Rassegna stampa 19 dicembre

 

Giustizia: "no" di Napolitano, decade il decreto sicurezza

 

La Repubblica, 19 dicembre 2007

 

È di Napolitano l’ultima parola sul decreto espulsioni. E il suo è un "no" tondo e chiaro. Pronunciato già lunedì sera quando il governo prospetta al Quirinale i possibili escamotage per salvare un testo che contiene un errore conclamato. Ma la strategia legislativa che disegna l’intreccio di ben tre decreti non convince il Colle che la giudica arruffata, anomala, foriera di un possibile pasticcio tutto a scapito dei processi contro razzismo e xenofobia che, in numero assai consistente, rischiano di saltare.

Alla fine un tandem tra Napolitano e il ministro dell’Interno Amato partorisce l’unica via d’uscita possibile, la soluzione trasparente gradita al presidente e che piace anche al titolare del Viminale. Il dl espulsioni "muore" di morte naturale, termina i suoi effetti nella notte del 31 dicembre; la Camera si ferma e non lo approva perché dovrebbe farlo solo a patto di correggere lo sbaglio che azzera la legge Mancino su razzismo e xenofobia, ma a quel punto non risarebbero più i tempi per una navetta col Senato; per ripristinare le norme sulle espulsioni (40 rumeni rimpatriati potrebbero tornare in Italia) il governo promulgherà il 28 dicembre, nell’ultimo consiglio dei ministri del 2007, un nuovo decreto che, grosso modo, ricalca quello vecchio nella versione del Senato, ma con obbligate novità.

All’obiezione che da anni la Consulta ha bocciato la reiterazione dei decreti il governo replica con un precedente: il presidente Ciampi, nel 2002, firmò un dl per arginare l’epidemia della mucca pazza, che era scaduto e fu riproposto. Di sicuro, non ci sarà più l’articolo sull’omofobia. Ma, per garantire Rifondazione, la legge Pollastrini sullo stalking avrà corsia preferenziale alla Camera. Come assicura Amato tra il nuovo decreto e l’omofobia ci sarà una contestualità parlamentare.

Se questa è la cronaca dei fatti, ben altra è la fibrillazione politica che va in scena alla Camera, dove parte il dibattito sul dl. Sin dalla mattina la maggioranza, in attesa di news da palazzo Chigi, prende tempo. Si succedono gli interventi e l’opposizione parla di "auto - ostruzionismo". È annunciato l’arrivo del ministro per i Rapporti con il Parlamento Chiti, ma alle 16 di lui non c’è traccia. Il Guardasigilli Mastella rompe le uova nel paniere. Dice con nettezza: "Napolitano non firmerà il decreto, il testo decadrà".

A quel punto il capogruppo forzista Vito chiede che si fermino i lavori, in attesa di chiarimenti dal governo. Finalmente arriva un messaggio di Chiti per il presidente della Camera Bertinotti, per un’urgente riunione dei capigruppo. Ma il leader di Rifondazione, a Milano, può tenerla solo stamattina. Il centrodestra si scatena contro il governo.

Il centrista Casini plaude a Napolitano "ineccepibile come al solito" e sanziona "l’ennesimo pasticcio del governo", la forzista Santelli parla di "provvedimento truffa", il leghista Maroni ironizza sulla storia del di che pare "una puntata di Scherzi a Parte", mentre Calderoli accusa il centrosinistra di far decadere il testo "perché al Senato non ha i numeri per convertirlo". L’aennino Mantovano critica "il governo che non garantisce la sicurezza".

Per certo, al Senato la questione numeri esiste. Il capogruppo del Pd Soro sonda più volte il presidente del Senato Marini per la possibilità di una navetta, però il calendario fino a sabato è fittissimo. Dopo non ci sarebbero i senatori eletti all’estero e un solo voto sarebbe mortale per il governo. Ma il testo con l’errore va cambiato.

L’aveva già detto il presidente della commissione Affari Costituzionali Violante, che giudica la nuova soluzione: "Sarebbe stato vile un voto su un testo sbagliato e soprattutto si sarebbe trattato di atto sleale verso Napolitano, perché avrebbe violato il principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato". Ora non resta che lavorare al nuovo testo che il vicepremier Rutelli dà per certo e il leader del Pd Veltroni considera indispensabile "perché ce n’era bisogno e ce n’è bisogno". La sottosegretaria all’Interno Marcella Lucidi ha già cominciato a costruirlo con un’idea guida: "Il governo vuole garantire la continuità sulle espulsioni: abbiamo messo tutta la nostra responsabilità fino a oggi e continueremo a farlo".

 

Napolitano: questo pasticcio non lo firmo

 

"Io questo pasticcio non lo firmo. Non firmo tre decreti per salvare un provvedimento sbagliato". Giorgio Napolitano l’ultima parola l’ha scandita ieri mattina. Al ministro degli Interni, Giuliano Amato, che tentava l’ultima mediazione sul decreto sicurezza, ha ripetuto per filo e per segno le sue irremovibili perplessità. E anche la soluzione transitoria studiata dal "dottor Sottile"e da Romano Prodi ha ricevuto il "niet" del Quirinale. Una tensione che interrompe il feeling tra il capo dello Stato e il governo in questi 18 mesi di legislatura.

Una fibrillazione che è corsa anche sulla "linea rossa" che collega il Quirinale a Palazzo Chigi. "Se non firmi il decreto - è l’ultima carta giocata dal Professore - ci esponi tremendamente. La confusione sarebbe enorme". Fino a ieri mattina, infatti, il capo del governo era netto nel confermare la sua linea; "Io preferisco approvarlo così com’è. C’è stato già un voto al Senato e se lo approviamo anche alla Camera, poi si possono trovare delle soluzioni tecniche".

Soluzioni che il ministro dell’Interno ha sottoposto al vaglio del Colle più di una volta. I nodi riguardavano la cosiddetta norma sull’omofobia e il rischio che gli emendamenti introdotti a Palazzo Madama facessero saltare la legge Mancino sul razzismo e la xenofobia. Conseguenze che a Palazzo Chigi avrebbero voluto sanare con due decreti immediatamente successivi.

Un escamotage che ha impegnato pure Walter Veltroni. Il segretario del Partito Democratico, infatti, dopo la l’assassinio a Roma di Giovanna Reggiani aveva spinto per un provvedimento d’urgenza contro questo tipo di criminalità. E pure il Sindaco non ha affatto gradito lo stop di Napolitano. "Approviamolo così com’è e andiamo avanti" è stata la parola d’ordine lanciata da Veltroni. Per il leader Pd, infatti, quelle norme rappresentano un segno distintivo per il nuovo partito alle quali "non si può rinunciare". Costituiscono la prima faccia visibile del Pd.

Tanti tentavi, insomma, per salvare il decreto. Tutti senza successo. "Non faccio questa figuraccia", ha fatto infine sapere il capo dello Stato al titolare del Viminale - che ha sempre tenuto i contatti con il Quirinale - e al presidente del consiglio. Le modifiche apportate al testo originario durante l’esame del Senato, insomma, hanno segnato il provvedimento. E per Napolitano è diventato semplicemente "impossibile" controfirmarlo. Una linea intransigente nei confronti della maggioranza.

La scelta dell’esecutivo, a questo punto, è diventata obbligata. "L’alternativa - aveva già ipotizzato lunedì scorso Amato con i capigruppo della maggioranza alla Camera - è quella di farlo decadere e farne un altro. Reiterarlo. Anche perché è impensabile correggerlo e rispedirlo al Senato. È una strada impraticabile. Sia politicamente sia per la tempistica. Su questo è d’accordo pure Prodi". Troppi pericoli a Palazzo Madama.

Le eventuali correzioni avrebbero pure fatto infuriare il Prc. "Se si cambia qualcosa - Franco Giordano - allora si accettano anche le nostre modifiche". L’alternativa di lunedì pomeriggio è dunque diventata la soluzione principale. Per giustificare la reiterazione Amato ha sfoderato il precedente di un decreto per affrontare l’emergenza " Mucca pazza".

