Rassegna stampa 8 novembre

 

Giustizia: Calvi (Ds); indulto da rispettare, lo rivoterei

 

Apcom, 8 novembre 2006

 

"Le dichiarazioni di ieri del ministro Amato? Una scelta del tutto personale che non mette in discussione nulla". Ne è convinto l’avvocato e senatore dei Ds Guido Calvi che, intervistato dal Corriere della Sera, sottolinea: "Figurarsi se Amato non può ragionare e dire la sua in materia di diritto, ma da qui a trarne segnali di annunciata revisione ce ne corre", quindi Calvi "certamente" rivoterebbe la legge. Secondo il diessino con quel provvedimento "non si tratta di svuotare ma di abbassare il livello di pressione" nelle carceri, e sulla questione sicurezza questa "va tutelata con rigore dallo Stato, introducendo semmai norme più severe. Ciò - conclude Calvi - non ha a che fare con l’indulto. I due elementi non configgono, viaggiano in parallelo".

Giustizia: Boato (Verdi); indulto figlio di molte forze politiche

 

Apcom, 8 novembre 2006

 

"Sembra che l’indulto ora sia figlio di nessuno, invece l’indulto è figlio di molte forze politiche che vanno anche oltre la maggioranza ed ora ci dimentichiamo che chi si trovava in carcere si vedeva privato della propria dignità, perché lo spazio non era più umano". Lo ha detto il parlamentare dei Verdi Marco Boato, ospite oggi della trasmissione televisiva Presa Diretta. "La Bossi-Fini e la legge sulle tossico dipendenze ed altre leggi di questo tipo - ha spiegato - hanno incentivato i detenuti e si sono riempite le galere, ecco perché il carcere è diventato in tutto e per tutto una discarica sociale. L’emergenza criminalità a Napoli c’è da prima dell’indulto e chi ha condanne gravi - ha concluso Boato - non è uscito con l’indulto".

Giustizia: Di Pietro (Idv); su indulto vedo lacrime coccodrillo

 

Apcom, 8 novembre 2006

 

Ci sono due modi per scrivere "soffre". Con o senza l’apostrofo. Sull’indulto molti non hanno sofferto, ma si sono offerti. Il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro interviene così su La Repubblica sulle dichiarazioni rilasciate ieri dai ministri Giuliano Amato e Clemente Mastella, che hanno ammesso di aver votato la legge sull’indulto non senza difficoltà.

Con quel provvedimento, spiega Di Pietro, "alcuni speravano di mettere una definitiva pietra sul sovraffollamento delle carceri. E già quella fu una colpa", per altri "l’indulto doveva liberare gli amici e garantire il fine ignobile della definitiva impunità".

"Quando sento tante persone con la sindrome del coccodrillo che parlano di sofferenza ne condivido il sentimento ma a un patto", continua il ministro leader dell’Italia dei Valori, "che ci mettano l’apostrofo, perché questi non hanno sofferto, ma si sono offerti, si sono prestati a favorire un disegno criminoso, permettere l’impunità nel nostro Paese".

Insomma "l’indulto è fonte di recrudescenza criminale, nascono da qui i fatti di Napoli", ma ormai "il danno è fatto", "non si può tornare indietro": è quindi necessario "curare il malato vero, il processo" e "servono interventi procedurali e sostanziali". Un messaggio al ministro della Giustizia Mastella che per Di Pietro "deve tirar fuori dalla muffa degli archivi le bozze del codice penale scritte da Grosso e Nordio". Giuste quindi le critiche del Csm: nella politica sulla giustizia del governo "rispetto a Berlusconi non c’è una novità. Abbiamo sbagliato, stiamo sbagliando, ma rimuoviamo. È l’errore che ci ha fatto perdere in Molise".

Giustizia: Ospedali Psichiatrici Giudiziari, matti da slegare?

 

Ifg on-line, 8 novembre 2006

 

Lo chiamano ergastolo bianco, perché dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari non è detto che si possa uscire. Dopo la condanna, i soggetti internati devono scontare un periodo di cura, al termine del quale verranno sottoposti a una perizia psichiatrica: se presentano ancora disturbi mentali o di adattamento, il soggiorno nel Opg viene prorogato. A data da destinarsi.

