Rassegna stampa 17 agosto

 

Giustizia: ministro Amato; "tolleranza zero", come Rudy Giuliani

 

Comunicato Ministero Interno, 17 agosto 2007

 

Amato: "la nostra direttrice futura sarà la lotta alla illegalità a 360 gradi: adotteremo quella che si chiama la dottrina Giuliani".

Un ferragosto all’insegna dell’operatività per il Ministro dell’Interno Amato che, nell’ormai tradizionale incontro estivo, alle ore 9.30 ha accolto e salutato, nel piazzale del Viminale, alcuni rappresentanti della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia Penitenziaria, del Corpo Forestale dello Stato, dei Vigili del Fuoco, della Protezione Civile, delle Capitanerie di Porto e della Polizia Municipale di Roma. Donne e uomini che, anche in giornate come questa, sono operativi sul territorio a garanzia della sicurezza di cittadini e turisti.

Accompagnato dal viceministro Marco Minniti, dal sottosegretario Ettore Rosato e dal Capo della Polizia Antonio Manganelli, al Ministro, che si è soffermato a parlare con le rappresentanze dell’Ordine schierate, sono stati presentati gli uomini e i mezzi che quotidianamente vengono impiegati in servizi di vigilanza e controllo. Più prolungato è stato l’incontro con il personale del Corpo Forestale dello Stato, dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile chiamati, in un estate particolarmente calda, a continui interventi per fronteggiare la delicata situazione di emergenza incendi che ha interessato tutta l’Italia.

Presenti anche il Vicecapo della Polizia Luigi De Sena, il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Gianfrancesco Siazzu, il comandante generale della Guardia di finanza Cosimo D’Arrigo e i vertici dei Servizi di intelligence.

Principalmente incentrato sulla volontà di esprimere apprezzamento e vicinanza all’operato delle Forze dell’Ordine, quest’anno il Ministro dell’Interno Amato ha voluto approfittare dell’incontro per ribadire l’impegno dello Stato nella lotta contro il terrorismo esterno ed interno. Ne è dimostrazione la convocazione della riunione straordinaria del C.A.S.A., il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, un tavolo permanente tra polizia giudiziaria e servizi di intelligence e strumento fondamentale, a livello nazionale, di condivisione e valutazione delle informazioni relative alla minaccia terroristica interna ed internazionale. La riunione, iniziata immediatamente dopo quella del Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, è stata l’occasione per il Ministro Amato per complimentarsi personalmente con i quattro dirigenti e ufficiali delle Forze dell’ordine impegnati di recente in operazioni antiterrorismo, come quella che ha portato all’identificazione e all’arresto di una cellula jihadista vicino a Perugia.

Nell’incontro con la stampa, avvenuto al termine delle riunioni dei due Comitati, il Ministro dell’Interno, presentando ai giornalisti alcuni dati "concreti" sulla sicurezza relativi all’anno in corso, ha voluto ricordare prioritariamente cosa essi rappresentino, e cioè un "lavoro costante svolto dalle Forze dell’ordine, degli alti ufficiali e funzionari, delle migliaia di uomini e donne che ogni giorno ed ogni notte lavorano per la nostra sicurezza".

Un primo accenno è stato fatto dal Ministro sugli interventi già adottati per fronteggiare le problematiche connesse alla sicurezza stradale. "In Italia, quest’anno, abbiamo fatto controlli su chi giuda in stato di ebbrezza e su chi giuda in condizioni di tossicodipendenza più del doppio dei controlli dall’anno scorso". E, precisamente, "265.000 i controlli, oltre 18.000 persone sono state prese mentre guidavano in stato di ebbrezza, 1.400 mentre guidavano sotto effetto di stupefacenti, 46.000 patenti sono state ritirate".

Ritornando, poi, all’operato delle forze dell’Ordine ha aggiunto che sono state impiegate "10.000 pattuglie, migliaia e migliaia di uomini e di donne della Polizia e dei Carabinieri che passano le notti attorno alle discoteche e che fanno questi controlli".

Sul terrorismo internazionale, e con particolare riferimento agli arresti effettuati della cellula jihadista vicino a Perugia, il Ministro ha precisato che questi "sono parte di un’operazione che ha portato, sempre nei primi mesi del 2007, a controllare 2600 luoghi di aggregazione islamica" tra Moschee, call center e macellerie, spiegando come quest’ultime, soprattutto per ragioni rituali, siano un luogo significativo di incontro per il mondo islamico.

Per quanto riguarda i dati sull’immigrazione illegale, ringraziando il delicato e particolare lavoro di controllo svolto dalle Capitanerie di Porto e della Guardia di Finanza, il Ministro ha mostrato come si sia registrata una diminuzione sensibile del numero degli sbarchi.

Netta, in particolare, la flessione che si è registrata nei primi sette mesi del 2007 rispetto allo stesso periodo del 2006, con un calo di oltre il 30%. Un richiamo, in tal senso, è stato fatto alla necessità che il Governo libico stringa al più presto gli accordi che stavano maturando con l’Italia per accentuare il pattugliamento e portarlo in prossimità delle coste. "In ogni caso" ha aggiunto il Ministro "i clandestini che arrivano, quando c’è un accordo di riammissione, tornano nel loro Paese. C’è sempre rumore quando attracca una barca con 200 clandestini. c’è n’è molto meno quando gli stessi 200 clandestini in tre voli diversi vengono riportati nel Paese d’origine".

A proposito del lavoro futuro e delle azioni di contrasto alla varie forme di criminalità che verranno poste in essere, il Ministro dell’Interno Amato ha dichiarato che "la nostra direttrice sarà quella di lotta alla illegalità a 360 gradi. Adotteremo quella che, nel mondo della lotta alla criminalità, si chiama la dottrina Giuliani. Combattere la piccola illegalità è comunque propedeutico e a volte strumentale a combattere la grande".

