere architettoniche, il permanere del sovraffollamento delle celle (10 mq previsti per un detenuto sono occupate regolarmente da 2 o 3 persone), il mancato funzionamento degli impianti di aspirazione dell’aria dei bagni e nella lavanderia, carenze di vario tipo nei locali delle cucine e aree cortilive, divenute ricettacolo di rifiuti di ogni tipo che richiamano in tal modo piccioni, ratti, blatte e altri nocivi, e delimitate da pareti con evidenti tracce di muffe e umidità.

Anche il Consiglio comunale, riunitosi il 29 novembre 2007 presso la Casa circondariale di Bologna, con la partecipazione di operatrici ed operatori, detenute e detenuti, all’interno di un percorso di approfondimento sui temi legati alla restrizione della libertà personale aveva invitato il Sindaco e la Giunta a procedere nel percorso già avviato di emanazione di un’ordinanza che imponga all’amministrazione penitenziaria il ripristino di condizioni igienico sanitarie accettabili e l’effettuazione delle opere di manutenzione e di miglioria necessarie a garantire condizioni di vivibilità, nonché a chiedere la intensificazione dei controlli sulla qualità del vitto somministrato ai detenuti.

L’ordinanza, che il Sindaco può emanare come massima autorità sanitaria locale in casi di necessità e urgenza, impone all’amministrazione penitenziaria lavori di adeguamento, pulizia e ristrutturazione, entro limiti temporali diversificati in base all’entità degli interventi. E l’amministrazione penitenziaria è obbligata ad adempiere, essendo prevista come reato la eventuale omissione.

In passato unico altro precedente di Ordinanza sindacale si era verificato con riferimento al carcere fiorentino di Sollicciano. Ma il problema posto dal provvedimento d’urgenza è anche di ordine generale, e attiene alla necessità di affrontare il tema del carcere come una priorità, a cominciare dalla risorse necessarie per assicurare condizioni materiali sufficienti, senza le quali ogni ipotesi di trattamento diventa difficile, sino al varo di quelle riforme ineludibili da troppo tempo, dalla riforma del codice penale alla nuova legge

sull’immigrazione alla revisione di quella sulle tossicodipendenze, in assenza delle quali il carcere continuerà a crescere numericamente a dismisura proponendosi non come luogo destinato agli autori di gravi reati, ma come discarica sociale, contenitore di persone socialmente disagiate, a cui sempre meno si riuscirà ad assicurare rispetto della dignità personale. Dunque è il tempo di quegli interventi che dovevano accompagnare la momentanea riduzione del sovraffollamento in carcere a seguito dell’indulto, sempre più lontano nei suoi effetti positivi.

Treviso: la scuola del carcere verrà costruita dai detenuti

 

Il Gazzettino, 28 dicembre 2007

 

Saranno i detenuti stessi ad iniziare, tra pochi giorni, i lavori di costruzione di quattro aule scolastiche adiacenti al carcere di Santa Bona, per tenervi i corsi superiori a loro dedicati. L’annuncio, a margine della messa celebrata dal vescovo Mazzocato nella casa circondariale il giorno di Natale, è stato dato dal direttore della struttura Francesco Massimo e dal comandante della polizia penitenziaria Giovanni Ministeri.

I fondi per la costruzione delle aule sono stati donati dai Club Lions di Treviso, e destinati all’istruzione dei detenuti e al loro recupero anche lavorativo. Un progetto, questo, che sopperisce in maniera concreta alla necessità di spazi per i carcerati, che oggi sono 250 e che a breve potranno fruire di aule per istruirsi da loro costruite. E a giorni, precisamente il 13 gennaio alle 11, nel cortile interno del carcere il vescovo inaugurerà una statua della Madonna in memoria dei poliziotti trevigiani ora deceduti e precedentemente in servizio a Santa Bona. Una collaborazione, quella della Diocesi con la casa circondariale, che dura da diversi anni e che anche in passato ha risposto in maniera concreta alle necessità della struttura: due anni da la Curia aveva stanziato i fondi necessari alla costruzione di una stanza dignitosa per i colloqui tra i detenuti e i parenti, mentre l’anno scorso erano state ridipinte le pareti delle celle prima coperte dall’umidità. "Un segnale concreto per i carcerati, in questo Natale, è stato anche l’alberello arrivato da alcune scuole medie del territorio, con appese delle stelle di cartone con scritti dei messaggi - ha spiegato il direttore dottor Massimo -.

