Rassegna stampa 9 marzo

 

Antigone: disastro delle carceri; dov’era il ministro Castelli?

 

Associazione Antigone, 9 marzo 2006

 

"A un mese dalle elezioni, dopo che grazie anche al Ministro Castelli è stata bocciata l’amnistia, dopo che è stata approvata la ex Cirielli che farà crescere di alcune decine di migliaia i detenuti nelle carceri italiane, dopo che è stata modificata in peggio la legge sulle droghe parificando i consumatori di droghe leggere con gli spacciatori di droghe pesanti, ci vengono a dire che la situazione è drammatica.

Dov’era il Ministro Castelli quando gli dicevamo che il 69,31% dei detenuti si lava con acqua gelida, che il 60% delle detenute non ha il bidet a, che il 55,6% dei detenuti vive in carceri dove non sono consentiti colloqui in spazi all’aria aperta (tutte cose previste per legge). Dov’era quando dicevamo che i morti ogni anno in carcere sono circa 160. Che la sanità è al collasso.

Dov’era l’amministrazione penitenziaria quando le chiedevamo di battere un colpo per segnalare che la ex Cirielli sarebbe stata la pietra tombale del sistema penitenziario italiano. Dov’era quando denunciavamo che la legge sulla sanità è rimasta inapplicata e che i detenuti soffrono un vuoto di tutela. Nulla si è fatto per la salute, e non solo per mancanza di risorse, e nulla si è fatto per i bambini in carcere e per il lavoro penitenziario.

Oramai il recupero sociale di cui parla il Presidente Ciampi è un mito, anche a causa di questo Ministro – che definiva le carceri hotel a 5 stelle - e di questa amministrazione penitenziaria il cui vertice non ha mai proferito parola per segnalare la drammatica deriva umanitaria delle carceri italiane."

Roma: a "Regina Coeli" ci sono 920 detenuti in 316 celle

 

Adnkronos, 9 marzo 2006

 

La regione Lazio interviene con uno stanziamento di 450 mila euro per la ristrutturazione del quinto e sesto braccio del carcere romano di Regina Coeli che da diversi mesi versavano in una condizione di estrema fatiscenza. L’istituto, che ha una capienza regolamentare di 907 detenuti, attualmente ospita 920 reclusi, anche se il numero in media si attesta sui 960. Fra questi, circa il 60% è di origine straniera e circa il 30% è tossicodipendente.

Fra gli stranieri, la comunità albanese è la più presente (10-15%), mentre per quanto riguarda i tossicodipendenti, al momento 40 di loro sono sieropositivi e 12 hanno l’Aids. All’interno del carcere si trovano 200 celle da 2 posti di circa 13 mq, 115 da 4 posti di 26 mq e una da 3 posti, per un totale di 316 celle. Facendo un rapido calcolo, la media è di circa 3 detenuti per ogni cella e di circa 6 mq per ogni detenuto. Questi sono alcuni dati relativi al carcere romano di Regina Coeli diffusi dall’osservatorio sul carcere dell’associazione Antigone. Dalla ricerca emerge che, nonostante le recenti ristrutturazioni abbiano migliorato l’aspetto complessivo degli ambienti e dell’igiene, la situazione all’interno del carcere rimane sostanzialmente critica.

"La cucina non è a posto - si legge - la pavimentazione va ristrutturata. Nel locale attiguo e comunicante può capitare che circolino topi. I passeggi sono spazi limitati, pavimentati in cemento, angusti e senza protezione dalle intemperie e dallo smog del lungotevere. Le zone di socialità interna collettive sono solo nelle sezioni ristrutturate, altrimenti la socialità si svolge nelle celle". "Le biblioteche - si legge ancora nel rapporto dell’associazione Antigone - rimangono di reparto. Dovrebbe esserci un inserimento nel sistema cablato delle biblioteche di Roma, così come dovrebbe funzionare una rete informatica per la richiesta di volumi in lettura, ma non c’è un organizzazione che incrementi la lettura. I pochi volumi appaiono in disuso e i bibliotecari-detenuti digiuni di pratiche specifiche.

