Rassegna stampa 22 aprile

 

Padova: 49enne si suicida, era un "collaboratore di giustizia"

 

La Sicilia, 22 aprile 2007

 

Erano circa le 15.30 di ieri quando le campane del paese hanno rintoccato a lutto. Annunciavano la notizia della morte di Pietro Mongiovì di 49 anni, arrestato per mafia nel maggio dello scorso anno dai carabinieri nell’ambito dell’operazione "Sicania", coordinata dalla Dda. Mongiovì nella tarda mattinata di ieri si è impiccato all’interno della cella del carcere di Padova, in cui era stato trasferito da qualche mese. Collaborava con la giustizia, dopo alcuni tentennamenti aveva deciso di saltare il fosso, scegliendo di raccontare agli uomini dello Stato vita, morte e gli inesistenti "miracoli" di chi dalle sue parti mangiava pane e mafia. Le prime "cantate" del quarantanovenne pastore di professione fecero inesorabilmente scattare il trasferimento di massa della propria famiglia, rimasta a Sant’Angelo dopo l’arresto del congiunto. Troppi erano i rischi per chi, rimanendo sarebbe diventato obiettivo facile per chi avrebbe voluto vendicarsi di chissà quale contributo offerto da Mongiovì alla Giustizia.

La notizia del suo suicidio è piombata dunque in paese nel primo pomeriggio, ma in pochi erano al corrente delle motivazioni del decesso. Motivi che si lasciano alle spalle inquietanti scenari. Agli inquirenti toccherà capire. Prima di Mongiovì, qualche mese fa un altro suicidio scosse gli ambienti mafiosi e antimafiosi. Dentro una cella del carcere di Agrigento si ammazzò il racalmutese di 42 anni Roberto Di Gati, fratello di Maurizio il boss arrestato qualche giorno prima a Favara dopo 9 anni di latitanza. Storie simili, storie di persone che non hanno retto il peso di una vita da trascorrere dietro le sbarre, pensando magari con tormento a cosa hanno lasciato oltre, all’esterno.

Giustizia: Melchiorre; renderla uguale per tutti è una priorità

 

Apcom, 22 aprile 2007

 

Avere una giustizia "davvero uguale per tutti" è una priorità del governo. Lo ha sottolineato il sottosegretario alla Giustizia, Daniela Melchiorre, durante il suo intervento al congresso della Margherita.

"Come ex magistrato e rappresentante della Margherita al governo - ha spiegato - mi sono posta direttamente e con entusiasmo, nel percorso, pure irto di ostacoli, verso la realizzazione degli obiettivi prioritari dell’esecutivo, tra cui rientrano proprio giustizia, equità ed intesa, quest’ultima come criterio dominante in tutte le manifestazioni dell’ordinamento, da quello sociale a quello giuridico, fino ad arrivare, all’eccesso, ad una giustizia davvero uguale per tutti, garantendo ai cittadini un iter giudiziario che si svolga in tempi brevi e assicurando alla giurisdizione gli strumenti atti a realizzare la sicurezza".

Cassazione: obesità grave motivo incompatibilità col carcere

 

Ansa, 22 aprile 2007

 

Anche l’ obesità deve essere considerata una malattia, e se comporta un rischio per la salute, bisogna tenerne conto, anche in riferimento al regime carcerario. Infatti il detenuto troppo grasso è a rischio "patologie" e "complicazioni", e tali aspetti non possono essere ignorati, al punto di suggerire la necessità di una pena alternativa al carcere. Naturalmente questi aspetti devono essere verificati nella realtà dei fatti.