Giustizia: prefetti a confronto, per combattere usura e racket

 

Ago Press, 17 agosto 2007

 

Stabilire una linea d’azione comune per combattere l’usura e il racket. Questo l’obiettivo delle conferenze interregionali dei prefetti che si terranno il prossimo autunno, presso le sedi delle prefetture di Venezia, Milano, Roma, Napoli, Palermo e Cagliari.

Queste saranno presiedute, dal sottosegretario all’Interno, Ettore Rosato, con la partecipazione del commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, prefetto Raffaele Lauro. "Nello specifico, verrà monitorata l’attività operativa dei "Minipool antiracket e antiusura", istituiti recentemente, ed esaminato il riepilogo delle richieste, in fase istruttoria, che sono state gestite presso ciascuna prefettura - si legge nel comunicato del ministero dell’Interno -.

Per quanto riguarda l’accordo-quadro ministero dell’Interno, Banca d’Italia, Abi ed altri sulla prevenzione del fenomeno ed il sostegno, sottoscritto al Viminale lo scorso 31 luglio alla presenza del ministro Amato, saranno tra i punti all’ordine del giorno delle conferenze l’operatività delle misure introdotte nell’intesa e le competenze dell’osservatorio". Tra i suoi obiettivi primari, la verifica applicativa dell’accordo stesso e il monitoraggio. Nelle riunioni sarà trattato anche lo stato della collaborazione tra prefetture ed autorità giudiziaria, prevista da una circolare del capo dipartimento degli Affari di giustizia del ministero della Giustizia del 21 giugno 2007.

Giustizia: l’ex pm Colombo; non c’è una cultura della legalità

 

Il Gazzettino, 17 agosto 2007

 

Chi crede, o fa credere, che il sistema delle tangenti sia morto per sempre è un vero illusionista. Tangentopoli ha portato a galla un cancro che ormai era diventato metastasi di regime in ogni luogo: dalla sanità alle costruzioni, dalla giustizia ai parlamentari, dai trasporti alle forze dell’ordine. Gli appalti con tangenti erano la regola non scritta di una prassi deviata che Tangentopoli certamente non ha archiviato.

Questo significa che la moda delle tangenti continua anche oggi, soprattutto per quelle grandi opere dove sono tirati in ballo fior fior di quattrini belli e profumati. Inutile elencarli, ma il pensiero si aggancia immediatamente alla Tav, per quanto attiene il nostro territorio. Stuzzicato da uno dei tanti interventi che hanno seguito l’incontro con un ex pm di Mani Pulite, Gherardo Colombo - invitato dal Lab di Gemona (Laboratorio internazionale della comunicazione) che ieri sera ha chiuso i battenti con il conferimento degli attestati - ha lasciato intravedere la longa manus di certi affari dietro la realizzazioni anche dell’Alta velocità. Ha calibrato bene le parole, evitando di essere imputabile, ma la sostanza colta dai presenti si percepiva chiaramente.

Un quesito (retorico) su tutti: "Vi siete chiesti come mai queste infrastrutture costino così tanto?", ha rivolto la domanda nella sala della Comunità montana. E poi un esempio calzante, giusto per ribadire il concetto: "La metropolitana di Parigi era arrivata a costare circa 80 miliardi di vecchie lire al chilometro, poi, dopo gli interventi dei togati e di chi voleva vederci chiaro dietro costi elevati, quel denaro si è dimezzato....". Alla fine, a perderci, sono sempre i cittadini: "Le tangenti danneggiano voi, cittadini su cui ricadono le spese e su cui si rifanno corrotti e corruttibili".

Si dovrebbe aprire un nuovo capitolo sulla Tangentopoli del 2000? Non sarebbe una cattiva idea, ma ormai l’ex pm di Mani Pulite, da due anni entrato in Corte di Cassazione, pensa ad educare le persone sul senso di giustizia, scrive libri, fa le pulci a un sistema che ancora non funziona come dovrebbe. Quale? Neanche a dirlo: la giustizia. "Tanti reati legati a Tangentopoli sono caduti in prescrizione, altri non sono più reati in quanto sono stati derubricati, insomma molte persone che dovevano essere punite si trovano in libertà e senza macchia". Se ancora oggi le tangenti vengono pagate, le grandi opere sono minacciate dall’ombra di bustarelle e simili, tutto questo avviene a causa del pessimo rapporto, secondo Colombo, fra i cittadini e le regole.

Non poteva mancare un excursus sul passato che dovrebbe essere ri-analizzato per capire il presente ed evitare le aberrazioni di mala o non giustizia: "Penso alle indagini depistate su Piazza Fontana - elenca l’ex Mani Pulite - penso al rallentamento sulle indagini relative alla P2 a causa degli intralci provocati da Roma, o meglio dalla presidenza del Consiglio dei ministri".

Va giù pesante Colombo e punta il dito contro i responsabili del ritardo delle investigazioni: "Se le indagini sulla P2 non fossero arrivate sul tavolo romano - ribadisce l’ex pm - sono sicuro che lo scandalo Tangentopoli sarebbe scoppiato dieci anni prima". Nessun campo era escluso dalla malattia interna: "Solo chi pagava la tangente poteva vincere gli appalti, anche in sanità, e purtroppo questa pratica consolidata non risparmiava neppure l’amministrazione delle giustizia: si è visto che anche i magistrati finivano nella rete della corruzione".

Giustizia: ex pm Vigna; ubriachi al volante? arresto in flagranza

 

Il Messaggero, 17 agosto 2007

 

Quattro domande all'ex Procuratore Nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna.

 

Ubriachi e drogati al volante che provocano incidenti mortali: non c’è rimedio?