Il provvedimento stavolta sarà ritoccato trasferendo la materia "omofobia" ad un apposito disegno di legge, ma mantenendo la sostanza. "Non possiamo far decadere quelle misure - ha ripetuto il Professore - vanno salvate. Questo è un tema cruciale". Anche perché, fu proprio Amato il 5 dicembre scorso a minacciare: "Se non passa il decreto mi dimetto". E per l’inquilino del Viminale quella minaccia è ancora valida.

Giustizia: Chiti; il 28 ci sarà un nuovo decreto sulla sicurezza

 

Dire, 19 dicembre 2007

 

Il governo rinuncia alla conversione del decreto sicurezza. Lo ha comunicato alla capigruppo della Camera il ministro per i Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti. Prima che il provvedimento decada, il consiglio dei ministri (il 28 dicembre) varerà comunque un nuovo decreto legge sull’espulsione dei cittadini comunitari pericolosi, in modo da impedire il rientro dei romeni già allontanati dall’Italia. Il nuovo decreto - riferisce Chiti ai cronisti - non conterrà le norme sull’omofobia.

Dice Chiti, al termine della riunione dei Capigruppo: "Il governo ha mantenuto l’impegno preso al Senato, rispondendo così a chi in questi giorni, anche in modo strumentale, parlava di bluff. La via più lineare e diretta - ammette il ministro - sarebbe stata quella di modificare la norma sull’omofobia che è di impropria formulazione e di confusa applicazione e tornare al Senato, ma ciò non è oggettivamente possibile perché al Senato c’è un calendario molto denso. Insomma, non c’erano le condizioni - sottolinea Chiti - per questa operazione, mentre altre ipotesi allo studio si sono mostrate di difficile applicazione perché avrebbero lasciato un vuoto legislativo e poi occorre tener conto della sensibilità di tutte le componenti costituzionali".

Di qui la decisione: "Per mantenere l’impegno preso - insiste Chiti - la via è quella di rinunciare alla conversione del decreto, contemporaneamente il ministro dell’Interno sta valutando un altro provvedimento legislativo perché è del tutto ovvio che i caratteri di necessità e urgenza permangono". Dunque un nuovo decreto legge, che il consiglio dei ministri emanerà ("è evidente", dice il ministro) prima di fine anno, molto probabilmente il 28 dicembre.

Del resto, a giudizio di Chiti non c’è alcun rischio di incostituzionalità (la Consulta ha vietato di ripresentare decreti decaduti) "perché il provvedimento legislativo sarà nuovo, salvaguarderà la continuità di alcuni interventi già presi e conterrà nuovi elementi. Peraltro, già il testo del Senato conteneva elementi di novità". E la norma anti-omofobia sarà cancellata? "Non c’è dubbio, ci mancherebbe... Nel decreto sulla sicurezza - conclude Chiti - non ci può essere una norma sull’omofobia perché non ha un carattere di coerenza".

Giustizia: Violante (Pd); incredibili errori dell'amministrazione

 

Ansa, 19 dicembre 2007

 

"Dobbiamo porci il problema di come sia possibile che in un ramo del Parlamento venga considerato ammissibile un emendamento del genere di quello introdotto nel corso dell’esame al Senato del provvedimento sulla sicurezza: è questa la questione". È una delle domande sollevate da Luciano Violante, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, nel dibattito innescato a Montecitorio dall’annuncio di Vannino Chiti sulla rinuncia del governo a convertire in legge il decreto sicurezza. Violante ha poi notato: "Fatti di questo genere in questa Camera finora non sono accaduti".

Non solo: l’esponente del Pd ha citato i casi Petroni e Visco-Speciale per sollevare un più generale "problema del rapporto fra politica e amministrazione". Violante ha ricordato che le motivazioni con cui Angelo Maria Petroni e il generale Roberto Speciale sono stati rimossi - per iniziativa dell’esecutivo - rispettivamente dal Cda Rai e dal comando generale della Guardia di finanza "sono state dichiarate non sufficientemente valide dal Tar del Lazio".

Casi che suggeriscono a Violante una domanda su quale sia "il rapporto tra politica e amministrazione in questa fase". Violante ha aggiunto: "Perché se l’amministrazione non serve con piena competenza e piena lealtà il governo e le autorità politiche, allora si pone un problema che certamente non può non essere affrontato anche in questa sede".

Giustizia: Silvestri (Verdi); "amare sorprese" per il governo

 

Apcom, 19 dicembre 2007

 

"Davvero strabiliante l’affermazione del ministro dei rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, per cui la sicurezza non ha nulla a che fare con l’omofobia". Lo afferma il senatore del gruppo Verdi - Pdci, Gianpaolo Silvestri, responsabile dei diritti civili per il Sole che Ride. "Viene il dubbio - aggiunge l’esponente dei Verdi - che per Chiti l’omofobia appartenga ai dati estetici, al trendy, all’arte e sia quindi materia afferente al ministero della cultura. Sarà dunque una casualità che dall’omofobia provengano linciaggi, aggressioni, violenze, suicidi.

Con le sue dichiarazioni - per Silvestri - il ministro esplicita che quel decreto non è per la sicurezza dei cittadini, ma semplicemente un’odiosa operazione di vendetta a carattere razzista e xenofobo. Il contrassegno era, ed è, il triangolo marrone degli internati rom nei lager nazisti a cui si aggiunge ora il classico triangolo rosa indicante le vittime omosessuali". "Un’ultima cosa: se davvero Chiti vuole tener presente le sensibilità di tutte le componenti della maggioranza, sappia che questo non può essere in un’unica direzione. In tal caso Chiti - conclude il senatore dei Verdi - si aspetti amare sorprese per il governo".

Giustizia: Onida; un decreto-bis sarebbe incostituzionale

di Valerio Onida (Presidente emerito della Corte Costituzionale)

 

Il Sole 24 Ore, 19 dicembre 2007

 

Il proposito di lasciar scadere il termine di 60 giorni costituzionalmente previsto per la conversione del decreto legge all’esame della Camera, lasciandolo quindi decadere, per intervenire subito dopo, e anzi un giorno prima, con un nuovo decreto che abbia in sostanza lo stesso contenuto di quello attuale, sia pure con le modifiche già approvate in Parlamento, riporterebbe in auge una prassi che sembrava definitivamente tramontata, dopo che, con la sentenza n° 360 del 1996, la Corte Costituzionale ne dichiarò l’incostituzionalità.

La motivazione allora recata dalla Corte era molto semplice e di stringente evidenza: reiterare un decreto legge decaduto per mancata conversione (quanto meno se non può invocarsi una nuova autonoma ragione di urgenza), realizza una illegittima elusione del termine costituzionale. In tal modo infatti sarebbe possibile prolungare la vigenza delle norme contenute nei decreti - nel primo di essi, e poi in quelli reiterati - consentendo al Parlamento di dare la sua definitiva approvazione, attraverso la conversione dell’ultimo decreto, non entro sessanta giorni, ma entro centoventi giorni (o centottanta, o più, nel caso di ripetuta reiterazione).

È vero che il primo decreto, non convertito, perde efficacia "sin dall’inizio", ma se poi la legge di conversione, come è possibile e come di frequente è accaduto, provvede anche alla "convalida" degli effetti del decreto o dei decreti decaduti, si realizza una prolungata situazione di "provvisorietà" che appunto, elude la rigorosa norma costituzionale, secondo cui l’efficacia dei "provvedimenti provvisori con forza di legge" adottati dal Governo non può durare oltre il termine di 60 giorni.

Prima che la Corte Costituzionale intervenisse con la sua pronuncia, la prassi delle reiterazione si era diffusa a dismisura, attraverso lunghissime "catene" di decreti, producendo nel sistema normativo effetti devastanti. Che si

possa anche solo pensare di tornare a una simile prassi è un segnale pericoloso di ulteriore "slabbramento" delle istituzioni. Né varrebbe sostenere che si tratti in questo caso di una scelta dettata da contingenze eccezionali: lo "strappo" alla Costituzione rimane uno strappo anche se lo si fa una sola volta: e del resto nessuno garantisce che ad una "eccezione" non ne seguano altre.

