Rassegna stampa 10 novembre

 

Giustizia: Mastella; piano per 1.400 nuovi posti in carcere

 

Apcom, 10 novembre 2006

 

Sono circa 1.400 i nuovi posti a disposizione degli istituti dell’amministrazione penitenziaria, dopo il via libera del ministro Mastella, al progetto di ampliamento e ristrutturazioni di strutture già esistenti, adeguandole al nuovo regolamento penitenziario. "È una risposta concreta - afferma il Ministro - a chi fa polemiche circa l’impegno del governo per il sovraffollamento delle carceri. L’indulto ha rappresentato, come ebbi a dire quando il Parlamento approvò il provvedimento di clemenza, il primo atto di una serie di iniziative volte ad avviare a soluzione i problemi del mondo carcerario e della giustizia". Si tratta di un piano immediatamente cantierabile, che coinvolge per ora 6 istituti sull’intero territorio nazionale, la cui immediata fattibilità potrà essere garantita proprio dallo svuotamento delle carceri dopo l’indulto, sulle quali sarà quindi più facile realizzare i lavori.

Giustizia: indulto misura necessaria, ma serve una riforma

 

Redattore Sociale, 10 novembre 2006

 

Differenziare i rifiuti e differenziare i detenuti. Una proposta apparentemente forte e un po’ provocatoria, ma che sicuramente coglie nel segno il problema degli istituti di pena nel nostro paese. La proposta è stata avanzata da don Ettore Cannavera della comunità "La Collina Onlus" di Serdiana, durante un incontro dibattito, svoltosi presso i locali della comunità, dal titolo "L’indulto e le misure alternative alla detenzione: quale valenza sociale?".

Ospiti di don Ettore Cannavera, il magistrato di sorveglianza del Tribunale di Cagliari Carlo Renoldi, l’avvocato Michele Schirò e il presidente della Commissione Diritti Civili del consiglio regionale Paolo Pisu. "L’indulto è stata una misura necessaria, anche se emergenziale ma quello di cui si sente maggiormente il bisogno è una riforma del sistema giudiziario che richiede anche un cambiamento culturale - ha affermato Schirò - . Il legislatore dovrebbe fare in modo che le sanzioni non transitino più per il carcere: questo richiede una profonda trasformazione del sistema giudiziario, per evitare che gli istituti siano di nuovo sovraffollati nel giro di pochi mesi".

È necessario quindi impedire le contaminazioni all’interno degli istituti carcerari, "evitando di mettere a contatto i grandi criminali con gli altri detenuti anche perché - ha continuato Schirò - la gran parte dei grandi delitti nascono proprio in seno alle carceri, dove i reclusi hanno modo di conoscersi e di organizzarsi". Ma soprattutto, senza una differenziazione, non si dà l’opportunità alle persone di poter essere recuperate e reinserite nella società, quale dovrebbe essere invece il fine principale cui deve tendere un sistema giudiziario. "L’idea di differenziazione dei circuiti penitenziari è già presente nelle norme - ha aggiunto Rossana Carta, direttore dell’Ufficio esecuzione penale esterna del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria della Sardegna - ed è stata sottolineata anche da sottosegretario alla Giustizia, ma richiede di sostenere elevati costi".

Nell’isola l’indulto ha portato una boccata di respiro alle carceri sarde e soprattutto alla situazione di emergenza in cui versavano gli istituti di pena. Ma d’altro canto, ha anche impedito ad alcuni che di concludere percorsi di reinserimento, come quelli portati avanti nella comunità "La Collina" Onlus a Serdiana.

Un provvedimento che ha solo posto rimedio a una situazione grave ma che richiederebbe un ulteriore passo avanti dal punto di vista della riforma di tutto il sistema giudiziario, e lo studio di misure alternative alla detenzione. "Si stanno valutando anche ipotesi di applicazione del numero chiuso nelle carceri già sperimentato in alcuni paesi del nord Europa - ha detto il magistrato Renoldi, anticipando uno studio condotto dall’Università di Cagliari - che potrebbe porre rimedio al sovraffollamento". L’unica cosa che resta ancora da capire, per poter realmente cambiare le condizioni di vita dei detenuti nel nostro Paese, è quale valenza lo Stato voglia dare alla pena, se meramente punitiva oppure di recupero e di reinserimento.

Indulto: Antigone; l'amnistia adesso è un atto necessario

 

Agi, 10 novembre 2006

 

"Ci vorrebbe una decisione coraggiosa da parte del Parlamento. L’amnistia è un atto necessario". Lo dichiara in una nota Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, nella quale ricorda che "le 208 carceri italiane dopo l’indulto sono tornate in una situazione di legalità, e l’indulto ha consentito il superamento della condizione drammatica di sovraffollamento".

Inutile, secondo Gonnella, "impegnare la magistratura in procedimenti che non avranno alcun esito, essendo la pena già condonata". Ma "il clima politico-culturale non sembra purtroppo dei migliori, anche a causa di tutti coloro (media, magistrati, politici) che ingiustamente, smentendo se stessi e le proprie posizioni precedenti, nonché inventando allarmi sociali, hanno gettato fango sull’indulto. Anche per colpa loro - conclude il presidente di Antigone - è oggi difficile parlare di amnistia. Noi invece pensiamo che sia un atto dovuto".