"No, i rimedi ci sono. Ma vorrei osservare che questo bollettino di guerra rientra un po’ nella

generale cultura della illegalità che si è propagata in Italia e nella cultura che anche noi coltiviamo della insicurezza. Come si è visto l’insicurezza ha raggiunto anche i giocattoli, pericolosi per i bambini. Bisogna considerare poi che nell’omicidio colposo c’è sempre una persona, una vita umana stroncata. Quando io ero alla Procura di Firenze, soprattutto nelle ipotesi dove la negligenza, l’imperizia, l’imprudenza, la violazione delle norme fosse grave, disponevo la cattura del presunto responsabile. Nei casi in cui c’è una vita di mezzo penso che la custodia cautelare possa avere anche un valore esemplare".

 

Sì, ma per quanto tempo?

"Beh, intanto finché non si sono completati gli accertamenti. Io penso che soprattutto se la persona possa rendersi irreperibile, se abbia manifestato gravi negligenze, debba subire subito una sorta di sanzione anticipata. Naturalmente dopo ci sarà il giudizio".

 

Oggi pure in caso di incidente mortale il conducente può sottrarsi al test alcolemico: è giusto?

"Guardi, tutto cominciò con la Madonna di Civitavecchia che si sosteneva lacrimasse. Quando il giudice decise di fare una perizia con il prelievo coattivo della sostanza ematica a una persona, questi si rivolse alla Corte Costituzionale che rilevò una carenza nel nostro codice di procedura penale. Disse che il prelievo coattivo era una limitazione della libertà personale possibile, ma la legge non ne prevedeva i modi di attuazione. Questo varco è rimasto aperto da allora, benché il ministro dell’epoca, Flick, tempestivamente, predisponesse un ddl per colmarlo, il vincolo della incoercibilità non è stato superato. È evidente che bisogna farlo e subito".

 

Le pene per questo reato sono adeguate?

"Verosimilmente le sanzioni dovrebbero essere aumentate, perché altrimenti a forza di sospensioni condizionali, qualcuno potrebbe fruirne anche due volte. E poi noi magistrati siamo più portati verso il basso che verso l’alto delle sanzioni e tra patteggiamenti, giudizi abbreviati con riduzioni di pene... sicuramente non bisogna dimenticare che c’è di mezzo una vita umana. E per proteggere la vita, come vuole la Costituzione all’art. 2, occorre aumentare la pena per l’omicidio colposo almeno nel minimo".

Genova: 76 anni, arrestata per furto di 70 cent di cioccolato

 

Il Giornale, 17 agosto 2007

 

Golosissima. Quindi la possibile reiterazione del reato ci sta tutta. La cioccolata, specie a portata di bocca, con lei dura poco. Ecco che il problema dell’inquinamento delle prove diventa concreto. Pericolo di fuga? Beh, sì, a 76 anni non sarà più una velocista, ma vatti a fidare di una nonnina che sembra voler pagare la spesa e poi allunga le mani per arraffare di nascosto tre barrette simil-kinder di nascosto dalla cassiera. Quindi chissà cosa è capace di fare per sfuggire alla giustizia. Gli indizi? Macché, ci sono anche le prove. Più che una pistola fumante sarà una cioccolata fondente, ma va bene lo stesso. La rea è stata colta in flagrante. Come si fa a non sbatterla dentro? La legge è legge.

E così due notti in gattabuia non gliele ha tolte nessuno. In carcere a Pontedecimo, a riflettere su quello che aveva fatto. La nonnina terribile, milanese di Bollate in vacanza, aveva fatto la spesa al supermercato Eurospin di San Bartolomeo al Mare e con il marito aveva pagato tutto alla cassa. Ma tant’è, mentre lui infilava gli acquisti nelle buste di plastica, lei allungava la mano sullo scaffale per arrotondare il dessert. Nello scontrino appena battuto sperava non venissero aggiunte quelle tre barrette di cioccolata. Ben settanta centesimi di valore.

E siccome la cassiera se n’era accorta, la nonnina in formato Mrs. Hyde aveva persino difeso con le unghie la sua preda. Che non si tratti neppure di un modo di dire lo dimostrano i graffi sulle mani della dipendente. Insomma, i carabinieri chiamati d’urgenza, non avevano potuto far altro che mettere dentro la pericolosa criminale, che sperava di farla franca vantando la sua fedina penale immacolata.

Ieri il giudice se l’è trovata davanti in aula. Incensurata o no, l’ha messa alle strette. Così la pensionata, su suggerimento dei suoi legali Mario Leone e Paola Letteri, ha patteggiato una condanna a un anno e due mesi. Il fatto di essere incensurata, gli è valsa almeno la condizionale. Così è già fuori. Ma la giustizia ha dimostrato che i criminali li sa mettere in galera quando ci sono le prove.

Brescia: l’effetto indulto è già sfumato, il carcere è pieno

 

Giornale di Brescia, 17 agosto 2007

 

Il primo agosto dello scorso anno le porte del carcere di Canton Mombello si erano spalancate per rimettere in libertà 157 persone sui 485 detenuti (266 imputati, 219 condannati di cui 32 ammessi alle misure alternative). L’indulto aveva svuotato anche il carcere di Verziano: in libertà erano tornati 65 detenuti. In totale, dunque dalle carceri bresciane erano state liberate 222 persone.

Ma in dodici mesi le porte delle carceri si sono nuovamente riaperte, più in entrata che in uscita. In Lombardia l’indulto aveva fatto scendere la popolazione carceraria da quasi 9mila a 5.600 detenuti, oggi sono state superate le 7.000 unità. Va precisato che i detenuti si sono alternati, che in carcere non è tornato solo ed esclusivamente chi era stato liberato con l’indulto.

