Rassegna stampa 21 aprile

 

Giustizia: comunicato della Crvg Liguria sulla riforma degli Uepe

 

Comunicato stampa, 21 aprile 2007

 

Come Crvgl (Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Liguria) esprimiamo perplessità e preoccupazione per quanto sta accadendo nel sistema penitenziario relativamente all’esecuzione penale esterna, in seguito alla recente Bozza Decreto Ministeriale concernente l’intervento del Corpo di Polizia Penitenziaria negli Uepe.

Siamo pienamente consapevoli che i dati dimostrano come il tasso di recidiva sia nettamente inferiore per chi sconta la pena in misura alternativa rispetto a chi passa direttamente dal carcere all’esterno; valutiamo quindi positivamente l’intenzione del Ministero di sostenere e rafforzare l’area penale esterna, lasciando la carcerazione come estrema ratio.

Ci chiediamo tuttavia se la strada che sta imboccando il Ministro Mastella non rischi di stravolgere il senso delle misure alternative, privilegiando sempre più la funzione di controllo a scapito della funzione di assistenza sociale. Questo graduale processo, iniziato con la legge Meduri (l. 54/2006) che ha trasformato i Cssa (Centri Servizio Sociale Adulti) in Uepe (Uffici Esecuzione Penale Esterna), ci sembra ulteriormente accentuato dalla Bozza ministeriale.

La funzione di "controllo" rischia di diventare essenzialmente sanzionatoria, e non più volta a comprendere e a verificare le difficoltà che la persona ha in rapporto agli obblighi di comportamento assunti, e la valutazione degli aspetti che vi sono connessi. Occorre dunque che il controllo non si esaurisca nella contestazione dell’infrazione eventualmente commessa, ma rappresenti la tappa di un percorso diretto a sostenere il condannato nella ricerca delle soluzioni più adatte.

Questo in linea con la norma principe dell’esecuzione penale (art. 27 Cost.) che afferma che le pene "tendono alla rieducazione del condannato". L’avvio della sperimentazione doveva prevedere un confronto con gli operatori dell’Uepe in ragione della loro esperienza, nonché con il volontariato attivo in ambito penitenziario. Alla luce di quanto sopra, chiediamo di sospendere l’avvio della sperimentazione (non c’è alcuna urgenza reale che la giustifichi) per aprire un confronto serio sui contenuti di tale sperimentazione, sugli obiettivo e sull’efficacia.

Bologna: il Garante presenta il vademecum per i detenuti

 

Affari Italiani, 21 aprile 2007

 

Il cancello si chiude dietro le spalle e la vita cambia, quasi alla cieca. Chi entra in carcere, spesso, non sa cosa l’aspetta. Non solo per quel che riguarda il futuro esistenziale, ma anche dal punto di vista pratico di adempimento di diritti e doveri. Già, perché le regole del mondo fuori, dietro le sbarre perdono di valore. Ne arrivano altre. Ma quali? Per legge il neo detenuto, quando approda nel penitenziario, dovrebbe essere messo al corrente dei suoi diritti e avere ben chiaro quel che gli accadrà di lì in poi: chi e come potrà curarlo, ascoltarlo, quando e quanto potrà usufruire di colloqui con i familiari, con chi dovrà rapportarsi per le sue esigenze, come e con quali tempi ci sarà un processo. Informazioni queste, dovute ai detenuti stranieri con presenza di mediatore linguistico. Non di rado tutto questo non si verifica. Per mancanza di tempo, disorganizzazione, sovraffollamento. Gli uffici dei Garanti dei diritti dei detenuti dei comuni italiani, spinti dalle richieste de detenuti e del mondo del volontariato, hanno cercato di colmare la lacuna redigendo opuscoli informativi per i detenuti, da distribuire nei penitenziari.

L’ultimo in ordine di tempo è quello aggiornatissimo del Garante di Bologna. Stampato in 5 mila copie, in lingua italiana (presto sarà tradotto per gli stranieri), avrà diffusione regionale. Composto di una parte riguardante le regole dell’istituto carcerario e una seconda dedicata all’informazione strettamente giuridica, rappresenta uno strumento di "primo ingresso", per avere delucidazioni di base che spianino la strada della comprensione di quel mondo a parte che è il carcere. "Lo abbiamo realizzato in versione snella, agile, ma soprattutto comprensibile, La divulgazione necessità di linguaggi non gergali, bandito infatti dal testo il "burocratese". Per ora è in lingua italiana, ma presto la tradurremmo in altre 6 lingue, albanese, arabo, francese, inglese, serbo-croato e spagnolo - spiega la Garante dei diritti dei detenuti di Bologna, Desi Bruno -. Ci tengo a far sapere che la pubblicazione è stata stampata all’interno della casa circondariale di Bologna dalla tipografia "Il profumo delle parole"".