Indulto: servirebbe un provvedimento… anche per i politici

 

Affari Italiani, 10 novembre 2006

 

Stiamo assistendo, in questi giorni, ad una curiosa schizofrenia: quel Parlamento che ha votato in maniera plebiscitaria l’indulto (85% dei membri a favore), ora si trova diviso sui suoi effetti. Certo, in carcere sono tornati solo 1.570 detenuti, e non quei 24.500 liberati sinora. Se la matematica non è un’opinione, per il momento sembrerebbe tutto sotto controllo. Sennonché le polemiche esistono, e imperversano. Gianfranco Fini, ad esempio, commentando la "sofferenza" espressa dal ministro dell’Interno Giuliano Amato, ha invitato il titolare del Viminale a proporre delle misure per garantire la certezza della pena.

E tutto si somma all’emergenza Napoli, che per il momento sembra essere una città fuori controllo in cui ogni giorno. Alcuni investigatori, proprio qui su Affari, hanno sostenuto che è colpa dell’indulto se all’ombra del Vesuvio c’è stata un’impennata dei crimini, mentre il governo - Romano Prodi in testa - continua a sostenere che non c’è nessun legame tra il provvedimento di clemenza e i problemi partenopei. Può darsi. Certo è che ha ragione Clemente Mastella, ministro della Giustizia, quando sottolinea a tutti i politici che "quest’indulto non è figlio di nessuno".

Anzi, diciamola tutta: quando è stato approvato non sono stati in pochi a legittimarlo e rivendicarlo anche come gesto fatto in onore di Giovanni Paolo II, che alle Camere aveva chiesto nel 2002 un provvedimento di clemenza. Ma, come si suol dire, passata la festa gabbato lo santo. Il santo in questione è proprio papa Wojtyla, strumentalizzato da qualcuno come motivo dell’indulto. E che torna buono ora che nessuno riconosce o si riconosce in una scelta che ha appoggiato con il proprio voto. Quasi quasi è colpa sua… Insomma, come nella classica commedia all’italiana, il capovolgimento di fronte ha esiti tragicomici. O meglio, solo tragici visto che il problema violenza non è argomento su cui ridere sopra. Forse sarebbe opportuno un indulto anche per i politici. Che hanno commesso il reato di incoerenza: magari la prossima volta faranno caso a certe contorsioni, peraltro poco rispettose dell’intelligenza degli italiani.

Giustizia: Casson; disegno di legge per custodia domiciliare

 

Il Gazzettino, 10 novembre 2006

 

L’indulto non serve per superare definitivamente l’emergenza-carceri. E non sempre la pena deve essere scontata in galera. Ne è convinto il senatore diessino Felice Casson, cofirmatario del disegno di legge sulla custodia domiciliare, peraltro non ancora assegnato alla commissione Giustizia.

 

Qual è l’obiettivo della proposta?

"Parliamo piuttosto di proposte. Questo disegno di legge fa parte di un pacchetto presentato in Senato dal gruppo Ds per marcare subito la differenza rispetto alla politica seguita nella precedente legislatura. La parte relativa alla giustizia comprende alcune misure sulla fase esecutiva del processo civile, l’abrogazione della Cirielli e della legge Cirami e, appunto, il testo sulla custodia domiciliare. Nel presentarlo abbiamo tenuto conto di una serie di sollecitazioni che ci venivano dall’Ue, dalla Corte costituzionale e dalla Cassazione".

 

Tutti interventi con un filo conduttore...

"Sì, il principio costituzionale del fine rieducativo della pena, che appare ancora più stringente quando si parla di reati di minore gravità. In quei giorni stavamo per approvare l’indulto".

 

Ora l’indulto è legge: l’idea della custodia domiciliare resta valida o rischia di essere un doppione?

"La proposta è più che mai valida. L’indulto è uno strumento eccezionale. Se lo utilizziamo da solo, entro un paio d’anni l’emergenza carceri si ripresenterà. Per affrontare davvero il problema, occorre rivedere il sistema delle sanzioni sostitutive imparando dall’esperienza. Ad esempio, l’istituto della pena pecuniaria ha avuto un discreto successo, mentre quello della semidetenzione è stato un fallimento".

 

Quante persone potrebbero evitare il carcere se questa proposta diventasse legge?

"Faremo una valutazione precisa quando il disegno di legge approderà in commissione. A spanne, direi decine di migliaia. Tenga conto che il testo rafforza anche l’istituto della liberazione anticipata, portando lo sconto da 45 a 60 giorni al semestre con riferimento ai semestri di pena successivi al 1 gennaio 1995".

 

E i controlli?

"Proponiamo di aumentare i poteri e gli organici del giudice di sorveglianza e del tribunale di sorveglianza. Se il condannato è colto fuori casa senza giusto motivo, va in carcere e risponde del reato di evasione. Non dimentichiamo poi che il testo preclude la custodia domiciliare in alcuni casi e comunque per alcuni reati".