In Italia, dopo la chiusura degli Ospedali Neuro-Psichiatrici con la legge Basaglia (l. 180/1978), gli OPG sono l’unica struttura creata ad hoc per ospitare soggetti affetti da malattie psichiche. Sono sei, quattro nel nord Italia (Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino e Aversa) e due al sud (Barcellona Pozzo di Gotto e Napoli), e ognuno conta una media di 200 detenuti.

Nei reparti-bracci di questi ex "manicomi criminali", ci sono sostanzialmente tre tipi di detenuti. Una sezione separata ospita i soggetti in stato di osservazione, coloro che devono sottoporsi a colloqui ed esami per accertare la presenza di una malattia mentale. Secondo Massimiliano De Somma, psicologo volontario dell’Opg di Aversa, il numero di soggetti inviati per un controllo aumentano durante le feste natalizie, periodo in cui la maggior parte del personale carcerario va in ferie. Numerosi anche i casi di soggetti che si fingono folli per avere un alleggerimento della pena e tutti quei carcerati borderline che faticano ad accettare la detenzione e protestano attraverso il rifiuto del cibo e della parola. Gli OPG ospitano anche i carcerati che hanno sviluppato turbe psichiche in conseguenza alla detenzione (ex art. 148 CP) e, soprattutto, i prosciolti-folli. Affetti da un vizio mentale totale o parziale (ax art. 220 CP), sono i soggetti cosiddetti definitivi, verso cui si rivolgono la maggior parte delle attività di cura e di recupero. I sei istituti cercano di offrire percorsi individuali in modo che gli internati riprendano coscienza di sé e del proprio ruolo all’interno della società. Ci sono corsi di fotografia e di cucina - a Castiglione delle Stiviere è stato attivato dal 1990 un apprezzatissimo atelier di pittura - gli sportivi spesso possono praticare il tennis, il calcio o frequentare una palestra. Particolare attenzione viene posta al aspetto lavorativo, giardinaggio, gestione della lavanderia ma anche riparazione di biciclette (a Reggio Emilia) per quanto riguarda il lavoro intra murario. Altissimi gli sforzi per offrire l’opportunità di uscire dalle strutture per lavorare in cooperative o in progetti studiati ad hoc per la psiche del folle-reo.

L’obiettivo è il recupero del sé e della motivazione a vivere: gli internati sono invitati a parlare dei problemi interni all’Opg in assemblee periodiche, ad esprimere il dissenso e a organizzare dibattiti, in modo da potenziare (o far rinascere) le loro capacità relazionali. Alcuni educatori e infermieri hanno poi il compito di insegnare la cura della persona: igiene, scelta del vestiario e, soprattutto, accettazione della propria condizione, momento in cui vengono seguiti da psichiatri e psicologi. Secondo De Somma, si rileva che molti soggetti, se non fossero stati nascosti per vergogna dalle famiglie, non avrebbero problemi mentali o avrebbero comunque una rilevanza molto ridotta se curati all’origine. Interessante è anche il progetti "celle aperte": a Montelupo , ad esempio, si mangia insieme, si legge il giornale in una sala comune e, a volte, i detenuti organizzano delle feste a tema. Per chi ama scrivere, invece. Tre istituti danno la possibilità di diventare redattori delle testate interne: Effatà a Reggio Emilia e Spiragli di Montelupo scrivono sia internati che operatori, mentre il Surge et Ambula di Mantova è gestito interamente dagli ospiti dell’Opg.

