Rassegna stampa 26 ottobre

 

Indulto: Mastella; tradito dalla sinistra, ma non mi importa

 

Apcom, 26 ottobre 2006

 

Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, si sente "un po’" tradito da alcuni compagni di coalizione "ma - dice - non me ne frega nulla, anche perché - spiega - chi ultimamente si è espresso contro l’indulto è chi è stato prima di me e ha avuto maggior confidenza di me con questa idea carceraria". Mastella critica infatti una "pseudo cultura di sinistra" che negli anni passati "ha detto cose eclatanti a favore dei provvedimenti contro il sovraffollamento carcerario. Purtroppo ora questa pseudo cultura di sinistra, che credo non esista, non l’ho vista al mio fianco".

In questo quadro, quindi, Mastella ha duramente criticato un articolo di Beatrice Borromeo. "Vedo anche - ha detto infatti Mastella - una ragazzetta stupidina, questa Borromeo che dice che mai darebbe a Mastella l’incarico di fare il presidente del Consiglio perché ha fatto l’indulto. A parte che la presidenza del Consiglio è un incarico a cui non aspiro, rimane che sono d’accordo con ciò che ha detto Cossiga: una bella statuina sciocca".

Giustizia: lo sciopero dei giudici che spaventa il governo

 

Il Giornale, 26 ottobre 2006

 

Quella del governo-Prodi sembra una marcia indietro, quello delle toghe un primo, ma ancora vago, successo. Il tavolo tecnico tra Anm ed esecutivo per discutere sui tagli degli stipendi dei magistrati introdotti dalla Finanziaria produce non un impegno preciso, ma l’annuncio di una proposta alternativa che il ministero dell’Economia presenterà oggi, per "abbandonare il meccanismo previsto dall’articolo 64 della Finanziaria e intervenire con misure temporanee e parziali sul meccanismo di adeguamento automatico per la retribuzione dei magistrati".

Il governo, insomma, cede in qualche modo alle pressioni delle toghe ma bisognerà vedere se riuscirà a soddisfare l’Anm, che sabato o domenica esaminerà nel suo comitato direttivo la nuova soluzione. Insieme alla proposta di 250 "duri" della magistratura, soprattutto napoletani, che chiedono di proclamare "scioperi prolungati e articolati", senza escludere l’ipotesi di uno sciopero bianco, proprio per protestare contro l’articolo 64 della Finanziaria, che prevede tagli del 50 per cento degli scatti di anzianità e di quelli legati alla progressione della carriera dei magistrati. Misure giudicate "inaccettabili" da tutte le toghe.

Quello di Palazzo Chigi è stato un incontro "interlocutorio, ma chiaro nei contenuti", per il presidente dell’Anm Giuseppe Gennaro, che aggiunge di aspettare di conoscere "gli esiti della riunione che sottoporremo alla valutazione del nostro "parlamentino"". Anche il segretario dell’associazione, Nello Rossi, è molto cauto sul confronto che definisce "proficuo e utile", senza sbilanciarsi di più. Tutto dipenderà, insomma, dalle modifiche alla manovra che oggi presenterà il ministero dell’Economia, i cui rappresentanti hanno partecipato al vertice con quelli della Giustizia.

I 250 magistrati che sollecitano nuove e dure iniziative di lotta chiedono intanto un’assemblea generale, contestando proprio i tagli agli stipendi previsti dalla manovra. "La richiesta di un’assemblea generale - sottolinea Rossi- è un fatto abbastanza raro, ma siamo in un momento molto controverso in cui la questione retributiva è al centro del dibattito politico".

Una settimana fa l’Anm ha incontrato il premier Romano Prodi e il sottosegretario alla Presidenza Enrico Letta, con la mediazione del ministro della Giustizia Clemente Mastella, per discutere della questione. Il Guardasigilli aveva anche avuto dal Csm un parere negativo sui tagli retributivi alle toghe. Ma dal confronto è venuto fuori solo il rinvio a un tavolo tecnico per esaminare il problema. Tavolo che si è aperto proprio ieri pomeriggio a Palazzo Chigi, anche con l’intento di bloccare nuove proteste dell’Anm.