Uno strumento utile anche per chi opera nel carcere, sottolinea la Bruno, al fine di agevolare i detenuti nella comprensione delle leggi italiane e delle regole che disciplinano il regime penitenziario. "Le persone ristrette, a maggior ragione gli stranieri incontrano difficoltà per comprendere al realtà che li circonda - prosegue il Garante - e non riescono di frequente a esercitare i diritti loro riconosciuti dall’ordinamento e infine non vengono a conoscenza di opportunità di studio, formazione e lavoro". Il lavoro. La richiesta più accorata da parte dei detenuti di tutta Italia. Uno dei diritti che, pure, è fra i più negati. "Perché non ci sono risorse da impiegare nelle attività - aggiunge Desi Bruno- perché occorrerebbe maggiore organizzazione e pianificazione nei rapporti con l’esterno. Qualcosa si è mosso per chi ha usufruito dell’indulto, ma l’urgenza parte da dentro. È necessario operare da dietro le sbarre, per preparare il terreno ad una vera reintegrazione dell’ex detenuto una volta fuori. Si deve prendere definitivamente coscienza che il lavoro non è solo uno strumento di sopravvivenza pratica, ma anche e soprattutto una forma di vera e propria identità per il detenuto. Senza la capacità di produrre, un uomo si sente un rifiuto della società. Il lavoro è la prima chiave per recuperare davvero la vita di chi ha sbagliato".

Roma: mobilitazione contro sgombero di "Anticaja e Petrella"

 

Abitare a Roma, 21 aprile 2007

 

Nel cuore di Roma, tra Campo de Fiori e Largo Argentina c’è un posto molto particolare diverso dai soliti locali del centro storico nei quali fra un aperitivo, una cena e una birra con gli amici si trascorrono le notti romane.

A via Monte della Farina 62, in un ambiente pieno di anticaje, da anni vengono ospitate iniziative teatrali, piccoli concerti e rassegne poetiche che lasciano trascorrere agli avventori una serata differente dalle solite, un posto di quelli in cui, se ci sei stato una sera, poi lo racconti. Il locale si chiama "Anticaja e Petrella" ed è gestito da Enzo Petriacci, un ex detenuto che vent’anni fa decise di saldare il debito che il precedente affittuario aveva contratto con il proprietario (l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica - APSA - ente che gestisce l’immenso patrimonio immobiliare dello Stato Città del Vaticano), e di coinvolgere lavorativamente quelle persone, a cominciare dai detenuti, che avevano bisogno di un primo aiuto per rientrare nella comunità.

Oggi "Anticaja e Petrella" è un "centro attivo di formazione e di reinserimento occupazionale per le persone classificate nelle categorie a rischio di emarginazione sociale e di emarginazione dal mercato del lavoro" che però rischia di essere sgomberato il 24 maggio poiché il Vaticano (che accettò volentieri il pagamento del debito da parte di Petriacci, salvo poi negare allo stesso la formalizzazione contrattuale del subentro) pretende di entrare nuovamente in possesso del suo immobile. Venerdì 20 aprile è prevista una festa di mobilitazione cittadina per manifestare l’attaccamento che la città di Roma sente nei confronti di questo locale e di quello che rappresenta.

Inizialmente lo sgombero era previsto per il 26 marzo. Da alcune settimane era in corso una trattativa tra le parti, il Comune, il Municipio ed il Garante dei detenuti Gianfranco Spadaccia. La funzione svolta da Anticaja e Petrella è realmente preziosa: l’Ufficio per l’esecuzione della pena gli ha affidato centinaia di detenuti negli ultimi anni, persone che hanno così goduto delle misure alternative al carcere, avviandosi verso il reinserimento sociale. Un partner ritenuto affidabile dalle istituzioni, dunque, che non riceve sovvenzioni comunali. L’Apsa inizialmente aveva chiesto garanzie precise, giuridiche (né Petriacci né i suoi familiari dovevano risultare titolari dell’associazione) ed economiche. Però di fronte ad una fidejussione che garantiva i 3.500 euro di affitto mensili e alla costituzione di un associazione secondo i criteri indicati, i rappresentanti del Vaticano hanno preso tempo, ma contemporaneamente chiedevano alla Questura di procedere allo sgombero con l’intervento della forza pubblica.