È ben evidente la difficoltà politica da cui nasce la tentazione di operare in questo modo: la maggioranza non è sicura di poter correggere alla Camera l’errore in cui si è incorsi nella redazione del testo, per poi ottenere tempestivamente (cioè entro l’1 gennaio 2008, data di scadenza del termine di sessanta giorni) la nuova approvazione del Senato, a quel punto necessaria per la conversione definitiva del decreto.

Lasciare decadere il decreto e poi reiterarlo, corretto, consentirebbe di guadagnare due mesi di tempo. Ma questo è appunto ciò che la Costituzione vieta. Le esigenze politiche non possono prevalere sull’obbligo di osservare la Costituzione. E del resto anche con la reiterazione sarebbe necessario il passaggio del nuovo decreto sia alla Camera che al Senato (fra l’altro con l’ulteriore spreco di energie parlamentari che si verificherebbe per la ripetizione dei dibattiti sullo stesso argomento).

Sarebbe assai meglio che si concludesse il procedimento di conversione in corso, eventualmente anche senza correggere l’errore verificatosi (a sua volta spiegabile solo con le modalità affannose con le quali di questi tempi si lavora in Parlamento), e, in questo caso, che si intervenisse immediatamente con un nuovo decreto legge correttivo, destinato a entrare in vigore contemporaneamente alla legge di conversione del primo. Resterebbero poi ancora 60 giorni per convertire il decreto correttivo.

Fra l’altro, se l’errore è riconosciuto da tutti - maggioranza e opposizione - correttezza costituzionale vorrebbe che anche quest’ultima, anziché approfittare delle difficoltà temporali in cui si trovi la maggioranza, aderisse ad un procedimento, come quello accennato, che consentirebbe di "aggiustare" tempestivamente il provvedimento legislativo senza violare la Costituzione.

Giustizia: nessun rimpianto, ma adesso cosa succederà?

di Andrea Fabozzi

 

Il Manifesto, 19 dicembre 2007

 

Per chi - come questo giornale in non vasta compagnia - ha contrastato il decreto sicurezza, la notizia che il governo ha infine deciso di lasciarlo cadere è una buona notizia, con un grande se e tanti ma.

Primo ma: non si tratta di una decisione libera dell’esecutivo, quanto di una scelta obbligata per tentare di uscire - e non è detto - da un clamoroso pasticcio. La legge di conversione del decreto venuta fuori dal senato era, tecnicamente, sbagliata. Scritta male, così com’erano scritti male per stare sul recente i decreti con cui il governo ha tentato invano di sostituire il consigliere della Rai Petroni e il generale Speciale. Una figuraccia.

Secondo ma: a fermare una legge probabilmente incostituzionale e sicuramente reazionaria non sono state le inquietudini della sinistra ma il voto di una senatrice papalina che fa la guardia al senato della Repubblica come Minosse all’Inferno: decide lei a quale pena condannare le piccole riforme che l’Unione ogni tanto vagheggia. La legge sulle unioni civili, per esempio, è finita in fondo al pozzo nell’immobilità forzata.

Terzo ma: mentre in parlamento si fa e si disfà, da un mese e mezzo il decreto sulla sicurezza (urgentissimo secondo Veltroni ma intanto destinato a cadere) è a tutti gli effetti in vigore. Per cui ci sono centinaia di persone che nel frattempo sono state urgentemente espulse secondo la formula più brutale, "incompatibilità con l’ordinaria convivenza", senza nemmeno quelle garanzie che almeno si stava cercando di introdurre nella legge di conversione. Come le cavie hanno sperimentato una medicina cattiva che alla fine non sarà messa in commercio.

E sarebbe il migliore dei casi. Perché è molto probabile che anche la piccola gioia di vedere affondato l’editto Amato-Veltroni molto presto ci verrà sottratta.

Ecco il grande se: se non accade il miracolo di Natale, mezzo governo e tre quarti di parlamento continueranno a pensare che c’è un’emergenza rumeni da contrastare. Per cui in qualche formula, sempre più scorretta e costituzionalmente ardita, il decreto defunto verrà resuscitato. Chissà come si metterà il Quirinale che è attento ai trattati europei e dovrebbe esserlo anche ai decreti fotocopia.

La figuraccia passerà, anche perché non è la prima né sarà l’ultima... fino a gennaio, poi la legge anti romeni ce le ritroveremo con l’anno nuovo. Magari epurata dalle norme contro l’omofobia, bilancio tristanzuolo per una sinistra che ha condotto questa battaglia difendendosi a piccoli passi all’indietro. Per cui va bene, il suicidio del decreto sicurezza è una buona notizia. Ma non c’è niente da festeggiare.

Giustizia: centrodestra, unito, chiede le dimissioni di Amato

 

Apcom, 19 dicembre 2007

 

"Il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, si deve dimettere, soprattutto dopo il brutto pasticcio combinato dal governo sul decreto sulle espulsione". La Cdl "non è mai stata così unita" come nel chiedere le dimissioni del ministro, almeno secondo quanto hanno detto il Capogruppo di Forza Italia a Montecitorio Elio Vito, quello della Lega Nord Roberto Maroni, dell’Udc Luca Volontè e il deputato di An Marco Airaghi.

"Certo - ha riconosciuto Vito - alla Camera non ci sono i numeri per presentare una mozione di sfiducia a un ministro, ma Amato dovrebbe tener fede alla sua storia politica e al suo stile, dopo questa bruttissima figura, lasciare il Viminale".

D’accordo anche Volontè, che ha sottolineato "l’assoluta incapacità del ministro di servire le istituzioni. Speriamo - ha detto - che la maggioranza, nella redazione del nuovo provvedimento - si apra al confronto come ha chiesto Napolitano e non si chiuda nelle sue beghe interne e ideologiche, lasciando fuori, oltre all’opposizione, anche l’interesse dei cittadini". Cittadini che, secondo Maroni, "pongono il tema della sicurezza al primo posto nelle loro preoccupazioni, anche prima delle tasse, e questo la dice lunga sulla gravità del pasticcio combinato dall’esecutivo. Adesso - ha detto il leghista - sono rimasti soltanto i nostri sindaci a cercare di fare qualcosa per garantire la sicurezza dei cittadini e il governo, anzichè aiutarli, minaccia lo scioglimento delle giunte".

Inoltre, con il nuovo dl "sarà tutto come prima, anzi peggio, perché i decreti non si possono reiterare e quindi le norme già inefficaci che c’erano prima saranno più annacquate". Da ultimo Airaghi, che ha sottolineato il fatto che "il governo passa da pasticcio in pasticcio. Con la Finanziaria è riuscito a portare in piazza tutte le forze dell’ordine, che hanno protestato contro i tagli previsti dalla manovra e adesso, con questo decreto, pericolosi criminali potranno rientrare in Italia".

Giustizia: Franco Corleone; applicare le leggi che ci sono

di Marco Bazzichi

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 19 dicembre 2007

 

Il 17 dicembre in Regione Toscana, Alessandro Margara e Franco Corleone, tra gli altri, hanno presentato l’ultimo rapporto della Fondazione Michelucci sulle carceri toscane.

Secondo Margara, "ci sono parecchie ombre nella situazione attuale, la prima e più profonda è il ripetersi e il riprepararsi del momento di saturazione delle carceri, secondo un processo che è lo stesso che portò all’indulto. Tra poco, i numeri saranno uguali a quelli del passato. L’indirizzo generale in questo momento è dato dagli Stati Uniti, nonostante che l’Europa con vari documenti continui a parlare di carcere come extrema ratio, di misure alternative, ecc. ecc. tutti temi che gli Usa hanno da tempo digerito ed espulso". Sulla stessa lunghezza d’onda anche Corleone, al quale abbiamo rivolto alcune domande.

 

Siamo con l’onorevole Franco Corleone, alla presentazione del rapporto della Fondazione Michelucci sulle carceri toscane. Ci siamo visti circa un anno fa per il rapporto Antigone e un anno dopo, come siamo messi?