I benefici dell’indulto sono durati ben poco. A poco più di un anno dall’applicazione del provvedimento le carceri sono nuovamente sovraffollate. Nella casa circondariale di Canton Mombello i detenuti hanno già superato quota 350, sforando abbondantemente il tetto imposto dal ministero: la capienza regolamentare è di 206 detenuti che può spingersi fino a un massimo tollerabile di 298 unità. Ci sono quindi più di cinquanta detenuti "di troppo".

"Dopo un anno siamo di nuovo in piena emergenza" è il commento lapidario di Mario Fappani, garante per i diritti dei detenuti. "Il problema di Canton Mombello - prosegue Fappani - è il sovraffollamento e il carcere non è adeguato, perchè si tratta di una struttura vecchia, nonostante gli interventi di manutenzione. È assurdo che continui ad esistere un carcere di questo tipo, ma anche nell’ultima Finanziaria non sono stati trovati i fondi necessari". A trecentottanta giorni dall’ultimo provvedimento di indulto approvato dal Parlamento, la situazione del carcere bresciano è ancora in emergenza.

È sempre Fappani a fare chiarezza e a precisare che la normale recidiva, che si calcola in sette anni, si attesta attorno al 70 per cento. In sostanza torna a delinquere all’incirca il 70 per cento di chi è già stato in carcere. Mentre la recidività calcolata a livello nazionale dal Ministero per chi è uscito con l’indulto si attesta sull’11 per cento. In sostanza, dei 222 detenuti tornati in libertà lo scorso primo agosto, solo poco più di venti sono ritornati o a Canton Mombello o a Verziano. Il carcere cittadino non è sovraffollato a causa dell’indulto, ma per nuovi detenuti.

Il garante per i diritti dei detenuti ci tiene a precisare che la recidività dei detenuti si riduce vistosamente in presenza di misure alternative. "Per chi ottiene misure alternative - conclude Fappani - la recidiva si attesta sotto il 20 per cento. L’opinione pubblica si scandalizza molto quando capita che una persona agli arresti domiciliari commette qualche reato, ma è un’eventualità molto rara". Per svuotare le carceri, insomma, l’indulto non basta, ma la ricetta giusta sta nelle misure alternative alla detenzione.

Livorno: bimbi rom morti; torna l'ipotesi dell'assalto razzista

 

La Repubblica, 17 agosto 2007

 

Un agguato a sfondo razzista. La tesi dei genitori dei quattro bambini rom morti sabato notte nel rogo della baracca sotto il cavalcavia. Quella alla quale i magistrati, nelle ore immediatamente successive alla tragedia, non avevano voluto credere. Padre e madre dei piccoli sono finiti in carcere ma adesso dalla Procura filtrano indiscrezioni che potrebbero portare presto a una svolta nelle indagini.

La versione che gli adulti scampati alle fiamme hanno dato poche ore dopo il rogo - "ci hanno assaltato gridando in italiano stronzi, fuoco, dovete morire" - viene infatti ritenuta credibile dal gip Rinaldo Merani e per le due coppie di genitori fermate sabato dal pm Antonio Giaconi con l’accusa di incendio colposo e di abbandono di minori e incapaci seguito da morte si potrebbero riaprire le porte del carcere. Il giudice deciderà questa mattina.

Il colpo di scena nell’inchiesta è arrivato al termine di una giornata lunghissima, durante la quale i presunti genitori di una delle bambine morte hanno negato di esserlo, indicando come genitori un’altra coppia, che però nega. L’udienza di convalida è cominciata alle 9,30 nel carcere delle Sughere. È finita soltanto poco prima delle 21. "Io mi inchino come sempre di fronte alle decisioni del tribunale", ha dichiarato il pm Giaconi, che rimane ancora dubbioso di fronte alle tesi dell’agguato sul quale "non abbiamo trovato sinora alcun elemento".

La svolta nell’inchiesta ha sollevato gli animi dei familiari dei bambini morti, assistiti per tutto il giorno dai volontari dell’associazione "Africa insieme", che hanno atteso la conclusione dell’udienza nello squallido piazzale antistante il carcere. Sono stati raggiunti da parenti arrivati da altre città e da rappresentanti di varie comunità rom, che hanno voluto manifestare la loro solidarietà. Fra loro Dzevan Etem, un rom oggi perfettamente integrato dopo anni di sofferenze, che oggi è presidente della associazione delle comunità europee dei rom: "Sentiamo come se avessimo perso i bimbi nostri. Anche noi per anni abbiamo vissuto sotto un cavalcavia senza alcuna assistenza e il nostro cammino di integrazione non è stato disseminato di petali di rose. In passato ho lasciato i miei figli per fare l’elemosina o per raccogliere ferro. Ma noi amiamo i nostri figli". Etem si è fatto raccontare in tutti i dettagli ciò che è avvenuto nella terribile notte di venerdì e anche lui si è convinto che c’è stato un assalto al misero agglomerato di baracche. "Contro i rom ci sono troppi pregiudizi".

In serata ai familiari estenuati dall’attesa raccolti attorno a Maria, 15 anni, la sorella più grande di Eva, Danchiu e Menii, tre dei bambini periti nell’incendio, è arrivata anche la solidarietà dei detenuti, che hanno agitato lenzuola bianche alle finestre gridando: "Ci dispiace per i bambini".

E intanto sulla vicenda interviene il Consiglio d’Europa: "L’Italia deve fare di più per integrarli - afferma il vicesegretario generale Maud de Boer-Buquicchio, in una nota - Quando un bambino Rom muore a causa delle deplorevoli condizioni di vita - scrive de Boer-Buquicchio nel comunicato - responsabile è l’intera società, non solo i genitori".

Per questo, afferma ancora il vicesegretario generale, "invito le autorità italiane, sia a livello locale, sia nazionale, in coordinamento tra loro, di compiere i passi necessari verso l’integrazione dei Rom adottando piani d’azione globali, incluso campagne di informazione pubbliche per combattere la discriminazione e i pregiudizi profondamente radicati contro i Rom. Vi è un grande bisogno che la gente comprenda chi sono i Rom, e, soprattutto, che cosa non sono".