Le aule di scuola - continua - sono per lo più sparse nei reparti, non sono specificatamente adibite a questo uso ma piuttosto ricavate in spazi dove c’è qualche banco e dove, insieme ad altre attività, in certi orari si fa anche lezione". All’interno del penitenziario gli spazi per le attività comuni sono in pratica due rotonde. All’interno di una di queste, che ospita circa 150 posti, si celebra la messa della domenica. Per quel che riguarda le ore di libertà la situazione è la seguente:per le sezioni chiuse, le ore fuori dalla cella sono divise in due turni: 2 ore al mattino, generalmente all’aperto, e 2 ore di socialità nelle celle di reparto. Poi ci sono le sezioni in cui i detenuti restano aperti per 2 ore all’aria di mattina. Le guardie sono 625 di cui 520 effettivi, mentre ci sono 5 educatori fissi e 2 part-time. All’interno del carcere, inoltre, operano 100-150 volontari, che tuttavia non hanno ruoli specifici per il reinserimento dei detenuti "Oltre alla stabile presenza dei ministri di culto cattolici - si legge nel rapporto - che sostanzialmente è il gruppo che ruota attorno al cappellano, padre Vittorio Trani, è presente qualcuno della comunità evangelica.

Per i ministri di culto islamici, il direttore sostiene che è valido il divieto all’ingresso stabilito dal Ministero degli Interni". Per quanto riguarda le attività svolte all’interno del carcere, l’osservatorio fa sapere che "non sembra che se ne facciano molte, a parte le attività realizzate dai volontari, come il gruppo di Villa Maraini, e alcuni corsi di pittura che vengono gestiti con i finanziamenti Fse. Ci sono dei mediatori culturali in convenzione e, una volta la settimana per 2 ore, si svolgono incontri con educatori professionali, psicologi e storici dell’arte. Infine, per iniziativa di alcuni insegnanti della scuola, ci sono attività di educazione al linguaggio cinematografico e corsi di educazione alla salute". Sono previste inoltre attività lavorative, sopratutto domestiche e legate alla necessità di gestione dell’istituto, oltre che corsi di informatica e alfabetizzazione.

All’interno della struttura ci sono anche officine per fabbri e falegnami e la lavanderia. A Regina Coeli, da alcuni anni, è stato approntato il Centro clinico, attrezzato con ambulatori e strumenti per la dermatologia, la gastroentorologia, la pneumologia, la neurologia, la cardiologia, l’oncologia, l’ortopedia, l’infettologia e l’urologia. È presente inoltre una sala operatoria, dove l’equipe chirurgica conduce per il momento interventi di chirurgia generale. I tossicodipendenti, circa il 30% del totale dei detenuti, non sono concentrati in un reparto unico, ma sono sparsi per l’istituto. C’è la somministrazione di metadone e di Alcover per gli alcolisti. Ci sono in totale 40 detenuti sieropositivi, di cui 12 malati di Aids, che si trovano nel Centro clinico.

Potenza: progetto di prevenzione per la salute delle detenute

 

Adnkronos, 9 marzo 2006

 

Si è concluso un progetto per la prevenzione delle patologie legate alla sfera genitale femminile rivolto alle detenute dell’istituto penitenziario di Potenza. Promossa dalla Regione Basilicata, l’iniziativa ha visto il coinvolgimento attivo di una serie di professionisti e del personale della Casa Circondariale. I risultati sono stati presentati in un incontro conclusivo. Nel corso del progetto le detenute si sono sottoposte allo screening oncologico (pap-test e mammografia). Il progetto regionale si inserisce in un accordo più ampio tra il ministero di Grazia e Giustizia e la Regione Basilicata finalizzato a promuovere interventi concreti ed efficaci anche a favore di particolari situazioni e problemi di cui sono portatrici alcune fasce cosiddette deboli di detenuti tra cui le donne e gli stranieri.

Latina: iniziano corsi di yoga per le carcerate pontine

 

Il Tempo, 9 marzo 2006

 

Cercare da un lato di aiutare i reclusi a superare il difficile impatto con la durezza del mondo del carcere e dall’altro contribuire al loro recupero civile, psicologico e spirituale. Sono questi gli obiettivi del corso di meditazione Sahaja Yoga che sarà attivato nei prossimi giorni nella sezione femminile del carcere di Latina con il patrocinio del Garante per i diritti dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni. "Iniziative in apparenza estemporanee come questa - ha dichiarato Marroni - possono aiutare i reclusi a superare l’ impatto con la durezza del mondo del carcere favorendo anche il loro recupero sociale".

