Rassegna stampa 20 dicembre

 

Giustizia: "no" della sinistra al decreto-bis sulla sicurezza

di Liana Milella

 

La Repubblica, 20 dicembre 2007

 

È tutta in salita la strada del futuro decreto bis sulle espulsioni. Il governo ufficializza che lo presenterà il 28 dicembre, nell’ultimo consiglio dei ministri prima della fine del 2007 e prima che il vecchio di "muoia" la notte di Capodanno. Ma il titolare dell’Interno Amato, anche se, incontrando i capigruppo della maggioranza alla Camera, cerca di sdrammatizzare il clima raccontando una barzelletta (che però lascia freddi gli astanti), deve fare i conti con la freddezza della Sinistra Arcobaleno.

Prc, Sd e Pdci gli chiedono di non presentare un altro decreto, i Verdi non firmano cambiali in bianco e vogliono vedere, parola per parola, come sarà scritto il testo. Amato replica secco: "Se il decreto non viene più ripresentato non solo io ma tutto il governo esce malissimo da questa storia. E non ce lo possiamo permettere". Il dottor Sottile lavora di cesello e alla fine strappa un "vediamo".

In cambio promette, soprattutto al Prc, che ci saranno corsie preferenziali sulle leggi Amato-Ferrero per l’immigrazione e per gli articoli, stralciati dal progetto del ministro delle Pari opportunità Pollastrini, per le molestie reiterate (stalking in versione inglese), il razzismo, l’omofobia. Ma su tutta la partita c’è la zeppa dell’Udeur del guardasigilli Mastella. Che vuole le espulsioni ma preferirebbe vederle varate "con un disegno di legge".

E che, sulla praticabilità parlamentare dello stralcio Pollastrini, in Transatlantico recita un de profundis: "È inutile che Rifondazione s’illuda: il ddl può anche passare alla Camera ma non passerà mai al Senato. Non c’è niente da fare, non ci sono i numeri per votarlo. Noi, la Sudtiroler, i diniani non diremo mai sì a quella legge".

Partita difficile quella di Amato, mentre il centrodestra chiede le sue dimissioni "per la figuraccia" sul dl e Mastella lo difende perché la richiesta è "ingiusta". Ma la ricerca di un equilibrio, da qui al 28, sarà complessa. Il ministro ci prova. Ai capigruppo - Soro (Pd), Fabris (Udeur), Mascia (Prc), Villetti (Rnp), Bonelli (Verdi), Pettinari (Sd), Sgobio (Pdci) - spiega la via: riscrivere meglio il decreto nella versione del Senato, precisare i casi di espulsione, inserire il vaglio del giudice ordinario, approfittandone per chiarire l’allontanamento per i sospettati di terrorismo.

Escono dal dl, e finiscono in un decreto legislativo, i dettagli sull’applicazione delle norme Ue sui cittadini comunitari con un aggiornamento di quanto si votò a febbraio. Lì ci saranno i criteri sull’iscrizione all’anagrafe e sui mezzi di sussistenza per restare in Italia in modo che i sindaci, Cittadella insegna, non si regolino per loro conto. Infine, le norme della Mancino su razzismo, xenofobia, omofobia: dovrebbero finire, nei tre tempi di Amato, nello stralcio Pollastrini.

Tra il ministro e la sinistra il confronto è teso. La Mascia contesta merito e numeri: "L’emergenza è finita, il dl è caduto, bisogna ripensare tutto perché non è questa la strada per risolvere i problemi dei cittadini Ue". Poi: "Troppe espulsioni che non risolvono granché". Le snocciola Amato: 154 urgenti di cui 124 eseguite, altre 262 in attesa dei ricorsi. Argomenta Amato: "In Francia ne fanno 500 in un anno, noi queste in un mese".

Plaude Fabris che chiede un dl "centrato solo sulla sicurezza per vincere la paura della gente". Bonelli è cauto, si preoccupa di due espulsioni fatte a Milano per "mancanza di reddito", dà "un giudizio molto critico" sulla vicenda, rinvia il parere al futuro decreto scritto. Con Villetti, vecchio compagno socialista, lo scontro è di fuoco. Partono anche gli attacchi a Veltroni, "reo" di aver voluto a tutti i costi un decreto dopo l’omicidio Reggiani.

Soro lo difende. Alla fine il quadro non è incoraggiante: costituzionalisti del rango di Barbera e Baldassare dichiarano che il dl non si può reiterare, ma al Viminale sono al lavoro. A decreto quasi deceduto parte pure la caccia al colpevole dell’errore: Amato mette la mano sui suoi funzionari. Si cerca il responsabile tra i sottosegretari di palazzo Chigi e i big della commissione giustizia del Senato.

Giustizia: Violante; troppi gli errori sospetti nel "Palazzo"

 

La Stampa, 20 dicembre 2007

 

Luciano Violante è lapidario: "O il governo corre ai ripari, oppure rischiamo una crisi politica irrecuperabile". Errare è umano, perseverare diabolico. Ecco che cosa pensa il presidente della commissione Affari Costituzionali della serie orribile del governo Prodi. E indica dove intervenire: nel rapporto con i funzionari dell’amministrazione. È 1’i, negli uffici, infatti, che si anniderebbe l’errore. Violante l’ha anche detto nell’aula della Camera, ieri mattina, scatenando un putiferio di reazioni.

 

Presidente Violante, chiarisca: lei pensa che al Senato i funzionari dovevano avvertire e non l’hanno fatto?

"No. La Camera non deve sindacare quello che fa il Senato e viceversa. Ciascuna Camera chiede al governo ragione del suo operato ed impartisce i necessari indirizzi politici. Perciò, come presidente di una Commissione che ha competenza proprio sulla pubblica amministrazione, ho segnalato una questione che riguarda il governo. Per due volte sono stati sbagliati i conti della Finanziaria; poi gli errori nel decreto di sostituzione di Petroni dal Cda Rai, quindi gli errori nel decreto Speciale. Adesso la norma sull’omofobia. I vertici dell’amministrazione non hanno cooperato con i vertici politici. A questo punto il governo deve accertare se si tratta d’incapacità, o di grave disattenzione, oppure se si tratta di slealtà".

 

Scusi, Violante, lei pensa più alla prima o alla seconda? C’è qualcuno che rema contro questo governo?

"Non lo so. Ho indicato un’esigenza. Sta al governo trovare la soluzione".

 

Al Senato gira voce che i funzionari avessero segnalato l’errore, ma che il governo abbia voluto andare avanti lo stesso.

"Non lo escludo. D’altra parte, un governo che firma un emendamento, lo fa suo. E da quel momento l’errore è del governo".

 

Ormai i ministri passano per pasticcioni, sa?

"Non se lo meritano. L’opposizione attacca il singolo ministro. Ma la questione è diversa e forse persino più grave. La politica indica i fini, l’amministrazione li persegue con competenza e lealtà. E se i fini non sono perseguibili perché illeciti o perché troppo ambiziosi rispetto ai mezzi disponibili, l’amministrazione deve dirlo. Altrimenti si precipita nel disordine istituzionale e politico".

 

E quindi?

"Qualcuno deve rispondere. Anche perché questi errori costano cari, in termini economici e politici".

 

E ora?