Quando possibile, i detenuti vengono accompagnati in luoghi cosiddetti neutri, come i supermercati o i bar, in modo che - nel caso dovesse avvenire - il reinserimento risultasse facilitato. Le condizioni perché sia un’ipotesi fattibile, però, sono abbastanza complesse. Il folle-reo deve avere una famiglia o una comunità disposte ad accoglierlo, le strutture sanitarie del territorio devono poter continuare le terapie a cui è stato sottoposto nell’Opg e le istituzioni della futura residenza deve dare il placet definitivo. E non è raro, soprattutto nei paesi piccoli, che il sindaco si opponga al rientro del folle-reo. Se viene a mancare solo una di queste condizioni, immediatamente, scatta la proroga. All’Opg di Aversa, ad esempio, l’8,7% dei detenuti ha visto il suo periodo di cura crescere di un anno, il 14, 5 di due anni e i casi limiti sono rimasti internati fino a 23 in più di quanto inizialmente stabilito dal giudice. Il problema più evidente è la mancanza di strutture intermedie di accoglienza una volta lasciato l’Opg. Chiusi definitivamente gli Onp il 31 dicembre 1996, non è masi stata completata la costruzione di "case famiglia" e di "comunità ad alta intensità". Gli operatori lamentano anche lo scarso aiuto ricevuto dalle istituzioni sanitarie del territorio: le Asl cercano di ignorare il problema, a meno che in Magistrato di Sorveglianza non disponga l’immediata dimissione di un internato, e anche in questo caso accettano di farsene carico per il periodo minimo sancito dalla legge. Sette giorni.

Lo scarso interesse delle istituzioni per gli Opg è evidente anche per i forti tagli alle spese. , naturalmente, la formazione del personale è del tutto inesistente. Secondo De Somma molto è demandato ai volontari (psicologi, musicoterapeuti), e il dialogo spesso viene affidato a figure come quella di Padre Giuseppe Insana, cappellano dell’Opg di Barcellona, che cerca anche di aprire un canale con le famiglie degli internati. Gravi problemi di budget affliggono Nunziante Rosalia, direttore (e psichiatra) dello stesso istituto, i fondi non sono nemmeno sufficienti a coprire le spese per gli psicofarmaci. Le infermiere lamentano la mancanza di materiale come biancheria, vestiti e attrezzatura per lavare i detenuti. Molte celle sono piccole e difficili da pulire, mettono gli internati di malumore, ragione che ha spinto molti paramedici ad andarsene. A Barcellona sono rimaste solo due infermiere nella sezione aperta "Arno", scoraggiate da un trattamento economico assolutamente inadeguato. E il budget è solo il più evidente dei problemi di una struttura che Rosalia non esita a definire "inutile e obsoleta": il malato è costretto a vivere in vitro per anni, e ci aspetta che poi riesca ad inserirsi di nuovo nella società civile. Più che un carcere, gli Opg dovrebbero essere sezioni distaccate degli ospedali, in modo far convergere le cure con l’avvio alla normalità. Gli operatori, dai volontari alle guardie carcerarie non ricevono nessuna formazione: Giuseppe Genovese, dell’Opg di Barcellona, spiega di aver dovuto cambiare mentalità e modo di lavorare e di "essersi dovuto organizzare da solo". Gli psicologi, invece, mettono in evidenza l’aumento di giovani che, in seguito all’uso di droghe sintetiche, manifestano turbe psichiche.

Tra questi sei istituti, di cui due (Montelupo e Reggio Emilia) vivono anche il problema del sovraffollamento, esiste una sorta di isola felice. All’Opg di Castiglione delle Stiviere (MN), il direttore Michele Schiavon definisce la sua struttura più un ospedale che una prigione. Ci sono i giardini e un cortile, una piscina olimpionica e la sala da biliardo. In mensa gli internati tagliano la carne con forchetta e coltello e, a volte, brindano con un bicchiere di lambrusco. A chi è in grado di gestirla viene anche data una piccola somma di denaro per poter bere un caffè al bar o fare piccoli acquisti, in alcuni casi i detenuti possono uscire da soli.

Se solo il 3,7% dei dimessi è dovuto rientrare all’Opg, il merito va alla anche alla collaborazione con le istituzioni del territorio: Azienda Ospedaliera Carlo Poma, Asl, Enaip e associazioni per la riqualificazione e il lavoro. Segno che, con la cooperazione, l’ergastolo bianco può essere definitivamente abolito.