Su un punto, in particolare, il Garante ha voluto insistere: "il corso di Sahaja Yoga - ha spiegato - vuole essere un concreto aiuto ai reclusi per superare l’impatto con la durezza del carcere". Anche in assenza di cifre, dall’ufficio del Garante regionale dei diritti dei detenuti fanno notare che, nei loro colloqui settimanali nelle strutture carcerarie del Lazio, i problemi soprattutto psichici che emergono sono in larga parte dovuti alle difficoltà dei detenuti di affrontare la vita quotidiana nel carcere. "Queste difficoltà sono il pericolo vero per ogni recluso - ha avvertito Marroni - pericolo che, tra l’altro, rende la detenzione solo un momento di espiazione della colpa.

Nelle carceri mancano alternative in grado di attirare l’interesse dei detenuti e trasformare, così, la detenzione in una occasione per il loro reinserimento sociale. In tale ottica - ha concluso - una iniziativa in apparenza estemporanea come il corso di Yoga può essere un’occasione da cogliere". Quella di Latina è la seconda esperienza del genere dopo quella già in corso dallo scorso dicembre nel carcere di Velletri. A Latina, in particolare, il corso di Sahaja Yoga durerà circa un anno e sarà tenuto da volontari dell’associazione nazionale "Vishwa Nirmala Dharma - Sahaja Yoga", riconosciuta dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali, iscritta nel registro nazionale delle associazioni di promozione sociale e che da anni svolge attività di volontariato sociale sul territorio nazionale.

Droghe: Prc; per destra i tossicodipendenti sono cittadini serie B

 

Asca, 9 marzo 2006

 

"Da una parte c’è chi considera i tossicodipendenti come persone a cui ridurre il più possibile i danni della loro condizione, e dall’altra, a destra, chi li considera esseri di serie B da incarcerare e che quindi vede in ogni politica pubblica di aiuto e recupero un elemento da osteggiare sull’altare di una tolleranza zero sempre unidirezionale, verso gli anelli più deboli della societa"‘. Così Monica Sgherri, capogruppo di Rifondazione Comunista al Consiglio regionale della Toscana, interviene sul dibattito che è nato sulla proposta di legge regionale sulle droghe ed in particolare sulla safe injection room. "La filosofia di questa legge, che abbiamo sottoscritto - prosegue Sgherri - è condivisibile perché mette in campo tutta una serie di strumenti e strategie per la riduzione del danno, non ultima l’impropriamente detta ‘stanza del buco liberò, che sarà utile per fare in modo di mettere in contatto operatori sanitari e sociali con i tossicodipendenti, allontanandoli dalla clandestinità. Così come avviene già in tanti altri paesi del mondo". Secondo Sgherri, invece, la legge varata dal governo Berlusconi è contraddistinta da "una filosofia tutta tesa alla repressione" e "va esattamente nella direzione di riempire le carceri di poveri cristi che nulla avranno a che vedere, nella maggior parte dei casi, con quella criminalità legata allo spaccio di droga che sembra invece ispirare le politiche di tolleranza zero tanto sbandierate".

Venezia: Giudecca; l’importanza del lavoro per la nostra dignità

 

Il Gazzettino, 9 marzo 2006

 

Poche parole e tanti fatti. La festa della donna svoltasi ieri nel carcere femminile alla Giudecca ne è stata la dimostrazione. Presenti parecchi politici, tra i quali diversi assessori donna, ma da loro nessun discorso. Le parole sono state dette dalla direttrice degli istituti penali veneziani Gabriella Straffi, dal presidente della cooperativa sociale "Il Cerchio" Gianni Trevisan e da Maria Teresa Menotto, presidente dell’associazione di volontariato penitenziario "Il Granello di Senape", oltre che dalle detenute. Parole e discorsi per spiegare che il carcere della Giudecca è in controtendenza rispetto al resto degli istituti penitenziari di tutta Italia; qui, a dispetto del calo di lavoro dovuto al taglio delle sovvenzioni e dei finanziamenti, vi è stata, grazie alle cooperative sociali, un’escalation di impieghi, che vede una ventina di detenute su 100, occupate.

"Lavorare, per noi - ha detto Fulvia (nome di fantasia), una detenuta - ha molta importanza: ci ridà dignità dal punto di vista umano e sociale, ci permette di pensare di meno alla nostra situazione e ci rende autonome, senza così gravare sulle nostre famiglie"."Le feste in carcere non sono amate - ha ricordato la direttrice - ma le ospiti continuano a partecipare affinché si continui a parlare della cosa che a loro sta più a cuore, il lavoro".