La Corte di Cassazione (prima sezione penale, sentenza n. 25114) ha quindi ha accolto il ricorso di un detenuto di 39 anni, obeso di 210 chili di peso. Il Tribunale di sorveglianza di Catania aveva negato la detenzione domiciliare in quanto a suo avviso le patologie accusate non erano "incompatibili con il regime carcerario", malgrado una relazione sanitaria che evidenziava le patologie causate dall’eccessivo peso, evidenziandone invece l’incompatibilità con il regime carcerario.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del detenuto, rinviando il caso per una revisione della sentenza, sottolineando che il tribunale aveva omesso, in maniera "non congrua", di considerare la relazione sanitaria, che spiegava come il detenuto "dato il suo peso corporeo (kg 210), le sue patologie e le sue complicazioni, rientra nella categoria dei soggetti ad alto rischio d’accidenti cerebro vascolari e che pertanto sarebbe auspicabile che lo stesso potesse godere di strumenti alternativi di pena rispetto alla detenzione" nonché la perizia medico legale, che si era pronunciata analogamente per l’incompatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime di vita carcerario.

Taranto: un detenuto domiciliare minaccia di darsi fuoco

 

Taranto Notte, 22 aprile 2007

 

Ha minacciato di darsi fuoco perché "stanco" degli arresti domiciliari. Il clamoroso gesto di protesta è stato messo in atto, stamane, dal cinquantacinquenne Nicola Di Noi che è detenuto agli arresti domiciliari per il reato di usura. "Non ce la faccio più. Sono chiuso in casa da due mesi. Mi sento solo e pretendo che sia subito risolta la mia situazione giudiziaria". Lo ha urlato Di Noi a carabinieri vigili del fuoco e sanitari del 118 che erano piombati all’esterno dello stabile in cui vive, al civico 17 di via Brindisi. L’uomo che minacciava di fare la fine del "bonzo" aveva con sé anche una bombola di gas. Una situazione drammatica che per fortuna è rientrata grazie al lungo intervento dei militari del Nucleo operativo e della Compagnia di Taranto.

Nicola Di Noi era finito agli arresti domiciliari per il reato di usura. La vicenda risale allo scorso novembre, quando una pattuglia di militari del Nucleo operativo intervenne in una via del quartiere Solito-Corvisea, in seguito alla segnalazione di una donna. Quest’ultima, convivente di un artigiano, aveva chiamato i carabinieri in quanto due persone, tra le quali Di Noi, pretendevano la consegna di 3mila euro. I carabinieri accertarono subito che si trattava di due amici di un presunto "cravattaro" che erano lì per recuperare somme di denaro che quest’ultimo aveva dato in prestito alla donna con interessi del 200%. Gli investigatori dell’Arma scoprirono che il presunto strozzino già in passato aveva richiesto, con violenza e minacce, la restituzione delle somme di danaro che aveva prestato.

La situazione di insostenibile dissesto economico in cui si trovavano le due vittime e la immediata richiesta di aiuto alla centrale operativa dei carabinieri da parte della donna, hanno permesso ai militari del Nucleo operativo di far piena luce sul giro di usura. Di Noi e gli altri due finirono agli arresti domiciliari su ordine del giudice delle indagini preliminari su richiesta della Procura . Nel corso di una perquisizione eseguita in case del presunto strozzino i carabinieri sequestrarono documenti definiti interessanti con i quali si potrebbe far luce su ulteriori prestiti a tassi usurari.

Pordenone: contro il bullismo piano di educazione alla legalità

 

Il Gazzettino, 22 aprile 2007

 

Progetti di aiuto a favore dei giovani violenti e monitoraggio nelle scuole, a partire dall’asilo

Bulli e pupe non è solo un modo scherzoso di dire, né solo una trasmissione televisiva. Il bullismo è un fenomeno che si manifesta sia al maschile che al femminile: bulli contro maschi, insomma, e pupe contro "femmine".

Un fenomeno in crescita anche nel nostro territorio e, a dimostrazione di ciò, con lo scopo di prevenire piuttosto che di curare, si è svolta ieri "Bullismo, da che parte stai": una tavola rotonda, organizzata dall’associazione Bagaglio umano in collaborazione con la Provincia, che ha visto la partecipazione di un folto pubblico di giovani: dell’Istituto Kennedy, del geometri Pertini e del liceo scientifico del Don Bosco.

Folto anche il tavolo dei relatori, che, nella sala consiglio dell’ente provinciale, ha dialogato tutta la mattina con gli studenti. Interessante anche l’esperienza diretta portata da Marco Cappelletti, ex vittima del bullismo ed ora, 21enne, autore del libro "Volevano uccidere la mia anima".