Mario Staderini, consigliere del I Municipio aveva preso a cuore la questione scrivendo al sindaco Veltroni per chiedere un suo intervento, se necessario anche con un provvedimento di requisizione provvisoria dei locali per pubblica utilità, almeno sino a quando non si fosse conclusa la trattativa o fossero state trovate soluzioni diverse.

Sono almeno sette, infatti, le persone che fruiscono delle misure alternative al carcere lavorando da Anticaja in attività di restauro e culturali, mentre altri ex detenuti continuano a lavorarci con passione. Se fosse realizzato lo sgombero, dovrebbero tornare in carcere, compromettendo il loro percorso di recupero.

"Gli esponenti del Vaticano sono liberissimi di rivendicare il loro interesse speculativo su di un immobile del centro storico, pur se a pagarne il prezzo saranno persone disagiate, ma l’amministrazione comunale non può venir meno al suo compito statutario di assistenza ai detenuti.

E deve assumersi le dovute responsabilità quando si tratta di governare delle contingenze, come ad esempio guadagnare il tempo necessario alla conclusione di una trattativa che non appariva impossibile." Ha dichiarato Staderini che ci ha poi raccontato il tentativo di sgombero del 26 marzo: "Già dalle 5 del mattino a via Monte della Farina c’era un presidio del Comitato lotta per la casa del centro storico, gli amici di Anticaja, le famiglie venute a portare la loro solidarietà. Alle 7 erano arrivati i blindati della polizia, decine di agenti e carabinieri in tenuta antisommossa. Dentro ad Anticaja c’era solo Enzo, barricato dietro ad una catasta di mobili. Sopra l’entrata uno striscione: "Santità (?) ‘na grazia pè Petrella". Quando gli agenti decidono di eseguire lo sgombero Petriacci tirò fuori una tanica di cinque litri di benzina, versandola tutto intorno e poi addosso. Alcuni poliziotti che lo conoscono tentarono di convincerlo a desistere, sono veramente preoccupati: pochi giorni prima era ricoverato in ospedale per un trapianto di fegato, sospeso per difendere il suo angolo di mondo. L’ufficiale giudiziario acconsentì allora ad un rinvio, prossima data il 24 maggio.

La mia richiesta di requisizione provvisoria ha smosso un po’ le acque: il delegato per le emergenze abitative del Comune, Nicola Galloro, il delegato per la casa del Municipio, Yuri Trombetti (Udeur), il capogruppo regionale Udeur Leopardi, dopo aver riconosciuto il valore sociale di Anticaja ed il dovere del Comune di adoperarsi, si affrettano ad escludere ogni tipo di requisizione e si dicono certi che ‘sia sufficiente fare appello al senso di responsabilità sociale di cui certamente l’ente proprietario si farà carico e che lo Stato Vaticano con intelligenza sarà in grado di offrire tutto l’aiuto possibile".

Perugia: otto detenute-attrici in scena per musical "Chicago"

 

Vita, 21 aprile 2007

 

Il musical "Chicago" va in scena a Perugia con attrici molto particolari. Sono le detenute che presenteranno oggi lo spettacolo sul palcoscenico del carcere di Capanne. Otto le detenute-attrici (Alina, Barbara, Gaetana, Rosa, Nadia, Sabina, Silvana e Silvia) che hanno appreso l’arte della recitazione nel laboratorio coordinato da Claudio Carini e Caterina Fiocchetti. L’iniziativa è stata promossa dall’assessorato alle politiche sociali della Regione Umbria guidato da Damiano Stufara, dalla casa circondariale femminile e da "Fontemaggiore", teatro stabile di innovazione. Il musical racconta la vita di alcune donne nel carcere americano degli anni Venti. La protagonista è Roxie, una ballerina che ha ucciso il suo amante che le aveva promesso una grande carriera nei locali notturni di Chicago. Sarà il suo avvocato a trasformarla da killer a star, mostrando all’opinione pubblica una diversa visione delle cose.

Avellino: progetto legalità, incontro tra studenti e il vescovo

 

Il Mattino, 21 aprile 2007

 

Gli studenti del Liceo Classico e Scientifico "Parzanese" interrogano il vescovo della Diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia, monsignor Giovanni D’Alise, e il direttore del carcere Salvatore Iuliani, su temi di scottante attualità come quelli del "Vivere civile contro ogni forma di illegalità".

Ne viene fuori un confronto interessante che evidenzia come il progetto "Educazione alla legalità", che la professoressa Maria Iannuzzi sta portando avanti da alcuni anni, non sia inutile. "Certo, il momento che viviamo - ha precisato il preside Cappuccio - è sicuramente dei più delicati. I giovani devono seriamente impegnarsi per invertire la tendenza in atto che porta molto spesso alla disgregazione di valori tradizionali".

"Capire il mondo del carcere, anzi aprirsi alle sue problematiche - ha spiegato il direttore Iuliani - è sicuramente utile e doveroso". Per il vescovo di Ariano, monsignor D’Alise, "ciò che interessa è la storia di ciascuno che sta oggi nel carcere". Se posso dare una mano non mi tiro indietro perché non bisogna far tornare il detenuto al delitto, ma al recupero della propria personalità".

Libri: premiato "Vita e morte di Armida Miserere", di C. Zagaria

 

Vita, 21 aprile 2007

 

Con il romanzo "Miserere. Vita e morte di Armida Miserere, servitrice dello Stato", giunto alla sua terza ristampa per Dario Flaccovio editore, Cristina Zagaria si è aggiudicata il Premio San Valentino.

Il riconoscimento della città di Terni che le sarà consegnato il 28 aprile. Il romanzo ripercorre, anche grazie a documenti privati e diari della protagonista, la vita e l’attività di Armida Miserere, direttrice di molte delle carceri più difficili d’Italia. Una donna dalla fama da "dura" che concluse la sua vita con il suicidio. Il romanzo sarà presentato il 26 aprile, alle ore 11, a Taranto presso l’aula magna del liceo ginnasio "Quinto Ennio" alla presenza di Elio Romano, presidente del Tribunale di sorveglianza di Taranto, e il 27 aprile, alle 19, a Matera, presso il circolo culturale La Scaletta, Rione Sassi.

Immigrazione: ecco i nodi ancora da sciogliere in tema di salute

 

Redattore Sociale, 21 aprile 2007

 

Disagio delle seconde generazioni, condizioni degli stagionali, infortuni e morti sul lavoro, più frequenti interruzioni di gravidanza. Migliora l’accesso al servizio sanitario nazionale, ma restano lacune.

Disagio delle seconde generazioni, precarietà della salute degli stagionali, infortuni e morti bianche sul lavoro e più frequenti interruzioni di gravidanza tra le donne immigrate. Un convegno alla fiera sulla salute, "Sanit", a Roma, fa il punto su immigrazione e salute. Migliora l’accesso al servizio sanitario nazionale, ma persistono lacune, legate prima di tutto alla precarietà delle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati. "Gli infortuni sul lavoro continuano a colpire in misura maggiore i lavoratori immigrati".

Maurizio Di Giorgio (Ministero della Salute) cita dati dell’Inail: 70 infortuni per 1.000 dipendenti stranieri nel 2005 contro i 50 per 1.000 dei colleghi italiani. Il 50% degli incidenti avvengono nel settore delle costruzioni e dei trasporti. Il bollettino è allarmante: 113.000 immigrati infortunati nel 2005 e 142 morti bianche. Nel 2004 le vittime del lavoro erano state 174. A rischiare sono soprattutto i giovani stranieri, nell’80% dei casi impiegati al nord. Ma i dati, già allarmanti, sono solo una sottostima, non esistendo cifre sugli infortuni nel lavoro nero. "Gli immigrati si fanno più male perché fanno i lavori più pericolosi - spiega Di Giorgio - e accettano di lavorare anche in condizioni di non sicurezza, perché contrattualmente più deboli e ricattabili". Ma a giocarsi la salute non sono soltanto gli operai dei cantieri edili.

Fragole, patate, primizie, pomodori, uva ed olive. Ogni stagione ha i suoi frutti, ma a raccoglierli, anche quest’anno, saranno le braccia sfruttate dei lavoratori immigrati: 15-20.000 giovani, età media 30 anni, costretti a turni massacranti per pochi spiccioli. La prima denuncia sulle condizioni di lavoro nei campi del sud Italia, "inaccettabili per un Paese civile", era arrivata da Medici senza frontiere (Msf) nel marzo 2005.

Un anno dopo Fabrizio Gatti pubblicava su "L’espresso" un reportage sullo sfruttamento nella raccolta dei pomodori in Puglia. Oggi Andrea Accardi (Msf) denuncia: "La situazione è sempre la stessa. Mentre stiamo parlando, a Cassibile, in Sicilia, almeno 400 persone stanno raccogliendo le patate e le fragole per pochi euro al giorno". Si tratta di persone in Italia in media da 26 mesi. Vivono in casolari abbandonati subaffittati dai caporali, oppure in terrapieni sotto i ponti, in tendopoli o in mezzo ai campi, buttati per terra.

"Le patologie riscontrate sono quelle della povertà - dice Accardi - sbarcano sani, ma in queste condizioni, si ammalano nel giro di sei mesi". In maggioranza africani sub-sahariani, sbarcano a Lampedusa, e dopo 60 giorni nei cpt di Agrigento o Crotone, sono rilasciati e cadono nelle maglie dello sfruttamento, clandestini, per il tempo necessario a racimolare la cifra per proseguire il viaggio verso nord. Secondo una ricerca Msf del 2005, il 70% dichiara di aver subito maltrattamenti.

"Non parlano una parola d’italiano, salvo qualche termine in dialetto relativo agli strumenti di lavoro". Nel 50% dei casi i lavoratori vivono senza acqua corrente, il 90% non ha riscaldamento, il 40% è senza bagni e uno su quattro non ha la corrente elettrica. "Per chi scappa dal Darfur, in Sudan, i campi profughi del Chad sono decisamente più accoglienti", continua Accardi. Nemmeno l’acqua potabile è alla portata di tutti. Il 40% degli intervistati la compra in bottiglia, il 20% fa chilometri a piedi ogni giorno per andare a riempire le taniche alla sorgente più vicina.

E il 13 settembre del 2005 a Foggia uno stagionale morì annegato in una cisterna dell’acqua piovana. Il 95% degli intervistati da Msf non ha un contratto di lavoro. Accardi chiama in causa le autorità: "A Rosarno ogni mattina 5-600 persone aspettano sul ciglio della strada l’arrivo dei caporali. E su quella stessa strada ogni mattina fa avanti e indietro una macchina della polizia, come se niente fosse".

Per questi casi estremi, ma anche per la maggior parte dei tre milioni di immigrati in Italia, Accardi non pensa ad un servizio sanitario parallelo: "Quello che occorre - conclude il medico di Msf - sono politiche sanitarie certe, eque e flessibili". Sulla stessa linea Salvatore Geraci, presidente della Società italiana di medicina delle migrazioni, che chiama in causa il lavoro di rete tra pubblico e privato sociale: "La storia della rete che da 20 anni accompagna il fenomeno immigratorio in ambito sanitario, è la storia dell’incontro con persone di culture diverse, con diritti prima negati, poi nascosti ed ancora oggi che sono in gran parte riconosciuti, condizionati da discriminazioni più o meno evidenti".

Immigrazione: due coop gestiranno il Cpt di Lampedusa

 

Vita, 21 aprile 2007

 

Due cooperative aderenti a Legacoop gestiranno il Cpt di Lampedusa, con un tetto di spesa di 33 euro giornalieri per ciascun detenuto. E a Bologna la cosa va di traverso ai collettivi, che annunciano una protesta sotto la sede della centrale cooperativa in viale Aldo Moro.

Sotto accusa proprio le condizioni dell’appalto assicurate dalle due coop; una cifra, cioè, "nettamente più bassa" di quella della precedente gestione e grazie alla quale la coop sociale "Sisifo" di Palermo e la "Blu coop" di Agrigento hanno battuto la concorrenza aggiudicandosi la gara con un ribasso del 30%. Fatto sta che il collettivo bolognese ‘Crash’ in una nota si schiera contro il Consorzio nazionale di servizi di Bologna (che ha curato la gara per conto delle due associate) accusandola di "speculare sui lager" e lancia un presidio davanti alla sede di Legacoop in viale Aldo Moro: l’appuntamento è per venerdì mattina a partire dalle 11.

"Si prevedono nuovi e lauti profitti per la cooperazione neodemocratica- scrive Crash- che speculando sui lager garantiranno a questo Governo e allo Stato una sicura e poliziesca gestione dei flussi migratori, tagliando i costi e abbassando il livello dei servizi di sopravvivenza per gli immigrati incarcerati".

Droghe: all'assemblea del "Forum" il bilancio un anno di Governo

di Donatella Poretti (deputata radicale della Rosa nel Pugno)

 

Notiziario Aduc, 21 aprile 2007

 

L’assemblea annuale del Forum Droghe, oggi a Firenze, è stata l’occasione per tracciare un bilancio di un anno di Governo in materia di droghe. Sapevamo che l’argomento vedeva lo schieramento di maggioranza diviso, avevamo indicato il percorso più idoneo per cercare quantomeno di ridurre il danno, ma ad un anno di distanza possiamo denunciare non solo ciò che non è stato fatto, ma peggio ancora cosa si rischia di fare.

La strada che doveva essere percorsa: il Governo avrebbe dovuto abrogare il decreto Fini-Giovanardi con altrettanto decreto; il Parlamento avrebbe dovuto calendarizzare le proposte di legge già presentate e su queste cercare convergenza anche trasversale per rivedere la materia in maniera organica e in direzione non repressiva e punizionista.

Si è deciso di fare diversamente: il ministero per la Solidarietà Sociale ha cercato un accordo, che nella maggioranza non c’è, per scrivere un disegno di legge. Il ministro Paolo Ferrero, rimandando di settimana in settimana e di mese in mese, di fatto ha bloccato anche l’iniziativa parlamentare.

Nel frattempo il ministro Ferrero ha preannunciato interventi proibizionisti sulla pubblicità degli alcolici (evidentemente è più facile introdurre un nuovo divieto che la rimozione di uno già esistente). Mentre il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, ha presentato un disegno di legge repressivo e meramente punitivo sulla sicurezza stradale: per la presunzione (con i test attuali si possono solo trovare tracce di sostanze risalenti anche a 30 giorni prima) di essersi messi alla guida sotto effetto di stupefacenti, si rischiano sanzioni amministrative fino a 24 mila euro, arresto fino a tre mesi, sospensione della patente, sequestro dell’auto o fermo amministrativo per 180 giorni nel caso il proprietario fosse diverso dal conducente. Di fatto, per la prima volta, si introducono sanzioni penali per il consumo di stupefacenti visto che non sarà possibile dimostrare dai test se lo spinello sia stato fatto immediatamente prima di mettersi alla guida o trenta giorni prima. In maniera illegale, per quanto riguarda il codice della strada, si interviene penalmente dopo aver dimostrato l’assunzione di una sostanza e non lo stato del conducente.

 

Che fare?

 

Al Governo e al ministro Paolo Ferrero occorre dare una data limite entro la quale presentare, o rinunciare a presentare, un disegno di legge sulla materia. Potrebbe essere il 26 giugno, giornata mondiale contro la droga.

Presentare al Parlamento due proposte di legge di segno uguale e contrario: una per legalizzare le droghe attualmente illegali e l’altra per proibire quelle attualmente legali come alcol o tabacco. Due strade diverse ma con una loro coerenza. Se la logica proibizionista interviene per la salvaguardia della salute dei cittadini indicando quali sostanze assumere e quali no, logica vorrebbe che siano vietate anche quelle che fanno maggiori danni e morti. Se cio’ non avviene evidentemente c’è altro dietro al proibizionismo sulle droghe oggi illegali ed è bene che questo altro venga allo scoperto e divenga argomento di dibattito.

Droghe: giovani e sostanze, quello che la ricerca non ci dice

 

www.lungoparma.it, 21 aprile 2007

 

"Giovani, sostanze, tendenze: quello che la ricerca non ci dice" è il tema di un seminario promosso dalla Provincia, in collaborazione con l’Azienda sanitaria locale e l’associazione nazionale Forum Droghe, che si è svolto ieri, venerdì 20 aprile, nella sala Du Tillot della Camera di Commercio. L’iniziativa di oggi - ha detto Tiziana Mozzoni, assessore alle Politiche sociali e sanitarie della Provincia di Parma - anche per la qualità dei relatori intervenuti, ha l’obiettivo di affrontare il tema delle dipendenze partendo da dati concreti. Non si tratta di creare allarme sociale, ma di affrontare il problema partendo dai dati di fatto che raccontano, ad esempio, come Parma sia la prima città in regione per consumo di cocaina e al quarto posto come provincia".