"Ci sarà un nuovo decreto, come è giusto che sia. Alcuni dicono che una sentenza della Consulta lo impedirebbe. Ma non è esatto. Sarebbe inammissibile solo un decreto che non introduca variazioni sostanziali. Si può fare, ma non deve essere una fotocopia".

 

Lei è comunque soddisfatto che il governo abbia deciso di far decadere il decreto con l’errore.

"È stato giusto. Tra le istituzioni della Repubblica ci deve essere leale cooperazione. Il Presidente della Repubblica, con garbo, aveva segnalato l’errore. Non si poteva andare avanti a testa bassa spostando sul Capo dello Stato una responsabilità che invece era solo nostra".

 

Scusi, ma non era il governo a voler andare avanti a tutti i costi?

"No; il governo ci ha soltanto detto che non sarebbe tornato al Senato. Poi stava a noi decidere il da farsi".

 

Ma la maggioranza stava per decidere il male peggiore.

"La ragion politica non può reggere tutto. Altrimenti buttiamo la Costituzione in un pozzo. La ragion politica deve muoversi entro le regole, non travolgerle".

Giustizia: Babbo Natale, almeno tu... dì la verità agli italiani

di Valerio Spigarelli (Avvocato in Roma)

 

www.radiocarcere.com, 20 dicembre 2007

 

Caro Babbo Natale, quest’anno, per la giustizia, vorrei solo la verità. Non voglio più chiederti quello che ho chiesto per anni, assieme a tanti altri, avvocati, magistrati, intellettuali, perché so che non me lo puoi portare. Non mi puoi portare soldi, pare non ce ne siano, che pure servirebbero per far funzionare la baracca. Neppure ti chiedo la terzietà del giudice, quella vera, perché ormai è diventata un regalo fuori moda, non interessa neanche agli avvocati e quando la si nomina tutti a dire "uffa, ancora, e che fissazione!".

Come se fosse una fissazione applicare la Costituzione. Non ti chiedo un codice penale nuovo, perché non sono mica stupido: sono sessant’anni che lo faccio ed è chiaro come il sole che non arriverà neanche in questa legislatura, con buona pace del mio amico Pisapia.

Solo che stavolta non arriverà per motivi un po’ diversi dal passato. È troppo buono Pisapia, non gli piace l’ergastolo, come non piaceva a tanti nel mondo del diritto, fino a qualche tempo fa. Solo che oggi l’ergastolo va di moda perché abbiamo il problema della sicurezza e non si può eliminare quel "fine pena: mai" che rassicura il popolo. Come si fa a fare la faccia intelligente in tempi in cui quella feroce è diventata un must? Come si fa a spiegare che una pena senza speranza è una pena senza senso?

È troppo buono Pisapia e anche anacronistico:lavora senza proclami, senza strologare ogni giorno in televisione, è troppo serio. Non va di moda neppure tra i suoi, altrimenti l’avrebbero fatto ministro di Giustizia al posto di quello attuale, che fa il contrario. Visto che ci sono neppure non ti chiederò di dare una ripulitina alle carceri, né di farle funzionare meglio. Che vuoi che ce ne freghi di queste cose, oggi trionfa la zero tolerance e la gente si è stufata dei detenuti. È vero o non è vero, come dice Calderoli, che le nostre galere sono Hotel di lusso? E allora che soffrano i detenuti e non si lamentino.

Perciò una cosa è sicura: quest’anno non ti chiederò neppure un cent per la Gozzini, stai tranquillo. Quella, la Gozzini, è diventata come quegli zii matti di cui in famiglia si parla sempre male, e quando arrivano gli ospiti si chiudono in camera per non farli vedere. Errori di gioventù a cui si imputano tutte le colpe quando le cose vanno male, senza stare a vedere se l’hanno fatto sul serio, se gli capita una volta o mille. Si rompe il televisore? Colpa dello zio che pasticcia col telecomando anche se lo usa solo la domenica.

Con la Gozzini è uguale: se cinquemila detenuti vanno in permesso e poi tornano nessuno se ne accorge, se uno di questi commette un reato è colpa della Gozzini che non funziona e la cosa finisce sui giornali. La Gozzini è l’unica legge italiana che si valuta ogni mille volte che la si applica, immancabilmente quella sbagliata, delle altre novecentonovantanove non interessa a nessuno. Già che ci sono ti dico anche che il 41-bis sta bene lì dov’è e quel giudice americano che l’ha definito una tortura si faccia gli affari suoi, pensi a Guantanamo, come gli hanno detto alcuni coraggiosi magistrati italici. Come se non si potesse dire che tutte e due le cose sono indegne di paesi civili.

Una cosa, per la verità, te la volevo chiedere, caro Babbo Natale, e riguardava Vespa, Mentana, Santoro & Co. Però poi ho pensato che tanto era inutile, che neppure tu ci puoi fare nulla. Avevo pensato che se, almeno per un po’, si fossero interessati di altre cose, senza erigere teatrini sui processi in corso, senza convocare quella compagnia di giro fatta di avvocati, magistrati e specialisti di varia umanità che conciona su tutto senza conoscere nulla - spesso dicendo bugie - l’idea pubblica della giustizia ne avrebbe guadagnato in credibilità. Poi ho pensato che ti avrebbero accusato di mettere il bavaglio all’informazione e magari avrebbero pure fatto recitare ad un attore il brogliaccio di una telefonata tra te e la Befana, una di quelle scandalose, scelte da qualcuno scartandone dieci precedenti e dieci successive che la spiegavano, così sputtanandoti per l’eternità. E allora ho pensato che era meglio di no.

In conclusione ti chiedo una sola cosa: fammi la cortesia, Babbo, dì agli italiani la verità sulla ragionevole durata, digli quali sono i veri motivi dei rinvii dei processi, regalagli il lavoro che hanno fatto la Camera Penale di Roma e l’Eurispes, che dimostra come le garanzie non c’entrano nulla ed è tutta colpa della inefficienza burocratica.

Racconta la verità sulla Gozzini, e pure sull’indulto, visto che ci sei. E rassicurali, donagli le statistiche del Ministero dell’Interno, quelle che dimostrano che non siamo il Far West, che omicidi e rapine sono in calo da quindici anni. Digli la verità Babbo Natale, perché la politica la nasconde.

Giustizia: le paure, gli stranieri... e il ruolo degli enti locali

 

Il Corriere della Sera, 20 dicembre 2007

 

I Patti per la sicurezza siglati nelle maggiori città metropolitane e la formulazione da parte del Disegno di legge "Disposizioni in materia di sicurezza urbana" riconoscono la necessità di dar voce e potere agli enti locali quali diretti protagonisti della sicurezza urbana, ma presentano una serie di criticità in quanto le risorse economiche destinate dagli enti locali a finanziare le politiche di contrasto della criminalità non saranno più disponibili per le azioni dirette alla coesione sociale e alla prevenzione, inoltre c’è il rischio di confusione sia con riferimento alle competenze dei vari livelli istituzionali, che relativamente alle attribuzioni della Polizia municipale se non sostenute da adeguate forme di riqualificazione e da una moderna normativa.