De Boer Buquicchio nella nota ricorda la campagna del Consiglio d’Europa "Dosta" (Basta!) lanciata in cinque paesi dei Balcani Occidentali nel 2006, che sarà estesa in almeno altri sette paesi nel 2008. Una campagna dalla quale, conclude la nota, "le democrazie solide come l’Italia hanno molto da imparare".

Droghe: i Radicali bocciano la relazione del ministro Ferrero

 

Notiziario Aduc, 17 agosto 2007

 

I Radicali Italiani bocciano la Relazione 2006 al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, presentata dal ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero. I Radicali accusano "governo e Parlamento di immobilità totale. Ad un anno di distanza -ha spiegato Maurizio Turco, parlamentare della Rosa nel Pugno- non abbiamo fatto alcun passo in avanti".

Nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio, a cui hanno preso parte il segretario Rita Bernardini, i deputati Rnp Turco e Bruno Mellano, Carla Rossi (rappresentante del Parlamento europeo nel consiglio d’amministrazione dell’Osservatorio europeo sulle droghe e tossicodipendenze di Lisbona), i Radicali hanno messo sotto accusa il rapporto 2006 che presenta "molte ombre e poche luci": non viene infatti affrontato il problema delle "nuove droghe" e i dati dell’indagine "non sono rappresentativi". "Siamo consapevoli e convinti -ha aggiunto Turco- che la legge Fini-Giovanardi, e cioè la politica proibizionista, è criminogena e genera illegalità". Servirebbe, prosegue Turco, "una campagna d’informazione sulle nuove sostanze".

Bruno Mellano ha puntato il dito sulla realtà carceraria: "Bisognerebbe utilizzare il periodo di detenzione per aiutare i tossicodipendenti ad uscire dalla droga, costruendo un percorso di aggancio al Sert", e questo è possibile "garantendo l’utilizzo nelle carceri del metadone". Per il segretario dei Radicali Italiani, Rita Bernardini, il problema più grande "è quello della giustizia italiana, particolarmente mite con chi ha una posizione sociale agiata, e particolarmente feroce con chi non può pagarsi un avvocato".

 

Bernardini: riciclaggio da droghe nei locali intorno alla Camera?

 

"Io ho l’impressione che ci sia un grande riciclaggio di denaro che deriva dal mercato illegale delle sostanze stupefacenti, di guadagni che provengono dal proibizionismo, proprio intorno ai palazzi della politica". la denuncia viene dalla segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, che specifica di parlare a titolo personale ("è una mia impressione, me ne assumo le responsabilità"), che si tratta di una osservazione sulla quale non tutto il partito è d’accordo. In ogni caso, durante una conferenza stampa alla Camera sulla relazione al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze, la segretaria radicale osserva: "Rilevo che la lingua parlata sempre più nei locali e nei bar intorno a questi palazzi è il napoletano".

"Si tratta di ingressi recenti con la spesa di centinaia di migliaia di euro in ristrutturazioni". "Provate a fare un giro - è il suo invito - nella zona di Sant’Eustachio o a Largo Argentina: sono stati rilevati molti locali, non so se dalla camorra. A me la cosa da cittadina insospettisce e perché non insospettisce anche i magistrati? Perché le forze dell’ordine non fanno delle indagini? Sicuramente questi forti guadagni sono frutto del proibizionismo che c’è da queste parti e ho l’impressione che ci sia un grande riciclaggio proprio intorno ai palazzi della politica. È una mia impressione, ripeto, e me ne assumo la responsabilità".

Droghe: "don Pierino Spa", ecco il patrimonio di don Gelmini

 

L’Espresso, 17 agosto 2007

 

Ben 164 sedi in Italia, 74 nel mondo. E poi terreni, pascoli, casali, appartamenti. Ecco il patrimonio del prete sotto accusa. Ma il bilancio resta un mistero.

Quando il cardinale Francesco Marchisano gli ha chiesto di dimettersi, imitando il leader dei Legionari di Cristo, per difendersi dall’accusa di molestare i suoi ragazzi, don Pierino ha risposto: "Giammai. Io non guido un’associazione religiosa, ma laica". Don Pierino ha ragione. La Comunità Incontro è un’associazione privata. Nessuno può mettere bocca sulle sue 164 sedi italiane e nemmeno sulle 74 residenze estere. Ancora più difficile vedere i suoi conti. La comunità per legge stila un bilancio ogni anno, ma sono in pochi ad averlo visto. A chi chiede lumi replicano: "Non parliamo con la stampa". Scelta comprensibile in questo momento delicato, con don Gelmini indagato dai pm di Terni per abusi sessuali sui giovani ricoverati.

Ma la trasparenza amministrativa non è mai stata una priorità della comunità. Sul sito Internet non c’è traccia del bilancio. Bisogna andare alla Camera di commercio a Roma per scoprire che la Comunità Incontro, organizzazione non lucrativa a fini sociali, è presieduta da una sconosciuta: Umbertina Valeria Mosso, avvocato di 86 anni. Il comitato direttivo è composto dalle persone più vicine a don Pierino, come Claudio Legramanti e Claudio Previtali e dal "don", che è il segretario generale, ma con ampi poteri di gestione. Il patrimonio è in gran parte composto da terreni e fabbricati rurali. Una vecchia passione. Già nel 1965, un anno prima di darsi ai tossicodipendenti, il sacerdote aveva comprato la splendida tenuta di Caviggiolo con tanto di maniero e riserva di caccia a Barberino del Mugello, sull’Appennino toscano. I giornali dell’epoca raccontano che gli assegni per 200 milioni di lire (del 1965) consegnati alla Società Idrocarburi per l’acquisto, erano scoperti e il tribunale inflisse tre mesi di galera a don Pierino. Oggi quel possedimento è di Alfio Marchini, ma la comunità vanta tenute che non hanno nulla da invidiarle.