"L’allarmismo non aiuta a comprendere il mondo sempre più diversificato dei consumi e degli stili che caratterizzano i soggetti protagonisti. L’attenzione va mantenuta sulle persone, sui singoli e sulla collettività, per capire il significato che assume il consumo di sostanze nel corso delle esperienze di vita e nei luoghi che si frequentano".

L’incontro ha visto confrontarsi personalità ed esperti di calibro nazionale: Claudio Cippitelli del Consorzio Parsec che raggruppa cooperative sociali e associazioni Onlus italiane; Renato Bricolo del coordinamento nazionale Nuove Droghe che comprende realtà dei servizi pubblici e del privato sociale impegnate sul campo; Peter Cohen professore di Sociologia all’Università di Amsterdam e direttore del centro ricerca sulle Droghe; Leopoldo Grosso, coordinatore della Consulta nazionale Tossicodipendenze istituita presso il Ministero della Solidarietà Sociale.

Il seminario ha sottolineato un ulteriore impegno della Provincia rispetto alla diffusione del fenomeno dell’uso e abuso di sostanze anche sul nostro territorio, come già da anni sta facendo con il Progetto "Strada e Dintorni". In particolare l’incontro ha fornito un contributo alla riflessione sui temi dell’uso di sostanze nel mondo giovanile.

 

Alcuni dati

 

Il seminario è un contributo alla riflessione sui temi dell’uso di sostanze psicoattive, con particolare riferimento al mondo giovanile.

Nel panorama della fenomenologia legata al consumo di sostanze psicoattive, il territorio parmense presenta caratteristiche in linea con quanto emerge dai dati epidemiologici del territorio regionale.

L’ultimo studio realizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (IPSAD - Italia 2005) nella nostra Regione su un campione di soggetti, di età compresa tra i 15 e i 54 anni, e con riferimento all’ultimo anno, dice che:

l’11% ha consumato almeno una volta cannabis

l’1,8% ha consumato almeno una volta cocaina

lo 0,25% ha consumato almeno una volta eroina

lo 0,5% ha utilizzato sostanze allucinogene

lo 0,5% ha utilizzato sostanze stimolanti

Per quanto riguarda invece l’alcol, lo stesso studio dice che tra i soggetti intervistati, l’8% dei maschi e il 5,1% delle femmine, nei trenta giorni precedenti la partecipazione allo studio, ha vissuto un’esperienza da intossicazione alcolica.

 

Alcune riflessioni

 

Al di là, e oltre, i numeri, diverse sono le riflessioni che derivano dall’esperienza dei servizi e di chi ogni giorno lavora a contatto con il mondo dei consumi di sostanze.

Una prima riflessione è legata al fatto che alcune sostanze (es. cocaina, amfetamine, acidi) non sono più solamente espressione di fasce circoscritte (nicchie) di consumatori, ma sono interessate da trend pervasivi e si trovano facilmente nei vari luoghi di spaccio.

Accanto ad una diffusione generalizzata di questo tipo di sostanze, si aggiunge un altrettanto diffuso consumo di cannabinoidi, il consumo di ecstasy e amfetamino-simili non più strettamente associato alle discoteche, la consuetudine ai mix tra alcol e altro, la continua ricerca di effetti sempre più precisi e autosperimentati. Tutto ciò fa emergere con nettezza quali siano i caratteri dei nuovi stili di consumo e l’ormai profonda connessione delle sostanze psicoattive con tutti i vari contesti del vivere comune.

Le differenze e i significati fra modalità di consumo estremamente diversificate e le varie sostanze richiedono una capacità d’intervento e di progettualità specifica in ambiti e contesti profondamente diversi in cui una gran parte dei giovani vive e "consuma" (discoteca, birreria, pub, parchi, centri giovani). Ma per intervenire in maniera adeguata ed efficace, è necessario prima di tutto conoscere e capire le tendenze, l’andamento del fenomeno, chi sono i protagonisti, i diversi stili di comportamento, distinguendo fra uso e abuso, senza i toni allarmistici o sensazionalistici che tendono ad etichettare in maniera indistinta tutti i comportamenti come patologici.