Ancora, per fortuna, gli effetti benefici dell’indulto reggono. Siamo lontani dai 62 mila detenuti cui eravamo giunti prima dell’indulto, ma ora siamo a 48-49 mila presenze. Quindi il trend è segnato. D’altronde questo io lo chiamo l’anno del disincanto, perché nessuna delle riforme necessarie (abrogazione della legge sulle droghe, punitiva e proibizionista, la Fini-Giovanardi, la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, la Cirielli sulla recidiva) è stata fatta.

Queste leggi stanno esplicitando il loro potenziale massimo di criminalizzazione e quindi il carcere si riempie. E si riempie non per detenuti usciti con l’indulto e che rientrano, la cui percentuale è contenuta al 20% rispetto al 68% dei detenuti che scontano la pena fino all’ultimo giorno. Quindi non è questo quello che provoca l’affollamento: sono detenuti nuovi per queste leggi.

Certo, questo fatto è stato determinato dalla debolezza della maggioranza, ma forse, anche più, dalla mancanza di coraggio politico di affrontare uno scontro su questi temi. Si pensi al non aver messo la riforma del codice penale come priorità assoluta, per cui ormai festeggeremo gli 80 del codice Rocco che è stato in vigore sotto il fascismo per 10 anni e tutto il resto è per la repubblica nata dalla resistenza.

Queste sono le contraddizioni, e di fronte a questo c’è stata invece una criminalizzazione dell’indulto, anche da parte della stampa "democratica", per cui il provvedimento non ha più avuto né una madre né un padre: tutti sulla difensiva e nessuna capacità di fare quello che occorreva per rendere l’indulto un’occasione unica e irripetibile per la trasformazione del carcere.

 

Dovevano essere fatti proprio degli interventi strutturali…

Certo, io ho sempre sostenuto che l’indulto era necessario non solo come misura di clemenza e di giustizia, ma anche perché il carcere viveva in una situazione di illegalità. Il regolamento del 2000 era inapplicato da 5 anni, sotto la copertura ideologica di chi diceva che erano hotel a 5 stelle. In realtà si violava la legge fondamentale dell’ordinamento penitenziario.

Sono passati però altri 2 anni e siamo sempre allo stesso punto. Il regolamento non è applicato e non si fanno i lavoro di ristrutturazione che dovevano essere facilitati dal fatto di avere 38 mila detenuti invece di 62 mila. Quando in una casa si liberano dei locali, si possono fare delle manutenzioni e invece anche questo è carente. Quindi la preoccupazione non è solo per il piano legislativo ma anche per l’ordinarietà.

 

Ci sono più motivi economici o anche un po’ di pigrizia politica per cui non si fanno questi interventi?

Mah, il problema del denaro è evidente che c’è sempre.

 

Però scusi viene da pensare che un intervento di ristrutturazione ad un carcere non dovrebbe essere un’opera costosissima…

No, ma il problema poi non è immediatamente fare il lavoro in tutti i 200 istituti italiani. Si dovrebbe fare un piano e cominciare. E quindi se ne fanno 10, 20, 30, è chiaro che tutti assieme non si possono fare, ma bisognerebbe avere un piano di valutazione complessiva dei costi e cominciare. Questo farebbe capire qual è la direzione di marcia.

Io penso che non è solo un problema di denaro. È anche un problema di paura di dire che si investe sul carcere quando l’attenzione dell’opinione pubblica e anche le scelte delle forze politiche sono per l’ennesimo pacchetto-sicurezza e quindi l’allarme contro la criminalità. È chiaro che quando la prevalenza è questa, è difficile poi dare attenzione alla vita nel carcere, senza sapere che questo è un carcere invivibile che aumenterà l’insicurezza collettiva, ma soprattutto sarà a rischio di esplosione molto pericolosa.

 

Un esempio particolarmente grave è il carcere di San Gimignano…

Io sono garante dei detenuti di Firenze, ma ricevo lettere da tutta la Toscana, in particolare da San Gimignano. Sono denunce gravi sulla condizione di vita in quell’istituto. Bisognerebbe verificare che cosa sta succedendo. Io mi auguro che la Toscana nomini il garante regionale che potrà anche fare queste verifiche. C’è stata una norma generica approvata due anni fa dalla Regione Toscana che però è rimasta lettera morta. Noi dobbiamo alimentare la cultura dei diritti in carcere e non dell’assistenzialismo.

 

A Perugia dov’è morto Aldo Bianzino, non c’è il garante dei detenuti.

Anche lì la regione ha approvato la legge, ma siccome vengono richiesti i 2 terzi dei consiglieri regionali per la nomina, la cosa è ferma. Io mi auguro che dopo questa tragedia, anche in Umbria decidano di darsi una mossa ed applichino la legge che c’è, non che non c’è.

Giustizia: Cils-Fp; con riforma sanitaria ci sarà un black-out

 

Ansa, 19 dicembre 2007

 

Il progetto del governo di passare le competenze della sanità penitenziaria alle Asl "sta per assestare un colpo da ko" alle carceri italiane. A denunciarlo è la Csil-Fp secondo cui questo passaggio comporterà invece una serie di tagli che "determineranno con certezza un vero e proprio black-out nel funzionamento di moltissimi servizi".

"Ad oggi sono già 50.000 i detenuti nelle carceri italiane, con un aumento stimato di circa 1.000 al mese. E nonostante questo - afferma Marco Mammucari, coordinatore della Cisl-Fp in una nota - nessun intervento migliorativo è stato realizzato ai penitenziari, gli organici del personale di Polizia Penitenziaria e dei ruoli civili sono diminuiti, gli strumenti ed i mezzi a disposizione ulteriormente usurati e fuori norma.

All’orizzonte stanziamenti economici ridotti, in nome del contenimento della spesa pubblica, con conseguente lievitazione di quelle che invece riguarderanno le spese per assistenza sanitaria". La riforma della sanità penitenziaria - aggiunge la Cisl-Fp - "non migliorerà niente in termini di migliore assistenza sanitaria ai detenuti, non tutelerà le posizioni del personale attualmente impiegato nelle carceri, ma in compenso utilizzerà un bel po’ di soldi per far diventare "primari" una schiera di convinti sostenitori dell’esigenza di questo passaggio di gestione. Mancano invece stanziamenti per tutto quello che è minimamente essenziale al buon funzionamento delle carceri".

I tagli colpiscono anche i fondi per la manutenzione ordinaria degli edifici, e quelli per realizzare i lavori in economia, come ad esempio - ricorda la Csl-Fp - il servizio della Mof (Manutenzione Ordinaria Fabbricati) che vede il personale coordinare il lavoro di detenuti impegnati ad imbiancare gli ambienti interni, a ripristinare il funzionamento di cancelli (anche quelli delle celle), a far funzionare sistemi idrici o elettrici.

Giustizia: Migliori (An); urge piano di edilizia penitenziaria

 

Agi, 19 dicembre 2007

 

"Gli incredibili dati della Fondazione Michelucci secondo i quali in poco più di un anno dall’indulto le carceri toscane sarebbero ancora più affollate di allora, richiede forti assicurazioni di responsabilità da parte delle forze politiche a favore di un immediato e straordinario piano di edilizia carceraria". Questo l’appello che lancia l’On. Riccardo Migliori, Coordinatore toscano di Alleanza Nazionale, sul tema delle carceri per le quali, alla luce dei numeri, i problemi di sovraffollamento non sembrano essere stati superati. "È opportuno, riprende Migliori, che anche il Partito Democratico e Forza Italia si pronuncino in merito, a meno che non intendano nuovamente procedere verso le logiche dell’indulto o dell’amnistia che sono l’esatto contrario di ciò che i cittadini, in termini di certezza della pena e di sicurezza, chiedono alla politica".