Giustizia: Sappe; in Piemonte personale in stato di agitazione

 

Apcom, 8 novembre 2006

 

Interruzione di ogni confronto sindacale con il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria di Torino Aldo Fabozzi, proclamazione dello stato di agitazione del Personale di Polizia Penitenziaria e organizzazione di una manifestazione regionale di protesta sui problemi dei Baschi Azzurri in servizio in Piemonte. Sono le iniziative che preannuncia la Segreteria Regionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), la più rappresentativa della Categoria con oltre 12mila iscritti, perché "dalla data di assunzione dell’incarico a Provveditore regionale per il Piemonte del dott. Albo Fabozzi abbiamo spiacevolmente constatato che le relazioni sindacali si sono nel tempo deteriorate e non ci risulta nessun atto concreto per risolvere le mille problematiche della Regione".

"Parliamo appunto di relazioni sindacali perché è con questo strumento - spiega il sindacato - che si devono analizzare le problematiche della Regione e trovare soluzioni. E le relazioni sindacali con il Provveditore lasciano del tutto a desiderare, anzi non esistono proprio. Quando dovrebbe intervenire, ed è il caso di Novara, dove la direzione penitenziaria assume provvedimenti senza tenere nel debito conto la prevista rappresentatività sindacale maggioritaria, Fabozzi non interviene. Quando invece non dovrebbe - continua - assume provvedimenti unilaterali che suscita proteste generalizzate: è il caso di Alessandria, dove è stato rimosso un Direttore equilibrato e ben voluto da Personale di Polizia, personale del Comparto Ministeri, Autorità civili e militari locali".

"Se il Provveditore regionale non ci sente nel caldo del suo ufficio - avverte il sindacato - ci sentirà gridare in piazza in una grande manifestazione di protesta regionale che stiamo già organizzando". Il Sappe denuncia inoltre che, nonostante per effetto dell’indulto siano usciti dai carceri piemontesi circa 2.200 detenuti (il 50% dei quali stranieri), permangono gravi problemi di carenza di personale di Polizia Penitenziaria: "L’organico previsto, per difetto, indica in 3.516 i poliziotti necessari per mandare avanti le carceri regionali. Sulla carta, invece, ve ne sono 3.192 (poco meno di 300 le poliziotte) a cui bisogna sottrarre ben 1.423 unità assenti a vario titolo. E queste cifre parlano da sole".

Aosta: la sezione "protetti" sarà trasformata in reclusione

 

Ansa, 8 novembre 2006

 

Il carcere di Brissogne non avrà più una sezione riservata a detenuti che hanno commesso reati ad alta riprovazione sociale. A comunicarlo, in una nota, è il presidente della Regione, Luciano Caveri, che già nelle settimane scorse aveva sottoposto all’attenzione del Ministro della Giustizia Clemente Mastella e del Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria, Aldo Fabozzi la delicatezza del problema. La presenza di una sezione per pedofili e stupratori aveva destato allarme in Valle già da alcuni mesi. "Non posso che felicitarmi della decisione - spiega il presidente della Regione - sottolineando come l’impegno sia stato onorato nel giro di pochissimo tempo, dimostrando una grande correttezza e buona volontà. Sono quindi certo che questo atteggiamento permetterà di risolvere, allo stesso modo, le altre tematiche emerse nel corso dell’incontro quali ad esempio quelle legate alla formazione destinata ai detenuti e all’accoglimento delle istanze presentate dalla Polizia penitenziaria".

Brescia: teatro; la vita è un sogno, cammino oltre le sbarre

 

Giornale di Brescia, 8 novembre 2006

 

Gli uomini e le donne del carcere si sono raccontati e per due giorni la città si appresta ad ascoltare. Dopodomani sera, nel teatro "Santa Giulia" del villaggio Prealpino, debutta lo spettacolo "La vita è un sogno: un cammino oltre tutte le sbarre", pièce realizzata dalla regista Sara Poli e curata dalla giornalista Paola Carmignani con alcuni detenuti e detenute degli istituti penitenziari di Canton Mombello e Verziano.

Per il terzo anno consecutivo, il progetto - inaugurato grazie alla sensibilità delle presidenti del Consiglio comunale e provinciale Laura Castelletti e Paola Vilardi - diventa appuntamento fisso per la città, coinvolgendo molteplici ambiti di quella "civitas" auspicata a più voci da istituzioni e società civile.