 

Per la certezza della pena, è più importante intervenire sul regime delle prescrizioni o uscire dalla logica per cui la pena è solo quella carceraria?

"Innanzitutto dobbiamo valutare gli effetti reali dell’indulto, anche a lungo termine: speriamo che il ministro Amato accolga la nostra richiesta e venga a dircelo in commissione. Poi bisogna fare tutt’e due le cose".

 

Dice il Csm che l’indulto farà finire nel nulla l’80 per cento dei processi...

"Ma bisognerà farli comunque. I processi hanno anche conseguenze civilistiche sulle quali l’indulto non incide".

Lombardia: 93 coop. sociali per l'inserimento dei detenuti

 

Redattore Sociale, 10 novembre 2006

 

A fine 2005 nei 19 istituti carcerari lombardi erano detenute 8.653 persone (607 donne e 8.046 uomini) di cui 5.298 scontavano una condanna definitiva. Lo ha reso noto oggi il Consiglio regionale della Lombardia. I tre istituti milanesi risultavano essere i più popolosi (1.501 detenuti a San Vittore, 1.417 ad Opera, 890 a Bollate) ma non i più affollati: il carcere bresciano maschile di Canton Mombello, con i suoi 446 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 206 e "tollerabile" di 298, era quello dove si stava più stretti, seguito da Bergamo (470 presenze contro le 210 regolamentari e le 340 tollerabili) e quello maschile di Varese (130 presenze a fronte di 53 posti regolamentari, 99 tollerabili).

I dati sono stati comunicati in seguito al parere favorevole della Commissione "Sanità e assistenza", presieduta da Pietro Macconi (An), espresso nei confronti della risoluzione che accompagna una relazione elaborata dalla Giunta regionale sullo stato delle iniziative per la tutela della popolazione carceraria in Lombardia, illustrata da Antonella Maiolo (Fi). La relazione riporta i primi risultati dell’applicazione della legge regionale n.8 del febbraio 2005, che ha introdotto il principio della "territorializzazione" della pena, un sistema che intende intervenire per il reinserimento sociale dei detenuti attraverso la realizzazione di un sistema integrato di interventi tra enti, servizi ed istituzioni e forme di co-progettazione e co-programmazione. Nelle intenzioni della legge, la Regione promuove azioni che mirano a favorire il minor ricorso possibile alle misure di privazione delle libertà sia per adulti che per minori con la collaborazione delle ASL, degli Enti locali, del Terzo Settore e del Volontariato.

Detenuti con dipendenze - Al 31 dicembre 2005 risultavano in carico presso i "Ser.t." 3.976 tossicodipendenti detenuti: 1240 per eroina, 1516 per cocaina, 105 per cannabis, 113 per altre sostanze. In 751 casi i detenuti erano in trattamento metadonico, in 457 avevano problemi di alcoldipendenza, altri 845 risultavano affetti da HIV. Nelle Comunità di recupero presenti nei distretti di Corte d’Appello lombardi sono ospitati 210 ragazzi.

Minori - Secondo i dati diffusi dalla Regione sono 295 i minori entrati nel 2005 nell’Istituto Beccaria di Milano, di cui 226 maschi e 69 femmine, in gran parte stranieri (230). Provenivano soprattutto da Centri di prima accoglienza (135) o da un altro Istituto per minori (67). Sempre nel 2005 sono stati 766 i minori (di cui 215 stranieri e 158 nomadi) segnalati dall’Autorità giudiziaria all’Ufficio di servizio sociale per i minorenni di Brescia. I presi in carico sono stati 141, di cui 87 a piede libero. I segnalati all’Ufficio di servizio sociale di Milano sono stati 1.624 (di cui 688 stranieri e 176 nomadi), di cui 1.239 a piede libero; 322 i presi in carico, di cui 128 a piede libero.

Cooperative di inserimento - Ad aprile 2006 erano 93 le cooperative sociali di tipo B impegnate nell’inserimento dei detenuti, su un totale di 432 iscritte al registro regionale. Le realtà sono concentrate soprattutto in provincia di Milano (34 con 198 inserimenti effettuati) e Brescia (25 con 83 inserimenti effettuati); 387 il numero complessivo dei detenuti inseriti. Non mancano, anche se in misura minore, le cooperative di tipo A: su un totale di 800 iscritte, 23 si occupano di detenuti.

Lazio: Garante, chi è uscito con indulto non torna a delinquere

 

Asca, 10 novembre 2006

 

"In questi giorni c’è la pericolosa tendenza a far apparire l’indulto come un grave errore, ma i dati ufficiali del Provveditorato Regionale dell’amministrazione penitenziaria del Lazio, aggiornati al 7 novembre, dimostrano l’esatto contrario: chi esce dal carcere non torna a delinquere". Lo ha detto il Garante Regionale del Lazio dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni commentando i dati sul sovraffollamento nel carcere di Regina Coeli, pubblicati questa mattina da alcuni quotidiani.