Lettere: detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 19 dicembre 2007

 

Vincenzo, dal carcere di Catanzaro

"Caro Arena, qui nel carcere di Catanzaro siamo costretti a vivere in modo indecoroso. Le dico solo che da mangiare ci danno due bastoncini di pesce un po’ di insalata. Veramente poco anche per chi sta costretto in cella per 22 ore! Come se non bastasse gli agenti sono molto rigorosi con il pacco che i familiari ci possono portare una volta a settimana. Un pacco fatto di vestite e di cose da mangiare. Un pacco che deve pesare un tot ben preciso e non un grammo di più, altrimenti non te lo consegnano. Ma questo è niente rispetto a quello che viviamo nel carcere di Catanzaro ogni giorno! La saluto tanto".

 

Antonio, dal carcere di Prato

"Ciao Radio Carcere, devi sapere che io sto in carcere da 23 anni e ora mi mancano solo 22 mesi. E ti assicuro che non vedo l’ora di uscire! Ti scrivo perché la notte qui nel carcere di Prato non si riesce a dormire. Prima c’erano le galline che facevano chiasso. Ora al posto delle galline c’hanno messo un canile. 20 cani che abbaiano per tutta la notte. Mi rendo conto che sembra incredibile ma è proprio così. Inoltre viviamo nel terrore dei topi. Topi che bivaccano sui tetti dell’edificio del carcere. Noi abbiamo paura di prenderci qualche malattia, mentre nel carcere di Prato non fanno una derattizzazione come si deve. Spero che pubblicherai la mia lettera, anche perché qui dal carcere di Prato io e tanti altri ti seguiamo sempre".

 

Fabio, da Verona

"Caro Riccardo, ho conosciuto Radio Carcere durante la mia ingiusta detenzione nel 2005 nel carcere di Montorio a Verona e da quel momento ti seguo sempre. Vorrei solo fare una riflessione rivolta a tutte quelle persone che parlano di sicurezza della pena e bla bla bla...

Provate ad andare in carcere e verificate che tipo di persone e per quale tipo di reati esse si ritrovano ammassate là. Sono sicuro che finalmente capirete che il significato della parola giustizia in Italia non esiste. Né è vero che è uguale per tutti. Anzi è il contrario, troppo spesso è usata in maniera impropria. Saremo anche uno stato garantista ma non per le persone normali, con pochi soldi, che fino a prova contraria rappresentano la stragrande maggioranza del nostro paese. Insomma finire un anno e passa in galera per qualche grammo di sostanza stupefacente e poi sentire un Travaglio (e non solo) che affermano che in Italia non si va in carcere neppure se lo si desidera ti fa riflettere".

 

Giuseppe, dal carcere di Busto Arsizio

"Caro Arena, la volevo ringraziare per l’impegno di Radio Carcere non solo ad informare sulla realtà delle carceri, ma anche sulla realtà della giustizia. Spesso toccate temi che riguardano il processo penale che sono di estremo interesse. Chi non ha avuto a che fare con la Giustizia non può sapere cosa ti può capitare se cadi nella mani di un p.m. che non fa correttamente il suo lavoro. Stesso dramma avviene se sei indagato e capiti nelle mani di un avvocato poco capace. Le tanto declamate Garanzie processuali sono nulla senza le persone brave che le sanno applicare. E oggi in Italia c’è un problema serio di uomini, di persone impegnate nella giustizia. Quante sono le vittime nelle carceri e nei tribunali del cattivo funzionamento della Giustizia? Tante, davvero tante. È questo un sistema giustizia che va capito e guarito, ma quando se ne accorgerà la politica"?

Lecce: muore un detenuto di 51 anni, appena trasferito

 

Ansa, 19 dicembre 2007

 

La procura della Repubblica presso il tribunale di Lecce ha aperto un’inchiesta per accertare le cause della morte di un detenuto, Vincenzo Fazio, 51 anni, di origini siciliane, avvenuta ieri nel carcere di Lecce dove si trovava da tre giorni. Il magistrato inquirente, Maria Cristina Rizzo, ha aperto un fascicolo per omicidio colposo e disposto l’autopsia che sarà compiuta giovedì prossimo dal medico legale Gildo Colosimo.

In carcere a Catania dal 27 novembre, era stato trasferito il 14 dicembre nell’istituto di pena leccese di Borgo San Nicola, nella sezione di alta sicurezza, su provvedimento del tribunale di sorveglianza. Ieri a mezzogiorno gli agenti sono passati per la distribuzione del pranzo e lo hanno trovato privo di vita nel letto della sua cella.

Il referto medico - a quanto si è saputo - parla solo di arresto cardiocircolatorio. A far nascere sospetti al magistrato il fatto che da una prima indagine esterna siano state riscontrate evidenti macchie ipostatiche su tutto il corpo e una spiccata rigidità cadaverica che non concorderebbe con quanto riferito da alcuni sorveglianti i quali avrebbero assicurato di aver visto Fazio vivo solo due ore prima della scoperta del cadavere.

Genova: carceri sovraffollate, l’effetto indulto è svanito

di Giovanni Buzzatti

 

Il Giornale, 19 dicembre 2007

 

Un mese fa a lanciare l’allarme era stata la polizia penitenziaria. Poi era toccato a Salvatore Mazzeo, direttore del carcere di Marassi, parlare di "nuova emergenza sovraffollamento". Un problema che - ha spiegato ieri Giovanni Salamone, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, il responsabile cioè di tutte le carceri regionali - riguarda ormai l’intera Liguria.

"L’effetto dell’indulto è svanito - ha detto Salamone - Ad eccezione della Spezia, dove sono in corso dei lavori, nelle altre carceri liguri la capienza è già sopra la norma e presto tornerà ai livelli del luglio 2006, quando è scatto il provvedimento di clemenza. Questione di mesi, forse di settimane". Una crescita inaspettata, spiegano i direttori delle case circondariali, che mette a rischio la convivenza pacifica tra i detenuti.

L’occasione per fare il punto sul dopo-indulto è stata offerta dalla premiazione di un concorso per detenuti scrittori, a Genova. Salamone spiega che è inutile continuare a polemizzare sull’indulto: "I suoi effetti sono finiti, le carceri sono di nuovo piene. Le ragioni? Forse c’è stato un aumento degli arresti o un minor ricorso a strumenti di pena alternativi. O i tempi della giustizia fanno sì che le detenzione in attesa di processo si allunghino".

A Marassi (dato di inizio mese) i detenuti sfiorano quota 600: per legge dovrebbero essere 450, al momento dell’indulto erano 650. "Da noi, a Chiavari, i detenuti sono 75 - racconta Maria Milano, direttrice della casa circondariale - Siamo sopra la capienza ottimale (69), ma considerati i numeri bassi non ci sono rischi di tensioni legate al sovraffollamento".

Nessuno dei detenuti usciti da Chiavari per l’indulto vi ha fatto ritorno per aver commesso altri reati. "Quanto si fa dentro il carcere aiuta a ricostruirsi una vita una volta tornati in libertà - spiega ancora la direttrice - È comunque fondamentale avere una famiglia, degli affetti".

A Sanremo 4 dei 40 detenuti ai domiciliari "liberati" dall’indulto sono tornati in galera (il 10 per cento). "Prima dell’indulto superavamo quota 300, ora siamo già risaliti a 280 - spiega Francesco Frontirrè, il direttore del carcere - La capienza prevista dalla legge? Centonovanta, con i detenuti su letti singoli... un sogno. Perché dopo pochi mesi le carceri sono di nuovo "a tappo"? È una cosa che lascia perplessi.

Qualcosa nelle leggi evidentemente non funziona e la colpa non è certo delle carceri". Frontirrè ha una spiegazione: "C’è l’idea diffusa che chi commette un crimine ha alte probabilità di farla franca. Le ragioni sono tante, manca la polizia, non c’è certezza della pena. Sta di fatto che oggi, per ipotesi, il cittadino vede che su 100 reati solo 20 sono perseguiti. Perseguirli tutti è un ottimo deterrente".

Ma nel frattempo bisogna rifare i conti con le celle strapiene. Il direttore di Marassi, dove due terzi dei detenuti sono stranieri e tossicodipendenti, ha chiesto che i primi scontino la pena nei Paesi di origine e i secondi siano curati fuori dalla prigione. "Tutte idee valide, se il territorio ti aiuta" commenta la direttrice di Chiavari.