L’allarmismo può destare l’attenzione per qualche giorno, suscitare curiosità, ma non aiuta a comprendere il variegato mondo dei consumi e degli stili che caratterizzano i soggetti che ne sono protagonisti. È sulle persone che bisogna mantenere l’attenzione, ai singoli e alla collettività, al significato che il consumo di sostanze assume nel dipanarsi delle esperienze di vita e delle relazioni quotidiane, nei luoghi concreti in cui queste si realizzano.

Droghe: Bologna; chi va al Ser.T. ha meno probabilità di morire

 

Notiziario Aduc, 21 aprile 2007

 

Nell’area metropolitana di Bologna nel corso del 2006 i Sert hanno seguito 567 persone che abusavano primariamente di cocaina e 781 che non ne potevano fare a meno, ma vi facevano ricorso come sostanza secondaria. Ma al Sert non ci si arriva per questo, bensì dopo problemi giudiziari, di salute o economici. E la maggioranza degli assuntori, non è a conoscenza dei problemi correlati all’uso continuato di sostanze stupefacenti. E tantomeno è noto l’effetto dell’uso occasionale, che può provocare anche ictus o infarto già al primo colpo.

I dati, resi noti questa mattina in Cappella Farnese da Raimondo Pavarin, responsabile dell’Osservatorio epidemiologico metropolitano dipendenze dell’Ausl di Bologna, mettono in evidenza anche che l’età media di chi si rivolge ai Sert è di 33 anni, il sono 10% donne, il 30% stranieri, il 40% non residenti. Il 72% ha ricevuto trattamenti relativi a controlli dello stato di salute, 51% controlli urine, 35% sostegno socio educativo, 28% colloqui psicologici, 12% somministrazione farmaci per più di 60 giorni. Un 7% è stato inserto in comunità terapeutiche, un 2% invece è stato seguito da una psicoterapia individuale; stessa percentuale i tossicodipendenti che hanno beneficato di sostegno dato alla famiglia, aiuti socio-economici o gruppi di auto aiuto.

Tra tanti problemi, anche un dato positivo: i cocainomani che completano il programma terapeutico al Sert riducono il rischio di morte, che si abbassa già dopo due anni dalla prima presa in carico. Al tempo stesso, si stimano cinque decessi l’anno ogni mille cocainomani. La probabilità di sopravvivenza a 5 anni dal primo contatto col Ser.T. è del 97,6%, dopo 10 anni è del 95,4%, dopo 12 anni dell’89%. Per i cocainomani, però, il rischio di decesso per problemi cardiocircolatori è 15 volte superiore a quello di non consuma cocaina e 10 volte più grande del rischio di morte per overdose.

Il maggior rischio di decesso per chi ha più di 30 anni al primo ingresso al Sert evidenzia come la decisione di rivolgersi al servizio per ricevere un trattamento sia dovuta anche a problemi insorti dopo un consumo protratto nel tempo. La chance di non ricaderci aumenta dopo due anni dalla fine del trattamento al Sert, quindi anche al termine della terapia, sarebbe raccomandabile continuare a seguire il soggetto.

All’incontro di questa mattina in Cappella Farnese c’era anche Filippo Magnoni, Chirurgo vascolare dell’Ospedale Maggiore di Bologna, che ha dimostrato quanto la cocaina crei un danno organico, cioè un danno diretto sull’organismo: infarto, ictus ischemico ed emorragico, trombosi sono tra le patologie che la coca può portare. Oltre a aumentare la frequenza di tachicardia, ipertensione e di tutte le patologie psichiatriche. I casi estremi, però, spiega Pavarin sono solo una parte della realtà. Perché studi italiani mettono in evidenza che entro il 2009 il consumo di cocaina in Italia raddoppierà e toccherà una fascia ancora più ampia di popolazione.

Già oggi il profilo del consumatore medio, quello che al Sert ci arriva solo dopo una emergenza, vede persone di ogni età e fascia sociale, con una preponderanza di cittadini in età matura, alto grado di scolarizzazione e un lavoro. Ma l’informazione langue, dicono Pavarin, Magnoni e anche Alessandro Dionigi, coordinatore del Pettirosso (centro di recupero per tossicodipendenti). E Magnoni, infatti, invita i medici a parlare di più coi pazienti di questo argomento. Ma anche a fare più spesso domande che riguardano l’uso di sostanze (come di fa per il fumo, l’alcol e il caffè), che possono essere la causa di patologie "molto più spesso di quanto si immagini".

 

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