La prima pietra sulla quale Gelmini ha costruito l’impero è Amelia. In questo borgo in provincia di Terni, nel 1979, dopo una serie di disavventure economiche e penali, Piero Gelmini adocchiò un frantoio abbandonato, il Mulino Silla, e ne fece la sede della sua nuova attività. Il comune concesse di buon grado il rudere in comodato d’uso, ma presto i rapporti si guastarono. Amelia, 11 mila abitanti, era guidata dall’ex leader della Cgil Luciano Lama e le personalità forti del sindaco e del prete-imprenditore diedero vita a una riedizione di Peppone e don Camillo. Erano gli anni del boom delle comunità e don Pierino non badava troppo al codice urbanistico.

I piccoli casali abbandonati diventavano imponenti ostelli. Mensa, campo di calcio, sotterranei, tutti edificati a fin di bene, ma tutti abusivi, furono immediatamente segnalati da Lama alla Procura. Alla fine tutto fu sanato, grazie anche ai socialisti della giunta. Intanto la comunità cresceva al ritmo di 12 mila presenze annuali. Oltre al comodato sul mulino (dovrebbe scadere nel 2018) la Comunità ha acquistato nella provincia di Terni boschi, uliveti, vigneti e pascoli per una ventina di ettari, più fabbricati sparsi tra Cenciolello, Porchiano e la strada di Orvieto per una settantina di vani.

All’inizio degli anni Novanta don Pierino comprò il convento di Santa Monica, nel pieno centro della città, pagandolo 600 milioni di vecchie lire. Il sindaco Lama insorse e la cittadinanza raccolse 4 mila firme contro l’apertura di un albergo nel centro. "Ma quale albergo", replicò offeso il don, "ci metterò dieci suore di clausura". Nel 2003 la comunità cede il convento a una società privata amministrata dal commercialista della curia di Terni e partecipata da una famiglia che fabbrica ascensori. E l’albergo?

Sarà realizzato, insieme a una chiesa e a un po’ di appartamenti per il comune. Ma non da don Gelmini, bensì da una società romana che ha rilevato l’immobile pochi mesi fa. Lo stop del Santa Monica spinge don Gelmini fuori dall’Umbria, una regione rossa dalla quale non si sente amato. Anche il centro odontoiatrico che sta per aprire ad Amelia, grazie a un celebre volontario della comunità, l’ex ministro Francesco De Lorenzo, non è stato finanziato dalla Regione.

Negli anni Novanta don Pierino medita di spostare la capitale del suo impero in Emilia Romagna, sull’Appennino tra Casola Valsenio e Castel del Rio. La Onlus rileva 400 ettari e una serie di casali sparsi tra le provincie di Ravenna e Bologna. L’immensa tenuta era di una cooperativa che aveva tentato l’attività agrituristica senza successo.

Attraverso la cooperativa Terra Nostra, il braccio imprenditoriale della comunità, don Gelmini ottiene anche un finanziamento Ue per realizzare uno stabilimento zootecnico per 130 pecore e 80 mucche. Il progetto però fallisce. Gran parte dei casali sono abbandonati, gli ospiti oggi non arrivano alla decina ed è in corso una trattativa per svendere tutto a poco meno di un milione di euro. A Roma la comunità possiede anche un appartamento in via delle Milizie, mentre in provincia di Bergamo, ad Ardesio, ha acquistato nel 1989 una ventina di terreni per 25 mila metri quadrati.

Da dove arrivano i soldi per comprare? Lo Stato non è mai stato troppo generoso. Il fondo nazionale per la lotta alla droga ha pagato solo 277 mila euro nel dicembre del 2001. Qualche regione stanzia contributi per progetti specifici, come il Lazio, che lo scorso anno ha pagato 35 mila euro. Gli introiti più importanti arrivano dalle rette per i tossicodipendenti ricoverati. Le convenzioni variano a seconda della regione e le tariffe oscillano tra i 34 e i 50 euro al giorno, a seconda della diagnosi e del trattamento. Con punte di 130 euro per i soggetti a "doppia diagnosi", cioè i malati di mente tossicodipendenti. Il mutamento dello scenario delle tossicodipendenze fa però facendo diminuire le presenze. I nuovi drogati da ecstasy e coca preferiscono i servizi ambulatoriali. Mentre gli eroinomani, che possono restare in comunità fino a due anni, sono in calo netto e costante.

Negli ultimi due anni intere regioni come Calabria e Umbria, e Asl come quelle di Varese e Bergamo, e della città di Milano, non hanno inviato nemmeno un assistito alla comunità di don Pierino. Restano i tossici cronici: ragazzi ospitati a spese delle famiglie che pagano circa 300 euro al mese e i detenuti.

Nel 2006 sono stati 2 mila e 750 quelli che hanno scontato la pena in comunità. Complessivamente il ministero della Giustizia ha pagato per loro 93 mila e 600 euro. Ma il vero benefattore si chiama Silvio Berlusconi: nel 2005 ha donato 10 miliardi di vecchie lire per alcuni interventi in Thailandia e poi altri 450 mila euro per l’emergenza Tsunami, stavolta mediante le sue holding.

Germania: 6 morti, una strage della ‘ndrangheta calabrese

 

Apcom, 17 agosto 2007

 

La strage di Duisburg riaccende la faida di San Luca e probabilmente scompagina gli equilibri negli assetti interni della ‘ndrangheta calabrese. L’azione di fuoco, costata la vita a sei persone, ha tutti i crismi dell’esecuzione mafiosa, e per potenza "militare" non ha precedenti nella storia delle cosche calabresi. Un eccidio in qualche modo annunciato che ricorda i film della mafia di Al Capone e che presenta ancora aspetti non chiari. Non è ancora chiaro, ad esempio, dalle notizie trapelate da ambienti investigativi qual è il sodalizio che ha dato il via libera ai killer che sono entrati in azione in Germania.