"La verità è che in Italia le pene sono in media lunghe, col patteggiamento o il rito abbreviato c’è lo sconto della pena, tra una cosa e l’altra rimane poco carcere da fare e non scattano strumenti alternativi - conclude Frontirrè -. Il sovraffollamento? Noi siamo abituati a lavorare nell’emergenza".

Milano: Moioli; 150 detenuti reinseriti nel mondo del lavoro

 

Affari Italiani, 19 dicembre 2007

 

"Secondo me le nostre carceri sono caratterizzate positivamente da un rapporto umano tra i detenuti e non che difficilmente si incontra nelle carceri di altri Paesi, dove però ci sono caratteri di sicurezza ed efficienza che è difficile incontrare da noi per tradizioni diverse".

Lo ha detto il presidente della Sottocommissione Carceri, Alberto Garocchio, introducendo a Palazzo Marino l’incontro tra l’assessore all’Arredo, Decoro urbano e Verde Maurizio Cadeo, e l’assessore alla Famiglia, Scuola e Politiche Sociali, Mariolina Moioli, con una rappresentanza di detenuti dei diversi istituti milanesi che nei mesi scorsi hanno partecipato ad alcuni progetti del Comune di Milano per il reinserimento nel mondo dell’occupazione. Partecipano all’incontro anche il Provveditore Generale delle carceri lombarde, Luigi Pagano e il responsabile dei Servizi direzionali Amsa, Salvatore Cappello. Atteso il presidente del consiglio comunale, Manfredi Palmeri.

"Il centro per l’orientamento al lavoro presso l’assessorato alle Politiche sociali ha permesso a più di 150 persone di inserirsi nel mondo del lavoro. Un lavoro regolare". Lo ha dichiarato l’assessore alla Famiglia, Scuola e Politiche Sociali, Mariolina Moioli, a margine dell’incontro con una rappresentanza di detenuti dei diversi istituti milanesi che nei mesi scorsi hanno partecipato ad alcuni progetti del Comune di Milano per il reinserimento nel mondo dell’occupazione.

"Questo incontro con i detenuti è una buona pratica che noi presentiamo nell’ambito del loro reinserimento - ha detto Moioli -. Devo dire che le aziende comunali su indicazione precisa del sindaco Moratti stanno allargando la loro capacità di assunzione a tante persone che si trovano in disagio".

"Amsa - ha proseguito l’assessore - attraverso questo progetto ha dato questa possibilità a tante persone. Il centro per l’orientamento al lavoro presso l’assessorato alle Politiche sociali ha permesso a più di 150 persone di inserirsi nel mondo del lavoro.

Un lavoro regolare. Non solo, sto per firmare un’intesa con l’Unione degli artigiani per una ‘scuola bottegà per gli adolescenti e giovani sempre con le borse lavoro, avendo come obiettivo il reinserimento sociale integrale". Moioli ha poi concluso: "Da questo punto di vista ho avviato un’attività con i Giovani industriali che attraverso il loro ufficio di orientamento al lavoro hanno selezionato delle persone".

Nelle carceri lombarde "siamo tornati a 7.500 persone, 500 in meno rispetto al giorno prima dell’indulto. Sul territorio nazionale siamo a 50mila detenuti". Lo ha dichiarato il provveditore generale delle carceri lombarde, Luigi Pagano, all’incontro in Comune con una rappresentanza di detenuti.

"Parliamo di persone, non di numeri - ha ribadito il provveditore -, ma certo le statistiche hanno la loro importanza". Secondo quanto riferisce Pagano, nelle carceri lombarde "stanno aumentando tantissimo i detenuti imputati", ovvero le persone che non stanno scontando una condanna, ma che sono colpite da una misura di custodia cautelare.

Questo "significa che dobbiamo puntare sul trattamento rieducativo e modificarlo". Soprattutto a San Vittore, dove al momento sono detenute 1.260 persone secondo i dati di Pagano, "bisogna lavorare sull’accoglienza dei detenuti perché il trauma di entrare in carcere sia smorzato il più possibile", ha spiegato il provveditore.

Il tempo è minimo, perché spesso sono misure cautelari della durata "non di anni, ma di pochi giorni", per cui "abbiamo dei turnover rapidissimi". A margine del suo intervento, il provveditore ha risposto così a chi gli chiedeva un commento relativo all’inchiesta sull’indulto apparsa oggi sulla stampa: "Assolutamente. Meno male che c’è stato l’indulto, altrimenti significava aggiungere numeri ad altri numeri: saremmo arrivati a 80mila detenuti dentro le carceri italiane. Io sono sempre ottimista".

Bologna: alla Dozza la conclusione del Progetto "Strade"

 

Comunicato stampa, 19 dicembre 2007

 

Si è concluso il Progetto "Strade", realizzato dall’Associazione Nuovamente in partenariato con Technè di Forlì e il Consorzio Provinciale Formazione Professionale di Ravenna e sostenuto dalla Regione Emilia Romagna grazie al Fondo Sociale Europeo e al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il lavoro è stato presentato e discusso oggi alle ore 13.30, nella Casa Circondariale di Bologna, con i detenuti e gli operatori.

Nato dalla necessità di creare una rete tra i soggetti che operano sul territorio nazionale nel settore della formazione e dell’orientamento occupazionale di persone in esecuzione penale, il Progetto Strade si è sostanziato nella realizzazione di una "banca strumenti" e di una guida didattica multimediale con consigli e strumenti per entrare nel mondo del lavoro.

La "banca strumenti": 120 iniziative realizzate in Italia dal 2001 ad oggi per la formazione e l’avvio professionale dei detenuti organizzate da cooperative, associazioni ed enti pubblici locali; 120 "buone pratiche" per il reinserimento del detenuto rese disponibili per una fruizione libera e "orizzontale" dagli enti promotori e consultabili nei siti www.nuovamente.org/formazione e www.equalpegaso.net nell’area materiali - formazione.

Un anno di lavoro per ricercare le esperienze più significative ha rilevato una grande ricchezza di interventi che da locali possono trovare una più estesa applicazione e diventare punti di partenza per proposte originali e innovative a patto che ci siano dei canali di comunicazione e condivisione. Il nostro progetto ha rappresentato un primo passo in questo senso: pubblicizzandoli, i vari interventi diventano degli utili strumenti e dei punti di riferimento per un agire orientato e consapevole di associazioni e operatori del settore.

La guida didattica multimediale: una serie di risorse di facile consultazione per riaffacciarsi sul mondo del lavoro. Se la "banca strumenti" è rivolta per lo più agli operatori nel settore ed ha come scopo quello di fornire una panoramica delle iniziative ed un contributo verso un lavoro integrato e in rete dei soggetti che operano nel settore, la guida multimediale si rivolge in primo luogo ai diretti interessati - detenuti ed ex-detenuti - e fornisce degli strumenti pratici per conoscere meglio il mondo del lavoro. In una prima sezione abbiamo raccolto informazioni pratiche (tradotte anche in inglese, arabo e rumeno) - come scrivere una lettera di presentazione e compilare un Curriculum vitae; quali sono gli enti che offrono consulenza ed orientamento (nel territorio di Bologna, Ravenna Forlì e Cesena); i diritti dei lavoratori e le principali categorie contrattuali - per muovere i primi passi fuori dal carcere.

La seconda sezione è invece un vero e proprio documentario sul difficile rapporto tra il mondo del lavoro e chi si prepara ad uscire o è già uscito dalla reclusione : i nostri operatori hanno realizzato dei video in cui vengono illustrate le caratteristiche di un colloquio di lavoro (quale atteggiamento assumere, come comunicare la reclusione, come valorizzare la propria formazione) e le strategie per comunicare al meglio eventuali problemi. Si ringraziano le strutture promotrici dei 120 progetti per l’adesione a questa iniziativa e per aver autorizzato la pubblicazione del materiale sulla rete.

Milano: è "Musica in Carcere" con la Messa di Natale...

 

Comunicato stampa, 19 dicembre 2007

 

Il Progetto "Musica in Carcere" presenta il suo nuovo appuntamento: la S. Messa di Natale con il Coro amatoriale del reparto "La Nave".