La magistratura associata è in stato di agitazione permanente da tempo e non solo per gli interventi sulle retribuzioni: contesta duramente la politica sulla giustizia del nuovo esecutivo, dalle insoddisfacenti modifiche della riforma Castelli sulle procure al tardivo congelamento della norma sulla separazione delle funzioni tra giudici e Pm; dall’indulto senza amnistia che vanifica tanto lavoro delle toghe e farà finire nel nulla molti processi (anche su questo ora il Guardasigilli cerca di correre ai ripari) all’insufficienza dei mezzi a disposizione degli uffici giudiziari, tanto che le procure di Milano e Bologna denunciano il rischio di un blocco informatico e su questo viene presentata un’interrogazione parlamentare al Guardasigilli.

Fino alla denuncia di non aver cancellato, come promesso, le cosiddette "leggi-vergogna" del governo Berlusconi. Le correnti di sinistra Magistratura democratica e Movimento per la giustizia hanno appena promosso una mobilitazione perché i magistrati facciano in massa la scelta tra funzione inquirente e requirente, ingolfando i lavori del Csm e anche Unicost e Magistratura indipendente sono sul piede di guerra. Proprio ieri Mastella ha negato che si stia pensando a un decreto-legge per evitare che, in attesa dell’entrata in vigore del ddl approvato dalla Camera, scatti comunque il termine per l’opzione del 28 ottobre. I problemi si sommano ai problemi.

Lazio: un opuscolo sui rischi delle epatiti virali in carcere

 

Ansa, 26 ottobre 2006

 

Si intitola "Conoscere per Prevenire" l’opuscolo sulle Epatiti Virali realizzato dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti in collaborazione con l’Area Prevenzione della Medicina Penitenziaria della Asl Roma B e la Regione Lazio, e già distribuito nelle carceri di tutto il Lazio.

L’opuscolo - che nasce dall’iniziativa dei medici operatori dell’Area di Prevenzione Medicina Penitenziaria della Asl Roma B - illustra le caratteristiche e i rischi dell’epatite nelle sue cinque forme finora conosciute (A, B, C, Delta ed E) ed è specificamente rivolto ai detenuti, dal momento che una percentuale importante della popolazione carceraria e affetta da questa malattia.

"Si tratta di un segnale importante e significativo della sensibilità che, a fatica, si sta diffondendo nelle istituzioni e nella società rispetto alle carceri e più in generale al sistema detentivo - ha detto il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni - Per questo ho ritenuto opportuna la divulgazione nelle carceri della Regione e nelle Asl territoriali dove sono presenti gli istituti. L’opuscolo ha, inoltre, un ulteriore intrinseco valore legato al segnale che tenta di dare e cioè che i detenuti non sono un problema meramente penale ma una realtà che nasce da questioni di carattere sociale e che pone, a tutti, l’obbligo di guardare e conoscere questo mondo, ai fini soprattutto del reinserimento sociale dei detenuti".

All’interno dell’opuscolo, composto da 32 pagine, sono spiegate con estrema semplicità le cinque forme di epatite conosciute: per ognuna delle forme viene indicato cos’è, come si manifesta, quanto è diffusa in Italia, cosa fare quando ci si ammala, come si trasmette e come si può evitare, l’eventuale vaccinazione e le categorie di soggetti potenzialmente a rischio.

Oltre mille copie dell’opuscolo sulle epatiti virali sono già state distribuite dal Dipartimento di Prevenzione della Medicina Penitenziaria della Asl Roma B all’interno del Polo carcerario di Rebibbia. Centinaia di copie sono state inoltre distribuite a Regina Coeli (400 copie) e nelle carceri di Velletri (300 copie), Frosinone, Paliano, Latina, Cassino e Civitavecchia (anche in queste strutture 300 copie ciascuno). Anche nel carcere di Viterbo arriveranno prossimamente 300 opuscoli.

Immigrazione: è la paura dello straniero

di Andrea Boraschi e Luigi Manconi

 

L’Unità, 26 ottobre 2006

 

Capita anche questo. Che giovedì 19 ottobre si potevano leggere, sulla home page del sito del Corriere della Sera, i seguenti titoli di testa: "Perugina, picchiata e violentata: fermati due romeni"; e poi, con riferimento all’incidente nel metrò di Roma, "La storia dei due angeli romeni, fuggiti dopo aver aiutato". Capita, cioè, che quell’informazione sulla nazionalità, in riferimento ai protagonisti di due fatti di cronaca di segno così distante, finisca per acquisire un valore particolare, che molto suggerisce sulla "cornice di senso", attribuita dall’informazione giornalistica alla questione-immigrazione. Così, innanzitutto, apprendiamo di una donna e della sua sciagurata storia di violenza e sopraffazione: "Prima un aperitivo e due chiacchiere davanti al bancone del bar, poi la proposta di seguirlo nel suo appartamento.