Tutti i presenti si sono recati poi nella lavanderia interna, affidata poco più di un anno fa dall’amministrazione penitenziaria alla cooperativa "Il Cerchio", che, capendone l’importanza a livello di potenzialità lavorativa, ha investito tanto di proprio, e con contributi offerti generosamente dalla Fondazione Carive, dal Comune, Regione e Provincia, ha acquistato un mangano professionale, una macchina piega tovaglioli e una lavatrice con portata di 70 chili, che insieme agli altri macchinari presenti, la rendono una vera lavanderia industriale. Soltanto qui sono impiegate otto detenute, per il lavaggio e la stiratura della biancheria degli istituti di pena e per il tovagliato dell’Harry’s Bar e dell’Harry’s Dolci di Arrigo Cipriani, ma tra qualche mese, con l’arrivo, quasi sicuro, di nuove commesse, il numero è destinato a salire. È importante però ricordare che "Il Cerchio dà lavoro a persone in pene alternative anche fuori dal carcere. Attualmente conta 90 dipendenti, tra i quali una decina di semiliberi, un’altra decina di affidati, qualche articolo 21 e parecchi ex detenuti. La giornata si è conclusa con un concerto di musica classica, "Le quattro stagioni" di Vivaldi, diretto dal maestro Mario Merigo, molto apprezzato dalle detenute.

Viterbo: polizia penitenziaria; no a reparto ospedaliero per detenuti

 

Il Tempo, 9 marzo 2006

 

Dura presa di posizione del Sindacato Autonomo di Polizia penitenziaria contro la decisione del Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Ziccone di aprire un reparto detentivo nell’ospedale Belcolle di Viterbo. "Si tratta di una decisione arbitraria ed unilaterale - afferma in una nota la segreteria regionale del Lazio del Sappe - che è stata adottata contro il parere delle organizzazioni sindacali di categoria e che non tiene conto della criticità del carcere Mammagialla". Il Sappe sottolinea infatti "l’endemica carenza del personale di polizia penitenziaria, sotto organico di non meno di trenta unità, congiunta al grave sovraffollamento della struttura, ben oltre i limiti tollerabili. E al servizio di sorveglianza all’interno, o comunque nelle sezioni detentive, si devono associare i gravosi compiti di traduzione dei detenuti in altri istituti d’Italia e presso le aule di giustizia. Tutti compiti che si ripercuotono notevolmente sul servizio svolto dalle donne e dagli uomini della polizia penitenziaria".

Le ragioni che hanno indotto il Sappe, unitamente a Cgil, Cisl, Uil ed Osapp, ad indire una manifestazione di protesta davanti al nosocomio viterbese il prossimo 13 marzo quando il provveditorato regionale vorrebbe inaugurare la struttura sono da ricondurre al fatto che "non si può aprire una struttura che di per sé non garantisce i livelli minimi di sicurezza, con dotazione organica che rappresenta appena il 50% di quanto stabilito dalla pianta organica elaborata dalla stessa amministrazione". Il Sappe conclude: "Per aprire il reparto detentivo ospedaliero è necessaria l’assegnazione a Viterbo di almeno altre trenta unità di polizia penitenziaria, senza le quali non acconsentiremo mai all’attivazione della struttura".

Rovigo: evaso saltando il muro; è colpa di un agente…

 

Il Gazzettino, 9 marzo 2006

 

Ha già prodotto un primo risultato, l’inchiesta interna avviata dalla direzione della casa circondariale di Rovigo per fare chiarezza su come sia maturata l’evasione che, il 17 febbraio scorso, ha visto Smail Krasnic, 25 anni, serbo arrestato per furto in appartamento, scalare i muri del penitenziario e darsi alla fuga. Un’evasione, quella di Krasnic, durata poco: il tempo necessario ad arrivare a Loreo su un’auto rubata per poi schiantarsi contro una seconda vettura e finire in coma.

Dalla relazione che la direzione ha inviato al sostituto procuratore della Repubblica Ciro Alberto Savino emerge, infatti, l’ipotesi che un agente di polizia penitenziaria abbia potuto agevolare la fuga del detenuto, abbandonando per alcuni minuti i propri compiti di sorveglianza e rendendosi, quindi, colpevole di negligenza.