"È vero che Regina Coeli è affollato come nei giorni prima dell’Indulto - ha aggiunto Marroni - ma da questo a dire che il sovraffollamento è colpa del fallimento dell’Indulto ce ne corre. Sarebbe intellettualmente onesto aggiungere, quando si parla di Regina Coeli, che si tratta di un carcere di prima accoglienza e che il sovraffollamento attuale è legato esclusivamente al numero degli arresti quotidiani che vengono compiuti". A conferma della presa di posizione, il Garante ha reso noti i dati ufficiali sull’Indulto nel Lazio elaborati dal Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria (DAP) e dal Provveditorato Regionale del Lazio del DAP.

Alla fine di settembre con l’Indulto dai 13 istituti del Lazio erano uscite 2.201 persone (176 donne e 2.025 uomini). A queste se ne dovevano aggiungere altre 1.816 soggette a misure alternative alla detenzione. In totale nel Lazio i detenuti che hanno usufruito dell’indulto sono 4.017. Prima dell’indulto nel Lazio erano recluse oltre 6.000 persone e altre 4.000 erano soggette a misure alternative alla detenzione. Al 7 novembre, secondo i dati ufficiali del PRAP, erano rientrate in carcere dopo aver beneficiato dell’indulto solo 148 persone: 144 uomini e 4 donne. Ottantacinque sono italiani, 63 stranieri. "Questi numeri, dunque - ha concluso Marroni - dimostrano senza fraintendimenti che chi è uscito dal carcere con l’Indulto solo in rarissimi casi è tornato a delinquere e che quella sul fallimento dell’Indulto è una polemica che non ha davvero ragion d’essere".

Indulto: Pecorella (FI); una misura sofferta, ma era necessaria

 

Provincia di Como, 10 novembre 2006

 

"L’indulto ha rappresentato una scelta sofferta ma inevitabile di fronte all’emergenza carceri": l’avvocato Gaetano Pecorella, di Forza Italia, difende il provvedimento di clemenza. E vede nel messaggio del ministro dell’Interno Giuliano Amato solo il tentativo di un esponente di sinistra di darsi un "alibi" di fronte a un provvedimento così impopolare.

 

Onorevole Pecorella, cosa non la convince nelle parole del ministro Amato?

Il ministro dell’Interno dice di avere sofferto di fronte all’indulto, però omette di dire che tutti i partiti che hanno votato quel provvedimento di clemenza non l’hanno fatto certamente a cuor leggero. Perché allora votare un provvedimento di quel tipo? Il malcontento popolare sta crescendo... Perché si trattava di scegliere il male minore per alleviare, non certo risolvere, l’emergenza del sovraffollamento delle carceri.

 

Quali erano i rischi?

La situazione quest’estate era davvero esplosiva: nelle carceri più vecchie le condizioni di vita dei detenuti sono al disotto delle norme internazionali. Si sarebbero rischiate rivolte nelle carceri.

 

Sta di fatto che ogni partito che ha detto "sì" all’indulto sta pagando un grave prezzo in termini di popolarità: ne valeva comunque la pena?

Indubbiamente, prima di tutto dal punto di vista umano, e poi anche dal punto di vista politico, perché se è vero che si è trattato di una mossa dolorosa e impopolare, è altrettanto innegabile che senza l’indulto oggi ci troveremmo gestire una situazione veramente insostenibile, con rivolte nelle carceri magari sanguinose.

 

E allora invece di avere l’opinione pubblica preoccupata per le scarcerazioni, avremmo avuto continue richieste di clemenza. Cosa spinge secondo lei l’opinione pubblica a reagire in questo modo?

Si tratta di reazioni umorali, che purtroppo non aiutano a comprendere la gravità della situazione carceraria italiana. Ripeto, senza l’indulto oggi avremmo problemi di sicurezza generale ancora più gravi.

 

Come si può rassicurare allora l’opinione pubblica?

Facendo comprendere alla gente che il vero problema non è l’indulto o altre forme di clemenza per alleggerire la pressione sulle carceri. La vera questione è creare un sistema di detenzione moderno ed efficiente, dove non si verifichi più il sovraffollamento delle celle.

 

Si tratta di un piano utilizzabile?

Senza dubbio serviranno decenni prima di arrivare a un moderno sistema carcerario, anche perché questo governo, nella sua prima manovra finanziaria, non ha ancora destinato neppure un centesimo per la costruzione di nuovi penitenziari o per l’ammodernamento di quelli esistenti.

 

E misure più a breve termine?

Occorre una riforma dei codici che preveda pene alternative a quelle detentive e soprattutto occorrerebbe ricorrere all’effettiva detenzione solo in caso di reale pericolosità del condannato.

Giustizia: Amato; rivedere le norme sui benefici ai detenuti

 

Provincia di Como, 10 novembre 2006

 

Quell’indulto approvato a fine luglio pesa sempre di più, man mano che nel Paese cresce l’emergenza criminalità e la domanda di sicurezza degli italiani. E pesa ancora di più dopo che, l’altro ieri, addirittura il ministro dell’Interno Giuliano Amato e, in parte anche quello della Giustizia, Clemente Mastella hanno ammesso di aver votato la legge con difficoltà e sofferenza. Non solo, perché accanto all’autocritica, il titolare del Viminale ha fatto intravedere la possibilità di una revisione dell’impianto procedurale per arrivare alla "certezza della pena".