Qui le minacce, le botte e la violenza sessuale, perpetrata per quasi tutta la notte, dall’uomo che l’aveva invitata e da un suo amico. È la sorte toccata ad una donna di 37 anni di Perugina, che ha riconosciuto come suoi aggressori due cittadini rumeni di 31 e 32 anni, clandestini, ora sottoposti a fermo di polizia giudiziaria con l’accusa di sequestro di persona, violenza sessuale e lesioni aggravate". Punto e a capo e leggiamo dei soccorsi prestati, con tempestività e coraggio, nel caos dei minuti seguiti alla collisione dei treni, nel sottosuolo di Roma: "Chi erano e dove sono finiti i due stranieri che hanno aiutato i feriti, li hanno confortati ma anche curati, così come potevano, nei primissimi istanti della tragedia? Appena arrivati i soccorsi ufficiali e le forze dell’ordine sono infatti scomparsi, probabilmente fuggiti. Ora molti dei passeggeri cercano questi due uomini, romeni dicono, che si sono dati da fare. "Forse sono due clandestini ma la gente si è rivolta a noi per ringraziarli", dicono due tecnici che hanno lavorato per ripristinare la metropolitana. (…)

Al momento dell’impatto dei due treni avvenuto i due romeni non hanno perso la calma e ovunque sentivano un grido o un lamento si precipitavano. Hanno aiutato molti a liberarsi dalle lamiere, alcuni passeggeri li hanno visti praticare massaggi cardiaci e respirazioni bocca a bocca. Hanno avuto parole di conforto per tutti, incuranti del fatto che la tragedia la stavano vivendo anche loro. Ma poi con l’arrivo dei soccorsi e delle forze dell’ordine, i due si sono dileguati, correndo per le scale mobili e senza lasciare nessuna traccia".

Nel primo caso, come nel secondo, quel dato sulla nazionalità dei protagonisti dei fatti viene trattato con assoluto rilievo. Cosa vuole "spiegare"? Cosa intende suggerire? La notizia (il suo carattere di eccezionalità, per così dire) è nella violenza, in un caso, e nell’altruismo disinteressato, nell’altro? O ha qualcosa a che fare con la costruzione mediale di uno stereotipo fosco e nell’eccezione che lo promuove a regola? Uno stupro ha un valore diverso, se a commetterlo è un italiano o uno straniero, un uomo alto o tarchiato, biondo o moro, povero o ricco?

Come pure: un atto di eroismo è ancor più eroico, e "più nobile", se proviene da chi in Italia non è nato e forse non potrebbe risiedervi, perché - così dicono i mass media, la pubblica opinione e la legge - "clandestino"? Non ci nascondiamo dietro a un dito: sappiamo che una parte significativa della aggressioni alle donne, di cui si ha notizia, vede protagonisti immigrati irregolari (rumeni, in misura rilevante); come sappiamo che, per chi deve nascondersi alla giustizia perché sprovvisto di un permesso di soggiorno, rimanere sul luogo di un incidente come quello di Roma comporta un margine di rischio non trascurabile.

Non ci nascondiamo, altresì, che il tono complessivo della comunicazione a mezzo stampa (e non solo) si risolve assai spesso in una narrazione cupa e morbosa, correlata all’allarme sociale e giocata sull’associazione tra immigrazione (per lo più irregolare) e devianza. E non dimentichiamo che esiste una realtà consistente, frammentata e tutt’altro che univoca, nei suoi caratteri qualificanti, che si chiama "giornalismo locale"; e che racconta, sovente, di un’Italia in miniatura non così diversa, nel suo senso comune, da quella che finisce sulle prima pagine dei quotidiani nazionali. Un’ Italia fatta di senegalesi sorpresi con Dvd contraffatti, ladri di polli ucraini arrestati dai carabinieri, gente che scopre un immigrato in sella alla bici rubata tre giorni prima alla madre (non sono titoli di fantasia). È la sedimentazione, costante e inesorabile, di un paradigma cognitivo che associa la condizione di straniero - fisiologicamente, verrebbe da dire - a quella di pericolo sociale.

Eppure, i dati parlano chiaro: la maggior parte (oltre il 90%) degli stupri e delle violenze sessuali avviene in famiglia e tra le mura domestiche, a opera di genitori o parenti. Lo sappiamo: mentre giovani magrebini o slavi assaltano donne italiane, un numero ben maggiore di uomini italiani assalta donne italiane (o magrebine o slave).

Lo sappiamo, ma saperlo non risolve assolutamente niente. Non aiuta a difendere le donne e non contribuisce nemmeno a ridurre la xenofobia (che, alla lettera, significa "paura dello straniero") nei confronti della popolazione immigrata. È come se la violenza di un italiano contro un’italiana facesse parte di un paesaggio conosciuto, ancorché pericoloso e, appunto, "familiare"; per contro, è come se lo stupro a opera di uno straniero evocasse paure ancestrali, risuonasse nell’inconscio collettivo come l’eco di una maledizione antica, di una calamità fatale.

E "straniero" e "barbaro". A quel male (a questa costruzione di un "altro da sé"), il giornalismo nostrano oppone, quando può, una cronaca "più edificante" e risarcitoria: e ci tiene a informare che gli angeli del metrò di Roma sono stranieri (e magari non innocui filippini, magari romeni...); che la badante 27 enne che quest’estate morì nel mare dell’Argentario per salvare la bambina che accudiva da due anni, era honduregna e senza permesso di soggiorno.

Chi è mai, allora, questa gente approdata in Italia da luoghi vicini e talvolta remoti, sovente così violenta ed efferata, talvolta capace di tanta gentilissima e sublime umanità? La domanda esige un’opera, tutt’altro che banale, di comprensione e "riconoscimento". Solo se quest’opera verrà realizzata, gli stupratori rimarranno sullo sfondo, confusi e ridimensionati - e arrestati e condannati - tra tanti altri stranieri, che non stuprano e non delinquono: e che sono così simili a noi, gente comune tra gente comune, con molti difetti e qualche virtù. Gente che non fa notizia, che non finisce sui giornali.

Roma: suicidio a Rebibbia, sopralluogo dentro la cella

 

Il Messaggero, 26 ottobre 2006

 

C’era un segno di iniezione intramuscolo sui glutei di Mauro Bronchi, l’uomo di 39 anni trovato impiccato il 20 ottobre scorso nella sua cella di Rebibbia. Bisognerà stabilire l’epoca a cui risale e, in sede di esami tossicologici, il farmaco iniettato. Stando ai primi risultati dell’autopsia eseguita domenica dal medico legale della Sapienza, Antonio Grande, non ci sarebbe stata, tuttavia, violenza da parte di terzi e tutti gli elementi farebbero propendere per il suicidio.

Intanto oggi Bruno Calabrese, il criminologo nominato dall’avvocato Fabio Federico, che aveva assistito Bronchi durante l’inchiesta sull’omicidio di Alice, la figlia di cinque anni della sua convivente, morta il 2 luglio scorso per asfissia, farà un sopralluogo nella cella.

"È la prima volta - commenta - che un esperto di scienze forensi è ammesso in qualità di consulente di parte a esaminare il teatro, in questo caso, di un supposto suicidio in un luogo sotto sequestro, non aperto al pubblico, ferme restando le cautele disposte dal gip e cioè la presenza della polizia penitenziaria e l’obbligo di non modificare alcunché. L’analisi servirà a capire se ci siano o meno incongruenze scientifiche o logiche con l’ipotesi del suicidio".

Belluno: da Zanella (Verdi) interrogazione su suicidio detenuto

 

Il Gazzettino, 26 ottobre 2006

 

"Presento immediatamente un’interrogazione al Governo sull’episodio del suicidio e sulle condizioni del carcere di Belluno". Non appena venuta a conoscenza dell’ultimo tragico episodio avvenuto fra i muri della casa circondariale bellunese e della lettera-denuncia da parte di un detenuto, il deputato Luana Zanella è partita all’attacco.

L’ultima visita alla struttura bellunese della parlamentare dei Verdi risale a quasi un anno fa, al dicembre 2005, per la precisione, ma il ricordo è ancora vivido nella mente dell’onorevole. "Quando sono stata a Belluno - racconta Zanella - ho trovato una parte, quella da poco rinnovata, decisamente funzionale, ma ne ho viste anche altre spaventose".

In che senso? "La situazione è di sovraffollamento e di inadeguatezza igienica. Certe celle sono umide, buie e senza acqua calda, oltre a contenere un numero elevato di detenuti. Anche se non tutte sono così. Queste cose, sia chiaro, le sa la direttrice e le sanno i sindacati di polizia". Un anno fa, dopo la visita, Zanella buttò giù la propria relazione e chiese ulteriori finanziamenti per la struttura carceraria. "Questa situazione critica - spiega - non è generata da una forma di sadismo, ma dalla scarsità di risorse, nel senso di soldi ma anche di personale. Per far star bene i detenuti occorrono maggiori finanziamenti e un maggior numero di personale qualificato e adeguato ad affrontare le problematiche del carcere".

La ricetta-Zanella non consiste solo in questo. "Occorre anche una buona organizzazione, e una condizione di trasparenza, permettendo visite all’interno". Riguardo alla precedente esperienza a Baldenich, Zanella si dice consapevole che le visite ufficiali possono anche essere edulcorate. "Non sono un’ingenua da non capire che non tutte le cose sono così come vengono presentate. Certo che le situazioni notate non sono omogenee, esiste uno scarto".

Il deputato Zanella ha un’altra teoria in merito. "La comunità locale deve essere vigile verso il proprio carcere e deve viverlo in modo proprio - aggiunge - e questo a sua volta deve avere i muri "permeabili". Non solo da un punto di vista umanitario. Questa è un0istituzione che costa e deve funzionare. E non dimentichiamoci lo scopo, il reintegro. Non si può entrare in carcere in un modo e uscire peggio perché oltre alla pena inflitta dal Tribunale ci si trova ad affrontare un sovrappiù dovuto alle strutture e una condizione di inefficienza".

Belluno: consigliere provinciale; situazione non così disastrosa

 

Il Gazzettino, 26 ottobre 2006

 

Per il consigliere provinciale Matteo Toscani la realtà della casa circondariale è diversa da quella dipinta nella lettera al nostro giornale. "Ho potuto visitare il carcere dopo aver seguito tutto l’iter previsto per questo tipo di procedure: ottenuta l’autorizzazione, venerdì scorso, ospite del direttore, sono stato accompagnato a visitare ogni angolo della struttura.

Due ore per me molto istruttive che mi hanno consentito un approccio diretto con una realtà che conoscevo solo per sentito dire e che mi ha permesso di farmi un’idea precisa di "come vanno le cose", là dentro. Vogliamo cominciare dal cibo? Ho assistito alla distribuzione del pasto di mezzogiorno e posso dire che, a mio giudizio, la qualità era ottima, gradevole, variata.

Ho visitato sale e salette, corridoi e cortili, e ho trovato ovunque ordine, pulizia, gentilezza e, nota singolare, calore umano, espresso da personale motivato a rendere la vita del carcerato meno dura, già privato del bene fondamentale della libertà.

Mi hanno spiegato anche i progetti e le iniziative in corso, a cominciare dalla possibilità di frequentare lezioni scolastiche e di acquisire un titolo di studio. L’aspetto meno gratificante è quello strutturale: una parte della casa è stata ristrutturata, l’altra no; ma ciò non toglie che anche in quella non ci sia ordine e compostezza. Non c’è sovraffollamento, le celle sono dotate di televisore e l’impressione complessiva è che si lavori per il recupero del carcerato piuttosto che per fargli espiare, con metodi duri e intransigenti, la pena.

La direzione ha alcuni progetti, come quello di una lavanderia in proprio, che hanno però bisogno di finanziamenti e sostegni. Da parte mia - conclude Toscani - solleciterò il finanziamento di alcuni interventi che ritengo migliorativi per la qualità della vita dei detenuti. Ne parlerò direttamente anche al presidente Reolon, peraltro già a conoscenza delle problematiche della casa".

Sardegna: niente carcere duro per detenuti indipendentisti

 

Sardegna Oggi, 26 ottobre 2006

 

È stato sospeso il trasferimento dei cinque detenuti, reclusi per l’indagine relativa all’attività "A. Manca", dal carcere di Buoncammino a un carcere della penisola. Lo ha comunicato, stamattina in una lettera inviata al presidente della commissione consiliare "Diritti Civili" Paolo Pisu, il sottosegretario alla giustizia Luigi Manconi. A meno di ventiquattro ore dalla visita fatta in Consiglio regionale, l’esponente del Governo nazionale ha mantenuto gli impegni presi davanti all’organismo consiliare, ha sospeso i trasferimenti e ha chiesto che sia rivista l’intera documentazione anche con riferimento al trasferimento, già avvenuto, di uno degli indipendentisti ora nel carcere di Parma. Grande soddisfazione è stata espressa dal presidente della seconda commissione Paolo Pisu (Prc), a nome dell’intera commissione. "Le nostre richieste sono state accolte - ha detto Pisu - è assurdo che ai detenuti sardi non si applichi il principio della territorializzazione della pena sancito, tra l’altro, dal Protocollo d’intesa firmato tra Stato e Regione il 7 febbraio 2006". Il caso dei sardi arrestati l’11 luglio scorso nell’ambito dell’operazione "Arcadia" era stato portato all’attenzione del sottosegretario dal presidente Pisu durante la visita di ieri fatta dall’esponente del governo in Consiglio regionale. Il sottosegretario si era impegnato ad esaminare il caso e a dare risposti in termini brevissimi alla commissione.

I sei militanti del movimento "A Manca pro s’Indipendentzia" sono sospettati dalla Direzione Distrettuale Antiterrorismo di Cagliari di far parte dei gruppi eversivi Npc e Oir che avevano rivendicato una serie di attentati compiuti in Sardegna tra il 2002 ed il 2004. I sei militanti del movimento sono stati finora ritenuti "elevato indice di vigilanza" e come tali sarebbero dovuti essere ospitati in strutture carcerarie di massima sicurezza.

Palermo: gli ex detenuti protestano con un blocco stradale

 

La Sicilia, 26 ottobre 2006

 

Da quasi 40 giorni gli uffici comunali di viale del fante, quelli da tutti definiti gli "Uffici del Pallone", sono occupati da circa 170 ex detenuti che chiedono il posto di lavoro al Comune e alla Regione. la protesta prosegue stancamente senza che una soluzione arrivi in porto e con le parti in causa, manifestanti ed Istituzioni, a proporre ciascuno un proprio progetto che consenta così la conclusione della protesta. La grande maggioranza dell’opinione pubblica si ricorda della protesta degli ex detenuti quando, passando da viale del Fante, rimane imbottigliata nel traffico causato da un blocco stradale. Ieri pomeriggio un altro blocco stradale ha riportato sul piano "pubblicitario" l’iniziativa degli ex detenuti guidati da Filippo Accetta.

I manifestanti hanno organizzato un blocco stradale tra via del Carabiniere e via del Fante. Sul posto c’erano agenti di polizia e vigili urbani. Il traffico è andato in tilt, naturalmente. Gli ex detenuti hanno chiesto un incontro con i rappresentanti del Comune e della Regione per discutere il loro inserimento nel mondo del lavoro. Dopo circa un’ora gli ex detenuti sono rientrati negli uffici del "Pallone". Tra gli occupanti vi sono anche donne e bambini.

Brescia: progetto di teatro-carcere "oltre tutte le sbarre"

 

Giornale di Brescia, 26 ottobre 2006

 

"La vita è sogno: un cammino oltre tutte le sbarre", il progetto di teatro in carcere propone oggi anche un convegno, che si terrà al teatro Sancarlino in corso Matteotti 6/A. Il convegno è promosso dalla Presidenza del Consiglio provinciale e comunale di Brescia e dall’associazione Carcere e Territorio di Brescia.

La giornata di studi riguarderà gli "aspetti trattamentali formativi rappresentativi le esperienze dei laboratori teatrali in carcere". Alle 9 ci sarà l’apertura dei lavori e alle 9.30 gli interventi della presidente del Consiglio provinciale Paola Vilardi, la presidente del Consiglio comunale Laura Castelletti e il direttore degli istituti penali di Brescia Mariagrazia Bregoli.

Alle 10 verrà illustrata l’esperienza bresciana a Canton Mombello e Verziano con note e commenti delle curatrici dell’iniziative di teatro, e cioè Paola Carmignani, scrittrice, e Sara Poli, regista teatrale. Alle 11 l’intervento riguarderà "il significato rappresentativo": ne parlerà Carlo Alberto Romano. Alle 11.30 Armando Punzo della compagnia della Fortezza illustrerà l’esperienza di Voltaire a teatro. Alle 12.30 Katia Taraschi del Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria spiegherà "il significato trattamentale". Alle 13 si chiudono i lavori del convegno. Il progetto nel suo complesso - che sarà presentato in maniera definitiva a novembre - è realizzato da associazione Caccia e territorio di Brescia con il sostegno delle Presidenza del Consiglio del Comune e della Provincia e con la Direzione degli Istituti penali bresciani, il contributo di fondazione Vodafone Italia e con la Fondazione Banca San Paolo, la Fondazione Afm, l’Aidda (l’associazione Donne dirigenti d’azienda di Brescia), il Soroptimist club di Brescia, il Moica il movimento italiano casalinghe. La replica teatrale per le scuole è stata promossa in collaborazione con l’assessorato alla Formazione della Provincia di Brescia con il patrocinio dell’assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Brescia.

Usa: eseguita condanna a morte di "serial killer" 52enne

 

Reuters, 26 ottobre 2006

 

Un serial killer autore 16 anni fa di atroci omicidi, vittime cinque studentesse di college, è stato giustiziato ieri in Florida con un’iniezione letale. A mezzanotte e 13 minuti ora italiana Danny Rolling, 52 anni, è stato dichiarato morto nella prigione di Stato della Florida, come annunciato da un portavoce del governatore dello stato. La morte è giunta pochi minuti dopo che gli era stata praticata un’iniezione di sostanze chimiche che gli avevano paralizzato polmoni e cuore.

Conosciuto come "Lo Squartatore di Gainesville", Rolling uccise quattro studentesse della University of Florida ed una del Santa Fe Community College nei loro appartamenti. Aveva decapitato una delle sue vittime ed aveva composto in modo macabro le scene del delitto, con altri cadaveri, staccando la pelle e parti del corpo e ricostruendo una sorta di scenografia usando particolari come specchi rotti.

Dopo i suoi delitti l’università fu preda del panico. Alcune studentesse tornarono a casa, altre acquistarono armi o andarono a vivere assieme per proteggersi. Molte temevano fosse solo questione di tempo perché i delitti si ripetessero. La serie degli omicidi era iniziata con due diciassettenni, Sonja Larson e Christina Powell, trovate mutilate e uccise a pugnalate. Entrambe violentate, una dopo essere morta.

Il giorno dopo, Rolling uccise Christa Hoyt, 18 anni. Il suo corpo fu trovato seduto sul letto, la testa staccata ed appoggiata su uno scaffale. Due giorni dopo, Rolling uccise Tracy Paules e Manuel Taboada, entrambe di 23 anni. Rolling restò latitante per qualche giorno, sino a quando venne arrestato dopo una rapina compiuta in modo maldestro nella città di Ocala. Un test del dna lo collegò ad altri tre omicidi commessi a Shreveport, Louisiana, nel 1989.

Ma non fu accusato dei delitti di Gainesville sino al 1992, mentre era all’ergastolo per rapina a mano armata ed altri reati. Si dichiarò colpevole dei cinque omicidi nel 1994, quando fu formata la giuria per il suo processo. In prigione, Rolling fu contattato da Sondra London, con la quale scrisse "The Making of a Serial Killer," (diventare serial killer), che raccontava la sua vita ed i suoi delitti.

Nel suo ultimo giorno di vita, ha detto un portavoce del dipartimento penitenziario, Rolling ha incontrato suo fratello Kevin e due sacerdoti. Il suo ultimo pasto è stato aragosta, gamberi, patata al forno, dolce fragole e formaggio ed un tè dolce. È stati giustiziato mentre davanti al penitenziario manifestavano militanti a favore e contrari alla pena di morte.

 

 

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