Pare, infatti, che, mentre Krasnic scalava il muro della casa circondariale, l’agente fosse in guardiola per una telefonata. Al momento, la procura non ha iscritto il nome del poliziotto nel registro degli indagati e non è detto che lo faccia. Sarà prima necessario, infatti, comprendere come si siano svolti i fatti e se si possa parlare di negligenza, anche alla luce della situazione particolare in cui versa il carcere di Rovigo.

Da tempo, infatti, i sindacati di categoria, Sp-Cgil e Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, denunciano il cronico problema del sovraffollamento all’interno della struttura, al quale si aggiunge la carenza di personale. Non solo: i sindacati, infatti, da almeno quattro anni lamentano l’inadeguatezza delle misure di sicurezza, chiedendo l’installazione di un impianto di video sorveglianza e di misure, come la predisposizione di filo spinato sulle mura, adatte ad impedire lo scavalcamento. Richieste fino ad ora non esaudite, anzi: negli ultimi tempi si è persino reso necessario, causa la mancanza di personale, abolire le ronde di sorveglianza sulle mura. Resta quindi da capire come, in uno scenario del genere, si possa accusare di negligenza un singolo.

"È chiaro - attacca Giampietro Pegoraro, responsabile regionale di Sp-Cgil - l’amministrazione sta cercando un capro espiatorio. Da anni denunciamo il problema della sicurezza nel carcere, abbiamo anche incontrato per tre volte il prefetto. Abbiamo chiesto fondi per migliorare la sicurezza, per installare misure di video sorveglianza ed anti scavalcamento, ma, fino ad ora, sono arrivate soltanto le briciole". Più cauta, ma comunque ben consapevole delle lacune nel sistema di sicurezza della casa circondariale, la posizione del Sappe. "Prima di parlare di capri espiatori - spiega Gioacchino Lenaris, responsabile provinciale - attendiamo la fine dell’inchiesta. Di certo, però, il problema della sicurezza esiste e lo denunciamo da anni. Ogni volta, però, che chiediamo migliorie ci viene detto che tanto a breve arriverà il nuovo carcere. Intanto, però, si va avanti in una situazione di insicurezza".

Verona: detenuto albanese trasferito al posto di un altro

 

L’Arena di Verona, 9 marzo 2006

 

Lo hanno fatto uscire dalla cella del carcere di Montorio perché a Venezia lo stavano attendendo i giudici del tribunale del riesame. Ma il detenuto albanese ha tentato subito di spiegare agli agenti di polizia penitenziaria che c’era un errore: "Non sono io quello che deve andare a Venezia". Ma gli agenti non potevano fare nulla: avevano l’ordine di far uscire Arben, un nome di battesimo uguale all’altro detenuto, quello giusto, che aveva presentato il ricorso a Venezia. Così, l’Arben "sbagliato" è salito sul pullmino insieme con quattro indagati arrestati per spaccio di droga con il "vero" Arben e anche loro, quando hanno visto che sul mezzo c’era uno sconosciuto, hanno tentato di dire agli agenti che si stavano sbagliando, che quell’uomo non era il loro coindagato. Niente da fare. Dopo un viaggio di centoventi chilometri e il trasferimento nel palazzo di giustizia, Arben è rimasto per tre ore nella gabbia del bunker, in attesa che arrivasse il suo turno. o meglio, quello dell’altro detenuto, e di poter dire ai giudici, nella speranza di essere preso sul serio, che lui con quell’udienza non c’entrava nulla. Il suo momento è giunto a mezzogiorno e mezza. Quando l’ha visto, l’avvocato Luca Tirapelle che difende l’altro Arben, ha chiesto spiegazioni. In aula ci sono stati minuti d’imbarazzo. Anche i magistrati hanno iniziato a fare domande: "E allora lei chi è?". Lui ha risposto che da ore ce la stava mettendo tutta per evitare quel pasticcio e che nessuno aveva voluto credergli. Per questo equivoco, l’udienza stava per andare all’aria perché mancava il detenuto Arben che aveva fatto richiesta di essere presente a Venezia. È un suo diritto assistere al procedimento e, di conseguenza, anche gli altri quattro indagati erano sul punto di dover rinunciare alla discussione sulla richiesta di scarcerazione. Invece, il "vero" Arben, attraverso l’avvocato Tirapelle, ha fatto arrivare di fretta e furia un fax dal carcere di Montorio con il quale rinunciava a presenziare all’udienza. Il tribunale ha così potuto esaminare i ricorsi, mentre l’altro Arben ha atteso pazientemente fino alla fine. Poi, è nuovamente salito sul pullmino che l’ha riportato a Verona.