Un modo per dire che, almeno nella testa di Amato e forse Mastella, potrebbe prepararsi un giro di vite all’eccesso di garanzie che, di fatto, si trasformano in un’impunità. Ieri perfino Rutelli ha confessato a Matrix di aver "votato con disagio, ma convintamente".

Il presidente della Margherita ha ricordato che "per venti anni" si è parlato del ricorso ad un provvedimento di clemenza e che, quindi, non si poteva non tener conto di un’aspettativa che si era creata nelle carceri. L’elemento certo è che oggi quell’indulto non sembra piacere a nessuno. Tanto che uno dei pochi oppositori - il provvedimento di clemenza fu approvato con un voto bipartisan, dall’80% dei parlamentari -, il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro ironizza: "Ci sono due modi per scrivere "soffre"- ha detto -. Con o senza l’apostrofo. Sull’indulto molti non hanno sofferto, ma si sono offerti".

Con quel provvedimento, ha spiegato Di Pietro a La Repubblica, "alcuni speravano di mettere una definitiva pietra sul sovraffollamento delle carceri. E già quella fu una colpa", per altri "l’indulto doveva liberare gli amici e garantire il fine ignobile della definitiva impunità".

Adesso siamo al "che fare?". E se Mastella ha assicurato che non si farà promotore in Parlamento di un’amnistia per evitare che la macchina giudiziaria giri a vuoto - come suggerisce un documento del Csm che dovrà essere approvato oggi - dall’altro, da parte di An - si sollecita il governo a cancellare il provvedimento anche presentando una serie di proposte che la stessa Alleanza nazionale, come ha assicurato Fini, potrebbe studiare ed eventualmente sostenere. Certo è che il passaggio verso la "certezza della pena" attraversa una palude tanto insidiosa quanto estesa: quello della limitazione dei benefici applicabili a chi è in carcere - ad esempio la semilibertà o i permessi premio -, ma anche un deciso giro di vite sui riti alternativi, dal patteggiamento all’abbreviato che consentono al reo di ottenere subito, davanti al giudici, lo sconto di un terzo della pena prevista.

Anche su questo però si va da una scelta minimale che potrebbe essere quella di escludere dalla possibilità dello "sconto" i reati più gravi e quelli considerati più abietti e riprovevoli fino all’opzione massima di una cancellazione in toto. Con il risultato, in questo caso, che le pene automaticamente verrebbero ritoccate verso l’alto.

Una serie di decisioni che tuttavia avrebbero come risultato immediato l’impennata della popolazione carceraria, ovvero quell’emergenza a cui proprio l’indulto voleva porre rimedio. Non per nulla, prima del provvedimento di clemenza, nelle carceri italiani vi erano circa 60 mila detenuti, un vero record. Resta però il problema dei tempi della giustizia, che i riti alternativi avevano cercato di risolvere. Ecco quindi il campo in cui vorrebbe operare Mastella, un autentico campo minato perché vorrebbe dire accelerare i processi attraverso misure di contenimento dei dibattiti, della ricerca di prove e via dicendo, in altri termini in una restrizione dei diritti della difesa. Un’ipotesi che farebbe insorgere la potente categoria degli avvocati.

E non è detto che troverebbe d’accordo i giudici. Intanto però la gente ha paura e dilaga l’allarme per i reati compiuti da chi è stato rimesso fuori. Ma in questo caso i dati ufficiali smentiscono i timori dell’opinione pubblica: secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dei 23 mila 216 usciti fino alla fine di settembre (anche se la previsione iniziale parlava di circa 15 mila i beneficiari), solo 764 sono tornati dietro le sbarre perché autori di nuovi reati.

Il tema dunque è caldo è anche il governo ora sembra rendersene conto. Tanto che pure da sinistra arrivano proposte-choc: come quella del consigliere comunale diessino di Reggio Emilia, Ernesto D’Andrea il quale ha suggerito, oltre alla collaborazione tra forze dell’ordine e polizia municipale, anche la valutazione di usare "le guardie giurate, sempre in ausilio a polizia e carabinieri, per il presidio del territorio". Una possibilità che, in Emilia Romagna - terra "rossa" per eccellenza - è prevista come possibilità anche nella normativa regionale.

Salerno: le donne, ecco l’altra metà del carcere

 

Il Mattino, 10 novembre 2006

 

Luigina da due mesi fa la lavapiatti, il primo lavoro onesto da quando ha chiuso con la droga. Dallo spaccio al carcere, una strada segnata, la sua. Finalmente è fuori, "graziata" dall’indulto (su trenta detenute, ne hanno usufruito in quindici) e, a 38 anni, guarda al futuro con ottimismo. Luigina è una delle otto protagoniste del documentario "Donne di un altro mondo", girato lo scorso luglio nel carcere di Fuorni da Giustina Laurenzi, complice Lucia Senese, consigliera di Parità alla Provincia, ed Alfredo Stendardo, direttore della Casa circondariale. Sarà lei, insieme all’ex compagna di cella Luisa e Manuela, la cubista diventata-pierre, a raccontare questo pomeriggio durante la proiezione-dibattito del corto (ore 17, palazzo Sant’Agostino, madrina Lina Wertmuller) la drammatica condizione di "rinchiuse in una gabbia di ferro, sole, disperate, senza forza, perché stare ventiquattr’ore senza far niente ti logora la mente". Diverse dagli altri, anche dai "colleghi" di pena. "Già - sbotta Angela la ribelle - A loro tocca il vino, a noi è vietato. Per loro c’è il dopobarba, per noi neanche una cremina". E tra i diversi c’è chi è più diverso. È "Mariolino", arrestato per estorsione. "A Napoli quelli come me li chiamano "masculilli", io sono femmina, ma dentro mi sento giovanotto a tutti gli effetti. Sto pagando per errori che non ho commesso, ma non voglio soffrire perchè mi considerano un anormale. Siamo tutti eguali, l’aspetto fisico non conta".

Gli errori si pagano. Loro - Angela, Katia, Luisa, Patrizia, Mariolino, Luigina, Manuela, Lucia - ne sono consapevoli. Patrizia, l’"intellettuale", lo dichiara a lettere cubitali. "Detenuto significa che hai sbagliato e che per questo devi pagare - Purtroppo, però, a pagare sono anche i nostri familiari che subiscono umiliazioni continue. Una per tutte la perquisizione quando ci vengono a trovare". E le fa eco Katia, chiamata da Giustina Laurenzi a darle una mano come operatrice. Venticinque anni, per la prima volta in carcere con l’accusa di concorso in omicidio, anche il marito dietro le sbarre "Abbiamo una bambina di 5 anni. Lei pensa che lavoriamo lontano e che perciò deve vivere con i nonni. Le telefono quando posso, ma a volte da qui mi interrompono la comunicazione e non so neanche il motivo". "Non consentito - ironizza Luisa "la camorrista" - Il sottotitolo del film doveva essere questo "non consentito" che ci ripetono continuamente. Quando ho recitato nella parte di sciantosa mi avevano proibito di fare la mossa, ma è stato più forte di me, mi sono esibita e mi hanno riportato in cella con i vestiti di scena ancora addosso".

Per Giustina si imbelletta, balla, insieme alle compagne di sventura, una sensuale tammurriata al ritmo dolente di "Luna rossa". Il video si chiude così, loro che salutano sorridenti. Ma nella realtà che accadrà? "Abbiamo in progetto un laboratorio dolciario con l’assistenza di Carolina Sarno, esperta nel settore - assicura Lucia Senese - I dolci saranno messi in vendita nei ristoranti salernitani e per le due detenute più brave ci sarà, una volta fuori, un contratto di apprendistato".

Varese: 130 detenuti per 50 posti, le carceri scoppiano

 

Varese News, 10 novembre 2006

 

Le carceri varesine scoppiano. Al Miogni di Varese, dove i posti sarebbero 99 e 53 quelli regolamentari, i detenuti sono ben 130: la percentuale di affollamento supera il 145 per cento. La stessa situazione si presenta a Busto Arsizio dove il carcere potrebbe ospitare al massimo 297 detenuti - 167 sarebbero i posti regolamentari - ma sono rinchiuse 388 persone. I dati, diffusi dalla Regione Lombardia, spingono le carceri del Varesotto in testa alle classifiche regionali per quanto riguarda le percentuali di affollamento delle carceri.

Le statistiche sulla situazione delle prigioni lombarde sono state presentate oggi alla Commissione "Sanità e assistenza" del consiglio regionale. L’organo, presieduto da Pietro Macconi (AN), ha espresso parere favorevole alla risoluzione che accompagna una relazione elaborata dalla Giunta regionale sullo stato delle iniziative per la tutela della popolazione carceraria in Lombardia, illustrata da Antonella Maiolo (FI).

La legge regionale n. 8 del febbraio 2005 ha introdotto il principio della "territorializzazione" della pena. Un sistema che intende intervenire per il reinserimento sociale dei detenuti attraverso la realizzazione di un sistema integrato di interventi tra enti, servizi ed istituzioni e forme di co-progettazione e co-programmazione.

La relazione riporta i primi risultati ottenuti sottolineando come la Regione promuova azioni che mirano a favorire il minor ricorso possibile alle misure di privazione delle libertà sia per adulti che per minori con la collaborazione delle ASL, degli Enti locali, del Terzo Settore e del Volontariato. Nei 19 istituti carcerari lombardi sono detenute 8.653 persone (607 donne e 8.046 uomini) di cui 5.298 scontano una condanna definitiva.

Per quanto attiene l’assistenza al detenuto con problemi di dipendenza, al 31 dicembre 2005 risultano in carico presso i "Ser.T." 3976 tossicodipendenti detenuti: 1240 per eroina, 1516 per cocaina, 105 per cannabis, 113 per altre sostanze. In 751 casi i detenuti sono in trattamento metadonico, 457 con problemi di alcoldipendenza e 845 affetti da HIV. Nelle Comunità di recupero presenti nei distretti di Corte d’Appello lombardi sono ospitati 210 ragazzi.

Indulto: una grande occasione, ma forse l’abbiamo persa

 

L’Unità, 10 novembre 2006

 

Ventiduemila in meno. È questo il numero di detenuti che con l’entrata in vigore dell’indulto ha varcato le porte delle carceri d’Italia. Per la precisione la popolazione reclusa è passata da 60700 a 38700. Le persone che finora hanno usufruito dell’indulto sono 24.135 (il 4,9% donne e il 95,1% uomini, il 62,2% italiani e il 37,8% stranieri). A fare ritorno in carcere ci sono state 34 donne 1.211 uomini, per un totale di 1245 persone. Di questi 746 sono italiani e 499 stranieri. Numeri che, comunque, hanno contribuito all’alleggerimento delle carceri. "Diciamo che c’è stata una grande occasione - spiega Patrizio Gonnella di Antigone- a questo punto però è necessario non sprecarla".

Partendo dalla questione economica che ha caratterizzato il mondo delle carceri negli ultimi anni Gonnella subito spiega. "Negli ultimi anni c’ è stata una totale disattenzione, diciamo pure che un pezzo di società è stato rimosso". Motivo? "Si è fatta propaganda solamente sull’ edilizia penitenziaria. La direzione è stata totalmente latitante e un ministero che nella migliore delle ipotesi era negligente e nella peggiore ha lasciato morire le leggi penitenziarie". Per questo motivo i rappresentanti di Antigone lanciano un appello. "Chiediamo che si rispettino le leggi in vigore. Primo fra tutte il piano di ristrutturazione delle carceri ora che i detenuti sono di meno si può fare". Che tradotto significa realizzare i bagni nelle celle e portare l’acqua calda. E poi c’è quella che Gonnella chiama "la grande occasione". "Se non ci muoviamo a togliere di mezzo le leggi criminogene, se non cambiamo la Bossi-Fini e la Giovanardi-Fini fra tre anni saremo punto a capo".

Indulto: adesso abbiamo carceri fatiscenti e sempre meno fondi

 

L’Unità, 10 novembre 2006

 

Strutture fatiscenti, celle senza riscaldamento e detenuti costretti a lavarsi in inverno senza acqua calda. E poi carenza di fondi per il lavoro, il recupero e l’assistenza sanitaria. È l’Italia dietro le sbarre, fotografata e raccontata dall’associazione Antigone con il rapporto biennale sulle carceri. Un’indagine tutt’altro che confortante, come spiegano i rappresentanti dell’associazione, soprattutto per chi ogni giorno deve stare dietro le sbarre e fare quindi i conti con i disagi e i problemi che l’universo penitenziario deve affrontare.

"Questo, rispetto anche al passato è un lavoro più articolato che contiene una descrizione puntuale di tutte le 208 carceri d’Italia - spiega Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - e naturalmente si fa un bilancio e si raccontano le vicende prima e dopo l’indulto". Il risultato di questa iniziativa, che sarà presentato il 13 novembre in tutte le regioni d’Italia con manifestazioni parallele, è tutt’altro che confortante. "Quello che viene fuori da questa fotografia deve fare molto riflettere - aggiunge ancora Gonnella - perché all’interno delle strutture abbiamo trovato situazioni veramente disperate che devono essere comunque risolte". Un esempio? "Per linee generali possiamo per esempio dire che abbiamo trovato situazioni in cui non ci sono volontari altre in cui ci sono ma non entrano dentro le carceri".

Una situazione che, comunque varia a seconda della regione e della struttura penitenziaria perché, come spiega Susanna Marietti, coordinatrice del gruppo di lavoro che ha realizzato il dossier, "non c’ è una centralità nella gestione del sistema e del funzionamento". Il motivo? "Molto spesso ci sono i singoli direttori che determinano il funzionamento più o meno virtuoso delle carceri - aggiunge - con tutto quello che naturalmente può seguire". Benché l’indulto abbia aperto le porte delle carceri a circa ventimila detenuti e cancellato il sovraffollamento, nelle carceri i problemi rimangono. "Pensiamo a Regina Coeli - chiarisce la rappresentante dell’associazione - il numero dei detenuti è calato e poi risalito, non come in passato, perché è una struttura di passaggio. Ebbene, qui però i problemi restano e sono parecchi". Ossia? "Ci sono delle sezioni in cui durante l’inverno si muore di freddo ma non perché l’impianto di riscaldamento non funziona, ma perché semplicemente non esiste". Senza dimenticare poi i bagni e l’acqua calda. "In tutte le celle il bagno è composto da lavandino e water delimitato, quando va bene da un muretto - continua - e inoltre manca l’acqua calda".