Chi sono le vittime della mattanza: Settanta le pallottole sparate da almeno due killer davanti al ristorante "Da Bruno", di proprietà di Giuseppe Strangio uno dei componenti dei clan coinvolti nella faida di San Luca. Sei le vittime: i due fratelli Francesco e Marco Pergola., rispettivamente di 19 e 21 anni, residenti a Duisburg; Marco Marmo, di 25 anni; Sebastiano Strangio, di 38; Francesco G., di 16 anni, e Tommaso Francesco V., di 18 anni.

Strangio-Nirta contro clan Pelle-Vottari-Romeo: Secondo il Capo della Squadra Mobile di Reggio Calabria, Renato Cortese, uno degli uomini che ha catturato il capo dei capi di Cosa nostra, Bernardo Provenzano, - i sei uomini assassinati stanotte a Duisburg sono da considerarsi vicini al clan Pelle-Vottari-Romeo. "Naturalmente - ha precisato Cortese ad Apcom - queste sono soltanto le prime deduzioni investigative. Un nostro funzionario è diretto a Duisburg, dove cercherà di accertare la verità dei fatti. Il fatto che uno degli assassinati si chiami Strangio non significa molto, perché a San Luca, su mille abitanti, quasi tutti si chiamano Nirta oppure Strangio".

Il dirigente della mobile reggina ha affermato anche che, in questo momento, non si può essere certi che a sparare sia stato qualche killer appartenente al clan Nirta-Strangio. Di quest’ultimo clan la polizia internazionale ha accertato il forte radicamento nei Paesi del centro Europa. Nell’ottobre del 2005 la polizia arrestò ad Amsterdam il boss Sebastiano Strangio, che era latitante dal 1999, considerato una figura di primo piano del mercato internazionale della cocaina.

Amato: attenzione affinché non ci sia "terzo atto". Così il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, ha definito l’eccidio avvenuto nella cittadina tedesca. "È la coda di un delitto tra famiglie, il cui autore è una delle persone uccise. Probabilmente - ha proseguito Amato - si aspettava che qualcosa accadesse. Tant’è che era alla ricerca di armi per difendersi. Probabilmente - ha concluso il ministro - è stato prima raggiunto da chi voleva vendicarsi di lui che della giustizia". "C’è attenzione anche - ha sottolineato Amato - perché giù non ci sia un atto terzo".

Minniti: titolare pizzeria è uno Strangio. La strage avvenuta a Duisburg, per il vice ministro dell’Interno Marco Minniti rappresenta un "salto di qualità". "Siamo di fronte a un altro episodio della faida di San Luca - ha aggiunto Minniti -. Un elemento straordinariamente grave è che questo fatto avviene, non solo al di fuori dei confini dove operano le cosche, ma addirittura fuori dai confini nazionale. È un dato senza precedenti". Minniti ha spiegato che la presenza della ‘ndrangheta in Germania "era una cosa abbastanza nota alle Forze di polizia e alla magistratura che hanno svolto un’attenta azione di monitoraggio". L’omicidio, ha aggiunto il viceministro, è avvenuto nei pressi di una pizzeria il cui proprietario si chiama Strangio.

San Luca, una faida nata durante festa Carnevale: La faida di San Luca (Reggio Calabria), di cui la strage avvenuta a Duisburg rappresenta un nuovo capitolo, contrappone le famiglie Nirta-Strangio da una parte e Vottari-Pelle-Romeo dall’altra. Ad oggi le vittime sono 15.

Secondo gli storici della ‘ndrangheta, la faida è iniziata nel 1991 nel paese aspromontano. All’origine dello scontro tra i due gruppi (Nirta-Strangio e Vottari-Pelle-Romeo) ci sarebbe stato un banale lancio di uova avvenuto nella piazza del paese durante la festa di Carnevale tra giovani appartenenti alle due famiglie. L’episodio provocò un violento litigio tra membri dei due gruppi che portò ad un agguato, compiuto il 14 febbraio 1991, nel quale furono uccise due persone e altre due rimasero ferite.

Da quel giorno è stato un continuo alternarsi di episodi di sangue e di periodi di tregua tra le due famiglie mafiose. Ma la faida di San Luca non è mai terminata. Infatti, si è riaccesa e riacutizzata il 25 dicembre 2006, quando nel corso di una tentata strage fu uccisa Maria Strangio, 33 anni, moglie di un pregiudicato appartenente alla cosca Nirta-Strangio. Nella sparatoria, avvenuta sotto casa degli Strangio a San Luca, furono ferite altre tre persone tra cui un bambino di cinque anni. Due giorni dopo, durante i funerali di Maria Strangio, ci fu un principio di sparatoria, fortunatamente senza conseguenze.

Il 3 agosto scorso il penultimo episodio della faida: l’omicidio, sempre a San Luca, di Antonio Giorgi, di 56 anni, secondo gli inquirenti da inquadrare nell’ambito della faida.

Ieri notte, in Germania, quella che secondo i primi accertamenti dovrebbe essere stata la risposta del clan Nirta-Strangio alla tentata strage di Santo Stefano 2006.

California: con misure alternative risparmiati 2 mld di dollari

 

Notiziario Aduc, 17 agosto 2007

 

I contribuenti stanno risparmiando molti soldi grazie alla Proposition 36, programma alternativo alla detenzione. La legge, approvata dagli elettori nel 2000, riguarda le persone accusate di crimini non violenti connessi alle droghe.