Le organizzazioni criminali sempre più dentro alle imprese. Un imprenditore meridionale su tre dichiara che il racket nella propria zona di attività è molto o abbastanza diffuso (33,1%); alta anche la percezione della presenza di usura (il 39,2% degli imprenditori ritiene che nella zona dove esercita la propria attività il reato sia molto o abbastanza diffuso). Assumono importanza fenomeni di distorsione della concorrenza per cui il 48,9% vede un aumento della nascita improvvisa di imprese concorrenti; il 15,1% percepisce una crescita dell’imposizione nell’utilizzo di manodopera ;il 13,2% crede che sia in crescita l’imposizione di forniture; il 45,3% degli imprenditori giudica poco o niente affatto trasparenti gli appalti pubblici.

Il bullismo nelle scuole cresce davvero? Gli atti di bullismo più frequenti di cui sono stati testimoni diretti gli studenti del Lazio sono gli scherzi pesanti (26,8%), le offese e le minacce (25,0%) e le prese in giro moleste (25,4%), mentre il 19,1% ha assistito a piccoli furti e il 15,2% ad aggressioni fisiche. Rispetto all’acutizzarsi del fenomeno, il Ministero dell’Istruzione ha deciso di costituire un’apposita Commissione che ha dato vita, tra l’altro, agli Osservatori regionali sul bullismo presso gli Uffici Scolastici Regionali, ad un numero verde di ascolto, consulenza e prevenzione e ad un sito internet. Inoltre la Commissione ha segnalato la necessità di disporre di dati statistici condivisi a livello nazionale e territoriale, che consentano di effettuare una mappatura del fenomeno e delle sue emergenze.

Il rischio di un’eccessiva frammentazione delle competenze sull’immigrazione. Se si considera il numero di amministrazioni da cui dipendono le principali decisioni in merito all’immigrazione e che sono incaricate di svolgere i compiti essenziali per la gestione della materia ma, soprattutto, se si guarda agli ambiti di possibile sovrapposizione potrebbe legittimamente sorgere il dubbio se un fenomeno così complesso possa essere gestito con la dovuta efficienza e tempestività da una tale pluralità di soggetti.

Le prime crepe nell’integrazione sociale degli stranieri. Negli ultimi cinque anni a fronte di una crescita media degli stranieri residenti in Italia dell’89,7%, i rumeni sono aumentati del 260,1%, passando dai 95.039 del 2002 ai 342.200 del 2006 e diventando la terza comunità in Italia. La stima Caritas dei soggiornanti fa salire il numero dei rumeni a 555.997, facendone la prima nazionalità straniera presente in Italia.

Di pari passo vi è stato un aumento dei rumeni sulla scena del crimine. Nel periodo 2004-2006 i cittadini romeni compaiono al primo posto tra gli stranieri denunciati per i furti con destrezza (37% degli stranieri denunciati, e 24,8% del complesso dei denunciati), i furti di autovetture (29,8% degli stranieri e 11,2% del totale dei denunciati), le rapine in esercizi commerciali (26,9% e 8,7%) e le rapine in abitazione; e per alcuni reati violenti, come gli omicidi volontari consumati (15,4% degli stranieri denunciati e 5,3% del totale) e le violenze sessuali (16,2%) All’aumento dei cittadini rumeni denunciati corrisponde una crescita dei detenuti rumeni che nel mese di giugno erano 2.267, vale a dire il 5,2% del totale dei detenuti (che a quella data erano 43.957) e il 14,5% dei detenuti stranieri (che erano 15.658).

Conoscere più a fondo il fenomeno della tratta. Le vittime di tratta che tra il 2000 ed il 2006 hanno potuto beneficiare dei progetti di assistenza ex art. 18 sono 11.226, di cui 619 minori. In realtà non è possibile verificare se questo numero corrisponda a singole persone, ovvero se vi siano state duplicazioni. Tra il 2000 e il 2006 i permessi di soggiorno concessi risultano essere 5.653. Analoghe difficoltà si riscontrano se si intende descrivere l’universo dei cosiddetti sfruttatori. Il maggior numero di denunciati riguarda il reato di sfruttamento della prostituzione: 2.874 nel 2006; 129 sono stati i denunciati per il reato di tratta di persone; crescono negli ultimi tre anni del 21,2% i denunciati per riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù (dai 340 del 2004 ai 412 del 2006); aumentano del 17,2% i denunciati per sfruttamento della prostituzione minorile, che sono 340 nel 2006; diminuiscono, rispettivamente del 28,1% e del 9,2%, i denunciati per i reati di acquisto ed alienazione di schiavi e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Giustizia: sistema penitenziario, un "disastro annunciato"

 

www.tuttoggi.info, 20 dicembre 2007

 

La Cisl - Funzione pubblica denuncia i tagli della finanziaria a danno delle infrastrutture penitenziarie.

"Da tempo denunciamo che - dopo l’approvazione dell’Indulto - il Governo non ha fatto nulla perché si avviasse una vera riforma, capace di sviluppare un sistema di pene alternative al carcere, in linea con gli altri Paesi Europei. Ad oggi sono già 50.000 i detenuti nelle carceri italiane, con un aumento stimato di circa 1.000 al mese. E nonostante questo nessun intervento migliorativo è stato realizzato ai penitenziari, gli organici del personale di Polizia Penitenziaria e dei ruoli civili sono diminuiti, gli strumenti ed i mezzi a disposizione ulteriormente usurati e fuori norma.

All’orizzonte stanziamenti economici ridotti, in nome del contenimento della spesa pubblica, con conseguente lievitazione di quelle che invece riguarderanno le spese per assistenza sanitaria. Il Governo infatti non ha soldi per affrontare i gravissimi problemi del sistema sanitario nazionale, che in varie regioni è al collasso (le cronache di ogni giorno dimostrano la situazione negli ospedali italiani) ma pensa di fare una riforma come quella del passare le competenze della sanità penitenziaria alle Asl. Invece questa riforma non migliorerà niente in termini di migliore assistenza sanitaria ai detenuti, non tutelerà le posizioni del personale attualmente impiegato nelle carceri, ma in compenso utilizzerà un bel po’ di soldi per far diventare "primari" una schiera di convinti sostenitori dell’esigenza di questo passaggio di gestione.

Mancano invece stanziamenti per tutto quello che è minimamente essenziale al buon funzionamento delle carceri. Saranno tagliate le spese per la manutenzione ordinaria degli edifici. Quindi non solo non si ristrutturano, come sarebbe necessario, e/o se ne costruiscono di nuovi, ma si tagliano i fondi coi i quali certi lavori si possono realizzare in economia. Nelle carceri esiste ad esempio un servizio che si chiama Mof (Manutenzione Ordinaria Fabbricati) che vede il personale coordinare il lavoro di detenuti impegnati ad imbiancare gli ambienti interni, a ripristinare il funzionamento di cancelli (anche quelli delle celle), a far funzionare sistemi idrici e/o elettrici (basterebbe pensare se si può lasciare i detenuti in cella al buio o senza servizi igienico-sanitari). Quei tagli di spesa determineranno con certezza un vero e proprio blackout nel funzionamento di moltissimi servizi.

La Cisl denuncia quindi la inadeguatezza di questo Governo, che in oltre un anno di allarmi per il sistema penitenziario italiano, sta per assestare un colpo da ko anziché risolvere qualche problema. Le carceri italiane rischiano davvero di dover affrontare un anno durissimo, nelle difficoltà che tutti possono comprendere nell’organizzare la vita in comune di persone afferenti a organizzazioni criminali diverse, ad etnie e religioni diverse, talvolta affetti da gravissimi disturbi di salute (psichici - malattie infettive - disabilità fisiche), e dove se gli interventi economici saranno quelli prospettati sarà un vero caos. La politica affronti il problema con la serietà che una situazione così delicata richiede, un problema che i Cittadini sapranno comprendere perché un carcere così insicuro sarà un rischio per tutta la Società. "

Giustizia: vorrei un sistema efficiente e carceri decorose...

di Riccardo Arena (Direttore di Radio Carcere)

 

www.radiocarcere.com, 20 dicembre 2007

 

Caro Babbo Natale, prima di tutto spero che tu, quando arriverai in Italia, non verrai arrestato e portato in carcere. Già vedo i titoli sui giornali: "Arrestato anziano barbuto, sorpreso nel camino di un’abitazione con un sacco sulle spalle".

Sai, oggi in Italia si fa un gran uso della misura cautelare in carcere e tu potresti far parte di quelle 16.525 persone che stanno nelle patrie galere in attesa di un primo processo. Una detenzione lunga, per un processo lento e dall’esito incerto. Quindi fai attenzione quando con la slitta superi il confine italiano.

Inoltre, usa con prudenza il telefonino! Soprattutto se ricevi telefonate da persone famose. Verresti sicuramente intercettato e finiresti in prima pagina sui giornali: "Berlusconi indagato! Ha chiamato Babbo Natale e gli ha chiesto un trenino elettrico". Oppure: "D’Alema sotto accusa! Avrebbe fatto pressioni su Babbo Natale per non dare a Berlusconi il trenino elettrico". Questa è un po’ la nostra belle Italia, o almeno quella che appare, e quindi capirai che di regali ne avrei tanti da chiedere.

Ma mi limito all’essenziale. Prima di tutto vorrei chiederti in regalo il rispetto delle norme che riguardano la misura cautelare in carcere. Come ti ho detto prima, oggi in Italia si ricorre un po’ troppo di frequente al carcere prima del processo, prima della condanna. Anzi sembra che da strumento eccezionale, la misura cautelare in carcere sia divenuto il modo principale di espiazione di una pena che forse verrà.

Come dire: ti fai il carcere prima, perché dopo con la sentenza verrai liberato. Altre volte si ha la sensazione che la misura cautelare sia utilizzata come scorciatoia investigativa. Tipo: anche se non ci sono le esigenze cautelari ti metto in carcere, così magari confessi. Nel 2007, stando alle notizie di stampa, sono stati molti i casi di ingiusta applicazione della misura cautelare. Tra questi: la minorenne rumena accusata della morte di Vanessa. Un alto magistrato della Cassazione. Gli indagati di Rignano Flaminio. Alberto Stasi. Patrick Lumumba. Questi solo alcuni casi. E gli altri 16.525?

Il secondo regalo che ti chiedo è legato al primo e riguarda il processo penale, la sua durata, la sua efficienza. Vorrei chiederti un processo che non duri 10 anni e che non finisca poi con una sentenza che dichiara la prescrizione. Vorrei un processo che dia rapidamente risposta di giustizia alla vittima del reato o all’imputato. Troppo spesso nelle aule dei tribunali si assiste inerti alla disperazione delle persone offese che aspettano per anni una sentenza che non arriva. Troppo spesso l’imputato, che non ha soldi per un bravo avvocato, si vede condannato a una pena più alta di quella che in effetti meritava. Troppo spesso, nei nostri tribunali, si corre il rischio dell’errore giudiziario. La condanna dell’innocente o l’assoluzione del colpevole.

Vedi, caro Babbo Natale, il processo penale oggi appare più un esercizio di stile, che esercizio di un potere sovrano dello Stato che mira all’accertamento del fatto reato. Mille garantismi inutili, le impugnazioni usate come meri strumenti dilatori, cattiva gestione degli uffici giudiziari, carenza di mezzi, sono solo alcune delle cause che hanno fatto perdere efficienza al processo. Quindi per favore facci questo regalo, anche perché cos’è una democrazia senza giustizia?

Se non chiedo troppo, desidererei anche dei magistrati autorevoli, capaci e responsabili. Vorrei dei Pubblici Ministeri e dei Giudici a cui sia riconosciuto con mezzi e gratificazioni, l’importanza del loro ruolo. Vorrei dei magistrati ben selezionati e ben formati. Vorrei che si congedassero quelli non idonei a svolgere il loro compito. Vorrei una magistratura responsabile. Che venga chiamata a rispondere degli errori fatti. In questi tempi il Csm si sta occupando di due magistrati. Vorrei un Csm che si occupi di tutti i magistrati che violano le regole. E non solo di due.

Infine, mi piacerebbe tanto ricevere in regalo delle carceri dove la persona detenuta non perda, oltre la libertà, anche la dignità e il diritto alla salute. Vorrei un carcere dove le persone condannate possano lavorare e studiare. Un carcere dove si offra alla persona detenuta una possibilità di scelta per un futuro diverso rispetto alla delinquenza. Un carcere che non sia scuola del delitto, ma esempio di diritto. Oggi non è così.

E il Natale non arriverà nella cella di Massimiliano, che a 19 anni si è ammazzato nel carcere di Cagliari. Né nella cella di Antonio che, nel carcere dell’Isola di Favignana, vive a dieci metri sotto terra con altre 5 persone. Nessun Natale a Regina Colei, a Poggioreale o nel carcere di Brescia. Nessun Natale per gli 80 bambini detenuti nelle carceri italiane.

Natale in carcere: le lettere dei detenuti a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 20 dicembre 2007

 

Antonio, dal carcere dell’isola di Favignana

Cara Radio Carcere, anche noi detenuti a Favignana ci stiamo preparando al Natale. Nelle nostre celle, a dieci metri sotto il livello del mare, stiamo cercando di levare un po’ di muffa per renderle più accoglienti in vista del 24 dicembre. Siamo in quattro dentro questa celletta e ognuno di noi fa finta di non stare male. Fa finta di non pensare che la sera di Natale è forse la notte peggiore che si possa passare in carcere. Faremo una piccola cena e poi cercheremo di andare a letto presto per non pensare che è Natale. Per non dare spazio alla tristezza. Ti confesso che stando in un carcere come questo si fa più fatica a sopportare il Natale. Le nostre celle sono sotto terra e non possiamo neanche vedere il cielo stellato. Solo il muro è intorno a noi. Comunque, ci hai chiesto di esprimere un desiderio per Natale e ti diciamo che tra i desideri che vorremo c’è quello di far chiudere il carcere dell’isola di Favignana. Fateci andare via da qui. Portateci in un altro carcere, ma via da qui. Non si può tenere delle persone in celle messe sotto terra, tra muffa e umidità. È disumano. Ma loro pare che se ne fregano di noi. Magari a noi non ci pensa Mastella, ma ci pensa Babbo Natale! Auguri Radio Carcere.

 

Gennaro, dal carcere di Poggioreale

Caro Riccardo, io e i mie compagni stiamo in una cella chiamata camerone e che contiene 8 detenuti. Stiamo qui in cella sempre chiusi. In questi giorni i nostri famigliari ogni volta che vengono al colloquio ci portano un po’ da mangiare in vista del Natale.

Ma ti assicuro che la malinconia è tanta. Sono giorni difficili qui a Poggioreale. Spesso gli occhi dei detenuti sono umidi di lacrime. È brutto forte il Natale in carcere. Guarda io, come altri detenuti, tra pochi mesi usciamo. Stiamo in carcere per furtarelli, ecco perché la nostra pena è bassa. Ma il fatto è che a Napoli di lavoro non ce né e allora noi chiediamo di farci lavorare, di darci la possibilità di campare onestamente. Non è solo mio questo desiderio, ma di tanti chiusi qui a Poggioreale condannati perché costretti a rubare. Molti hanno mogli e figli, e certamente hanno sbagliato, ma come gli portavano da mangiare? Che passi in fretta questo Natale!

 

Salvatore, dal carcere di Cagliari

Caro Arena, prima di tutto grazie per esserti occupato di noi la scorsa settimana. Io sto chiuso in una cella del secondo piano del carcere Buon Cammino di Cagliari e siamo in 6 qui dentro. Il desiderio che vorrei per il prossimo anno è che le persone malate che stanno qui nel carcere di Cagliari possano essere messe in un posto dove curarle. Si tratta spesso di malati mentali, che non possono stare in un carcere. Altri sono drogati e per loro essere detenuti significa solo prolungare la tossicodipendenza. Nella cella dove sto io sembra un lazzaretto. E non voglio neanche immaginare cosa sarà per me la sera del 24 dicembre. Tra urla, psicofarmaci e quant’altro. Sarà un incubo. Sto pensando seriamente di farmi dare una pasticca, almeno così potrò dormire. Riccardo, non ci abbandonare.

 

C., dal carcere di Rebibbia

Caro Riccardo, sono una di quelle donne che sta in carcere con il proprio bambino. Mio figlio ha quasi tre anni e quando li compirà dovrò staccarmi da lui. È questo forse l’ultimo Natale che passo col mio bambino. Qui a nel carcere di Rebibbia, viviamo, mamme e bambini, in grandi celle. Celle che vengono chiuse ogni sera, compresa quella di Natale. Devo dire che soprattutto i volontari fanno di tutto per far vivere un po’ di Natale ai nostri bambini detenuti. Ma quando guardo mio figlio, ho la certezza che lui sappia che sta in carcere e questo mi provoca un grande dolore. Sto cercando di far avere a mio figlio un regalino per Natale e spero di riuscirci. Nel frattempo vorrei esprimere il desiderio non della libertà ma di una detenzione come mamma. Una detenzione fatta in un posto adeguato alla crescita e allo sviluppo del mio bambino. A Milano lo hanno fatto e perché allora non farlo a Roma? Io lo so che mio figlio sta in carcere per colpa mia, ma vedi vorrei anche far capire quanto sia difficile per una madre dividersi dal suo bambino. Questi due sentimenti sono la mia peggiore prigione. Auguro un Buon Natale a Radio Carcere a te Riccardo e a chi ha la fortuna di leggervi.

 

Raffaele, dal carcere Canton Bombello di Brescia

Cara Radio Carcere, la situazione nel carcere Canton Bombello di Brescia è sempre peggiore e l’avvicinarsi del Natale non aiuta. Anzi gli animi dei detenuti sono assai più agitati. Io sono di Napoli e aspetto da 14 mesi il trasferimento in un carcere della Campania. Io aspetto e il trasferimento non arriva. Nel frattempo sto in una cella con altre 7 detenuti. C’è chi è marocchino, chi albanese, chi è nigeriano. Qui c’è di tutto. Tutte le razze tutte le religioni.

Tanto che sono l’unico nella mia cella che festeggerà il Natale. Spero che per la sera di Natale mi acconsentiranno di cenare insieme ad alcuni detenuti italiani che stanno nella cella accanto alla mia. Sarebbe già qualcosa. A me dispiace anche per gli agenti che dovranno fare il turno qui in carcere la sera della vigilia. Per una notte siamo davvero accomunati da un cattivo destino, quello della galera e della tristezza.

Il desiderio che esprimo è quello di poter scontare la pena in un carcere vicino alla mia famiglia. Non vedo mia moglie e i miei figli da mesi e la solitudine mi sta consumando. Lontano da casa e dalla propria moglie il carcere è terribile.

Padova: si è impiccato un detenuto albanese di 33 anni

 

Ansa, 20 dicembre 2007

 

Si è tolto la vita nella sua cella della Casa Circondariale di Padova Artur Lleshi, l’albanese di 33 anni accusato con il connazionale Naim Stafa del feroce assassinio a Gorgo al Monticano (Treviso) dei coniugi Guido Pelliciardi e Lucia Comin, il 21 agosto scorso. L’albanese aveva già provato due volte di farla finita, sempre nel carcere di Padova, venendo salvato in entrambi i casi dalle guardie carcerarie del Due Palazzi di Padova.

Lleshi, Stafa ed un cittadino romeno che aveva avuto il ruolo di palo in quello che doveva essere un tentativo di rapina, erano stati catturati dai carabinieri 15 giorni dopo il duplice delitto, dopo indagini serrate. I coniugi Guido e Lucia Pellicciardi erano stati torturati in modo efferato prima di essere giustiziati a colpi di spranga di ferro: da loro i due albanesi volevano ottenere le chiavi di villa Durante, di cui erano i custodi, ma che i Pellicciardi non avevano. Proprio per le modalità con le quali era stato perpetrato il delitto, i tre stranieri erano stati accusati di duplice omicidio con l’aggravante dei futili motivi e della crudeltà. Lleshi e Stafa avevano confessato di aver agito sotto l’effetto della cocaina.

Durante gli interrogatori davanti ai magistrati, Lleshi si era poi detto pentito di quanto aveva fatto, imputando in particolare al complice di averlo obbligato ad assumere la droga per far venir meno in lui ogni scrupolo. Naim Stafa, tra l’altro, si trovava in libertà avendo usufruito del provvedimento dell’indulto. Il delitto dei coniugi Pellicciardi aveva provocato un’ondata di sdegno in tutto il Veneto, e l’efferatezza del crimine aveva portato qualcuno ad invocare la pena di morte per i responsabili di fatti così feroci. Artur Lleshi, il presunto assassino dei coniugi Pellicciardi suicidatosi in carcere a Padova, aveva chiesto perdono per il suo gesto al figlio dell’anziana coppia, Daniele.

Cagliari: protesta detenuto affetto da patologia incurabile

 

www.superabile.it, 20 dicembre 2007

 

Da mesi Antonino Loddo pratica lo sciopero della fame per essere trasferito in Sardegna dal figlio leucemico. La denuncia arriva dal consigliere regionale Maria Grazia Caligaris (Sdi). Secondo i reperti medici rischia di morire

Si stanno aggravando le condizioni di salute di Antonino Loddo, il detenuto cagliaritano affetto da una patologia, incurabile e progressiva che lo costringe all’immobilità, già fortemente debilitato dal prolungato sciopero della fame e della sete effettuato per essere trasferito nel centro clinico del carcere di Buoncammino.

La denuncia arriva dal consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Sdi - Partito Socialista) dopo aver letto la relazione medica di Francesco Marrosu, ordinario di neurologia e direttore del Dipartimento di Scienze Neurologiche e Cardiovascolari che, su richiesta dei familiari, ha visitato il paziente. Il detenuto pratica lo sciopero della fame in attesa che venga accolta la sua richiesta di poter essere trasferito e riabbracciare così la propria famiglia.

Antonino Loddo è affetto da una grave patologia e lo stato di profonda denutrizione - secondo quanto scritto nel referto del medico che lo ha visitato - è talmente grave da mettere a repentaglio la vita dell’uomo. Per questa ragione "non può continuare a rimanere in carcere e soprattutto non può tornare a Rebibbia, la Casa Circondariale cui è stato destinato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - afferma la Caligaris - sarebbe indispensabile e non ulteriormente procrastinabile un ricovero in una struttura ospedaliera plurifunzionale pubblica o privata locale dove però la prima urgenza dovrà essere rappresentata dal tamponare la situazione di gravissimo deficienza immunitaria".

Loddo è inoltre padre di un ragazzo che ha subito un trapianto di midollo osseo le cui condizioni di salute sono in una fase molto delicata. Il padre aveva chiesto ripetutamente di essere trasferito a Cagliari proprio per poter riabbracciare il figlio e stare vicino ai familiari. In attesa che i giudici si pronuncino sulla nuova istanza presentata dal difensore Fernando Vignes, "il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - afferma il segretario della Commissione ‘Diritti Civili - deve annullare il provvedimento di trasferimento e consentire ad Antonino Loddo almeno di rimanere nel centro clinico di Buoncammino e poter continuare ad avere i colloqui con il figlio e i familiari, dando così anche attuazione alla norma della legge sull’ordinamento penitenziario che prevede la territorializzazione della pena e all’ordine del giorno, approvato all’unanimità dal Consiglio regionale, sul trasferimento nell’isola dei detenuti sardi ristretti nelle carceri della Penisola".

Milano: detenuti; 300 € al giorno in carcere, 8 in comunità

di Adriano Todaro

 

www.girodivite.it, 20 dicembre 2007

 

Ogni detenuto, in carcere, costa allo Stato circa 300 euro al giorno. Lo stesso detenuto, fuori, alloggiato presso l’associazione "Un tetto per tutti", solo 8 euro.

Si parla tanto di sicurezza sociale e di paure generalizzate. Si critica l’indulto, si mettono telecamere in tutte le città, si stanziano fondi per la "sicurezza" e poi quando c’è la possibilità di operare concretamente per la cultura della legalità, non si fa nulla. È un po’ questo il messaggio che è stato lanciato a Milano, ieri, da 23 associazioni ed enti non profit che si occupano di carcere. Il terminale della protesta era il Comune di Milano che non ha rinnovato - secondo quanto denunciato dalle associazioni - gli stanziamenti per due progetti a favore di ex detenuti. Si tratta di "Un tetto per tutti" che offre un posto-letto a chi esce dal carcere e non sa dove andare e "Puntoacapo" che cerca di orientare i detenuti nella ricerca di un lavoro.

Il risultato del mancato finanziamento ai progetti è che le stesse cooperative che gestiscono questi servizi, pur di mandare avanti il progetto, hanno dovuto sborsare di tasca propria i soldi. Piccata la risposta dell’assessora alle Politiche sociali del Comune di Milano, Mariolina Moioli: "Non è vero. Per il 2007 abbiamo confermato i fondi dell’anno precedente… Prima di criticarmi potevano consultarmi per chiarire la situazione". All’assessora risponde don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana: "Qui ci troviamo di fronte ad un tipico caso in cui il mondo non profit toglie le castagne dal fuoco al Comune che non fa il suo dovere, ma ci sentiamo anche in diritto di alzare il dito per richiamarlo ai suoi compiti". Molto critico nei confronti dell’Amministrazione comunale anche Corrado Mandreoli, responsabile del Dipartimento politiche sociali della Cgil: "Con la Giunta Moratti, l’Osservatorio carcere e territorio è stato convocato solo una volta.

Di fatto il Comune di Milano si sta tirando indietro. È criminale il fatto che non senta il bisogno di confrontarsi con le associazioni che da anni si occupano di carcere e di lavorare con loro per portare avanti i progetti di inserimento sociale".

Siracusa: 600mila € per il lavoro a disabili ed ex detenuti

 

www.superabile.it, 20 dicembre 2007

 

Le risorse assegnate dal ministero per le Politiche Sociali alla Provincia nell’ambito del progetto "Reload". La gestione della formazione affidata a associazioni, cooperative sociali e enti pubblici

Il ministero per le Politiche Sociali, nell’ambito del progetto "Reload", ha assegnato 600 mila euro alla provincia di Siracusa per sostenere l’inserimento nel mondo del lavoro di disabili mentali ed ex detenuti usciti dal carcere con l’indulto. Le risorse saranno ripartite tra associazioni, cooperative sociali ed enti pubblici che avranno il compito di organizzare l’attività formativa destinata ai soggetti interessati. Questi ultimi svolgeranno tirocini presso aziende convenzionate, con la possibilità di proseguire il rapporto di lavoro al termine degli stage. Si tratta, infatti, del primo progetto che si svolgerà in Sicilia nell’ambito del piano denominato Reload (Reinserimento Lavorativo: Opportunità per Acquisire un Diritto), alla presenza della sottosegretaria alle Politiche Sociali Franca Cecilia Donaggio. L’iniziativa è stata presentata da Bruno Marziano, presidente della Provincia di Siracusa e dal sottosegretario alle Politiche sociali Franca Cecilia Donaggio.

Il progetto prevede l’inserimento al lavoro di soggetti con disabilità mentale e di ex detenuti usciti dal carcere dopo il provvedimento di indulto. Il progetto prevede un investimento nella provincia di Siracusa di 600 mila euro che saranno assegnati alle associazioni e cooperative sociali, oltre che ad enti pubblici, per la formazione dei soggetti interessati che dovranno frequentare dei tirocini in aziende che potranno poi assumerli usufruendo di appositi finanziamenti previsti dal progetto. I tirocini dureranno da quattro a sei mesi e dovranno essere previsti da un apposito progetto che gli enti che parteciperanno al bando dovranno presentare alla Provincia di Siracusa (settore Politiche Sociali).

Il progetto prevede un monitoraggio costante delle attività che diventerebbe la base sperimentale per realizzare anche in altre parti d’Italia quanto previsto dal piano Reload. La Sottosegretaria Dosaggio, ha dichiarato che il governo nazionale ha raddoppiato, da 200 milioni (2007) a 400 milioni (2008) l’impegno finanziario per il sostegno del fondo per l’assistenza e l’integrazione delle persone non autosufficienti.

Bari: tre Comuni uniti per un progetto sul reinserimento

 

www.tranionline.it, 20 dicembre 2007

 

I sindaci di Trani, Andria e Barletta hanno avuto un incontro con la direttrice dell’istituto penitenziario di Trani, dr.ssa Valeria Piré, con il commissario di Polizia penitenziaria, dr. Vincenzo Lamonaca, con il vice direttore dell’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) di Bari, dr. Pietro Guastamacchia, e con la dr.ssa Mirella Malcangi dell’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) di Bari. L’incontro è stato organizzato per avviare un progetto condiviso e coordinato fra i tre Comuni della Bat per la gestione interna ed esterna di flussi di informazione legati ai detenuti presenti nella struttura (160, di cui 40 definitivi e 120 in attesa di giudizio) e per studiare, di concerto con gli uffici dei servizi sociali dei tre centri, ipotesi di formazione legate ad un eventuale reinserimento dei detenuti. Sono al vaglio delle istituzioni delle ipotesi, concrete, di attività lavorative mirate per chi ora è in carcere e a partire dal prossimo incontro verranno costituiti dei gruppi di lavoro che vedranno compartecipi i componenti dei servizi sociali dei tre comuni e dell’istituto penitenziario.

Roma: a Rebibbia va in scena "Romeo e Giulietta trans"

 

Dire, 20 dicembre 2007

 

Romeo e Giulietta sperimentali in scena al teatro della casa circondariale Rebibbia nuovo complesso. Il capolavoro di Shakespeare è stato rappresentato oggi pomeriggio da una compagnia teatrale speciale: i transessuali del braccio maschile G8, che vivono con i detenuti della sezione maschile del grande comprensorio del carcere romano di Rebibbia, tutti con sentenza definitiva non inferiore a 5 anni.

L’iniziativa è il risultato finale del progetto Princesa-Tespis, realizzato dal circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, l’associazione di volontariato Libellula e la collaborazione di Artestudio, che ha messo scena "Storia di Giulia", liberamente ispirato all’opera magna del maggiore artista inglese. Presenti nella platea, oltre i detenuti del braccio G8 anche Donatella Linguiti, sottosegretario alle Pari opportunità, Rossana Praitano, presidente del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, Alessandra De Luca, assessore alla qualità della vita della Provincia di Roma e Leila Dainais, presidente dell’associazione di volontariato Libellula, che ha recitato nello spettacolo. "È stato molto emozionante vedere la fatica fatta dalle attrici per reggere la platea - spiega Linguiti - hanno trasmesso la loro condizione attraverso il modo di muoversi, gli sguardi. Un lavoro veramente encomiabile, considerando la platea non facile, che rispecchia esattamente quello che è la realtà".

Realtà non facile per i detenuti transessuali che vivono, di fatto, isolati nel braccio maschile, a causa di un riconoscimento giuridico del loro stato di donne che non viene validato dall’anagrafe: "Per la loro incolumità fisica sono separate dagli altri - spiega Praitano - ma, in questo modo, sono condannate a non partecipare a nessuna attività in un posto dove, invece, le attività di recupero sono la caratteristica principale (i detenuti con sentenza definitiva hanno programmi di reinserimento sociale più strutturati delle case circondariali ndr)".

Per loro, la difficoltà maggiore consiste nel continuare la terapia ormonale: "In molti casi - sottolinea la presidente del Mario Mieli - sono costrette ad interromperla, con gravi problemi fisici e psicologici", anche se la responsabile del G8 di Rebibbia sottolinea come "le cure sono assicurate per tutte, con un endocrinologo che segue tutte le terapie già iniziate fuori dal carcere".

Sono accolte con un caldo applauso le attrici della piece shakespeariana, ma poi il clima si fa teso: i transessuali sfilano per la sala con costumi appariscenti e le loro difficoltà, soprattutto nella lingua (quasi tutti sono sudamericani) provocano la platea che al buio si sfoga in commenti, battute e fischi.

L’opera va avanti però, grazie alla determinazione delle persone sul palcoscenico, volontari dell’associazione Libellula e regista, che aiutano, improvvisano e guidano le detenute emozionate e comprese nel loro ruolo. Il risultato comunque è un successo. "È tanto tempo che ci lavoriamo - racconta Cinzia Parades, 45enne peruviana, in Italia da 15 e 3 anni di carcere alle spalle e uno e mezzo ancora da scontare - e la possibilità di esprimerci in questo modo, e potere uscire per un po’ dalle nostre celle, è stata preziosa".

Lo spettacolo è l’occasione di parlare delle condizioni di detenzione di queste persone, ad oggi 15 attualmente a Rebibbia, che sono sorvegliate da agenti speciali, 40, che hanno frequentato un corso particolare per trattare con persone con problemi di identità di genere ma che spesso "non riescono ad affrontare fino in fondo i problemi di persone - spiega Praitano - che hanno bisogno più di accoglienza che non di isolamento". Soddisfazione per il progetto è espressa dall’assessore alla qualità della vita della Provincia di Roma, che ha fortemente incentivato il progetto e che spiega come "la buona pratica realizzata spero possa avere un seguito all’interno degli istituti di pena anche in altre regioni".

Catanzaro: la musica popolare arriva nel carcere di Siano

 

Giornale di Calabria, 20 dicembre 2007

 

La musica popolare del gruppo Lycosa Tarentula è entrata nella Casa Circondariale di Catanzaro-Siano dove i detenuti del circuito di media sicurezza, hanno potuto assistere ad uno spettacolo al quale, tra gli altri, secondo quanto riferisce una nota, ha presenziato l’assessore regionale Vincenzo Falcone.

Nel corso della manifestazione, organizzata dal dirigente dell’istituto, Mario Antonio Galati, c’è anche stata la presentazione di strumenti musicali antichi realizzati dai detenuti durante un seminario teorico pratico effettuato all’interno del laboratorio di liuteria e tenuto da Tommaso Rotella, presidente dell’associazione Promocultura per la diffusione della cultura calabrese in Europa, con il patrocinio della Regione Calabria.

Al termine della presentazione dei lavori realizzati, i detenuti hanno dato anche una dimostrazione pratica del loro utilizzo insieme al maestro Daniele Mazza. Il repertorio dei Lycosa Tarentula (5 elementi fra cui una ballerina) si è sviluppato attraverso brani che rappresentano la Calabria meridionale, centrale e alto cosentino, per approdare in Puglia con la pizzica tarantata che ha chiuso il percorso alla ricerca della Tarantola con l’utilizzo di strumenti musicali tradizionali, quali la chitarra battente, la lira calabrese, gli organetti, i tamburi a cornice e le nacchere, costruiti dagli stessi componenti del gruppo.

Immigrazione: incontro sulla criminalizzazione dei migranti

 

Melting Pot, 20 dicembre 2007

 

Si è svolto ieri a Roma, nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università Roma Tre, un incontro di studio in occasione della pubblicazione del primo numero della rivista "Studi sulla questione criminale - Nuova serie di Dei delitti e delle pene", edita da Carocci.

La rivista affronta studi sociologici, politici, culturali ed economici sui temi della penalità, della criminalità, della sicurezza e del controllo sociale, connettendoli ai processi di trasformazione sociale e culturale più generali. Saranno pubblicate ricerche e studi di carattere storico, giuridico e sociologico su tutti gli aspetti che contribuiscono a costruire la questione criminale, inquadrata in una dimensione che è allo stesso tempo globale e locale, di sicurezza interna ed esterna.

Il primo fascicolo presentato, "La criminalizzazione dei migranti", affronta la questione criminale analizzando il fenomeno migratorio in Europa in una dimensione sociale, giuridica e culturale. Coordinati da Maria Vittoria Tessitore, docente della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Roma Tre, hanno partecipato all’incontro Dario Melossi e Tamar Pitch, componenti del comitato di redazione della rivista e docenti rispettivamente nelle Università di Bologna e Perugia, i quali hanno illustrato le ragioni della rivista, sottolineando che gli studi sulla questione criminale saranno analizzati in un’ottica non meramente amministrativa e repressiva; Alvise Sbraccia, dell’Università di Padova, che ha riportato i dati di una ricerca svolta, lavorando con immigrati detenuti, per ricostruire i processi di criminalizzazione degli immigrati; e Angelo Caputo, magistrato, che ha evidenziato come le norme attualmente in vigore siano finalizzate all’allontanamento dello straniero.

"La regolarizzazione - ha dichiarato Caputo - non avviene, nella gran parte dei casi, per volontà del datore di lavoro; l’immigrato è penalizzato prima perché costretto a lavorare in nero, senza alcuna tutela o garanzia, poi perché, in quanto irregolare, diventa autore di un reato e iscritto nella categoria dei "criminali". Appare, infatti, ineluttabile al momento il percorso: migrante - migrante irregolare - autore di un reato".

Iran: pena di morte; 4 esecuzioni, come risposta a moratoria

 

L’Unità, 20 dicembre 2007

 

Quattro persone, tre condannate per omicidio e un uomo per violenza carnale su numerosi adolescenti maschi, sono state impiccate nel carcere di Evin a Teheran, il giorno dopo la moratoria sulle esecuzioni capitali approvata dall’Onu.

Salgono così ad oltre 290, secondo notizie di stampa, le esecuzioni capitali dall’inizio dell’anno in Iran, contro le 177 riportate da Amnesty International in tutto il 2006. Una risposta al voto di martedì a Washington? Il sì alla moratoria deciso a larga maggioranza all’Assemblea generale delle Nazioni Unite su proposta dell’Italia non è andato sotto silenzio in Iran: se in America ne ha parlato solo il Los Angeles Times la stampa iraniana ne ha capillarmente informato i propri lettori, senza commenti.

E gli analisti ritengono che le esecuzioni del giorno dopo siano una risposta molto chiara delle autorità di Teheran, che già in passato avevano respinto ogni richiesta di sospensione delle impiccagioni, giudicandola un’interferenza negli affari interni della Repubblica islamica che ha sempre usato la pena di morte più come arma di propaganda stile "pugno di ferro" che come strumento per la lotta al crimine.

La notizia delle esecuzioni è stata data all’agenzia Ansa da una fonte informata che ha voluto mantenere l’anonimato. Mentre il quotidiano Jomhuri Eslami ha riferito di un’altra impiccagione, questa volta sulla pubblica piazza, avvenuta il 14 dicembre scorso nella città di Kuhdasht.

Pare fossero nove le persone che avrebbero dovuto salire sul patibolo nel carcere di Teheran mercoledì 19 dicembre. Ma quattro impiccagioni sono state sospese e una annullata perché il condannato, un ragazzo di 19 anni che si chiama Hossein, riconosciuto colpevole di un omicidio commesso quando aveva 16 anni, ha ottenuto il perdono dei genitori della sua vittima. In Iran, infatti, le sentenze capitali possono essere emesse anche nei confronti dei minorenni, sebbene normalmente vengano eseguite dopo il compimento della maggiore età. Ma, in base alla legge islamica, se la famiglia di una persona uccisa concede il perdono al condannato, questi ha salva la vita e deve solo scontare alcuni anni di reclusione, oltre a pagare un risarcimento per il sangue versato (detto "dieh").

Delle quattro esecuzioni sospese, tre riguardano altrettanti omicidi che hanno ottenuto un rinvio dell’impiccagione per sapere se anche le famiglie delle loro vittime concederanno il perdono. Una di loro è una donna, Rahele, di 27 anni, condannata a morte per avere ucciso con una spranga di ferro e poi fatto a pezzi il marito, che aveva sorpreso in casa con la sua amante. La quarta sospensione riguarda un uomo condannato per un omicidio commesso quattro anni fa, ma che dovrà essere sottoposto ad un nuovo processo per avere ucciso un altro detenuto in carcere.

Tra gli impiccati vi è un uomo di 35 anni, Qassem, detto "la Tarantola", riconosciuto colpevole di avere violentato 15 ragazzi delle scuole medie e superiori dopo averli rapiti fingendosi un poliziotto. L’uomo giustiziato il 14 dicembre in pubblico, riferisce Jomhuri Eslami, era stato condannato come "un mascalzone" e "un sodomita" che "minacciava la gente con l’uso di coltelli e armi da fuoco".

In Iran la pena di morte è prevista per diversi reati, tra i quali l’omicidio, la rapina a mano armata, il traffico di droga, la violenza carnale, l’apostasia, l’adulterio e la "sodomia", cioè l’omosessualità. Per quanto riguarda quest’ultimo reato, tuttavia, non vi è una discriminante tra la violenza e i rapporti consensuali, e diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno denunciato le esecuzioni di uomini solo perché omosessuali. E infatti il 5 novembre scorso a Kermanshah, nel nord ovest dell’Iran, è stato impiccato Makwan Muludzadeh, di 21 anni, condannato appunto per il reato di "sodomia" che avrebbe commesso quando aveva 13 anni ai danni di altri due ragazzini.

Per l’Italia la moratoria votata dalle Nazioni Unite che impegna ma non prescrive lo stop alle pene capitali è solo un punto di partenza. Il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano all’indomani del voto ha voluto ricordarlo, rivendicando con legittimo orgoglio il ruolo dell’Italia nel successo storico del voto alle Nazioni Unite e, nel confermare gli impegni internazionali dell’Italia e la fedeltà ai "pilastri" della nostra politica estera, ha sottolineato il valore bipartisan delle sue affermazioni. "Intendiamo portare all’Onu il nostro contributo di idee e di azioni per la pace e la stabilità", ha detto Napolitano a proposito del ruolo che intendiamo svolgere nel Consiglio di sicurezza, di cui facciamo parte per il 2007-2008.

"Ora che per un mese abbiamo la presidenza del Consiglio di Sicurezza - ha aggiunto - focalizzeremo l’attenzione su tre questioni cruciali: Kosovo, Medio Oriente e Libano". Inoltre "continueremo a confrontarci con le sfide globali", a cominciare dal terrorismo internazionale che, con l’attentato di Algeri, ha confermato di essere una "perdurante minaccia e aggressione".

Nuova Zelanda: maggioranza dei detenuti consuma droghe

 

Notiziario Aduc, 20 dicembre 2007

 

Il rapporto "New Zealand Arrestee Drug Abuse Monitoring", effettuata dalla polizia su oltre 900 persone, rivela che più dei tre quarti aveva consumato droga prima dell’arresto.

Il sondaggio, il primo che esamini il consumo degli stupefacenti tra i criminali, è stato effettuato nei penitenziari di Whangarei, Henderson, Hamilton e Dunedin. La droga più comune è risultata essere la cannabis, con il 68,6%, le metanfetamine con il 12%, e l’alcol il 37,2%. La ricerca rivela, inoltre, che i neozelandesi si avvicinano più precocemente alle droghe rispetto agli australiani. Provano la cannabis per la prima volta a 13 anni e l’eroina a 16, gli australiani rispettivamente a 14 e 19 anni. Mentre per gli allucinogeni e le metanfetamine i ruoli si capovolgono. Gli australiani le provano a 15 e 18 anni, i neozelandesi un anno più tardi. Sono state intervistate 965 persone arrestate per avere violato la libertà provvisoria, per violenza e rapina.

Sui 775 che hanno ammesso di consumare la cannabis, un quinto ha ammesso di guidare anche intossicato dalla sostanza, così come l’ha ammesso un quinto dei 343 che usano le metanfetamine. L’80% dei consumatori di queste due sostanze è di etnia Maori. La ricerca ha ricevuto fondi fino al 2010, e costerà 1,2 milioni di dollari.

 

 

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