Le attività per l’anno 2007 del Progetto "Musica in Carcere", realizzato da Telecom Progetto Italia e dall’Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi, si chiudono il prossimo 25 dicembre con la S. Messa di Natale celebrata dall’Arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi all’interno del carcere ed accompagnata dal Coro amatoriale del reparto "La Nave" del Carcere di San Vittore. Alla presenza delle autorità cittadine, sarà l’occasione per presentare i risultati raggiunti in questi mesi di coinvolgente preparazione.

Durante la S. Messa, infatti, il coro guidato da Maria Teresa Tramontin - mezzosoprano del Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi - eseguirà un programma che comprende, tra gli altri, brani di Mendelsshon e Saint Saens. La compagine sarà accompagnata al pianoforte da Pietro Cavedon e dal violinista Carlo De Martini.

Il Progetto "Musica in carcere" s’inserisce nell’attività che sia la Verdi sia Telecom Progetto Italia svolgono da alcuni anni nel campo delle diverse realtà sociali. Esperienze legate dal desiderio di aprire una strada alla speranza, alla fantasia e alla solidarietà: un filo che tenga uniti tra loro luoghi di sofferenza e disagio al mondo esterno.

In particolare, l’attività di canto corale nella sua forma attuale nasce dalla richiesta di alcuni detenuti di ampliare l’iniziata nata nel 2003 e proseguita, nel corso degli anni, con crescente successo. Il corso di quest’anno, partito a settembre con lezioni settimanali, è stato tenuto da Maria Teresa Tramontin e ha permesso la formazione di un gruppo stabile, il Coro amatoriale del reparto "La Nave", formato da circa 20 partecipanti, che hanno dimostrato una forte motivazione e impegno per questa attività.

Diritti: moratoria pena di morte, i commenti dei politici

 

Redattore Sociale, 19 dicembre 2007

 

Napolitano: segnale storico, in prospettiva abolizione. "Quello di oggi è uno storico segnale che l’organo più rappresentativo, per la sua universalità, delle Nazioni Unite lancia alla comunità internazionale, richiedendo agli Stati di sospendere le esecuzioni capitali nella prospettiva dell’abolizione della pena di morte". È quanto dichiara il capo di Stato Giorgio Napolitano esprimendo la sua "profonda soddisfazione" per l’approvazione della risoluzione per la moratoria della pena capitale.

Dice il presidente della Repubblica: "La risoluzione, fortemente promossa dall’Italia e sostenuta dall’Unione europea, è stata presentata nell’ambito di una intesa a cui hanno aderito paesi di tutti i continenti. L’Unione europea è riuscita così a coinvolgere un ampio gruppo di paesi, a testimonianza del vasto sostegno ai principi di valore universale che sono alla base dell’iniziativa. In questa difficile campagna - osserva Napolitano - il nostro Paese ha avuto un ruolo centrale. Per l’Italia la lotta contro la pena di morte è uno dei temi prioritari nel campo dei diritti umani. Il successo di questa fondamentale azione è dovuto all’impegno del Parlamento, del governo, del ministro degli Affari esteri, della rappresentanza d’Italia presso le Nazioni Unite nonché della società civile italiana, che l’ha sostenuta in tutte le sue tappe. A tutti rivolgo il mio più vivo apprezzamento".

Prodi. "Intensa commozione". Così il presidente del Consiglio Romano Prodi, in conferenza stampa a Palazzo Chigi, commenta il voto a favore dell’assemblea generale dell’Onu per la proposta di moratoria sulla pena di morte. "È davvero una giornata storica - spiega - e l’orgoglio dell’Italia è quello di aver proposto per prima l’iniziativa che si è progressivamente trasformata in una grande coalizione internazionale a favore del diritto e della dignità umana".

Veltroni. "Il voto dell’Onu rappresenta un risultato importante per l’impegno di tutti coloro che difendono il diritto alla vita. È la conclusione di una lunga battaglia e la speranza che sia l’inizio di un’ epoca in cui la pena di morte sia per sempre abolita in tutto il mondo". Il sindaco di Roma e leader del Pd, Walter Veltroni, commenta così l’approvazione da parte dell’assemblea generale dell’Onu della moratoria sulla pena di morte. Infine, per Veltroni il voto espresso dalle Nazioni Unite "rappresenta un traguardo significativo per Roma e un riconoscimento importante al ruolo internazionale del Governo italiano. Il presidente del Consiglio Romano Prodi, il ministro degli Esteri Massimo D’Alema e il ministro per le Politiche comunitarie Emma Bonino hanno lavorato con tenacia, passione e coraggio per raggiungere questo storico risultato".

Marini. "L’approvazione della moratoria universale sulla pena di morte è un fatto storico, un evento di straordinario valore per l’affermazione dei diritti umani". Così il presidente del Senato Franco Marini commenta il voto dell’assemblea generale dell’Onu. L’Italia, insiste Marini, "da anni in prima linea su questo fronte, ha così raggiunto un obiettivo tenacemente perseguito dal governo e dal Parlamento". Per il presidente del Senato "l’Unione Europea ha svolto un ruolo decisivo. Il via libera è anche, quindi, il successo di un metodo che ha visto nel contesto internazionale la creazione delle alleanze necessarie per raggiungere uno storico risultato". "L’instancabile attività delle associazioni, che da sempre si battono per l’affermazione dei diritti umani e per l’adozione della moratoria universale sulla pena capitale, in Italia, in particolare i Radicali e Marco Pannella, ha dato un contributo fondamentale- chiude Marini- al raggiungimento di questo grande risultato".

Bindi. "Forse un mondo migliore è davvero possibile. La moratoria sulla pena di morte approvata oggi all’Onu è un atto di grande coraggio e civiltà, che ci fa guardare con nuova speranza al futuro dell’umanità". Così il ministro della Famiglia Rosy Bindi. "Sono orgogliosa - dice Bindi - di questo risultato, frutto di una bellissima battaglia condotta dall’Italia che ha saputo interpretare le attese di milioni di donne e uomini di buona volontà in tutto il mondo". Secondo il ministro "sarà difficile dimenticare questa giornata e dovremo lavorare con altrettanta tenacia per custodire nel tempo questo risultato straordinario". Bindi ringrazia, poi, "tutte le associazioni che in questi anni non si sono arrese e al presidente del Consiglio Prodi e ai ministri D’Alema e Bonino per la determinazione e l’impegno profuso alle Nazioni Unite".

Finocchiaro. Per Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd-l’Ulivo del Senato, l’approvazione della moratoria sulla pena di morte da parte dell’assemblea Onu è un fatto storico, il coronamento di una grande battaglia di civiltà che ha visto l’Italia protagonista". "Ciò che è accaduto oggi è davvero emozionante - sottolinea Finocchiaro - l’Italia è da sempre in prima linea nel mondo contro la pena di morte, e la moratoria Onu, ottenuta peraltro a larga maggioranza, rappresenta il coronamento del lavoro di anni". Secondo la senatrice, "dobbiamo essere contenti e orgogliosi del ruolo che ha avuto il nostro Paese e fare i complimenti a Romano Prodi, Massimo D’Alema, Emma Bonino, a tutto il governo e alla maggioranza parlamentare dell’Unione che lo ha sostenuto, portando a termine con successo questa grande campagna di diritti, di civiltà, di libertà". Per Finocchiaro "siamo di fronte ad un’altra prova che le battaglie ideali per i grandi valori della democrazia vanno combattute fino in fondo, anche se a prima vista sembrano solo sogni, con determinazione".

Mastella. Clemente Mastella esprime "grande soddisfazione" per la decisione Onu sulla moratoria della pena di morte: "È una decisione - commenta il Guardasigilli - di grande spessore morale e culturale che, a mio giudizio, segna una svolta per il futuro del mondo intero". Dice Mastella: "L’impegno dell’Italia in questa direzione, sia in sede Onu che in sede europea, è stato costante. Come cattolico, ma anche come cittadino impegnato in politica, ho sempre creduto che la difesa della vita sia una battaglia irrinunciabile per il progresso dell’umanità. Una giustizia che uccide - sottolinea - non è giustizia. Questo non vuol certo dire che bisogna lasciare impuniti i responsabili di crimini orrendi, ma che bisogna garantire una pena severa e certa che, tuttavia, rispetti i valori e i diritti inviolabili delle persone".