Un Rapporto, a cura dell’UCLA (Università di California, Los Angeles) ne evidenzia l’utilità, ora che è messo in discussione dal Governo statale e il suo futuro è incerto. I contribuenti hanno risparmiato 2,50 dollari per ogni dollaro investito nel programma. Risparmio anche maggiore nei confronti di coloro che lo completano: 4 dollari per ogni dollaro speso. Ma alcuni parlamentari repubblicani hanno introdotto una proposta di legge per eliminare i fondi destinati al programma di riduzione del danno, che ha già fatto risparmiare ai cittadini californiani circa 2 miliardi di dollari, oltre ad aver evitato il carcere a decine di migliaia di consumatori.

Il presidente pro tempore del Senato Californiano, Don Perata, ha ribadito il suo impegno per mantenere in vita il programma. Per questo si è già scontrato con lo speaker della Camera, al quale ha scritto: "Sono allarmato e incredulo dopo aver sentito che stai prendendo in considerazione proposte per tagliare le tasse per le grandi industrie... e al contempo pensi di tagliare i fondi per la Proposition 36, il cui intento è quello di tenere fuori dal carcere i consumatori non violenti di sostanze illegali".

Canada: sono 600 i cittadini canadesi in carcere all’estero

 

Corriere Canadese, 17 agosto 2007

 

Circa seicento canadesi sono stati arrestati nel 2006 e sono detenuti in carceri straniere. La maggior parte per droga, immigrazione e frode, secondo i dati federali.

E non sempre aspettano che il governo intervenga nei loro casi. Nonostante in cella siano costretti ad affrontare dure e rigide condizioni. Come, infatti, fa notare il Dipartimento degli Affari Esteri, i canadesi sono soggetti alle leggi del Paese in cui sono stati arrestati.

Non sorprende che gli Stati Uniti siano al primo posto nella lista - molti dei 597 sono detenuti in città sul confine, come Buffalo e Seattle - ma i canadesi si trovano anche nelle celle di altri cento Paesi, tra cui Cina, Inghilterra, Giappone, Tailandia, Australia, Messico e Perù, secondo i dati rilasciati dall’Access to Information Act federale. La lista dei casi non suddivide i detenuti per nome. Il ministero degli Affari Esteri parla di 2.800 file ancora "attivi". Anche se si tratta, precisa un responsabile, di un numero fuorviante in quanto molti rimangono aperti per concludere la fase burocratica e amministrativa anche dopo il rilascio del detenuto. Alcuni di questi diventano "high profile cases", dei veri e propri casi internazionali, come quello del ventenne Omar Khadr, rinchiuso dall’ottobre del 2002 nelle carceri di Guantanamo Bay.

Un altro caso ancora aperto è quello di Perry King di Edmonton, il 44enne che ha passato gli ultimi 5 anni in una prigione cubana per corruzione di minori e violenza su due ragazze di 15 e 16 anni. Sconta 25 anni di prigione. Le ragazze si sono dichiarate consenzienti. In Canada l’età non deve scendere sotto i 14 anni, ma a Cuba l’età minima è di 18. O ancora il caso di Jeffrey Plant, 51, condannato a 32 mesi di prigione in Germania per frode. Sua moglie, Adrienne De Francesco, ha cercato di portare il processo in Canada ma senza successo.

L’anno scorso erano 417 i prigionieri canadesi negli Stati Uniti, seguiti dalla Cina che ne deteneva 27, 15 in Gran Bretagna, 13 in Australia. Seguono il Giappone (10), il Messico (9), Taiwan (7) e Costa Rica, Jamaica e Tailandia (6). Nelle prigioni di Buffalo, in pole position nella classifica, si trovavano 80 canadesi, a Seattle 54, a Los Angeles 53 e a Detroit 50. Un calo si è registrato nelle città di Dallas e Miami, che hanno registrato 28 detenuti canadesi, seguite da New York (18).

Gli arresti più consistenti avvengono per traffico di droga (in totale 171 i canadesi arrestati). Seguono i casi di infrazione legati a problemi con l’immigrazione (91 le persone detenute). Al terzo posto, il possesso di sostanze stupefacenti. Dietro alle sbarre per frode, 45 canadesi, 21 per aggressione, 13 per omicidio, 13 per violenza sessuale, 5 per abuso su bambini, 4 per furto a mano armata, 2 per sequestro di persona e 2 per sequestro involontario. Gli altri per infrazioni minori come ubriachezza e disturbo della quiete pubblica.

Perù: terremoto distrugge un carcere, fuggono 700 detenuti

 

Associated Press, 17 agosto 2007

 

Circa 700 detenuti sono evasi "grazie" al sisma che nei giorni scorsi ha colpito il Perù e raso praticamente al suolo il penitenziario dove erano rinchiusi. L’episodio è stato raccontato da un colonnello di polizia impiegato in un carcere nei pressi di Chincha, una cittadina situata a circa 170 chilometri a sud di Lima. Secondo Jorge Soto, mercoledì sera in molte celle i detenuti si sono improvvisamente ritrovati con l’acqua alle ginocchia. Avrebbero iniziato a gridare "tsumani, tsunami".

Il penitenziario sorgeva in riva al mare, ed era costruito di materiale sedimentario. Le onde provocate dal sisma hanno di fatto sciolto le fondamenta dell’edificio, e causato il crollo quasi completo del penitenziario. Soto ha affermato che i prigionieri evasi sono 689. Secondo l’ente nazionale che amministra le prigioni, ad andar distrutto è stato il 90 per cento del complesso carcerario. A partire da mercoledì sera, un sisma di magnitudo 7,9 gradi della scala Richter ha causato oltre 500 morti e migliaia di feriti. L’epicentro del terremoto è stato localizzato nel dipartimento di Ica, circa 300 chilometri a sud di Lima.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva