Rassegna stampa 9 novembre

 

Giustizia: Istat; nel 2006 in Italia più delitti e più denunce

 

Asca, 9 novembre 2006

 

In Italia sul fronte giustizia permangono i grandi numeri sia sul fronte civile sia sul fronte penale. Nel 2004 - secondo l’Annuario statistico Istat 2006 diffuso oggi - i procedimenti civili sopravvenuti in primo grado (+2,8% rispetto all’anno precedente), diminuiscono leggermente quelli esauriti (-0,6%), mentre i pendenti registrano una crescita dello 0,4%. In calo, rispetto al 2003, il numero dei provvedimenti di urgenza a protezione del minore (-7,0%); le adozioni segnano invece una crescita sostenuta (+15,2%) passando da 3.873 nel 2003 a 4.460 nel 2004.

Nel 2005 si riduce dell’1,7% rispetto all’anno precedente il numero dei protesti, pari a 1.660.051. Il valore complessivo dei titoli protestati ammonta a 3.393.410 migliaia di euro, con un importo medio di circa 2.400 euro. Sono 11.312 i fallimenti dichiarati nel corso del 2004 (+8,1% rispetto al 2003). Diminuisce il numero dei ricorsi presentati nel 2004 (-1,4%): di questi, quasi il 70% è rappresentato dai ricorsi relativi all’attività della pubblica amministrazione. Giustizia penale Nel 2004 sono 3.316.746 i procedimenti pendenti presso i tribunali ordinari (erano 3.412.275 alla fine del 2003), nello stesso tempo quelli pendenti presso i tribunali per i minorenni ammontano a 18.154 (contro i 19.351 dell’anno precedente).

I delitti denunciati per i quali l’autorità giudiziaria ha iniziato l’azione penale sono cresciuti dell’2,7%, raggiungendo i 2.968.594 procedimenti contro i 2.890.629 del 2003. Tra questi, l’81% risulta di autore ignoto. Le persone denunciate nel 2004 sono 549.775 (+2,5% rispetto all’ano precedente). Alla fine del 2005 nelle carceri italiane si contano 59.523 detenuti (il 6,2% in più rispetto all’anno precedente), mentre la presenza femminile sale da 2.589 nel 2004 a 2.804 (+8,3%). Cresce l’indicatore di affollamento delle carceri (rapporto tra detenuti presenti e posti letto), pari al 1.385,8 per mille (1.319,9 nel 2004).

Va però ricordato che si tratta di un dato medio, con situazioni territoriali molto eterogenee; per una corretta valutazione del fenomeno sarebbe necessaria una analisi dettagliata dei singoli istituti di pena. I tossicodipendenti costituiscono il 27,1% dei reclusi e passano, in valore assoluto, da 15.558 del 2004 a 16.135. In lieve aumento anche i detenuti sieropositivi: sono il 2,5% della popolazione carceraria (2,6% nel 2004). Negli ultimi anni aumenta costantemente la percentuale di detenuti di origine straniera: nel 2005 sono il 33,3% del totale dei presenti in carcere contro il 31,8% del 2004. Nel 2005 i minorenni entrati nei centri di prima accoglienza sono 3.751 di cui 780 femmine, mentre quelli presenti negli istituti penali minorili sono 1.489, di cui 886 stranieri.

Indulto: il Csm approva documento, nel nulla 80% processi

 

Apcom, 9 novembre 2006

 

È "ragionevole" prevedere, avverte il Csm nel documento, che circa l’80% dei procedimenti pendenti per reati commessi entro il 2 maggio 2006 si concluderà, in caso di condanna, con "l’applicazione di una pena interamente condonata". Una percentuale che oscilla "tra l’80% e il 92%" del totale delle condanne entro i tre anni inflitte nel 2005. Numeri "ingenti", di fronte ai quali i capi degli uffici giudiziari "possono e devono" adottare "scelte organizzative razionali", ma non "selezionare" la trattazione dei procedimenti che non cadono sotto la scure dell’indulto. Per far ciò, occorre "un appropriato intervento legislativo". In questi termini, quindi, il Csm, risponde al ministro della Giustizia Clemente Mastella, che subito dopo l’estate aveva chiesto all’organo di autogoverno delle toghe di verificare se fosse possibile indicare ai responsabili degli uffici giudiziari "criteri di priorità per la trattazione dei processi", dando la precedenza a quelli che non ricadono sotto l’indulto.

"I dirigenti degli uffici - è scritto nel documento - possono e devono adottare iniziative e provvedimenti idonei a razionalizzare la trattazione degli affari e l’impiego, a tal fine, delle scarse risorse disponibili". Scelte per assicurare "predeterminazione, uniformità, trasparenza", in modo da "non rassegnarsi ad una giurisdizione che produce disservizio". "Ma tali iniziative - sostengono i consiglieri di Palazzo dei Marescialli - sono strutturalmente inidonee a dare risposte risolutive e uniformi all’esigenza di selezionare i procedimenti pendenti al fine di garantire comunque la trattazione ‘il cui esito possa concretamente rispondere al principio di effettività".

Nessuna esplicita richiesta di amnistia, ma nel documento viene ricordato che "i 17 indulti concessi nel periodo repubblicano, prima di quello in esame, sono stati tutti accompagnati da corrispondenti amnistie". "Solo in occasione del recente indulto non c’è stata una parallela previsione di amnistia", osservano ancora i consiglieri. E chiosano: "Quando la giustizia è lenta e gli uffici hanno arretrati rilevanti, la trattazione di tutti i processi per reati interamente condonati finisce, di fatto, per allontanare la definizione di quelli nei quali la pena (eventualmente) inflitta è destinata ad essere scontata, con grave danno per la collettività e per le parti offese".

Giustizia: Tinebra lascia Dap; minori, Cavallo al posto di Priore

 

Apcom, 9 novembre 2006

 

Dopo cinque anni al vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra lascia per insediarsi, oggi, come nuovo Pg di Catania. Alla cerimonia sarà presente anche il ministro della Giustizia Clemente Mastella. Il Guardasigilli non ha ancora sciolto la riserva sul nome del magistrato che sarà a capo dell’organismo che governa le carceri e da cui dipendono circa 45mila poliziotti penitenziari. Cambio anche al Dipartimento della giustizia minorile dove - riferiscono fonti qualificate - il giudice minorile Melita Cavallo dovrebbe prendere il posto di Rosario Priore.

Napoli: Amato; con fondi tagliati difficile garantire sicurezza

 

Il Mattino, 9 novembre 2006

 

Qualcuno se lo aspettava che sarebbe accaduto, che alla fine si sarebbe trattato di una questione di soldi. E che anche l’allarme per il presunto picco di criminalità a Napoli sarebbe diventato un allarme per i pochi fondi stanziati in Finanziaria per la sicurezza nelle strade. Così, mentre ieri la Commissione Giustizia del Senato invitava in audizione il ministro dell’Interno Amato per sapere se davvero c’è allarme per la sicurezza delle città e quanto c’entri in tutto questo la valanga di detenuti scarcerati con l’indulto, lo stesso Amato rilanciava un altro allarme, sulla mancanza di fondi: "È difficile ottemperare alla giusta richiesta di assicurare più sicurezza, non solo a Napoli ma all’intero Paese e soprattutto al Mezzogiorno, se poi le risorse diminuiscono". Le cifre sono sul tavolo del governo: al Viminale sarebbero destinati 90 milioni di euro per la sicurezza, il 13 per cento in meno della precedente finanziaria. E, secondo i tecnici del ministero, sarebbero insufficienti.

A rendere più difficile un dibattito sereno c’è la polemica sull’indulto, dopo le dichiarazioni di alcuni ministri che dopo averlo votato, si dicono addolorati per averlo fatto. A suonare la carica è Gianfranco Fini, che nel corso di un forum organizzato da "Il Messaggero" , se l’è presa con Amato e con il Guardasigilli Mastella: "Non sono signori al bar che dicono quello che vogliono perché sono all’opposizione: se un ministro dice una cosa, poi se ha coerenza ha il dovere di provare a tradurre in realtà quel che dice. Se dice che ha assistito con dolore al parto dell’indulto, allora presenti una proposta di legge per garantire la certezza della pena e, sulla mia parola d’onore, An gliela vota un minuto dopo". Giuliano Amato non si sottrae al confronto: "Fini sa che non sono uomo di proclami; è già iniziato un lavoro comune tra Mastella e me per rafforzare alcune norme e dare appunto più certezza alla pena".

Per una legge che verrà, ce n’è un’altra che potrebbe non nascere mai, come quella sulle intercettazioni illegali: il decreto contro l’abuso delle microspie varato dal governo è sul punto di finire su un binario morto: ad affondarlo sono state in parte le precisazioni della Procura di Milano, che dopo il clamore delle scorse settimane ha chiarito che non ci sono intercettazioni illegali agli atti delle numerose inchieste sullo spionaggio clandestino, e in parte dallo schieramento trasversale di forze politiche per le quali, a questo punto, non c’è più ragione per dare la precedenza al decreto rispetto ai numerosi disegni di legge in materia.

Napoli: l’esercito c’è già, manca la politica

di Sergio Cusani e Sergio Segio

 

Liberazione, 9 novembre 2006

 

Tutti coloro che cianciano di inviare a Napoli l’esercito in armi non si sono mai accorti che l’esercito a Napoli c’è già: un esercito composto da una miriade di associazioni del volontariato e del terzo settore dal Pioppo, a Jonathan, al Cnca - Coordinamento delle comunità di accoglienza, al Sert che si occupa di tossicodipendenze presso il carcere di Poggioreale, all’Associazione Quartieri Spagnoli, alla storica Mensa per i bambini proletari e dei Maestri di strada, solo per citarne alcune.

E poi don Merola e don Riboldi, magistrati attenti e sensibili, assistenti sociali, il sindacato e gli insegnanti di scuola impegnati ed esposti in prima linea non solo per insegnare ma anche per fare da assistenti sociali. In più gli insegnanti svolgono spesso una sussidiaria quanto essenziale funzione genitoriale per moltissimi ragazzi i cui genitori naturali - ai quali non sono mai stati forniti adeguati strumenti culturali - sono totalmente impegnati, per arrivare a fine mese nella dura sopravvivenza della vita quotidiana per riuscire in qualche modo a mantenere la famiglia: tutto ciò in presenza di una dispersione scolastica tra le più alte d’Italia, che sfiora l’11%.

Questo è il vero esercito militante: un esercito invisibile alla politica e ai mezzi di comunicazione ma che opera giorno per giorno con le armi della passione, della dedizione e della competenza. Le uniche armi, che se sostenute e aiutate adeguatamente, possono riuscire a modificare radicalmente la realtà.

E se la criminalità organizzata chiama in causa preliminarmente e inevitabilmente necessità investigative e repressive, la violenza diffusa e "senza senso" chiama in causa tutti, la società nel suo insieme: che deve sapere interrogarsi e guardarsi dentro, superando la semplice indignazione o la miopia che individua nell’uso dell’esercito una possibile risposta.

Le semplificazioni non servono a nulla, tanto meno a difendere i cittadini dal crimine e dalla violenza. La facile demagogia è la peggiore delle risposte.

Alcuni dei tragici episodi di questi giorni sono eloquente e sanguinosa rappresentazione di quanto la violenza provenga dall’"interno" e non dall’"esterno" della normale vita sociale: è dunque lì, nella società, nei suoi valori, nelle culture che la attraversano, che vanno costruiti gli antidoti, le condizioni di un recupero di significato delle relazioni sociali e della vita stessa, oggi ridotta a oggetto, merce anche da rapinare o da acquistare come nuova schiavitù.

Ricostruire i luoghi e i soggetti della socialità è la precondizione per sconfiggere ogni violenza, soprattutto da quando sono scomparsi o ridotti a poca cosa i tradizionali luoghi di mediazione, come le sezioni dei partiti o le case del popolo, che in vari modi mantenevano aperto un collegamento tra i quartieri e il governo della città e che indirettamente svolgono una funzione costruttiva di controllo sociale del territorio.

E quando lo spazio pubblico si restringe o scompare, si insinua più facilmente l’economia criminale. Il vuoto si riempie. Sempre.

Una città diventata deserto può magari trasformarsi in fortino, ma nulla cambierebbe davvero.

Solo rendendola viva e abitata, luogo di relazioni, scambio, crescita, educazione, opportunità si toglie spazio alla criminalità.

È diventata moda emulativa la Notte bianca nelle città, ma il rischio è che sia il giorno a essere spento e vuoto, che trionfi la solitudine e la frantumazione sociale, e che la politica semplicemente non sia più in grado di leggere e comprendere i bisogni dei cittadini, di decifrare il territorio nella sua complessità.

Il ministro della Giustizia Mastella, lasciato per l’indulto vilmente solo, nei giorni scorsi ci ha incaricato di cercare di dare vita a un "piccolo piano Marshall per le carceri" per favorire il reinserimento sociale degli ex detenuti e dei detenuti a fine pena, ricreando una rete e un coordinamento tra le forze sociali e produttive, il volontariato, il sindacato, la magistratura così come facemmo nell’anno del Giubileo.

Un investimento coraggioso e lungimirante, in grado di ridurre crimine e recidiva (che dai primi dati del ministero relativi all’indulto è del 3,8 per cento, mentre storicamente è sempre stata superiore al 70 per cento).

La progettualità concreta che è stata messa in atto per esempio a Barcellona nel vasto quartiere delle Ramblas o a Istambul nel quartiere alle falde del Palazzo Topkapi del Sultano, luoghi un tempo malfamati ben peggio dei quartieri napoletani, ora sono rifioriti con la partecipazione di centinaia di migliaia giovani e meno giovani ad una vita sana e allegra che ha scacciato la cultura della sopraffazione e della morte: perché a Napoli in tutti questi anni di "buon governo" della sinistra un recupero concreto non è stato agito?

Per fare un altro esempio più vicino a noi in Italia, a Bari vecchia il famigerato quartiere San Paolo ha incominciato a rivivere e prosperare.

Mentre a Napoli, lasciata sempre più sprofondare nel degrado, la politica di governo invece di progettare concretamente e mettere in atto cambiamenti effettivi si è regolarmente occupata quotidianamente di inconcludenti beghe da cortile, autoreferenziali e ben lontane dai problemi degli strati più poveri.

E allora per dare un segnale di attivismo si vuole ad ogni costo criminalizzare dei ragazzi ai quali è stato rubato, fin dalla nascita, tutto: gli è stata rubata l’infanzia, l’adolescenza, il diritto all’immaturità (come lo definisce emblematicamente Fulvio Scaparro), rubata la speranza di un futuro dignitoso, rubate ogni opportunità.

Insomma si cerca di criminalizzare i poveri, gli ultimi che invece sono le vittime. Gli ultimi, i miseri sono invece, senza dubbio, tutti coloro che avendo il potere di trasformare la realtà invece si accontentano di gestire (malamente, per interessi di potere e di consenso politico se non per fare soltanto affari) l’esistente. Questo è il dato di realtà.

È per tutti questi motivi che facciamo appello al ministro per la Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, perché - coinvolgendo Enti locali e Istituzioni, mondo del volontariato laico e religioso, terzo settore, sindacato nonché imprenditori socialmente più attenti al proprio territorio - di fronte alla drammatica situazione emersa a Napoli, si adoperi in questa direzione: dare vita e voce al sociale, valorizzandone le risorse e la conoscenza "dal basso" del territorio, delle sue lacerazioni, ma anche delle possibili risposte.

A tal fine, ci pare utile e opportuno che a Napoli il ministro Ferrero promuova, il più presto possibile, una Conferenza di Programma per l’inclusione sociale coinvolgendo tutte queste energie attive, di gruppi o di singoli impegnati a vario titolo nel tessuto urbano ed extra-urbano, per discutere di proposte concrete volte a risolvere problemi concreti.

A tale Conferenza sarebbe utile e opportuna la presenza del Capo dello Stato, anch’egli napoletano, che ha usato termini e modi appropriati per parlare della drammatica situazione della sua città di origine.

E sarebbe utile e opportuno coinvolgere il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, dato che il lavoro è aspetto centrale ed essenziale per un progetto concreto di riqualificazione e rinascita del territorio: al fine di costruire vere opportunità per non abbandonare giovani, e meno giovani, ad avvilenti precarietà che spesso, in questi contesti, diventano anticamera per un ingresso nel mondo dell’illegalità. Napoli, vittima di luoghi comuni, diventi luogo comune di socialità, di lavoro e di futuro quale reale quanto unica pre-condizione per allontanare ogni violenza. Altrimenti per Napoli, come scriveva Enzo Striano nel suo splendido libro, di grande attualità, sulla fallita rivoluzione napoletana del 1799, sui lazzari e sulla figura di Eleonora Pimentel Fonseca, non rimarrebbe che "il resto di niente".

Giustizia: un piano Marshall per le carceri, di Sergio Segio

 

Vita, 9 novembre 2006

 

Il progetto incoraggiato da Clemente Mastella, ministro della Giustizia. Come spesso succede quando si tratta di carcere, il buon senso risulta latitante. Dal giorno dopo il varo dell’indulto, con il voto a favore di oltre due terzi del Parlamento, è cominciata la gara a dissociarsene. Da ultimo, il segretario dei Ds, Piero Fassino ha dichiarato: "L’indulto non è stato apprezzato dai cittadini". Se è per questo, neppure l’abolizione della ghigliottina in Francia nel 1981.

Clemente Mastella si è trovato così praticamente da solo a difendere e rivendicare, se non la bontà, la necessità di quel provvedimento. Che è tanto salutare quanto monco e ipocrita. Lo dicono, per primi, i magistrati, notoriamente assai poco "perdonisti". Senza una misura di amnistia, hanno detto i procuratori in audizione dal Csm, gran parte (sino al 90%!) delle sentenze che verranno emesse in relazione ai milioni di processi pendenti non saranno eseguibili, poiché riferite a pene già condonate. I media (ma anche tante associazioni) che giustamente dedicano ampie preoccupazioni alla carenza di fondi nel settore giustizia e persino alla mancanza di carta igienica nei tribunali, non hanno rilevato che togliere quella montagna di procedimenti arretrati e ineseguibili, indirettamente farebbe recuperare immediatamente le risorse indispensabili per operare.

 

Un nuovo codice penale

 

Eppure, di amnistia non si può neppure parlare. Ed è comprensibile, dopo la sorte toccata all’indulto e al ministro Mastella. Non sarà semplice, dunque, porre ora mano a quelle riforme strutturali di cui l’indulto è stato precondizione.

A partire dalla riforma del Codice penale, che deve svecchiare quello in vigore, incredibilmente ancora eredità del fascismo: il Codice Rocco del 1930 (in alcuni tratti, per la verità, più garantista di tante leggi eccezionali venute dopo). Una riforma che dovrebbe essere ispirata al "diritto penale minimo" e sperabilmente abolire la inumana pena dell’ergastolo.

Altra riforma sul tavolo è quella dell’ordinamento penitenziario: esiste già una organica proposta elaborata da Alessandro Margara, che basterebbe assumere e approvare per dare una svolta significativa a un sistema barcollante e contraddittorio.

Sul piano legislativo sarebbe lecito attendersi (essendo esplicitamente previsto dal programma elettorale dell’Unione e dalle linee programmatiche del ministro Mastella) una rapida revisione della legge sulle droghe, di quella Bossi-Fini sull’immigrazione e di quella ex Cirielli riguardo alla recidiva: i cui effetti, da soli, sono in grado di riportare in breve tempo le carceri a uno stato comatoso. Con i tanti don Abbondio della maggioranza e i tanti garantisti a senso unico dell’opposizione è lecito dubitarne. Nondimeno, si tratta di modifiche irrinunciabili, pena la vanifica dell’indulto.

 

Quei 13 milioni promessi

 

Ma dell’indulto, da subito, occorre gestire gli effetti. I 13 milioni di euro destinati al reinserimento sociale, promessi dai ministeri del Lavoro, della Giustizia e della Solidarietà sociale sono ancora in buona parte sulla carta. Ed è paradossale, se consideriamo che la Cassa delle ammende dispone di risorse per ben 118 milioni di euro. Si tratta di un fondo istituzionalmente preposto proprio per sostenere il reinserimento sociale. Ma - dicono al Dap - vale solo per i detenuti, mentre gli indultati sono da considerarsi "ex" reclusi. Un ostruzionismo da lana caprina che fa capire quanto sia importante la nomina del nuovo capo dell’amministrazione penitenziaria, nel segno della discontinuità e anche sapendogli affiancare una "squadra" sinceramente e fattivamente riformista.

Anche di questo abbiamo parlato recentemente con il ministro Mastella, che ha incaricato me e Sergio Cusani di provare a riattualizzare quel "piccolo piano Marshall" per le carceri che avevamo avanzato nell’anno del Giubileo e che aveva raccolto l’adesione di un ampio "cartello" di forze sociali. L’intenzione è quella sia di dare gambe concrete ai progetti di reinserimento sia di arrivare a una Conferenza nazionale sull’esecuzione penale, analogamente a quella prevista ogni tre anni per le tossicodipendenze. Sappiamo che non sarà facile, anche perché volontariato e associazionismo sono poco abituati a coordinarsi e a lavorare in rete. Questa è la scommessa e la necessità. Vedremo le risposte. Già ne sono venute di positive da sindacati della polizia penitenziaria, ed è di buon auspicio.

Libri: "Una storia di Prima Linea", di Sergio Segio

 

Comunicato stampa, 9 novembre 2006

 

Rizzoli editore, pag. 394, 18.50 euro

Dalla copertina: Un capitolo sanguinoso della storia italiana raccontato dalla linea del fuoco.

"Ho sempre creduto che l’amore e il comunismo si debbano intendere e sposare, salvo scordarmene a tratti, annebbiato dalla foga e dalle durezze della battaglia."

 

Il suo nome di battaglia: Comandante Sirio. Il suo mito: Simon Wiesenthal. Sergio Segio inizia la sua militanza politica in Lotta Continua nei primi anni Settanta, fuori dalle fabbriche di Sesto San Giovanni, "la Stalingrado d’Italia".

Come molti giovani, perde presto la fiducia in una sinistra parlamentare che ritiene imbelle e collusa con i poteri forti. E si volge alla lotta armata. Nel 1974 è tra i fondatori del percorso che, due anni dopo, assumerà la sigla di Prima Linea, destinata a diventare una delle principali organizzazioni terroristiche italiane, a cui aderirà anche Marco Donat Cattin, figlio di un esponente di spicco della Democrazia Cristiana.

Segio sostiene l’ultimo esame di Filosofia alla Statale mentre è già attivamente ricercato. Non abbandona le armi nemmeno quando il gruppo si scioglie, ma si vota alla "liberazione di compagni e compagne" detenuti. Viene arrestato a Milano, il 15 gennaio 1983: stava preparando un assalto al carcere speciale di Fossombrone. Sarà l’ultimo militante di Prima Linea a uscire dopo aver espiato 22 anni di pena.

Accanto alla sua vicenda personale si incidono a fuoco, in queste pagine, eventi come l’omicidio Calabresi, il sequestro Moro, la strage di piazza Fontana. Perché, si chiede Segio, questi passaggi decisivi della storia nazionale sono stati raccontati perlopiù attraverso i verdetti dei giudici?

E perché si parla quasi solo delle Brigate Rosse? Una vita in Prima Linea si propone di riempire un buco nero della memoria, rievocando l’esperienza delle organizzazioni di lotta che con lo stalinismo intrattennero relazioni aspramente polemiche. La sua testimonianza, lucida e precisa, rivive la stagione del terrorismo dal banco degli imputati, riconoscendo apertamente errori e responsabilità, senza ipocrisie né giustificazioni: "Per dovere, per fedeltà, per rispetto".

 

Note biografiche

 

Sergio Segio è stato tra i fondatori di Prima Linea. Da molti anni è impegnato nel volontariato sui problemi del carcere e delle droghe. Ha curato i volumi Annuario Sociale 2000 e 2001 (Feltrinelli) e Rapporto sui diritti globali 2003, 2004, 2005 e 2006 (Ediesse editore). Nel 2005 ha scritto Miccia corta (DeriveApprodi). Ha diretto le riviste "Narcomafie" e "Fuoriluogo" e collabora con varie testate, tra cui "la Repubblica". Attualmente è responsabile della "SocietàINformazione" e del Gruppo Abele di Milano

Giustizia: il Sappe incontra sottosegretari alla giustizia

 

Comunicato stampa, 9 novembre 2006

 

Proseguono gli incontri istituzionali della Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, il più rappresentativo della Polizia penitenziaria con 12mila iscritti, sulle problematiche del Corpo. Questa mattina il Sappe ha incontrato, in due distinti incontri, i Sottosegretari alla Giustizia Luigi Manconi (con delega alla Polizia Penitenziaria) e Daniela Melchiorre (con delega alla Giustizia minorile).

"Nel corso dell’incontro" dichiara il Segretario Generale Donato Capece "sono stati affrontati e portati all’attenzione dei Sottosegretari Manconi e Melchiorre, perché assumano le opportune iniziative di competenza, le priorità per il Corpo di Polizia Penitenziaria e per il sistema carcere. Il Sappe ha chiesto a Manconi di individuare una soluzione legislativa utile alla riassunzione in servizio dei circa 530 agenti di polizia penitenziaria ausiliari, licenziati a fine 2005 ed ha denunciato lo stallo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che, senza più un Capo Dipartimento dopo la nomina di Giovanni Tinebra a procuratore generale di Catania, dimostra un’inerzia francamente sconcertante. Si è infatti da mesi in attesa dell’assegnazione definitiva di 526 vice ispettori e di dare corso ai trasferimenti di circa 130 ispettori che, dopo molti anni, hanno acquisito il diritto al trasferimento in altre sedi del Centro-Sud perché vincitori di interpello. Gli attuali vertici del Dipartimento non hanno ancora trovato il tempo di convocare le Organizzazioni Sindacali per dare corso alle assegnazioni dei neo ispettori ed alla mobilità degli ispettori anziani. Non solo. A 4 mesi dall’approvazione dell’indulto siamo ancora in attesa di conoscere gli interventi strutturali del Ministero sul sistema carcere, interventi più volte autorevolmente sollecitati anche dal Capo dello Stato Napolitano".

"Nel corso dell’incontro con il Sottosegretario Melchiorre" aggiunge il Sappe "abbiamo chiesto la convocazione di un tavolo politico, da lei presieduto, per conoscere le reali piante organiche del Corpo di Polizia Penitenziaria effettivo agli Istituti e servizi per minori, dato a noi a tutt’oggi sconosciuto. Abbiamo anche chiesto il suo impegno per riorganizzare il Dipartimento della Giustizia Minorile, con particolare riferimento all’Ufficio per le Relazioni sindacali che a tutt’oggi non è affatto funzionante ed alle previste Commissioni per il Personale del Corpo nonché di dare corso a nuovo attività formative e di aggiornamento professionale su tematiche concordate con le OO.SS." Conclude il Sappe: "Con soddisfazione, la Segreteria Generale ha preso atto della convinta disponibilità dei Sottosegretari Manconi e Melchiorre di stare vicino alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria, impegnandosi in prima persona nel promuovere ogni iniziativa utile per la tutela e la valorizzazione dei Baschi Azzurri. In particolare, il Sottosegretario Manconi ha ribadito il suo preciso impegno di seguire la questione dei 530 ex ausiliari, condividendo appieno la rivendicazione del Sappe circa il loro legittimo diritto a rientrare nei ruoli del Corpo

Milano: sgombrato per precauzione II raggio di San Vittore

 

Ansa, 9 novembre 2006

 

Il secondo raggio del carcere milanese di San Vittore è stato sgomberato nei giorni scorsi perché i responsabili e i vigili del fuoco hanno ritenuto non fosse sufficientemente stabile. Per questo è stato chiuso in via precauzionale. I detenuti presenti nel raggio sono stati trasferiti nelle altre due carceri milanesi: Opera e Bollate. A quanto si è saputo non si sono creati particolari disagi in quanto, nella casa circondariale nel centro di Milano, è stato di recente ristrutturato un altro reparto e la situazione di sovraffollamento precedente è stata in parte risolta dall’entrata in vigore dell’indulto. San Vittore ospita attualmente circa 850 detenuti.

Milano: San Vittore; kit "di cittadinanza" per chi esce

 

Ansa, 9 novembre 2006

 

Uno spazzolino da denti, sapone, una scheda telefonica, un buono per un pasto caldo e per poter trovare ospitalità. È il contenuto del "Kit di cittadinanza" che da qualche tempo è distribuito agli ex detenuti del carcere milanese di San Vittore che versano nella più assoluta indigenza, per consentire loro di vivere nella legalità le prime 72 ore di libertà.

"Poi - ha spiegato la direttrice del carcere milanese, Gloria Manzelli (nella foto sopra) -, sarà compito delle varie istituzioni provvedere al reinserimento lavorativo e trovare loro una sistemazione definitiva". Nei primi giorni di applicazione dell’indulto di questi kit ne sono stati distribuiti 200.

"La cosa più importante - ha proseguito Gloria Manzelli - rimane comunque l’informazione: per questo nel kit è contenuto un opuscolo con tutti gli indirizzi ai quali potersi rivolgere". Al finanziamento hanno contribuito Regione Lombardia, Comune e Provincia di Milano, mentre alcune aziende hanno regalato schede telefoniche, sapone e altro. "Se verifichiamo che il kit è utile e ben accolto - ha spiegato il sottosegretario regionale ai Diritti Antonella Maiolo, alla presentazione dell’iniziativa, a cui era presente anche Corrado Mandreoli dell’osservatorio sulle Carceri di Milano - si potrebbe estendere anche agli altri istituti penali della Lombardia".

Giustizia: Csm; i magistrati puntano all’amnistia

 

Vita, 9 novembre 2006

 

Il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, infatti, ha approvato oggi all’unanimità il parere sull’indulto. Partendo dalle stime fornite dai presidenti e procuratori generali delle maggiori corti d’appello (l’80% dei procedimenti pendenti potrebbe concludersi con pena condonata), il Csm sostiene di non avere gli strumenti per indicare criteri di priorità per i processi non toccati da indulto, strada percorribile solo con un "appropriato intervento legislativo".

I 17 indulti concessi nella storia repubblicana, si sottolinea inoltre nel documento, "sono sempre stati accompagnati da corrispondenti amnistie", provvedimento che permette "di limitare la trattazione dei processi per reati interamente coperti da indulto ai soli casi in cui permane un significativo interesse sociale". Sulla questione era intervenuto il segretario dell’Anm, Nello Rossi, in un’intervista a "La Repubblica". "Sul piano tecnico", sostiene Rossi "non vedo altra via per rimediare che un’amnistia. Un provvedimento selettivo, e non un indiscriminato colpo di spugna, che escluda dal suo ambito i più gravi reati economici, i fatti di corruzione e i reati che colpiscono interessi collettivi per i quali l’accertamento del giudice penale resta comunque indispensabile". Quanto all’ipotesi di ordinare ai giudici di fare prima i processi non coperti da indulto, Rossi spiega: "Il Csm ha già risposto. Senza un intervento delle legislature il danno potrà essere solo "ridotto" attraverso attente scelte di natura organizzativa compiute dai capi degli uffici, scelte certamente utili ma di per sé non risolutive".

Pordenone: la Camera sollecita costruzione nuovo carcere

 

Il Gazzettino, 9 novembre 2006

 

La Commissione giustizia della Camera ha dato parere favorevole, durante la seduta di martedì, anche allo stanziamento di 12 milioni 458 mila euro che costituiscono parte integrante del Piano straordinario pluriennale di interventi di edilizia penitenziaria. Un parere vincolato ad alcune condizioni, tra cui "che sia dato tempestivo seguito alle autorizzazioni di spesa derivanti, appunto, dal Piano straordinario pluriennale di cui al decreto ministeriale 12 gennaio 2004, con particolare riguardo alla realizzazione dei nuovi istituti di Pordenone e Varese.

Una notizia accolta con soddisfazione dall’onorevole Manlio Contento (An) che durante la seduta di martedì aveva raccomandato "la tempestiva attuazione del Piano pluriennale, riferendosi in particolare alla locazione finanziaria prevista per i nuovi carceri di Pordenone e Varese". Contento ha anche osservato come "gran parte dei fondi relativi all’edilizia giudiziaria siano concentrati nel Lazio" e giudicato "inaccettabile la richiesta di ulteriori interventi per completare il palazzo giudiziario di Napoli, anche alla luce delle cause pendenti sulla regolarità dello svolgimento dei lavori". Il presidente Daniele Farina ha ricordato che per il 2006 restano a disposizione del Fondo per gli investimenti in materia edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile 90 milioni 108 mila 031 euro.

Cremona: dopo "l’effetto indulto" problemi all’orizzonte

 

Provincia di Cremona, 9 novembre 2006

 

Assemblea sindacale, ieri, presso la Casa Circondariale di Cremona. "Gli argomenti trattati - si legge nella nota stampa diffusa dalla Cgil al termine dell’assemblea - hanno fatto emergere numerose problemi, principalmente collegati alla cattiva organizzazione del lavoro unita alla cronica carenza di personale: i dati forniti segnalano che, a fronte di una dotazione prevista di 190 unità, prestano attualmente servizio nell’istituto cremonese 167 unità, ben 23 in meno. Inoltre il 30% del personale del comparto ministeri della Casa Circondariale di Cremona, pur avendo superato un percorso di riqualificazione professionale per profili individuati dall’Amministrazione come necessari, resta da oltre due anni in attesa di inquadramento. L’effetto positivo previsto dall’indulto, che avrebbe dovuto rendere il numero dei detenuti compatibile con strutture e personale, sta svanendo. I dati dicono che nel medio periodo, senza interventi strutturali, si tornerà ai vecchi problemi".

Salerno: ex detenuti chiedono reinserimento sociale e lavoro

 

Salerno News, 9 novembre 2006

 

Presidio informativo e di protesta della "Rete Salernitana Amnistia Subito" davanti alla Prefettura di Salerno. Il presidio ha visto la partecipazione di numerosi ex-detenuti e dei loro familiari, che hanno inteso evidenziare la gravissima situazione che vivono dopo il provvedimento dell’indulto. Una delegazione della "Rete" è stata ricevuta dal Capo di Gabinetto del Prefetto. Nel corso dell’incontro la Rete ha denunciato la colpevole inerzia dell’amministrazione comunale di Salerno e di quella provinciale, che sino ad ora non risultano essersi attivate per la presentazione di progetti di reinserimento sociale e lavorativo - ed in particolare di quelli finanziabili dalla "Cassa delle ammende". Si rischia così di vanificare del tutto la possibilità di impiegare le già insoddisfacenti risorse che sono state rese disponibili dal Governo nazionale. La Rete ha segnalato al rappresentante della Prefettura gli aspetti di grave emergenza sociale che questa situazione, nel disinteresse delle amministrazioni locali, sta creando: alla difficoltà lavorativa si aggiunge per molti ex-detenuti anche il problema casa legato alle procedure esecutive degli sfratti in corso. La Rete chiede che si attivino immediatamente tutte le procedure già previste dalla legge e in larga parte già finanziate per dar vita alle iniziative di sostegno previste dal provvedimento dell’indulto, senza le quali l’indulto stesso sarà completamente vanificato. Gli ex-detenuti "indultati" stanno oggi combattendo una vera e propria lotta per la sopravvivenza in completa solitudine. La Rete ha ricevuto assicurazione che la Prefettura si attiverà sollecitamente presso le amministrazioni della Provincia e del Comune, con una tempestiva convocazione dei rappresentanti dei due enti, per verificare i loro impegni. Tra le prossime iniziative della Rete ci sarà un incontro con l’Arcivescovo di Salerno Mons. Gerardo Pierro, per porre all’attenzione di Sua Eccellenza il dramma quotidianamente vissuto dai detenuti, dagli ex-detenuti e dei loro familiari. La Rete continuerà con assemblee e presidi a marcare stretto i responsabili politici e le amministrazioni: all’emergenza sociale si risponde con il lavoro, reddito e servizi, non con carcere e repressione.

Calabria: un terzo dei detenuti lavora, creata una filiera

 

Quotidiano di Calabria, 9 novembre 2006

 

Negli ultimi anni nelle carceri della Calabria sono stati realizzati opifici e laboratori all’interno dei quali lavorano un terzo dei detenuti, rispetto ad una media nazionale di uno su dieci. Le strutture produttive hanno così creato, tra tutti gli istituti detentivi, una sorta di filiera che, in caso di lavori, consente un considerevole risparmio di denaro. Ma l’aspetto lavorativo non è il solo dato positivo. Nelle carceri calabresi il provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria ha realizzato anche poli sanitari, compreso di medicina specialistica, e quelli scolastici in tutte le strutture detentive calabresi.

L’attività di organizzazione e rilancio del sistema carcerario calabrese ha avuto inizio nel giugno del 2003 con un protocollo d’intesa tra l’Amministrazione penitenziaria e la Regione. Ne è seguito poi il progetto "Athena" che ha dato attuazione a quanto previsto nel protocollo d’intesa. Negli ultimi tre anni sono stati quindi realizzati: una officina meccanica per la lavorazione artistica del ferro nella casa circondariale di Crotone; un laboratorio di ceramica ed una struttura per la lavorazione dell’alluminio a Vibo Valentia; un laboratorio di restauro e di ceramica a Catanzaro; una falegnameria a Rossano ed infine, come punta di eccellenza, una attività vivaistica con numerose serre nell’istituto a custodia attenuata di Laureana di Borrello, nel reggino.

A Reggio Calabria, infine, entro gennaio sarà inaugurato un laboratorio digitalizzato per la lavorazione del marmo. "In Calabria - ha detto il provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Calabria, Paolino Quattrone - siamo riusciti a creare una vera e propria filiera tra tutti gli istituti. I lavori delle varie strutture detentive, fatta eccezione per quelli dove è prevista una certificazione di qualità, sono state realizzate dai detenuti, consentendo così un risparmio del 70% rispetto agli interventi delle ditte esterne. E così facendo, anche attraverso le varie attività realizzate negli istituti, siamo passati da 250 lavoranti del giugno 2002 ai 577 del giugno di quest’anno.

Una crescita che ci ha portato a vedere un detenuto su tre che lavora rispetto alla media nazionale di uno su dieci. Abbiamo voluto dare impulso al lavoro nelle carceri per fare in modo che i detenuti possano avere un introito finanziario in modo da evitare che la criminalità possa incidere nel loro mantenimento ed in quello delle famiglie".

Il concetto di filiera tra le diverse attività svolte nei 12 istituti detentivi della Calabria è facilmente spiegabile se si pensa che "ad esempio - ha aggiunto Quattrone - a gennaio inaugureremo a Reggio Calabria il laboratorio per la lavorazione del marmo. Da quella struttura, ovviamente, riusciremo a produrre il materiale che poi ci servirà per la pavimentazione degli altri istituti. Così come è successo con l’officina per la lavorazione artistica del ferro di Crotone che ha prodotto le ringhiere utilizzate per il vivaio e le altre attività avviate a Laureana di Borrello".

Negli ultimi tre anni le strutture penitenziarie calabresi sono state dotate anche di poli sanitari e scolastici. "Nessuno dei nostri detenuti - ha concluso il Provveditore - viene ricoverato all’esterno degli istituti sempre che non ci si trovi nelle condizioni di una particolare patologia. Abbiamo dotato le nostre strutture di guardie mediche ma anche di centri di medicina specialistica. Ma abbiamo voluto volgere la nostra attenzione la scolarizzazione dei detenuti. Abbiamo attualmente 167 detenuti che frequentano le scuole, ma c’è anche a Catanzaro un polo universitario a cui guardano con interesse molti detenuti".

 

Reggio Calabria: si lavora nelle serre

 

Sono impegnati principalmente nella produzione di composizioni florovivaistiche, i detenuti dell’Istituto sperimentale a custodia attenuata di Laureana di Borrello, nel reggino. L’azienda in cui lavorano, inaugurata nel luglio scorso e di proprietà del Ministero della Giustizia, è stata realizzata dagli stessi detenuti dopo aver spianato una collinetta attigua alla struttura detentiva.

L’Istituto a custodia attenuata è una struttura detentiva a trattamento avanzato che privilegia fortemente le attività lavorative, istruttive e formative. I detenuti che si trovano nella struttura hanno generalmente una età compresa tra i 18 ed i 34 anni ed hanno la caratteristica di trovarsi alla prima esperienza detentiva oltre che essere a basso indice di pericolosità sociale.

"Quella di Laureana di Borrello - ha detto il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Paolino Quattrone - è una struttura innovativa a livello europeo. Una struttura unica nel suo genere e nelle sue caratteristiche. Sicuramente un fiore all’occhiello del nostro sistema penitenziario".

Attigua alla struttura detentiva il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria ha realizzato, utilizzando la manodopera dei detenuti, l’azienda florovivaistica "Don Giuseppe Blasi" che si estende su un terreno di circa un ettaro. "Il terreno - ha aggiunto Quattrone - era su una collinetta ed i detenuti hanno lavorato intensamente per spianarla e successivamente per realizzare l’azienda. Sono state realizzate opere di bonifica e di terrazzamento su quattro livelli".

Sui primi tre livelli del terreno sono state realizzate tre serre e sul quarto livello i detenuti hanno costruito gli uffici dell’azienda. "Per realizzare l’azienda - ha proseguito Quattrone - si è utilizzato quel sistema di filiera che siamo riusciti a creare tra tutti gli istituti calabresi.

Ad esempio per i gazebo e gli uffici sono state utilizzate strutture in legno realizzate nella falegnameria che si trova a Laureana". Quotidianamente i detenuti sono impegnati nelle serre dove sono prodotte vari tipi di piante che poi, a loro volta, vengono sistemate in caratteristici contenitori di ceramica, prodotti in altri istituti penitenziari calabresi. "Per la realizzazione dell’azienda - ha concluso il Provveditore - è stata fondamentale la collaborazione con gli Enti locali. La Provincia di Reggio, infatti, ci ha concesso in comodato d’uso il terreno ed il comune di Laureana, inoltre, ci ha donato la struttura in ferro utilizzata per la custodia degli automezzi dell’azienda".

 

 

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