È stata una bella occasione per un rapporto tra carcere e territorio".La celebrazione della messa del vescovo Andrea Bruno Mazzocato è stata partecipata da circa 50 detenuti, un quinto dell’intera popolazione della struttura che oggi ne ospita 250. "Rispetto alla capienza - ha spiegato il comandante della polizia Ministeri - sono il doppio, ma un centinaio arrivano da Padova che ha un carcere sottodimensionato. Tra i carcerati 70 sono magrebini e 34 rumeni". L’effetto indulto, ormai è completamente sparito: "Sì, e il sovraffollamento è come prima un problema. Noi ospitiamo soprattutto arrestati per spaccio e detenzione di stupefacenti o per reati contro il patrimonio".

Per i detenuti, il vescovo ha avuto parole di speranza e comprensione: "Vi auguro che il Natale vi porti la luce - ha detto nell’omelia -, anche se in questi giorni il buio è soprattutto fuori da qui. Il mio auspicio è che venga la luce vera, per me, per voi e per tutti i trevigiani che sono arrivati a questo Natale un po’ appesantiti. Quando ci sono tensioni, polemiche, dove il diverso si guarda come un nemico, questo è il buio che cerca di entrare.

Dio non si preoccupa se uno è presidente della Repubblica o povero, se è in ospedale o in carcere: questi non sono problemi di Dio che arriva in tutti e per tutti. Che il Natale ci dia coraggio di guardare avanti con speranza, perché la paura non faccia chiudere in sé, tirando su cancelli nelle ville, mettendo allarmi o cani da guardia. Il miglior sistema di difesa è di non aver paura di chi passa per la strada".

Nel loro messaggio a fine celebrazione, i carcerati hanno chiesto al vescovo di dare anche a loro una possibilità di speranza in un recupero: "Noi siamo qui perché abbiamo sbagliato, abbagliati dalla visione mistificata che il consumismo dà di amore e di gioia. Ecco perché dal nostro cuore eleviamo una preghiera a tutte le persone che credono in Dio che è vita, affinché per paura o fragilità di fede non abbiano ad ostacolare il ravviarsi della luce nei nostri animi". Un ringraziamento particolare, oltre al vescovo che ad ogni Natale e Pasqua inizia le celebrazioni festive con la cerimonia in carcere, i detenuti l’hanno rivolto anche al loro cappellano don Piero e a suor Bianca, e al coro di S. Bona e San Liberale che ogni anno anima le messe.

Cagliari: Caligaris (Sdi); a rischio cure per tossicodipendenti

 

Adnkronos, 28 dicembre 2007

 

"I tossicodipendenti, detenuti nel carcere cagliaritano di Buoncammino, dall’1 gennaio 2008 rischiano di essere abbandonati a se stessi con gravissime ripercussioni". Lo afferma in una nota la consigliera regionale della Sardegna, Maria Grazia Caligaris (Sdi-Partito Socialista), segretaria della Commissione "Diritti Civili" con riferimento alla funzione degli operatori convenzionati i cui contratti scadranno tra 10 giorni. "Si tratta di figure professionali - sottolinea Caligaris - di particolare rilevanza per il ruolo di responsabilità di cui sono investite e che lavorano dall’1 luglio 2003 continuativamente.

Garantire la loro presenza è indispensabile per evitare che si crei il caos all’interno della struttura carceraria in cui si registra la presenza di detenuti con diverse patologie. L’alta qualificazione e l’esperienza maturata nel tempo rendono improcrastinabile un intervento risolutore per garantire continuità al servizio".

"Sarebbe del resto paradossale che la Regione, avendo scelto di assumere la responsabilità della Sanità Penitenziaria dal primo giorno del nuovo anno, interrompa un rapporto determinante - conclude Caligaris - con professionisti che a Buoncammino operano con competenza e passione così come apparirebbe davvero ingiusto se motivazioni di carattere finanziario dovessero imporre di far cessare l’assistenza a quelli più deboli della nostra comunità. È quindi urgente un intervento dell’Asl n. 8 per dare continuità al servizio". Attualmente nel carcere di Buoncammino sono detenuti 117 tossicodipendenti, la metà dei quali circa assume il metadone e una decina in trattamenti alternativi. Prima dell’indulto erano 240.

Cosenza: il Consigliere Magarò (Pse) va in visita al carcere

 

Asca, 28 dicembre 2007

 

Salvatore Magarò (Pse), consigliere regionale della Calabria, ha visitato il carcere di Cosenza, "portando ai detenuti il proprio messaggio di solidarietà e di augurio per le festività natalizie". L’esponente socialista era accompagnato da Anna Falcone, membro del Direttivo Nazionale del Partito Socialista, e da una delegazione di ragazzi e ragazze, aderenti all’iniziativa itinerante "Giovani Socialisti in Tour".

"Quando una persona varca la soglia del carcere - ha affermato Magarò - bisogna registrare un fallimento della società, che non ha saputo creare le condizioni di convivenza civile e nel rispetto delle leggi. L’obiettivo dei socialisti - ha aggiunto Salvatore Magarò - è quello di promuovere un pieno reintegro dei detenuti nella società civile, in particolare, attraverso il loro reinserimento nel tessuto occupazionale. Una finalità che può essere realizzata soltanto attraverso una proficua sinergia tra le istituzioni politico-amministrative e l’istituzione carceraria".

Magarò, infine, si è congratulato con il direttore, Filiberto Benevento, per l’ottima gestione della casa circondariale, recentemente ristrutturata con il coinvolgimento degli stessi detenuti. "Per qualità e quantità degli spazi disponibili, il carcere di Cosenza è, oggi, una struttura funzionale ed efficiente. Ma non dobbiamo dimenticare le condizioni di grave disagio in cui vivono i detenuti di altre strutture, spesso sovraffollate e che versano in condizioni igienico-sanitarie assai precarie".

Ciad: sei francesi condannati ai lavori forzati e poi rimpatriati

 

Apcom, 28 dicembre 2007

 

Sconteranno la pena in Francia i sei membri francesi dell’Ong "L’Arche de Zoé" condannati mercoledì da un tribunale di N’Djamena a otto anni di lavori forzati per "tentativo di sequestro di minori": il Ciad ha infatti risposto favorevolmente alla richiesta di rimpatrio trasmessa dalle autorità di Parigi. "Ho dato questa mattina parere positivo alla richiesta di trasferimento, nulla osta alla loro partenza", ha spiegato in conferenza stampa il ministro della Giustizia ciadiano, Albert Pahimi Padacké. In seguito l’aereo con i sei francesi è decollato per la Francia.

Ieri sera i due presidenti, Nicolas Sarkozy e Idriss Deby, hanno avuto un colloquio telefonico in merito al rimpatrio dei sei francesi, come ha reso noto questa mattina l’Eliseo. In base alla convenzione giudiziaria esistente dal 1976 tra i due Paesi i sei condannati potranno scontare l’intera pena. Il Ciad non voleva che il rimpatrio avvenga su un aereo con i colori francesi, per scongiurare proteste simili a quelle del novembre scorso, quando il presidente francese Nicolas Sarkozy riportò in Europa gli altri cittadini europei coinvolti nella vicenda.

Le autorità ciadiane avevano precisato che i detenuti devono essere accompagnati da poliziotti e da forze di sicurezza africane, ma anche dagli avvocati della parte civile del Ciad e da un rappresentante delle famiglie dei bambini "per verificare che i condannati siano effettivamente messi in carcere dopo il loro arrivo in Francia"; la condanna ai lavori forzati non esiste più nel diritto francese e dovrebbe essere commutata in un analogo periodo di detenzione.

I sei membri dell’Ong sono stati condannati per aver cercato di portare illegalmente in Francia il 25 ottobre scorso 103 bambini provenienti dal Ciad orientale, ritenuti invece orfani della provincia sudanese del Darfur; i tre giornalisti francesi al seguito e i sette membri dell’equipaggio spagnolo dell’aereo che doveva trasportare i bambini vennero invece rilasciati prima del processo.

 

 

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