E non è un titolo "esagerato" perché, come ha detto Gabriella Dellacecca, presidente dell’associazione Sosbullismo, " scegliere liberamente di fare del male in modo ripetitivo a una persona, porta all’annullamento, all’annientamento di questa. È un vero e proprio omicidio morale". "Sono riusciti a farmi diventare uno sfigato" ha detto Cappelletti. Ma cosa significa "sfigato"? Chi lo è?

Marco ha spiegato: "sfigato è anche chi cerca di superare i propri disagi diventando violento e cattivo, per la voglia di essere al centro dell’attenzione. Lo è di più di chi subisce tacitamente". Chi subisce deve avere il coraggio di raccontare. I genitori, gli insegnanti, gli educatori non possono far finta di nulla e i ragazzi che assistono agli atteggiamenti sbagliati devono cercare di fermare i compagni che li adottano. Scuola, famiglia e giovani devono creare una squadra che, parlando, affronti ciò che scatena gli atti di bullismo.

E nemmeno il bullo va emarginato, escluso dalla società. Va compreso, seguito; anche in questo caso il dialogo è fondamentale, per non arrivare all’intervento delle forze dell’ordine o al ricorso alle vie legali. Così si sono interfacciati Erica Valsecchi, psicologa, Ezio Pasut, ex vicesindaco di Pordenone, Francesco Milanese, tutore regionale dei minori, Massimo Olivotto, dirigente della squadra mobile di Pordenone, l’avvocato Rosanna Rovere e l’educatrice Tatiana Bortolotto.

Il convegno di ieri fa parte di un’iniziativa più ampia, "Bullismo, crescere nella legalità", un percorso, ha spiegato Silvia Pasut, presidente di Bagaglio umano, "che vuole educare i giovani al sentimento della giustizia". Ma attenzione, ha detto la Valsecchi, "non dimentichiamo che il bullismo non nasce in adolescenza. Gli atti violenti partono molto prima, alle elementari, se non addirittura all’asilo". E dunque l’educazione e il monitoraggio devono partire da lì, anche nelle nostre scuole cittadine.

Pordenone: teatro-carcere con la "Compagnia della Fortezza"

 

Il Gazzettino, 22 aprile 2007

 

"I Pescecani, ovvero quel che resta di Bertolt Brecht", liberamente ispirato al teatro di Bertolt Brecht, testo e regia di Armando Punzo, con i detenuti-attori della Compagnia della Fortezza e con Stefano Cenci e Pascale Piscina e con la partecipazione de "La Banda Larga di Udine" e di Alessandro Pozzetto, diretti da Giacomo Brunetti. In scena nel Teatro Comunale "Giuseppe Verdi" di Pordenone per "Interazioni".

Quando il pubblico può accedere in sala viene accolto nel Grand Hotel del Mondo da una varia umanità (ballerini, assassini, magnaccia, barboni, puttane, travestiti, signori, ladri, ruffiani, preti, vescovi, musicisti, cabarettisti) che ben presto lo introduce in una dimensione "altra": ma è quella dello "straniamento" di Brecht o quella "spiazzante" creata da Armando Punzo con il suo quasi ventennale lavoro con i detenuti della Fortezza di Volterra, grazie al quale è nata una compagnia tanto particolare quanto di qualità?

Più il secondo che il primo, perché Punzo parte da Brecht, in qualche maniera ne recupera lo spirito e qualche contenuto, per poi proseguire su una linea propria. Allora diventa vero quanto l’autore-regista fa dire al "presentatore-provocatore" (il bravo Stefano Cenci): "Tutto è già stato detto. Brecht va tradito. Dal tradimento della forma può rinascere la vita". In questo caso rinasce il teatro, rinasce la drammaturgia, rinasce la storia stessa di uomini che pur avendo sbagliato hanno forse trovato, grazie al teatro, una via diversa per il loro futuro (ma questo è un altro discorso, legato all’esperienza di Volterra).

Alla base c’è l’Opera da tre soldi, che Brecht visse come un fallimento delle proprie idee perché rifiutata dal proletariato e accettata da quella borghesia che egli voleva colpire. Ecco qualche dialogo e le musiche di Kurt Weill, ma ecco anche le contaminazioni con altri autori e con altre musiche. Il tutto condotto fra ammiccamenti, paillettes, can-can indiavolati e passerelle fra il pubblico (immerso in una luce rossa), mentre sul palco gli attori - con non poca autoironia e in bilico fra cabaret e avanspettacolo - consumano adescamenti, danze lascive, sesso. La conclusione che Punzo ci propone è un grido di denuncia contro arroganza, ingiustizie, prevaricazioni, sete di denaro e di potere tipica dei "pescecani" che, in fondo, siamo un po’ tutti noi. Applausi cordialissimi.

Droghe: c’è chi vorrebbe sterminare tutti i tossicodipendenti

 

Notiziario Aduc, 22 aprile 2007

 

Anche se possiamo immaginarci di cosa si trattava, conoscendo il livore che Alleanza Nazionale riserva a tutte le iniziative di riduzione del danno che non siano puramente repressive, abbiamo preso visione dell’opuscolo sulle droghe al centro delle polemiche in Emilia Romagna prima di esprimere un giudizio.

Ebbene, questo opuscolo (pubblicato tre anni fa, quando il furore repressivo di An evidentemente non aveva ancora raggiunto livelli così alti) spiega semplicemente come ridurre il danno cagionato alla salute da uso di sostanze stupefacenti. Insomma, l’impostazione del tutto logica e doverosa dell’opuscolo è questa: non ti drogare, ma se proprio vuoi farlo cerca almeno di farti il minor male possibile.

Dalla reazione sproporzionata di Alleanza nazionale, ma anche del cattolico moderato Carlo Giovanardi, si evince quanto disprezzo si nutra nei confronti di chi usa stupefacenti. O smetti o muori! Questo dimostra come la politica proibizionista non sia mirata a salvare i ragazzi che si drogano, ma ad annientarli. Non a caso, in Paesi dove il tossicodipendente è al centro della politica sulle droghe (Olanda, Spagna, Germania, etc.), non solo si pubblicano opuscoli come questo, ma si offrono servizi medici per garantire il minor danno possibile: supervisione medica dell’assunzione di stupefacenti, laboratori itineranti per analizzare la nocività delle droghe illegali prima che vengano assunte, e così via.

Se Alleanza Nazionale fosse davvero coerente con se stessa, dovrebbe chiedere direttamente la fucilazione dei drogati, invece di imporre politiche irrazionali e moralistiche che servono solo a sterminarli lentamente.

Iran: impiccati quattro uomini, la condanna per traffico di droga

 

Notiziario Aduc, 22 aprile 2007

 

Quattro iraniani riconosciuti colpevoli di traffico di droga sono stati impiccati nelle province di Sistan-Baluchistan (sud-est) e di Hormuzgan (sud). Lo hanno annunciato i media iraniani. Ghader Radsar è stato giustiziato nella prigione di Zahedan, capitale del Sistan-Baluchistan, perché colpevole di aver trasportato 12 chili di eroina, secondo il giornale Kayhan.

Einollah G., Abdolrahman N. e Abolhasan Sh. sono stati impiccati invece oggi pubblicamente a Bandar-Abbas, capitale della provincia Hormuzgan, riferisce l’agenzia di stampa Isna. Einollah G. è stato riconosciuto colpevole del traffico di 90 chili di oppio, gli altri due del trasporto rispettivamente di quattro e cinque chili di eroina. Con queste ultime impiccagioni, sale almeno a 46 il numero delle persone giustiziate in Iran dall’inizio dell’anno. Nel 2006 erano state impiccate 154 persone nella Repubblica islamica. Tradimento, spionaggio, omicidio, traffico di droga, stupro, sodomia, adulterio, prostituzione e apostasia sono reati passibili della pena di morte in Iran.

 

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