L’edizione di quest’anno - resa ancor più difficoltosa dall’indulto, che ha stravolto in dirittura d’arrivo la locandina dei protagonisti -, consolida comunque un’esperienza che ambisce a divenire un terreno di dialogo tra chi è dentro e chi è fuori. Obiettivo quanto mai concreto, a giudicare dalla perseveranza con la quale istituzioni pubbliche, Amministrazione penitenziaria e diversi enti sostenitori hanno dimostrato di tenere a questo fiore all’occhiello di Brescia. Carlo Alberto Romano, presidente di Carcere e Territorio (da sempre in prima linea sul fronte del disagio carcerario), sottolinea come tale esperienza accomuni oltre cento penitenziari del Paese, nella prospettiva di uno strumento in più teso a fronteggiare la scommessa di un cambiamento possibile.

Maria Grazia Bregoli, direttrice degli istituti di pena bresciani, rimarca a sua volta con forza la specificità bresciana di un progetto che ha saputo travalicare le mura di Canton Mombello e Verziano per approdare nei luoghi della comunità "libera", che con una sinergia fuori dal comune e davvero bipartisan hanno regalato gambe e respiro all’iniziativa. "Lavoro in ambito penitenziario da oltre dieci anni - racconta la direttrice -, e mi è capitato raramente anche solo di incontrare i rappresentanti delle Amministrazioni. A Brescia il dialogo instaurato ha prodotto diversi frutti e accorciato la distanza tra carcere e territorio, accogliendo a pieno titolo anche tale delicata realtà nel contesto della comunità locale".

Per la prima volta lo spettacolo riunisce sul palco donne e uomini che in modo del tutto volontario hanno deciso di affidare alla parola il desiderio di evasione, per assaporare la libertà garantita dal pensiero, dimensione sempre possibile al di là di ogni steccato o cinta carceraria. " Abbiamo cercato di portare dentro la libertà come parola - conferma Sara Poli -, prima con laboratori focalizzati sull’opera di Calderon de la Barca, poi costruendo un percorso fondato sui contributi personali".

Dalle tappe del lavoro svolto in carcere emerge uno spaccato di biografie, sogni e desideri che i protagonisti proporranno venerdì sera alla cittadinanza, mentre domani i riflettori si accenderanno solo per le scolaresche, invitate nel pomeriggio a conoscere e giudicare senza pregiudizio un "mondo altro".

La messa in scena della terza edizione è stata possibile per l’impegno speso dalle istituzioni. ma anche grazie al sostegno di Aidda, Soroptimist, Moica, delle Fondazioni Asm e Banca San Paolo e per la prima volta con il contributo della Fondazione Vodafone Italia. "Esistiamo dal 2002 - spiega Ida Linzalone, segretario della Fondazione Vodafone -; in questo progetto abbiamo notato il forte radicamento sul territorio e la capacità di coinvolgere in modo virtuoso molteplici soggetti". Parole che lasciano presagire per il futuro l’idea di creare un laboratorio teatrale stabile all’interno del carcere per proseguire l’iniziativa, trasformando i volontari in una vera e propria compagnia.

Il ricavato della vendita dei biglietti, prevista un’ora prima dell’inizio dello spettacolo serale, sarà devoluto in beneficenza. La scelta a chi regalare la solidarietà dei detenuti sarà a cura degli attori; per informazioni e prenotazioni, telefonare allo 030 3749274 o allo 030 2977212.

Federica Papetti

Lazio: ex assessore Giulio Gargano in gravi condizioni

 

Ansa, 8 novembre 2006

 

"Le condizioni di salute fisiche e mentali dell’ex assessore regionale Giulio Gargano sono assolutamente incompatibili con il regime carcerario cui è attualmente sottoposto". È quanto ha dichiarato il Garante Regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni sulla vicenda che vede coinvolto l’ex assessore ai trasporti e lavori pubblici della Giunta Storace Giulio Gargano.

Marroni, accompagnato dai suoi collaboratori, ha visitato ieri nel carcere di Regina Coeli l’esponente politico di Forza Italia all’indomani della notifica a Gargano della chiusura delle indagini della Procura della Repubblica di Roma sulle presunte truffe ai danni delle Asl della Regione.