Empoli: "Festa della donna", presentato un libro fotografico

 

Comunicato Stampa, 9 marzo 2006

 

Sono trascorsi nove anni dall’apertura della Casa Circondariale femminile a custodia attenuata di Empoli. Anni in cui l’Istituto è cresciuto nei metodi, nel trattamento, nei progetti di recupero, superando alcune criticità, affrontate con il buon lavoro interno di tutti gli operatori. Ieri, sono stati festeggiati con la presentazione del libro fotografico "Femina Rea. Penitenziario Sezione Femminile" di Enrico Genovesi, in una giornata che è voluta essere un momento comune di riflessione e festa.

Il libro è dedicato alle donne detenute nelle carceri toscane di Empoli, Firenze e Livorno e si è proposto di illustrare, con uno sguardo sensibile e rispettoso, la loro quotidianità, le loro speranze, il loro percorso di recupero. Femina Rea è un fotoreportage sulla carcerazione femminile. Una storia fotografica rivolta a questa particolare realtà ed analizzata nel contesto di più penitenziari italiani. Un singolare spaccato di vita che, benché molto vicina, raramente trova in tutti noi momenti di riflessione. Le parole, a volte, non raggiungono la profondità necessaria per la comprensione dello stato d’animo degli altri, specialmente quando questi "altri" sono sommersi dalla propria vita. E l’intento di queste fotografie è riuscirci.

La pubblicazione è stata sostenuta dalla Regione Toscana, dalle Consigliere di Parità della Regione e dalle province di Firenze e Livorno, dalle Amministrazioni Provinciali di Firenze e Livorno, dall’Amministrazione penitenziaria. Presenti alla giornata l’autore Enrico Genovesi; il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana, Massimo De Pascalis; l’assessore regionale alle Pari Opportunità, Susanna Cenni; l’assessore Regionale alle Politiche Sociali Gianni Salvatori; Alessandro Margara, presidente della Fondazione Michelucci; la consigliera regionale di Parità Marina Capponi; le consigliere di parità della Provincia di Firenze, Maria Grazia Maestrelli e della Provincia di Livorno, Maria Giovanna Lotti; Susanna Della Felice, in rappresentanza del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze; la direttrice della custodia attenuata, Margherita Michelini, gli assessori del Comune di Empoli, Mercedes Frias e Claudio Bicchielli. Al termine della presentazione, Carolina Gentili del coro drammatico "Renato Condoleo" di Firenze, ha letto alcuni brani di poesia ed è stato offerto dalle donne del carcere un ricco buffet. "Oggi per noi è una giornata molto importante - ha detto la direttrice dell’Istituto Margherita Michelini - per tutte le donne e per il nostro "carcerino", così comunemente chiamato dagli empolesi. Sono nove anni dall’apertura voluta fortemente dalla Regione, dal Comune e dalla Provincia di Firenze".

Forlì: donne in carcere, come ricostruire il futuro…

 

Comunicato Stampa, 9 marzo 2006

 

Le donne detenute nella Casa Circondariale di Forlì sono una realtà "sommersa nel sommerso", per le quali il reinserimento sociale e lavorativo è reso più difficile dai maggiori ostacoli che, tipicamente, incontrano le donne nell’affrontare il mercato del lavoro, la cura dei figli e della famiglia, considerando il vuoto relazionale causato dalla carcerazione. Molte delle donne presenti oggi in carcere sono straniere ed hanno ulteriori difficoltà nel superare lo stigma della pena e dell’isolamento sociale che ne consegue. Per dare loro risposte positive la direzione della Casa Circondariale ha promosso un percorso di approfondimento su temi attinenti al mondo femminile e sulla rete dei servizi presenti sul territorio a cui potersi rivolgere al momento della scarcerazione, fase più delicata per un reale reinserimento sociale e per uscire dall’illegalità. Organizzato dall’ente formativo Téchne Forlì Cesena, il percorso verrà realizzato anche grazie alla partecipazione della Commissione Consiliare Pari Opportunità della Provincia di Forlì Cesena, da tempo impegnata nel sostegno alle donne in particolare difficoltà.

Saranno rafforzate le competenze sul mondo "fuori dal carcere" e su temi che possono riguardare direttamente le donne come la salute, il lavoro, l’immigrazione. L’idea progettuale è quella di aiutarle a prendere coscienza di sé, attraverso momenti di incontro e confronto su questi temi con testimoni significativi del nostro territorio e con le associazioni di volontariato alle quali rivolgersi dopo la fine della pena. Si prevede la realizzazione di brochure informative con l’intento di rendere le donne portavoce per le altre donne (detenute e non) di contenuti importanti per il benessere femminile, per la cura di sé, per un progetto di vita costruttivo al di fuori del carcere, indipendentemente dalla cultura e dall’etnia di appartenenza.

Salute in carcere: intervento Sindacato Autonomo Infermieri

 

Comunicato Stampa, 9 marzo 2006

 

Anche se da esclusi dalla lista degli invitati, abbiamo ugualmente voluto assistere al convegno nazionale: "La salute in carcere - Parliamone senza censure" promosso dal Dap per l’1 marzo 2006. Abbiamo cercato di prestare la nostra massima attenzione al dibattito provando a frondarlo di tutte quelle disquisizioni politiche che in un momento come questo possono essere soltanto fuorvianti, dissociandoci dagli applausi che venivano dall’una o dall’altra parte della platea a seconda dell’appartenenza politica dell’intervistato plaudendo, di contro, a quanto detto dall’unico che ha portato un contributo scevro di ogni interesse in quanto non parte in causa come il dott. Cannavò, il tutto nella speranza di cogliere delle novità.

Da tale convegno però, purtroppo, abbiamo avuto la conferma di quanto sia scarso nel Dap il concetto di salute; infatti non solo viene confusa con la diagnosi e cura, ma, applicando arcaiche metodologie, pretenderebbe di misurare e mantenere lo stato di salute in carcere affidandone la gestione ai soli medici la cui professionalità è volta appunto alla diagnosi e cura che è solo 1 (leggasi uno) degli elementi di quella più vasta equipe preposta alla salute che secondo una definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ricordiamo essere …"uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non solo l’assenza di malattia o di infermità"…

Da sempre il nostro sindacato è teso ad illustrare tale concetto, ed è per questo che riteniamo del tutto deviante l’elencazione delle problematiche sanitarie penitenziarie esposte dal dott. Ardita mentre scorrevano le immagini di perfette sale operatorie e di modernissime e costosissime apparecchiature medicali. Così come da sempre siamo convinti che se alle statistiche ci crediamo, come sembrerebbe far pensare il grande, e buono, lavoro statistico portato avanti dal Dap, dovrebbero essere stilate anche delle tabelle che oltre ad evidenziare le patologie entranti dovrebbero evidenziare quelle in uscita, come quella drammatica dei farmaco dipendenti che di fatto vanifica tutta l’attività di recupero che dovrebbe essere fatta durante la restrizione.

Così come dovremmo smetterla di piangerci addosso trovando sempre delle scusanti esterne, come la riduzione di fondi, alla staticità programmatica di Codesta Amministrazione; finiamola di considerare un ristretto, e fin dal suo primo ingresso in Istituto, come un malato; consideriamolo invece come un individuo strappato ad una realtà per essere collocato in un’altra ed attuiamo su di Esso tutti i più moderni concetti assistenziali ricordando che la Repubblica tutela la salute quale diritto fondamentale dell’individuo… (art. 32 Costituzione); se attuassimo quanto sopra, probabilmente scopriremmo anche che le risorse economiche potrebbero non essere così scarse.

Certo, per far ciò dovremmo abbandonare i voli pindarici di chi vorrebbe l’autosufficienza di ogni Istituto. Del resto a cosa serve avere un’apparecchiatura per la Tac in un Istituto quando si può ottenere lo stesso esame ad un costo notevolmente inferiore all’esterno? A cosa serve avere delle sale operatorie bellissime da vedere quando poi un’urgenza chirurgica (anche e soprattutto se piccola) in un Istituto diverso va risolta in ambiente ospedaliero esterno? A cosa serve un Holter cardiaco in un Istituto quando nei precedenti quindici anni dall’acquisto non è mai capitato di dover richiedere esami del genere e nei successivi tre anni non è mai stato utilizzato? A cosa serve una visita medica (!) all’atto dell’ingresso in Istituto quando l’individuo che vi entra è talmente frastornato da decine di ore di attesa o di interrogatori da non essere quasi mai in grado di rispondere con precisione alle domande sulla propria anamnesi?