Ferrero. L’approvazione da parte dell’assemblea Onu della moratoria sulla pena di morte rappresenta "un grande successo del lavoro italiano". Lo afferma il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, sottolineando come sia stata "importante" per raggiungere il risultato "l’attenzione tattica del ministro D’Alema che, nei vari passaggi, ha saputo forzare quando era possibile ed ha frenato quando necessario". Per Ferrero, il voto di oggi rappresenta "un passo in avanti" verso l’affermazione dei diritti anche se non "risolutivo".

Fioroni. "Un dovere di civiltà per tutti, ma anche e soprattutto una testimonianza nei confronti dei giovani che possa ridare loro fiducia e speranza". Il ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, esprime, con queste parole, "grande soddisfazione" per l’approvazione della risoluzione per la moratoria della pena capitale. "Ai giovani - sottolinea il ministro - non si può parlare di valori: occorre testimoniarli e dimostrare loro che i sogni, spesso, hanno bisogno soprattutto del coraggio".

Rutelli. Il voto nell’assemblea Onu sulla moratoria alla pena di morte "è una vittoria di civiltà che fa onore al nostro paese". Lo dice il vicepremier Francesco Rutelli durante la registrazione di Porta a Porta. Il voto "segna il successo sia della maggioranza che dell’opposizione, dei Radicali e dell’associazionismo. Siamo un paese che a volte fa cose grandi", dice Rutelli.

Melandri. "L’umanità compie un passo in avanti verso una più completa civiltà". Così Giovanna Melandri, ministro per le Politiche giovanili e le Attività sportive, commenta l’approvazione della moratoria sulla pena di morte, oggi all’assemblea dell’Onu. "Oggi c’è una buona notizia per il mondo - continua Melandri - l’approvazione della moratoria internazionale della pena di morte da parte dell’assemblea generale dell’Onu rappresenta una vittoria di quella cultura dei diritti e della pace che è nelle nostre stesse radici e sta alla base della Costituzione italiana". È per questo che il ministro spiega di voler "ringraziare l’assemblea delle Nazioni Unite e chi in Italia, come il ministro Bonino e il ministro D’Alema, si è prodigato con passione per il raggiungimento- conclude- di questo storico traguardo".

Chiti. "Esprimo la mia più grande soddisfazione e il mio apprezzamento per il successo del voto di oggi alle Nazioni Unite". È quanto dichiara il ministro per i Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti, alla notizia della approvazione della risoluzione per la moratoria sulla pena di morte. "Questo voto - prosegue il ministro - è un importante passo avanti sulla strada dei diritti umani e in difesa del valore della vita. Principi per i quali il nostro Paese è da sempre in prima linea". Conclude Chiti: "Un risultato straordinario, motivo di orgoglio per il Paese, raggiunto grazie all’impegno del governo e del ministro degli Esteri, Massimo D’Alema".

Pecoraro Scanio. "Una grande gioia che dimostra che l’Italia, se si impegna, raggiunge risultati importanti ma soprattutto un grande passo di civiltà per la comunità internazionale". È il commento del ministro dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio. Che prosegue: "Non vendette ma giustizia è quello che serve nel mondo". "Grande soddisfazione viene espressa anche dal Guardasigilli Clemente Mastella" per la decisione Onu. "È una decisione - commenta - di grande spessore morale e culturale che, a mio giudizio, segna una svolta per il futuro del mondo intero".

Casini (Udc): "Un successo dell’Italia". Matteoli (An): "Auspichiamo sia un primo passo verso l’abolizione". Biondi (Fi): "Governo italiano sempre favorevole". Monelli (Verdi): "Giornata storica"

"La moratoria approvata dall’Onu sulla pena di morte "è un successo di tutta l’Italia, perché il no alla pena capitale è nella nostra cultura civile e giuridica". Così il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini durante la registrazione di "Porta a Porta", commenta il voto all’Onu.

"Una giornata storica per il pianeta". Così il capogruppo dei Verdi Angelo Bonelli commenta l’approvazione Onu alla moratoria sulla pena di morte. Questo, per il deputato del Sole che ride è "un passo di civiltà che ha visto l’Italia in prima fila nel lavoro di diplomazia internazionale. Ora è fondamentale lavorare per la piena applicazione della moratoria - conclude - in tutti i Paesi del mondo".

"Accogliamo con piena soddisfazione la decisione dell’Assemblea generale dell’Onu. Auspichiamo che la moratoria sulla pena di morte sia il primo, significativo passo verso la sua abolizione". È il giudizio di Altero Matteoli, presidente dei senatori di Alleanza nazionale, a commento della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

"Sono lieto dell’esito positivo sulla votazione della moratoria contro la pena di morte. Il governo italiano è sempre stato, indipendentemente dalla situazione politica, favorevole e coerente nell’affermazione e difesa di questa garanzia giuridica". È quanto afferma Alfredo Biondi, presidente del Consiglio nazionale di Forza Italia. "Nel dicembre del 1994 quando ero ministro della Giustizia nel governo Berlusconi - ricorda Biondi - andai personalmente ad esprimere la volontà del governo italiano e a votare positivamente, allora un pugno di voti impedì il successo dell’iniziativa, sono lieto che questa volta il successo abbia arriso a questa moratoria espressione di un alto valore della civiltà giuridica e umana".

Droghe: Consulta; illegittime parti della Fini-Giovanardi

 

Notiziario Aduc, 19 dicembre 2007

 

La Corte costituzionale ha accolto in parte le questioni di legittimità sollevate dalla Regione Umbria, insieme a Toscana, Lazio, Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte, sulla legge Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti. Lo afferma la Regione Umbria spiegando in un comunicato che, nella sentenza n. 387 del 19 novembre scorso, la Consulta, "dando rilievo alla libertà di autodeterminazione dell’utente, cui viene riconosciuta la facoltà di avvalersi per le prestazioni di quelle strutture, pubbliche o private, nelle quali ripone maggiore fiducia, riconferma l’autonomia regionale nella disciplina di dettaglio in quelle materie previste dalla Costituzione (art. 117) nel cui ambito ricade anche la tutela della salute dei tossicodipendenti".

La stessa Corte Costituzionale - riferisce ancora la Regione Umbria - "ha dichiarato l’illegittimità costituzionale" della Fini-Giovanardi "nella parte in cui comporta conseguenze lesive dell’autonomia regionale in quanto viene a disciplinare in dettaglio la materia (cosa riservata alla legislazione delle Regioni, nel cui ambito ricade la normativa volta alla tutela della salute dei tossicodipendenti)".

Ha dichiarato inoltre, la illegittimità costituzionale del decreto legge "nella parte in cui pone un preciso vincolo di destinazione rispetto a entrate costituite da erogazioni liberali disposte direttamente in favore delle Regioni con conseguente lesione della loro autonomia finanziaria, costituzionalmente riconosciuta, e nella parte in cui incide sull’autonomia organizzativa interna delle Regioni".

La sentenza della Corte costituzionale sul nostro ricorso contro la Fini-Giovanardi rende giustizia e conferma la validità e la legittimità della scelta compiuta dalla Regione Umbria con la legge 1/2007, ha detto l’assessore regionale Damiano Stufara.

"Cadono così le argomentazioni del centro-destra umbro che ha continuato in questi mesi, a far prevalere l’ideologia all’analisi attenta di una realtà drammatica come quella della tossicodipendenza. Ora occorre come nei giorni scorsi abbiamo definito alla Conferenza programmatica regionale sulle dipendenze, rilanciare una politica complessiva, incentrata sull’azione integrata di tutti i soggetti istituzionali e sociali a vario titolo coinvolti e sui cosiddetti quattro pilastri, ovvero prevenzione, cura, riduzione del danno e contrasto al narcotraffico".

 

 

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