"Sono rimasto davvero impressionato dalle condizioni in cui si trova quello che, fino a pochi mesi fa, era un mio avversario politico sui banchi del Consiglio Regionale del Lazio - ha raccontato il Garante Marroni - Gargano è attualmente ospitato nel centro clinico di Regina Coeli. L’ho trovato su una sedia a rotelle, dimagrito e in condizioni fisiche e psichiche davvero gravi. Mi è stato riferito che, a causa dei problemi cardiaci, avrebbe urgente bisogno di un pacemaker. Per questo motivo era stato trasferito all’ospedale San Camillo dove, però, ha rifiutato l’operazione ed è stato quindi riportato di nuovo in carcere". Secondo il Garante dei detenuti le condizioni di Gargano sono, ad oggi, assolutamente incompatibili con il regime di detenzione cui è sottoposto. "Io credo che questa sua condizione - ha detto Marroni - possa pregiudicare ancor di più il suo stato di salute fino a porlo a rischio di vita. Il ha visto contrapposto nel mio ruolo di Consigliere regionale, alla sua attività amministrativa, non mi esime oggi dal chiedere alle autorità preposte di intervenire per salvare la vita di quest’uomo che, prima ancora di essere un politico è un detenuto e come tale ha diritto alla tutela della sua dignità e della sua salute".

Roma: a Rebibbia parte corso formazione in orticoltura

 

Ansa, 8 novembre 2006

 

Fornire una adeguata formazione professionale ai detenuti del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso con l’obiettivo di creare, nel medio termine, figure professionali specializzate in campo agricolo e cooperative sociali di ex detenuti in grado di competere professionalmente e con profitto in questo settore. Sono questi gli obbiettivi del corso di formazione professionale in orticoltura finanziato dalla Provincia di Roma e tenuto dalla Confederazione Italiana Agricoltura (CIA) di Roma, con il patrocinio del Garante Regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni all’interno del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso.

Il corso riguarderà 25 detenuti e durerà 150 ore complessive, fino alla fine di marzo. I detenuti seguiranno due lezioni settimanali, il martedì e il giovedì, nel corso delle quali si alterneranno lezioni teoriche e pratica. Al termine del corso sosterranno un esame finale che consegnerà loro un attestato di qualificazione professionale da spendere anche all’esterno del carcere.

L’idea di organizzare un corso a Rebibbia era nata nei mesi scorsi dopo che la CIA, su proposta del Garante regionale dei detenuti, aveva donato semi di fagioli, piante di limoni, piantine di pomodori, cetrioli, melanzane, insalate, angurie per gli oltre mille metri quadrati dell’orto del carcere romano.

Oggi i prodotti ottenuti dalle coltivazioni dell’orto del carcere sono destinati ai bisogni di altri detenuti nella struttura carceraria che non fanno colloqui o non hanno risorse economiche.

"La nostra attività a Rebibbia ha un triplice scopo - ha detto il presidente provinciale Cia Massimo Biagetti - fare in modo che continui in modo professionale la coltivazione dell’orto del carcere; organizzare, se possibile, in primavera la produzione e la commercializzazione dei prodotti in modo da avere un reddito con cui poter pagare i detenuti impiegati; organizzare, nel medio termine, corsi di specializzazione in materie e compiti specifici per consentire ai detenuti di continuare, anche al di fuori del carcere, questa attività attraverso la creazione di coop sociali".

"Siamo stati i promotori dell’intervento della CIA a Rebibbia - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - ed oggi siamo particolarmente soddisfatti per l’avvio di questo corso. Si tratta, infatti, di un atto concreto in favore dei detenuti, un atto attraverso le istituzioni investono su 25 giovani, fornendo loro una formazione professionale da poter spendere con profitto in un settore come quello agricolo in cui c’è sempre bisogno di personale specializzato".

Libri: lezioni dal carcere con "Ragazzini e Ragazzacci"

 

Io Donna, 8 novembre 2006

 

Portare giovani detenuti nelle scuole. Un progetto per prevenire le devianze. E far toccare con mano ai ragazzi che cosa significa infrangere le regole.

Per Giuseppe sono state le "brutte amicizie": "A 13 anni ho cominciato a rubare motorini, a 15 spacciavo e rubavo macchine, a 16 mi hanno arrestato. Mi ritrovo rinchiuso da quattro anni nel carcere minorile di Lecce". Daniele descrive i dettagli della rapina in una gioielleria che lo ha portato in galera a 14 anni, e riflette: "Insieme alla libertà ho perso anche la mia adolescenza".

Mentre Veronica, dal minorile di Casal del Marmo, Roma, non rivela il suo reato (ma deve essere grave perché - accenna - la condanna è di otto anni e sei mesi), ha solo voglia di comunicare: "La mia testa qui dentro è morta nei giorni sempre uguali, nel bagno che sa di fogna, nel cibo senza sale, nelle sbarre alle finestre... Dovreste educarci, peccato che riuscite solo a farci odiare il mondo ancora di più".

Questi diari di ragazzini in galera riusciranno a tenere alla larga da criminalità e droga i loro coetanei "normali"? A Padova ci credono: il Comune sta diffondendo nelle scuole medie il libro Ragazzini e ragazzacci, che raccoglie testimonianze dalle carceri minorili d’Italia, realizzato dall’associazione Il Granello di senape e da Ristretti Orizzonti, la rivista del penitenziario cittadino. "È un progetto di prevenzione del bullismo, della tossicodipendenza, della dispersione scolastica" spiega l’assessore comunale alle politiche scolastiche e giovanili, Claudio Piron. "Invitiamo i presidi ad adottare il libro nei percorsi di educazione civica e l’anno prossimo, per chi è interessato, organizzeremo incontri con i detenuti perché gli studenti ascoltino da una persona in carne e ossa cosa significa infrangere le regole e finire in carcere".

Da tempo i detenuti-redattori di Ristretti Orizzonti si raccontano nelle scuole superiori, e centinaia di studenti sono entrati in carcere a conoscere dal vivo l’oppressione di questo mondo parallelo. Ma adesso si tratta di scuole medie, di ragazzi più acerbi: "Le indagini su droga, alcol e criminalità fra gli adolescenti della nostra zona dicono che si comincia sempre prima, a 12-13 anni. Ascoltare un’autentica esperienza di vita, asciutta e senza retorica, può servire da deterrente più di tante lezioni" sostiene Omelia Favero, la volontaria che dirige Ristretti facendone un punto di riferimento nazionale per l’informazione da dietro le sbarre.

Qualche media è già partita. Così Altin, albanese, ha confidato a una classe quanto poco gli sia bastato per trasformarsi in assassino: l’illusione di onnipotenza dentro al gruppo, una rissa, un coltello in tasca. E Stefano ha scosso i ragazzi con la sua caduta: buona famiglia, studente brillante al liceo classico. Poi la droga, i furti d’auto, lo spaccio, il fondo. E la galera. "I ragazzi vorrebbero sentirsi rassicurati, sapere che in cella finiscono solo i poveracci e gli sfigati" osserva Favero "invece storie come quella di Stefano li disorientano e li fanno riflettere".

Alessandro Mingo, insegnante alla media Guinizelli di Monselice, provincia di Padova, è rimasto sorpreso dall’interesse dei suoi allievi per un tema tanto di frontiera: "Si è parlato di estradizione, di legge Bossi-Fini e di funzione rieducativa della pena, Un tassello importante nell’educazione civica". Il libro Ragazzini e Ragazzacci (5 euro, info: redazione@ristretti.it, tel. 049.654233) contiene anche un’inchiesta da cui risulta che la scuola, spesso, non si accorge quando un ragazzo sta scivolando in vicende più grandi di lui.

Verona: il Garante dei detenuti, un convegno per discuterne

 

L’Arena di Verona, 8 novembre 2006

 

L’11 novembre 2006, dalle 9 alle 13, nella sala del Banco Popolare di Verona in Via S. Cosimo, si terrà un Convegno dal titolo "Il Garante e la tutela dei diritti delle persone detenute".

Sono previste relazioni del Procuratore capo dott. Papalia, del dott. Anastasia, delegato del sottosegretario alla Giustizia on. Manconi, del Garante dei diritti dei detenuti presso il Comune di Bologna avv. Bruno, del Difensore civico del Comune di Verona dott.ssa Tantini, di un gruppo di lavoro che ha svolto una ricerca sul tema. Concluderà l’Assessore ai Servizi sociali del Comune di Verona avv. Dalla Mura.

Il convegno rappresenta una tappa fondamentale del progetto "Sportello giustizia", promosso e finanziato dal Centro Servizi per il Volontariato di Verona con l’adesione di numerose associazioni di volontariato operanti nell’ambito del sistema penale (Cestim volontariato, Comunità Emmaus Villafranca, Don Tonino Bello, Ripresa responsabile, Società S. Vincenzo dè Paoli, Volontariato calabriano F. Perez e La Fraternità che ha il ruolo di capofila coordinatore).

Il progetto ha come obbiettivi il miglioramento della collaborazione tra associazioni, l’apertura di un Centro d’ascolto davanti al carcere di Montorio e la tutela dei diritti di una particolare categoria di "soggetti deboli" quali sono le persone a qualunque titolo private della libertà personale ma non della dignità umana.

Il Garante di questi diritti è una figura nuova per l’ordinamento italiano ma non per altri Paesi. In Parlamento è in discussione una legge che lo istituisce a livello nazionale. Nel frattempo molti Enti locali (Regioni e Comuni) l’hanno istituito sul territorio di loro competenza.

Si vorrebbe che anche Verona si dotasse di questo Ufficio che, è scritto nel volantino d’invito, "non si propone solo o necessariamente come difensore dei cittadini che la privazione di libertà rende più deboli, tanto meno come giudice tra questi e le istituzioni, ma come supporto di entrambi, ponte di congiunzione tra Città e carcere (e altri luoghi di restrizione), individuando e promuovendo le azioni che le Amministrazioni, l’Ente territoriale e la comunità cittadina possono intraprendere per rendere effettivo l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile nell’ambito di quanto è consentito dalle norme."

I luoghi di privazione della libertà devono essere anche luoghi in cui si fa esperienza di legalità e di appartenenza ad una comunità civile.

 

Per informazioni: Giorgia Tornieri, Cestim, tel. 045.8011032, cell. 348.8291719

Genova: convegno "indulto, sicurezza e reinserimento sociale"

 

Indulto, sicurezza e reinserimento sociale

Mercoledì 15 novembre 2006, ore 15

Star Hotel, Corte Lambruschini - Genova

Incontro promosso dalla Conferenza Regionale Volontariato Giustizia

 

Perché questo incontro

 

L’emergenza "indulto" è stata l’occasione per avviare, all’inizio d’agosto, una collaborazione tra istituzioni (Comune e Provincia di Genova, Regione Liguria, carceri del territorio, U.E.P.E., U.O.C.S.T. e servizi sociali vari), associazioni di volontariato e privato sociale. Ciò ha consentito di concordare le procedure per fronteggiare la situazione e ha dimostrato, una volta di più, l’importanza della concertazione tra associazioni di volontariato ed enti pubblici.

La Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Liguria intende mantenere e proseguire la buona prassi, favorendo il confronto tra istituzioni e volontariato, in modo da giungere ad un utilizzo sempre più efficace e coordinato delle risorse esistenti sul territorio, superando la settorialità dei diversi interventi. Infatti, il problema del reinserimento sociale a fine pena (che l’indulto ha evidenziato ma che non è certo finito) investe vari aspetti: soltanto un’azione sinergica e integrata dei vari attori pubblici e privati può rendere gli interventi sempre più efficaci e mirati.

 

Oggetto dell’incontro

 

Partendo da un’analisi di quanto realizzato per la gestione dell’emergenza "indulto", l’incontro si propone di favorire il confronto tra gli enti pubblici regionali, le associazioni di volontariato e il privato sociale, per evidenziare luci ed ombre. Il confronto consentirà la promozione di strategie coordinate di intervento e politiche sociali volte al reinserimento dei detenuti dimessi. Le strategie saranno anche una risposta al bisogno di sicurezza sociale che la cittadinanza richiede. Coordinerà l’incontro l’Avv. Marco Cafiero, membro del Comitato Scientifico della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Liguria.

 

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