È drammatica anche la situazione al carcere circondariale di Padova. "Gli impianti elettrici non sono a norma, c’ è una sala docce per sezione, ognuna fornita di quattro elementi, per un totale di 8 - spiega - . Il riscaldamento centralizzato assicura una temperatura maggiore di 18 gradi. Ogni cella è fornita di acqua corrente fredda. Il water è nello stesso ambiente della cella senza nessuna separazione e per di più sprovvisto di copertura. Si è di fatto notato qualche cella maleodorante, anche per scarsa aerazione e per il ripristino degli spazi comuni mancano fondi, in quanto tutte le risorse disponibili sono destinate alla costruzione della nuova sezione".

Critica è anche la situazione del carcere Canton Mombello di Brescia. Situazione che però peggiore a Poggioreale dove l’ accesso alle docce "è possibile due volte a settimana e i detenuti lamentano i costi medio-alti per alcuni prodotti della cucina e del sopravvitto". Nell’elenco delle carceri rientra anche Secondigliano, il carcere di Napoli inaugurato nel 1992 che si proponeva di essere un modello alternativo a quello di Poggioreale "Il carcere - si legge nel rapporto di Antigone - è tristemente noto per condizioni detentive particolarmente rigide. Due inchieste della magistratura, poi divenute processo, si sono concluse con un proscioglimento in primo grado". La maglia nera delle carceri d’Italia però viene assegnata alla casa circondariale di Catania piazza Lanza. "L’istituto - si legge ancora - presenta livelli di evidente degrado: fatiscente nelle strutture. La scarsa offerta di interventi trattamentali e l’assistenza sanitaria carente qualificano questo carcere come uno dei peggiori d’Italia". Motivo? "I gabinetti e le docce sporchi, gli spazi per la socialità inesistenti, la cappella funge anche da laboratorio per iniziative trattamentali".

Francia: uccide ladro, per ministro interni il carcere non serve

 

Ansa, 10 novembre 2006

 

Sta suscitando forti polemiche in Francia ed animando il dibattito politico il caso del commerciante incarcerato e incriminato per aver ucciso uno dei tre uomini che avevano aggredito lui e la moglie mentre si trovavano a casa. La storia non ha tardato ad arrivare sulla scrivania del ministro degli interni francese, Nicolas Sarkozy, che ha subito preso le difese di Renè, il commerciante di 58 anni.

"Il posto di quest’uomo onesto non è in prigione", ha detto il ministro, il quale in una lettera al guardasigilli, Pascal Clement, ha scritto: "i nostri cittadini faticano ad ammettere che un uomo onesto, aggredito nella sua casa, minacciato di morte con un’ arma e preoccupato per la vita della moglie, sia incriminato per omicidio volontario e detenuto preventivamente".

A Sarkozy ha risposto subito Segolene Royal, l’aspirante candidata socialista alle presidenziali 2007. "Un ministro non deve sfruttare dei casi particolari per trarne delle regole generali". Al ministro dell’interno è giunta quindi la risposta del suo collega, il ministro della giustizia, che aveva sollecitato: "Dagli elementi comunicati dal procuratore generale - scrive Clement - risulta che i fatti contestati a Renè Dahan non sembrano iscriversi nel quadro della legittima difesa, come definita dall'articolo 122-5 del codice penale". La detenzione preventiva sarebbe stata decisa - spiega il guardasigilli - per evitare eventuali rappresaglie da parte dei due complici in fuga e per evitare concertazioni con la moglie, testimone del dramma.

Gli inquirenti cercano di ricostruire le fasi, ancora non del tutto chiare, della vicenda, avvenuta la mattina del 27 ottobre scorso, nella Val-de-Marne, a sud di Parigi. È stata disposta anche un’ autopsia sul corpo dell’ aggressore morto. Secondo il quotidiano Le Figaro, Renè Dohan si sarebbe trovato faccia a faccia con i tre malfattori, proprio davanti alla porta di casa. Bloccato a terra e con un’arma puntata alla tempia da uno dei tre, il commerciante avrebbe cercato di liberarsi mentre gli aggressori colpivano la moglie e cercavano di strangolarlo.

Renè è riuscito a liberarsi dalla stretta e ad impadronirsi della pistola, puntandola contro il suo aggressore. Un primo colpo è stato sparato al soffitto, gli altri tre in direzione del ladro in fuga, che ferito sarebbe caduto dalla finestra e sarebbe morto poco dopo. Renè è stato incriminato per omicidio volontario e posto in detenzione preventiva dal giudice istruttore di Creteil.

I parenti, gli amici ma anche gli abitanti del comune del Val-de-Marne hanno manifestato la loro solidarietà al commerciante. "Quando siamo vittime, abbiamo solo il diritto di morire? - sbotta il fratello di Renè - e quando ci difendiamo siamo incriminati?". "È un uomo qualunque che oggi si ritrova dietro le sbarre", commenta l’avvocato del commerciante, Marie-Alix Canu-Bernard. Il sindaco Ump di Nogent-sur-Marne, Jacques J.P. Martin, racconta che "il comune continua ad essere tempestato di telefonate. La gente trova tutto questo ingiusto".

 

 

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