Altro aspetto che dovrebbe essere trattato con maggiore attenzione e riflessione, e sicuramente con minor ilarità di quella ricevuta al convegno, è sulla denuncia fatta circa la valutazione della richiesta assistenziale da parte dei detenuti che dopo un certo orario viene affidata alla sensibilità dell’agente di polizia penitenziaria preposto alla sorveglianza della sezione cui appartiene il richiedente. Per quanto sopra, non riusciamo a spiegarci il perché ci si voglia intestardire ad iper specializzare gli Istituti quando i disagi non sono quelli che derivano dalla mancanza di cure, quando i suicidi non avvengono per mancato intervento medico.

I disagi ed i suicidi ci sono perché l’Amministrazione Penitenziaria non ha mai fatto nulla per far emergere ed eventualmente, nei limiti del possibile, soddisfare i reali bisogni degli individui ristretti. È per tali motivi che riteniamo il Dap responsabile di tale stato di cose, anche se questa è un’affermazione che ci dispiace fare perché ci era sembrato di cogliere, ed in più di un dirigente dello stesso Dap, forti necessità di cambiamento e di superamento di quella fase che vedeva il Dap consultarsi con la sola classe medica prima di emanare un provvedimento. Ma dopo anni in cui chiediamo inutilmente progetti obiettivo e maggior organizzazione con il fattivo coinvolgimento delle altre figure professionali responsabili della salute, non possiamo continuare a rimanere inermi. Ciò nella speranza che il nuovo Governo che uscirà dalle prossime elezioni possa e voglia affrontare adeguatamente tale tematica. Restiamo comunque convinti che allo stato attuale essa potrà trovare risposta solo in un sistema sicuramente più aperto al nuovo come il Servizio Sanitario Nazionale.

 

Il Segretario Nazionale Sai, Marco Poggi

 

Sai - Sindacato Autonomo Infermieri (già Sitap)

Via A. Da Faenza 14 - 40129 Bologna

Telefono e Fax 051.367116 – Mail: saisind@libero.it

Web: http://saisind.interfree.it

Foggia: convenzione Caritas - Ufficio di Esecuzione Penale Esterna

 

Ansa, 9 marzo 2006

 

La Caritas Diocesana di San Severo, ha stipulato una convenzione con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (Uepe) di Foggia per il recupero e il reinserimento sociale di persone coinvolte in attività criminose. La Convenzione si prefigge l’obiettivo di promuovere azioni concordi di sensibilizzazione nei confronti della comunità locale rispetto al sostegno e al reinserimento di persone in esecuzione penale; di promuovere la conoscenza e lo sviluppo di attività riparative in favore della collettività; di favorire la costituzione di una rete di risorse che accolgono i soggetti in esecuzione di pena in misura alternativa. Nella stipula della convenzione la Uepe assume l’impegno a collaborare con la Caritas Diocesana per sensibilizzare l’ambiente in cui i detenuti saranno inseriti; a segnalare il nominativo di ogni soggetto in esecuzione di pena che aderisce all’attività a favore della collettività; ad accompagnare l’accoglienza del soggetto nella struttura individuata. La Caritas, a sua volta, assume l’impegno a collocare il soggetto in esecuzione di pena in idonea struttura che sarà individuata; a redigere progetto individuale per ogni singolo condannato che contempli l’attività di riparazione, il luogo, il monte ore; a segnalare all’Uepe inadempienze del soggetto condannato e a rilasciare al medesimo regolare attestato in cui risulta lo svolgimento dell’attività. La convenzione tra la Caritas Diocesana e l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Foggia avrà la durata di un anno.

Gran Bretagna: è illegale far perdere lezioni scolastiche ai figli

 

Ansa, 9 marzo 2006

 

Far perdere le lezioni ai figli in Inghilterra è reato. L’ha deciso l’Alta Corte di Londra: i giudici hanno dato torto a una madre sentenziando che è illegale portare i figli in vacanza durante l’anno scolastico senza il consenso del preside. Due giudici hanno infatti dato torto a una madre che aveva preso una settimana non autorizzata di ferie per portare le tre figlie, pur brave a scuola, alle finali di un concorso di danza. L’autorità scolastica locale si è impuntata e ha trascinato la madre davanti all’Alta Corte.

 

 

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